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Afghanistan: i Talebani a Kabul e le grandi potenze

Fabrizio Poggi, Nuova unità n.5 * | nuovaunita.info

settembre 2021

Più di una generazione fa, l'Afghanistan aveva conquistato la propria libertà, che Stati Uniti, Gran Bretagna e i loro "alleati" hanno distrutto.
John Pilger Consortium News

Invasione dell'Afghanistan. La Dottrina della Guerra al Terrorismo, coniata dall'amministrazione di George W. Bush, è servita come base per il genocidio commesso contro il popolo afgano. Il rovesciamento dei talebani non ha migliorato la situazione afgana, come proclamato in Occidente. Le timide riforme non possono nascondere gli attentati indiscriminati, gli omicidi perpetrati dalle forze militari d'invasione contro la popolazione civile, i centri di tortura sparsi per il mondo al di fuori del diritto internazionale, la sistematica violazione dei diritti umani, la maggiore povertà, il neocolonialismo, il tentativo di annientare la molteplicità di culture. Questo è stato il risultato della campagna militare di 20 anni lanciata dagli Stati Uniti e dai loro alleati. L'Afghanistan è diventato teatro di un nuovo massacro dell'imperialismo.
Fernando Rivero, telesurtv.net

Ai tempi dell'URSS, tra le migliaia di battute di un'immaginaria "Radio Armenia", c'era la domanda: "In cosa si distingue un inglese da un ebreo?" e la relativa risposta: "L'inglese se ne va senza salutare; l'ebreo saluta, ma non se ne va". Qualcuno ha adattato l'arguzia sull'ebreo alle truppe USA che "salutano" l'Afghanistan e al quasi incruento passaggio del paese sotto il controllo dei talebani. Di fatto, Biden ha messo in pratica l'accordo tra Trump e talebani, sottoscritto nel febbraio 2020 a Doha, con la mediazione del Qatar.

Difficile prevedere quale sarà la situazione afgana, quando i lettori riceveranno questo numero di "nuova unità"; ma alcune questioni possono rilevarsi da subito. Una, da cui poi ne scaturiscono altre, è che la fola della "lotta al terrorismo" con cui, per vent'anni, l'imperialismo USA e i suoi "alleati" europei hanno riempito le teste delle persone e svuotato le loro tasche, è evidenziata dagli attentati terroristici che dal 26 agosto si susseguono a Kabul. Con tali atti, per mano di gruppi islamisti creati e addestrati dalle forze speciali americane, Washington ammonisce i talebani che il loro regime è fragile senza le forze yankee e che queste sono sempre pronte a tornare: ufficialmente, per "punire i colpevoli" degli attentati.

Certo, è innegabile che la frettolosa uscita yankee sia un'ennesima testimonianza della crisi irreversibile del capitalismo USA (ma anche europeo) e della fine dell'egemonia planetaria americana, messa da tempo in discussione dall'avanzata economico-commerciale cinese e dalle prove di modernizzazione e potenza militare russe. Ma è altrettanto innegabile che sia quantomeno prematuro dare per definitiva la partenza USA dalla regione. Già tre mesi fa, l'ex funzionario del Dipartimento esteri del CC del PCUS, Vjačeslav Matuzov, ricordava che il Pentagono ha sinora realizzato solo una parte, e nemmeno la principale, dei propri piani, per demolire l'indipendenza del mondo islamico e rimescolarne i confini in un Nuovo grande Medio oriente da dirigere contro la Russia, e per dar vita ad un Kurdistan sotto controllo USA a spese di territori siriani, iraniani, turchi e iracheni, fino al mar Nero.

Il fatto di essere una potenza in declino, non significa che Washington non azzardi altre zampate agli avversari, anche ai loro immediati confini: le ex Repubbliche sovietiche dell'Asia centrale e le regioni occidentali della Cina, aree queste in cui più forte (anche per tradizione religiosa locale) è la penetrazione islamista e in cui Washington potrebbe intensificare l'infiltrazione di gruppi terroristici creati per "esportare la democrazia" in Cecenia, Bosnia, Siria, Libia, Afghanistan ecc. Ecco dunque manovre militari congiunte russo-tadžiko-uzbeke (dove più forte è il pericolo islamista) e russo-cinesi.

