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I comunisti e la questione dei Diritti Umani

Ana Escauriaza Del Pueyo | Unidad y Lucha
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

29/01/2014

I Diritti Umani sono, nei nostri tempi, una graziosa postilla nella bocca delle varie forze politiche. Sono, inoltre e paradossalmente, una scusa che sembra giustificare quasi tutto.

A prima vista, si può affermare che i Diritti Umani (DDUU d'ora in poi) sono tutto e niente. Tutto perché sembra che siano diventati quell'ideale di condizione minima di cui ogni persona deve godere e che ogni Stato deve assicurare (condizione che sembra, almeno sulla carta, già raggiunta, visto che tutti gli Stati membri dell'Organizzazione delle Nazioni Unite hanno ratificato almeno uno dei trattati internazionali sui diritti umani e considerato che di fatto l'80% di loro ne ha ratificati almeno quattro) e quindi il nulla perché sono l'argomento sulla bocca di tutti ma, se ci soffermiamo a riflettere, difficilmente troveremo casi nei quali essi vengano rispettati. E così paesi sono stati invasi, massacrati e saccheggiati in nome dei "Diritti Umani".

Inoltre, andando più affondo nella questione e affrontandola dal punto di vista accademico, vediamo che esistono diversi tipi di DDUU in teoria. Di fatti, il mondo accademico distingue tra DDUU di prima generazione (anche conosciuti come DDUU civili e politici), di seconda generazione (detti anche sociali, culturali ed economici) e di terza generazione (un insieme meno omogeneo dei precedenti che potremmo qualificare come "diritti di solidarietà"). Gli accademici, inoltre, collegano i DDUU di prima generazione con il liberalismo e quelli di seconda con le ideologie socialiste. Sostengono, inoltre, che nei paesi socialisti i DDUU sociali, culturali ed economici sono stati salvaguardati talmente da far scomparire quelli politici e civili. Propongono, come esempi a sostegno della loro tesi, aneddoti come il dibattito che accompagnò la redazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (DUDU).

Cosa c'è di vero nella svalutazione o persino nella non accettazione dei diritti civili e politici da parte dei marxisti? Perché rifiutano qualcosa di, a priori, così sano come i DDUU?

Procediamo per gradi. Poco più di un secolo prima della firma della DUDU, Marx già ci parlava dei Diritti Umani nella sua opera Sulla questione ebraica (1843). Vediamo cosa diceva il padre del socialismo scientifico riguardo il voto negli Stati Uniti:

"Lo Stato in quanto Stato annulla, ad es., la proprietà privata, l'uomo dichiara soppressa politicamente la proprietà privata non appena esso abolisce il censo per l'eleggibilità attiva e passiva, come è avvenuto in molti Stati nordamericani. Hamilton interpreta assai giustamente questo fatto dal punto di vista politico:
«La grande massa ha trionfato sopra i proprietari e la ricchezza monetaria.» (…) Tuttavia, con l'annullamento politico della proprietà privata non solo non viene soppressa la proprietà privata, ma essa viene addirittura presupposta.(…) Nondimeno lo Stato lascia che la proprietà privata, l'educazione, l'occupazione operino nel loro modo, cioè come proprietà privata, come educazione, come occupazione, e facciano valere la loro particolare essenza".

In primo luogo, cioè, Marx segnala che l'accettazione dei Diritti Umani presuppone un'accettazione sulla carta che non si realizza nella pratica e, per tanto, ha come immediata conseguenza la falsa convinzione della loro esistenza da parte dei lavoratori.

La DUDU, senza andare più lontano, funge da velo, come tentativo di estinguere le rivendicazioni sociali. Se abbiamo per iscritto (ed il nostro governo ha ratificato) una lista di diritti dei quali noi ora siamo sprovvisti (per via della situazione economica, della congiuntura storica, del colore politico del governo…), perché non aspettare che l'ostacolo che impedisce la loro affermazione scompaia e sperare che, in futuro, noi possiamo godere di essi? Questa è la domanda che, tanto all'epoca quanto ora, la borghesia ha voluto che tutti i lavoratori si facessero. Peccato che pensare una cosa simile è come essere certi che mettendo un cartello che recita "vietato mangiare le pecore", il gregge sia in salvo dai famelici lupi…

Senz'alcun dubbio la critica fondamentale marxista ai Diritti Umani viene dopo. Facendo ancora riferimento all'opera Sulla questione ebraica:

"L'uomo in quanto membro della società civile, l'uomo non politico, appare perciò necessariamente come l'uomo naturale. (…) l'uomo, in quanto è membro della società civile, vale come uomo vero e proprio (…) L'uomo reale è riconosciuto solo nella figura dell'individuo egoista".

Che vuole dire Marx qui? Semplicemente che i DDUU non sono né umani (o almeno non di tutta l'umanità), né universali. Sono diritti della borghesia, per la borghesia e pertanto i diritti civili e politici proteggono gli interessi di questa classe sociale (diritto alla proprietà privata, diritto alla libertà - che include la libertà di contrattazione, la libertà di produzione… - il diritto alla libertà politica - che va inteso, all'interno del suo contesto storico, come una rivendicazione della borghesia ad accedere alle sfere politiche riservate, un tempo, soltanto alle classi nobiliari -…)

Ma cosa importa se sono diritti creati dalla borghesia, se poi ne beneficiano anche i lavoratori? Qui non resta altro che rispondere a questa domanda, con un'altra domanda: esiste la libertà dell'individuo quando l'unica cosa che quest'ultimo può fare è "scegliere" quale imprenditore lo sfrutterà? Ha libertà lo studente espulso dall'università che può "scegliere" tra fare uno stage, un corso o lavorare gratis? O, per essere ancora più macabri, se si riferiscono alla libertà che ha una famiglia di lavoratori che, sfrattata dalla propria casa, può scegliere in che panchina dormire o sotto quale ponte ripararsi?

Pertanto, ha senso parlare di diritti civili e politici in astratto? Si e no. Si, se li restringiamo a una classe sociale e no, se vogliamo universalizzarli. Ecco, quindi, la prima risposta: noi marxisti sosteniamo che non si può parlare di DDUU e che ratificarli con qualunque legge o trattato internazionale costituisce un atto di ipocrisia, in quanto non esistono ne possono esistere tali diritti nell'attuale regime economico. Mutuando la storica frase di Lenin, ci chiediamo quindi: Diritti umani? Per chi?

Infine, se nei paesi socialisti è stata raggiunta una situazione tale da assicurare a tutti i DDUU (tanto quelli di prima, quanto quelli di seconda generazione), perché esiste la credenza - fondata o no - che in questi paesi i DDUU civili e politici non abbiano valore? Perché i paesi socialisti, ai loro tempi, spingevano più per l'affermazione dei DDUU sociali, economici e culturali, lasciando in secondo piano quelli politici e civili? Potremmo pensare: che senso ha includerli, se stiamo già assicurando non solo questi, ma molto di più? Per trovare la risposta, dobbiamo tornare a concetti già trattati in questo testo. Abbiamo visto che i diritti civili e politici non sono niente se non accompagnati da diritti minimi sociali ed economici; al contrario, una volta conseguiti questi ultimi, è impossibile che gli altri svaniscano. Noi comunisti, cioè, difendiamo (e corroboriamo con le esperienze dei paesi socialisti) che la consecuzione dei DDUU economici, culturali e sociali (che, per inciso, possono essere ottenuti soltanto nei paesi socialisti) presuppone l'estensione immediata dei diritti politici e civili, poiché l'unica barriera che hanno questi ultimi alla propria realizzazione piena è l'assenza dei primi. Le uniche barriere alla libertà che ha il lavoratore sono quelle che gli impongono i borghesi e lo Stato borghese; una volta che queste spariscono, si realizza l'integrazione del proletariato nella società e con essa tutti i suoi diritti. Per questo noi comunisti diciamo che non ci sono DDUU di prima o seconda generazione, bensì diritti della borghesia e diritti del proletariato. E l'esistenza degli uni impedisce la realizzazione degli altri.


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