www.resistenze.org - popoli resistenti - birmania myanmar - 08-11-07 - n. 202

Da Voltairenet
http://www.voltairenet.org/article151836.html
 
Birmania: la sollecitudine interessata degli Stati Uniti
 
di Thierry Meyssan*
 

I media atlantisti manipolano la simpatia dei loro lettori per i Birmani che tentano di affrancarsi da un regime tra i più oppressivi della nostra epoca. Giocando sulle nostre emozioni, ci vendono come un’evidenza l’idea secondo la quale le sanzioni economiche sono legittime e possono determinare la fine di una dittatura. E ci preparano a sostenere il regime che seguirà, qualunque esso sia. Attenzione, questo repentino entusiasmo maschera altre forme di intervento e ambizioni inconfessabili.

 

La stampa atlantista si appassiona per la rivoluzione zafferano che agita la Birmania. Tutti sperano – e naturalmente anche noi – che la giunta militare che schiaccia la Birmania da decenni sia finalmente rovesciata per lasciare il posto ad una prospera democrazia. Tuttavia questo improvviso interesse dei nostri “confratelli” per questo paese che hanno ignorato fino ad ora, come pure le esperienze delle pseudo-“rivoluzioni colorate” e dei loro dolorosi risvegli, dalla Georgia al Libano, dovrebbero rendere più acuto il nostro senso critico. Quello che ci vogliono dar a vedere e ad intendere corrisponde fedelmente alla realtà?

 

All’evidenza, se per i Birmani in gioco è la loro libertà, per gli “Occidentali” si tratta di ben altro.

 

La stampa non cessa di ripeterci che la giunta è sostenuta economicamente e militarmente dalla Cina, e in misura minore dalla Russia, le due potenze che hanno frapposto ostacoli nel gennaio scorso ad una condanna del Myanmar da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e alla messa in atto di sanzioni economiche [1].

 

Ora. La Cina e la Russia non sono sostegni economici e politici della giunta, più del Sudafrica che ha pure votato “no” al Consiglio di Sicurezza. Si tratta semplicemente di Stati rispettosi del diritto internazionale. Esse hanno fatto rilevare che il Myanmar non rappresenta un pericolo per i propri vicini e che, quindi, questo progetto di risoluzione andrebbe oltre la Carta delle Nazioni Unite: la “comunità internazionale” non è legittimata ad usare la forza per regolare un conflitto interno, per quanto crudele possa essere. Al contrario, il pensiero rivoluzionario dei neo-conservatori, che viene oggi estesi ai media occidentali, auspica “l’ingerenza democratica”, con i risultati eloquenti che si sono osservati in Afghanistan e in Iraq.

 

Inoltre, la Cina e la Russia sono due potenze regionali che devono avere rapporti di buon vicinato con il Myanmar. La Cina vi ha propri interessi, ma su un piano completamente diverso, come vedremo. Da molto lontano, il principale sostegno economico proviene dal Giappone, paese satellite dell’impero statunitense. Ma non per questo la stampa occidentale reclama la rottura delle relazioni economiche tra Tokyo e Rangoon. Del resto, il Giappone opporrebbe un rifiuto, come la Cina e la Russia. Dal momento che è una costante delle diplomazie asiatiche considerare questo metodo controproducente: affama i popoli, invece di sanzionare i dirigenti e blocca ogni possibilità di negoziato.

 

Notiamo di sfuggita che mentre gli Stati asiatici, nel loro insieme, condannano come barbaro il principio delle sanzioni economiche, la stampa occidentale non si pone nemmeno la questione della legittimità di questa forma moderna dell’antico assedio. Eppure l’idea di affamare i propri avversari è stata criticata dai principali filosofi europei nel corso dei secoli e condannata dalla Chiesa Cattolica dopo Tommaso d’Aquino. Riprendendo l’ideologia neo-conservatrice dell’ “ingerenza democratica”, i giornalisti europei sono forse ritornati ai tempi della barbarie?

 

La “rivoluzione zafferano” non è iniziata per rovesciare la dittatura, ma come reazione al raddoppio dei prezzi dei carburanti e alle violenze messe in atto contro i monaci buddisti, che sono partigiani di una teocrazia. Il suo obiettivo non è instaurare la democrazia, nel senso ateniese del termine. Tuttavia, dalle retrovie, il movimento è stato preparato e sostenuto da Washington, che intende imporre la “democrazia del mercato”, vale a dire aprire il paese agli investimenti delle proprie multinazionali. E’ così assolutamente normale che la stampa atlantista esiga prima di tutto il ritiro degli investitori rivali, quali che siano le conseguenze per il livello di vita dei Birmani.

 

Da due anni, un’opposizione politica strutturata, a carattere realmente democratico, s’è costituita sotto il nome di “Generazione 88”, allo stesso tempo in riferimento alla “Generazione 386” della Corea del Sud ed al fatto che i suoi membri sono stati attivi ai tempi della rivolta del 1988. Le principali personalità di questo movimento suscitano ammirazione per il loro coraggio e la loro determinazione, ma come non vedere che “Generazione 88” è divenuta un paravento dell’azione clandestina di Washington? Il gruppo ha ricevuto in due anni più di 2,5 milioni di dollari dal National Endowment for Democracy (NED) [2], vale a dire dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, senza parlare delle sovvenzioni dello speculatore George Soros [3] e di quelle del governo norvegese.

 

Membri del gruppo sono implicati in diversi attentati terroristici che hanno insanguinato il paese, ma che non vengono mai contabilizzati nei rapporti internazionali dal momento che il governo birmano gode di una cattiva reputazione.

