www.resistenze.org - popoli resistenti - arabia - 21-06-04

da www.ptb.be - Parti du Travail de Belgique -PTB
fonte http://www.ptb.be/scripts/article.phtml?section=A1AAABBSBE&obid=23954
traduzione dal francese del Ccdp

Attentati contro il personale di ditte petrolifere - Cosa succede in Arabia Saudita?


"Il prezzo del petrolio continuare a salire finché gli Stati Uniti seminano l'instabilità nella regione", afferma Mohammed Hassan, specialista del Medio Oriente, dopo i molteplici attacchi contro gli stranieri in Arabia Saudita.

Davide Pestieau 
09-06-2004 

22 persone di cui 19 stranieri, principalmente occidentali, sono stati uccisi a Khobar nel Nord-est dell’Arabia Saudita, il 30 maggio. A Ryad ed a Taïf alcuni uffici di polizia sono stati attaccati la settimana scorsa. Come si possono spiegare questi attacchi anti-governativi chi si diffondono da un anno?

Mohammed Hassan.
Bisogna risalire all’indomani della prima guerra del Golfo. Da allora, l’Arabia Saudita attraversa una crisi molto profonda.
Crisi economica, perché ha pagato una grande parte dei costi di quella guerra, passata al comando militare degli Stati Uniti che ha scavato un debito colossale, mentre prima il paese aveva eccedenze. Il 35% degli abitanti sono oggi in stato di disoccupazione.

Crisi politica, perché la legittimità del regime dei principi feudali sauditi è oggi messa in discussione dal popolo. La causa: la presenza delle truppe USA, l’embargo contro l’Iraq, la continuazione della politica dei due pesi e due misure con la Palestina. Questo ha provocato una grande presa di coscienza nazionale in tutti gli strati della società.

Perché questa opposizione si è incarnata in una faccia del movimento islamico?

Mohammed Hassan. In un paese diretto da una teocrazia dal 1932 che ha schiacciato le correnti nazionaliste e comuniste negli anni ‘50 e ‘60, questa opposizione poteva apparire solo sotto una forma religiosa. Dopo il 1991, il potere ha convocato una shoura, un’assemblea islamica composta da capi religiosi e da altre personalità. I più radicali hanno messo in discussione la monarchia, giudicata contraria all’Islam, e la presenza delle truppe USA. Altri hanno fatto delle critiche più timide.

Nessuna delle richieste della shoura è stata accolta dal potere saudita. La shoura è stata sciolta aumentando il risentimento della popolazione. Dagli anni ‘60, nessun altra forma di opposizione organizzata era riuscita ad incarnare questa rivolta anti-governativa.

Ma i gruppi armati islamici che erano stati mandati in Afghanistan e che lì si erano strutturati sono ritornati nel paese. E hanno dato seguito a questo risentimento. Fin dal 1997, sono cominciate delle azioni militari contro gli Occidentali passate sotto silenzio per molto tempo. Sono stati assaltati dei depositi di armi, i servizi di sicurezza hanno cominciato ad essere infiltrati.

Quale è l’origine sociale di questi insorti?

Mohammed Hassan. Molti dirigenti dell’opposizione saudita vengono dall’élite borghese, alcuni dalla piccola-borghesia che vogliono liberarsi dal giogo feudale nel quale sono chiusi dalla famiglia Saudita che dirige il paese. Vogliono che la penisola araba (Osama Bin Laden non parla mai del paese come “Arabia Saudita”) sia liberata dell’influenza americana. Non accettano che i benefici della vendita del petrolio rechino profitto all’economia americana e non alla propria nazione. Nel contesto del paese, utilizzano la religione a propri fini.

La loro origine sociale spiega anche le forme di azione terroristica che adottano (attentati suicidio, presa di ostaggi), come certuni fecero anche contro lo zarismo in Russia nel diciannovesimo secolo. Ma in questi ultimi anni, e in particolare dopo la seconda guerra contro l’Iraq, questa opposizione si allarga in Arabia Saudita e si estende agli altri piccoli Stati del Golfo, come il Bahrein o l’Oman.

Il prezzo del petrolio è in forte rialzo, superando il suo livello storico di 42 dollari al barile. Può spiegarsi questo rialzo con la situazione in Medio Oriente?

Mohammed Hassan. È una reazione del mercato all’instabilità crescente in Iraq ed in Arabia Saudita. Il mercato teme che l’approvvigionamento a breve non sia garantito.

Questa instabilità è stata generata dagli Stati Uniti stessi. Se nel 1920, gli Stati Uniti possedevano il 62% delle riserve mondiali di petrolio, nel 2007, saranno interamente dipendenti del petrolio importato. Ora l’Iraq possiede circa un terzo delle riserve petrolifere e l’Arabia Saudita almeno un altro terzo. Il controllo della regione diventa una questione di vita o di morte per l’imperialismo americano.

Una delle principali ragioni della guerra contro l’Iraq, è proprio che gli Stati Uniti non volevano dipendere unicamente dall’Arabia Saudita, già molto instabile. Volevano a partire dall’Iraq, “stabilizzare” la regione a loro modo, vale a dire colonizzarla completamente.

Ma questa teoria del domino sta per essere rovesciata. La resistenza irachena sta mettendo in scacco le truppe USA e, proprio come un domino, fa tremare i regimi già vacillanti dei paesi della penisola arabica. Perché se l’Arabia Saudita dovesse cadere, tutti i piccoli paesi del Golfo la seguirebbero. E questo farebbe tremare l’economia americana che è sostenuta in parte dai petroldollari sauditi investiti in buoni del tesoro USA (l’Arabia Saudita non ha un banca centrale!).

Tutto questo contribuisce anche ad accrescere le contraddizioni tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea, soprattutto sull’impiego della NATO in Iraq ed in Afghanistan.

I prezzi del petrolio non potranno essere stabili finché non sparirà la fonte di instabilità nella regione. Ovvero finché gli Stati Uniti non se ne andranno. Il sostegno alla resistenza, in particolar modo in Iraq, è la migliore via per giungere a questo risultato.