Contromisure russe e attività cinesi

Già alla riunione della Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO: Cina, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tadžikistan, Russia, Uzbekistan, India, Pakistan come Stati membri, più altri Osservatori e Partner, tra cui l'Afghanistan), lo scorso luglio a Dušanbe, il Ministro della difesa russo Sergej Šojgù aveva messo in guardia sui tentativi USA di posizionarsi nell'area centro-asiatica. Gli americani, aveva detto Šojgù anche all'incontro dell'Organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva (Organizatsija Dogovora o Kollektivnoj bezopasnosti - ODKB: Tadžikistan, Kazakhstan, Armenia, Bielorussia, Kyrgyzstan, Russia) «si preoccupano non dell'Afghanistan, ma solo di aprire nuove rotte di transito e strutture logistiche negli Stati dell'Asia centrale e dispiegarvi proprie basi militari».

Come negli anni '80, con la guerra scatenata dai mujaheddin sostenuti dagli USA (e, si dice anche dalla Cina) interessati all'uscita dell'URSS dall'Afghanistan, pare che anche oggi, dietro la facile vittoria talebana, oltre al collasso dell'esercito regolare a causa del tradimento dei generali, oltre al disgusto di larga parte della popolazione per 20 anni di occupazione USA e NATO, per la mafia delle ONG straniere, per la droga e la corruzione dilaganti, per le guerre tribali tra proprietari di campi di papaveri, oltre a tutto questo, sembra che ci sia di nuovo la mano di Pechino, interessata a garantire un corridoio per la "Via della seta". Una tesi, questa, che circola non solo tra gli analisti russi e che non appare del tutto priva di fondamento, se si attribuisce ai talebani una matrice "nazional-oscurantista", di opposizione a qualsiasi ingerenza straniera nel paese: matrice che potrebbe essere utilizzata dalla Cina nella lotta con gli Stati Uniti per il primato commerciale mondiale. Tesi rigettata però da altri osservatori russi, che la attribuiscono a quanti brigano per portare la Russia sul fronte anti-cinese e pro-americano.

In ogni caso, sembra plausibile dedurre che tanto l'approccio "filo-cinese" quanto quello "anti-cinese", vedano nell'Afghanistan null'altro che un campo di scontro tra potenze imperialiste, in declino o in ascesa, attribuendo ai diversi raggruppamenti - talebani come elemento nazionalista, «parte della società afgana», secondo la formulazione di Mosca e Pechino; oppure Nusra o Qaeda, come raggruppamenti terroristici creati da USA e monarchie del Golfo - una forza che viene loro dal sostegno di questo o quell'altro attore planetario, nello sforzo di rimodellare le rispettive alleanze regionali. È così, per esempio, per gruppi islamisti afgani quali Tehreek-e-Taliban Pakistan e Stato Islamico, che dichiarano di voler attaccare gli interessi cinesi e che Washington potrebbe utilizzare a questo scopo.

Il più vasto scacchiere regionale

Indicativo il fatto, ad esempio, che negli stessi giorni dell'incontro della SCO a Dušanbe a fine luglio, e mentre a Pechino il mullah talebano Baradar veniva ricevuto dal Ministro degli esteri cinese Wang Yi, il Segretario di Stato USA, Antony Blinken, si incontrasse col Ministro degli esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar, per cercare di convincere Delhi a aderire al cosiddetto "parternariato Indo-Pacifico" - una sorta di NATO orientale - e coinvolgere l'India contro la Cina, accrescendone la partecipazione al QSD (Quadrilateral Security Dialogue). Questo, nonostante la comune appartenenza di India, Russia e Cina alla SCO, cui l'Afghanistan partecipa come Osservatore: proprio sull'Afghanistan, gli interessi indiani convergono con quelli russi e cinesi, contro la destabilizzazione islamista, e confliggono con gli interessi USA. 

D'altra parte, l'australiano The Strategist scrive che l'unico paese scontento dell'uscita USA dall'Afghanistan sarebbe proprio l'India, mentre Pakistan e Cina si preparerebbero a colmare il vuoto e Russia e Iran, sebbene temano i talebani, sarebbero contenti della mossa USA. I talebani al potere significano di nuovo un punto d'appoggio per Islamabad in caso di conflitto con l'India, come negli anni '90. Delhi è preoccupata anche per l'interesse di Pechino ad includere l'Afghanistan nella One Belt One Road e per la dichiarazione sino-pakistana sulla cooperazione bilaterale in Afghanistan. La Cina, peraltro, pur manifestando apprensione, potrebbe vedere il ritiro USA come un'opportunità, avendo interessi economici e strategici nella regione: quelli in Afghanistan includono un contratto d'affitto, fino al 2037, sulla miniera di rame di Mes Aynak, e Pechino guarda anche alle altre risorse minerarie afgane.

L'Afghanistan è importante anche per la sicurezza nello Xinjiang, dato che è stato a lungo utilizzato come base per i guerriglieri uiguri. In ogni caso, sia che cooperi con Pakistan, Russia e Iran, per la stabilizzazione afgana, sia che intenda giocare un ruolo più diretto, è chiara l'importanza attribuita al paese per la strategia cinese, tanto da pianificarvi «significativi investimenti energetici e infrastrutturali». Sul cinese Global Times, Zhang Jiadong scriveva che, «rispetto ad altre potenze, la RPC ha l'opportunità di partecipare agli affari afgani senza impantanarvisi».

Affari tutt'altro che miseri, se anche negli Stati Uniti sono in molti a lamentarsi della troppo frettolosa uscita dal paese, in cui non ci sono solo le estese piantagioni di oppio, ricchissimo bottino di guerra delle truppe yankee. Si stima che nel sottosuolo ci siano almeno 60 milioni di t. di rame (uno dei metalli base in tutti i settori industriali), 2,2 milioni di t. di minerale di ferro, 1,4 milioni di t. di terre rare, oro, argento, zinco, litio (elemento principale nella produzione di batterie per auto elettriche), berillio (base dell'industria elettronica, per missili, satelliti, veicoli spaziali), mercurio. Il valore delle terre rare è valutato tra 1.000 e 3.000 miliardi di dollari e la CNN lamenta che «paesi come Cina o Russia potrebbero trovare il modo di negoziare coi talebani per tali risorse».

A lamentarsi è anche il cosiddetto Alto rappresentante UE per gli affari esteri, Josep Borrell e guaisce che la UE «non dovrebbe consentire a Russia e Cina di avere il controllo sulla situazione in Afghanistan e diventare i principali sponsor di Kabul». Con simili rapaci a contendersi la preda, solo anime beate possono dirsi "preoccupate" per gli spari contro un C-130 italiano in decollo dall'aeroporto di Kabul, come fossero veramente convinte che l'italico tricolore abbia portato solo "aiuti e democrazia" in Afghanistan e non sia invece intervenuto nel paese a sostegno dell'invasione yankee e come tale sia visto dalla popolazione afghana. Sarà interessante scoprire quante e quali banche, quante e quali industrie nostrane, oltre a quelle produttrici di armamenti, abbiano fatto affari nei vent'anni di "difesa della democrazia" nel paese.

Cosa dicono in Russia?

Da parte russa, oltremodo ottimistiche apparivano qualche settimana fa le dichiarazioni di Zamir Kabulov, direttore del "2° dipartimento Asia" del Ministero degli esteri russo e incaricato presidenziale per l'Afghanistan, secondo il quale non ci sarebbero legami tra talebani e Al-Qaeda e «la maggioranza dei Talebani è incline ad una soluzione pacifica in Afghanistan»: dunque «il movimento non costituisce una minaccia per i paesi vicini».

Qualche settimana prima della caduta di Kabul, il già citato V. Matuzov ridicolizzava le passate dichiarazioni ufficiali russe che, diceva, sembrano mutuate dalla dottrina USA di fare dell'Islam il nuovo "pericolo mondiale", dopo aver "sconfitto il comunismo e il nemico sovietico"; tanto che, anche in un recente passato, alcuni in Russia erano arrivati ad affermare che oggi «il nemico principale è il terrorismo internazionale», teorizzando che «dal terrorismo talebano ci salva l'esercito USA»: ovviamente, finché rimaneva in Afghanistan. Si finge di scordare, diceva Matuzov, che mentre Isis e Qaeda sono creazioni yankee, i talebani non lo sono; e se nel 2012 Mosca era arrivata a concedere la base aerea di Ul'janovsk, quale punto di trasbordo per "materiali NATO non letali", quando in realtà gli americani stavano «portando via dall'Afghanistan centinaia di tonnellate di eroina», oggi sembra che l'approccio russo sia di "attenzione" al nuovo regime, nonostante il movimento talebano continui a esser qualificato come "organizzazione terroristica vietata in Russia" e i media siano tenuti a specificare tale qualifica ogni qualvolta citino i talebani.

Accordo USA-Talebani

D'altra parte, quanto sia ipocrita l'indignazione di chi si limita a sostenere che «i talebani vogliono vivere come nel Medioevo», lo testimonia l'opposto atteggiamento, di riverenza, verso paesi come l'Arabia Saudita, una monarchia medievale assoluta, in cui sono proibiti i partiti politici, vengono pubblicamente irrisi i cosiddetti "diritti umani", sempre sbandierati dalle "democrazie liberali", sono inesistenti i diritti delle donne, gli oppositori vengono giustiziati, oppure fatti a pezzi e per una dichiarazione di ateismo c'è la pena di morte. Se il Mullah Baradar, capo dell'ufficio politico talebano, diventa definitivamente capo dell'Emirato, allora in Afghanistan si instaurerà un modello simile a quello iraniano, con un capo spirituale. Questo da un lato. Dall'altro, come ha dichiarato in un'intervista a il manifesto, un rappresentante del partito afgano "Hambastagi", quantunque «i taliban rivendichino spudoratamente la loro vittoria, facendo riferimento al credo religioso, è chiaro che la cosiddetta vittoria è stata loro regalata. L'imperialismo USA insieme al suo partner criminale, la NATO, ha consegnato il futuro del nostro popolo martoriato nelle mani dei taliban, già loro servitori in passato. Lo scenario che prevedeva che i fondamentalisti dovessero continuare a governare in Afghanistan, dopo la partenza degli USA, era già scritto perché vogliono mantenere il nostro popolo nell'ignoranza e avere nuove opportunità di occupare il paese in futuro».

Una tesi simile è sostenuta dall'ex senatore russo e leader dell'Unione dei veterani afgani Franz Klintsevič, il quale, alla domanda sul perché la caduta del regime filo-americano afgano sia stata così rapida, ha risposto: «È semplice: perché il regime al potere era un burattino corrotto. Ho preso parte al ritiro delle truppe sovietiche: il nostro 345° reggimento occupò posizioni difensive, assicurando il passaggio dell'intero contingente fino al passo del Salang. Ci preparammo per un anno e mezzo al ritiro delle truppe, che poi durò sei mesi. Tutto il nostro materiale venne inventariato e lasciato alle forze afgane. E invece, come se ne sono andati gli americani? Ad esempio, alla posizione USA a Bagram, c'erano più di tremila veicoli da combattimento, camion, blindati carichi di munizioni, mitragliatrici pesanti. Nulla di tutto questo è stato consegnato alle truppe governative e dopo due ore era nelle mani dei talebani. In guerra, se non c'è modo di evacuare le armi, le si distrugge. È evidente che quanto avvenuto in Afghanistan è frutto di un accordo coi talebani».

Il periodo della presenza sovietica

Nikolaj Patrušev, segretario del Consiglio di sicurezza russo, nota come nei 20 anni di occupazione USA, la produzione di oppiacei sia cresciuta di oltre 40 volte, in parallelo con l'aumento di attacchi terroristici. Prima che Stati Uniti e loro "alleati" finanziassero i fondamentalisti religiosi in Afghanistan e Pakistan, URSS e Afghanistan intrattenevano relazioni amichevoli di cooperazione, che duravano dal 1922 e si erano intensificate dopo la Rivoluzione Saur del 1978, quando andò al potere il Partito Democratico Popolare dell'Afghanistan, rovesciando il regime di Daud Khan. I nuovi governi di Nur Taraki e poi di Hafizullah Amin, vararono riforme che andavano nella direzione di qualcosa di più avanzato che non una semplice democrazia popolare: abolizione della decima dovuta dai braccianti ai latifondisti, annullamento dei debiti dei contadini di fronte a feudatari, latifondisti, commercianti, usurai; prezzi dei beni primari calmierati, servizi sociali pubblici, sviluppo di una forma tradizionale di autogestione collettiva, creazione di sindacati; con la riforma fondiaria, ottennero la terra 340.000 famiglie ecc. Ecco dunque gli attacchi dei terroristi che, dietro la maschera del fondamentalismo religioso, si infiltravano dal Pakistan, sostenuti da USA e sauditi: le riforme avevano messo in pericolo gli interessi dei 40.000 latifondisti (2% della popolazione rurale) che, con rapporti di lavoro feudali, detenevano il 30% delle terre afgane. Come scriveva in quegli anni il giornalista afgano Ahmed Waziri, il nuovo «governo della RDA si è scontrato sin dai primi passi con l'opposizione di grandi proprietari terrieri, feudatari, usurai, della parte reazionaria del clero, messisi sulla via dell'aperta lotta armata e del terrore» col sostegno dell'imperialismo internazionale. L'ampiezza «dell'ingerenza USA nella RDA» scriveva allora Waziri, è tale «che nella stessa America le azioni anti-afgane di Washington vengono definite "la più grande operazione della CIA dopo la guerra del Viet Nam"».

Fu così che il governo di Babrak Karmal chiese assistenza militare all'URSS: a dicembre 1979 Mosca inviò un contingente militare, che rimase in Afghanistan per 10 anni, anche durante il governo di Mohammad Najib (in carica dal 1986 al 1992) fino al ritiro graduale, iniziato a maggio 1988 e terminato nel 1989. Furono dieci anni segnati da un lato dalle continue grida, ad esempio de l'Unità, accodata ai media occidentali, contro "l'occupazione sovietica" e a sostegno dei "combattenti per la libertà" mujaheddin. Dall'altro, fu un decennio di liberazione dall'oscurantismo tribale, redistribuzione delle terre, ingresso delle donne nella vita sociale pubblica a tutti i livelli. Errori vennero commessi, come naturale; ad un primo periodo di "corsa" verso il socialismo, con incomprensioni e opposizione di vari strati della popolazione, ne seguì un altro di più cauta attenzione alle tradizioni nazionali e alle esigenze delle diverse regioni del paese. Perché, come scriveva ancora Ahmed Waziri, «l'Afghanistan è un paese complesso. Vi vivono più di 20 nazionalità, tra cui pashtun, tadžiki, uzbeki, hazari, charaimaki, turcomanni, balouchi. Una specificità dell'Afghanistan è costituita dai nomadi, che sono circa 2,5 milioni. Finora le tribù nomadi conservano residui dell'organizzazione sociale ed economica gentilizio-tribale. Le tribù pashtun... sul confine afgano-pakistano... non hanno mai pagato dazi doganali o d'altro genere».

Se prima della rivoluzione del 1978 l'aspettativa di vita era di 35 anni e un bambino su tre moriva entro i primi 5 anni di vita, il governo del PDPA introdusse l'assistenza medica gratuita, diede avvio all'alfabetizzazione di massa. A fine anni '80, metà degli studenti universitari erano donne, che costituivano il 40% dei medici del paese, il 70% del corpo insegnanti e il 30% dei funzionari pubblici.

Già nell'estate 1979, il "democratico" Jimmy Carter autorizzò un programma di "azione segreta" di 500 milioni di dollari per rovesciare il primo governo laico e progressista dell'Afghanistan. Reclutato da tutto il mondo musulmano, un esercito segreto fu addestrato nei campi pakistani gestiti da CIA, MI6 e intelligence pakistana.

Con lo sciagurato ritiro gorbačëviano delle forze sovietiche e la vittoria dei mujaheddin, la legislazione progressista e socialista venne cancellata, alle donne si impose nuovamente il burqa, si scatenò la guerra civile, che si concluse con la vittoria degli studenti coranici addestrati in Pakistan e l'impiccagione di Mohammad Najib. Dal 2001, con l'aggressione USA e NATO, è storia conosciuta, anche a chi non ricorda nulla del periodo socialista dell'Afghanistan.

Il socialismo, appunto: grande assente da quasi tutti gli odierni "commenti" sull'Afghanistan.

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È uscito il n.5 di "nuova unità" del quale vi segnaliamo:
L'organizzazione capitalista è repressione e morti di profitto, pagina 2;
GKN: 9 - 19 e 24 luglio; 11 agosto e la lotta continua, pagina 3;
Afghanistan: i Talebani a Kabul e le grandi potenze, pagina 4/5;
Terremoti, guerre, Stati falliti, pagina 6;
Vaccino e green pass sono il toccasana? pagina 6;
Notizie in Breve, pagina 7
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