 

Al momento, si ignora se questi attentati sono stati commissionati dai dirigenti di “Generazione 88”, come pretende la giunta; o se sono stati compiuti da provocatori. E in tal caso, questi individui lavoravano per conto della giunta allo scopo di screditare il movimento o per conto degli Stati Uniti al fine di destabilizzare il regime? Un’ipotesi plausibile se ci si ricorda della campagna di attentati finanziata dalla CIA in Kosovo mirante a provocare una repressione massiccia da parte del governo Milosevic e a destabilizzare la zona fino alla guerra.

 

Comunque siano andate le cose, il movimento politico che i portavoce della Casa Bianca hanno già chiamato la “rivoluzione zafferano”, con riferimento al colore delle tuniche dei monaci buddisti, non può che far ricordare le altre “rivoluzioni colorate” organizzate dall’Albert Einstein Institution [4]. Una copertura della CIA e della NATO, il cui direttore, il colonnello Robert Helvey, è precisamente l’ex addetto militare dell’ambasciata degli Stati Uniti a Rangoon.

 

Torniamo sul al braccio di ferro che oppone la Cina agli Stati Uniti in questa regione e che costituisce la vera posta in gioco che spiega l’attuale trattamento dei media e le possibili conseguenze di questa rivoluzione.

 

In applicazione della “dottrina Wolfowitz” del 1992, Washington intende impedire l’emergere di potenze capaci di contestare la supremazia dell’ “impero americano”. Se l’Unione europea e la Russia sono i primi concorrenti eventuali a cui conviene tagliare le ali, la Cina viene al terzo posto.

 

Washington ha messo a punto una strategia di “contenimento” il cui asse centrale è il controllo degli approvvigionamenti energetici dell’economia cinese. I principali contratti petroliferi cinesi passano attraverso joint ventures nord americane e sono visionati direttamente dal segretario di Stato degli Stati Uniti. Il sistema si conserva grazie a una corruzione generalizzata dei negoziatori cinesi a cui Washington garantisce rendite in retro-commissioni e che si impegnano essi stessi a piazzare i loro averi in buoni del Tesoro USA. Nel lungo periodo, Washington è intenzionata anche a controllare le pipe-lines e le vie marittime utilizzate dai petrolieri e dai metanieri cinesi, attraverso la Proliferation Security Iniziative (PSI) [5] di John Bolton e l’allargamento delle missioni della NATO nella zona [6].

 

Ora la giunta birmana ha saputo rendersi utile alla Cina, da un lato costruendo sul suo territorio una pipe-line che unisce lo Yunnan al Golfo del Bengala, e dall’altro installando stazioni di controllo elettronico delle vie navali che passano al largo delle sue coste. E’ per questo scopo, e non per accentuare la repressione, che la Cina ha consegnato armi a Rangoon. Del resto, si tratta di materiali per la sorveglianza e l’intercettazione e non per il mantenimento dell’ordine, per un totale di 1,5 miliardi di dollari in radar e in ricognitori della classe Hainan. E’ dopo questi accordi che gli Stati Uniti si sono “preoccupati” della situazione dei Birmani.

 

Contrariamente a ciò che afferma la propaganda atlantica, la Cina non ha alcun interesse a sostenere la giunta birmana, ma vigila per preservare i suoi interessi strategici in Birmania. Pechino è molto infastidita da un conflitto che potrebbe estendersi a macchia d’olio. La sua diplomazia si sforza di sbloccare la situazione anche offrendo una via d’uscita ai generali birmani. Nel corso della seduta del Consiglio di sicurezza del gennaio scorso sul Myanmar, Pechino ha richiesto che il segretario generale dell’ONU nominasse un inviato speciale permanente su tale questione e si è proposta di agevolare il suo lavoro. Sono stati gli Stati Uniti che allora hanno fatto blocco affermando che l’inviato non sarebbe servito a nulla se non fosse stato appoggiato da sanzioni economiche.

 

In definitiva, è la crisi attuale che ha permesso di nominare a quel posto l’ambasciatore nigeriano Ibrahim Gambari, che aveva avuto in passato occasione di intervenire in Birmania in qualità di sotto-segretario generale dell’ONU per gli affari politici. Ed è l’ambasciatore della Cina a Rangoon che lo ha accolto all’aeroporto per sostenerlo nella sua missione, sebbene Gambari sia noto per il suo tropismo filo-USA.

 

Sotto i nostri occhi, un popolo lotta per la sua libertà. Ma il sostegno che gli apportano gli Stati Uniti e i media atlantisti non si pone in alcun modo lo scopo di ottenerla. Washington vuole tagliare la pipe-line cinese, smantellare le basi militari di sorveglianza elettronica per assumere il controllo delle vie marittime, e aprire il mercato alle sue multinazionali. Non basterà ai Birmani rovesciare i generali per essere liberi.

 

*Giornalista e scrittore, presidente di Reseau Voltaire

 

[1] « Le Conseil de sécurité rejette le projet de résolution sur le Myanmar à la suite d’un double vote négatif de la Chine et de la Fédération de Russie », ONU, référence CS/8939, 12 janvier 2007.

[2] « La NED, nébuleuse de l’ingérence démocratique », par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 22 janvier 2004.

[3] « George Soros, spéculateur et philanthrope », Réseau Voltaire, 15 janvier 2004.

[4] « L’Albert Einstein Institution : la non-violence version CIA », par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 4 juin 2007. Nota : on trouvera sur le site internet de cette organisation une lettre ouverte à Thierry Meyssan pour démentir en bloc le contenu de cet article.

[5] « Le gendarme du monde veut contrôler les océans » Réseau Voltaire, 4 décembre 2003.

[6] « L’OTAN et le réseau plus vaste d’alliances militaires sous l’égide des Etats-Unis », par Mahdi Darius Nazemroaya, Horizons et débats, 9 juillet 2007.

 

Traduzione dal francese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare