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L'odio per gli indios

Álvaro García Linera * | actualidad.rt.com
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

17/11/2019

Perché questa classe media tradizionale ha covato così tanto odio e risentimento nei confronti del popolo, arrivando ad abbracciare un fascismo razziale, incentrato sull'indio come nemico?


El odio al indio

Come una fitta nebbia notturna, l'odio infuria nei quartieri delle classi medie urbane tradizionali in Bolivia. I loro occhi traboccano di rabbia. Non gridano, sputano. Non pretendono, impongono. I loro canti non sono né di speranza, né di fratellanza, ma di disprezzo e discriminazione verso gli indios. Montano le loro motociclette, salgono sui loro camion, si radunano nelle loro confraternite carnevalesche e nelle università private e vanno a caccia di indios ribelli che hanno osato sottrargli il potere.

Nel caso di Santa Cruz, organizzano orde motorizzate 4x4, bastoni alla mano per spaventare gli indios, che chiamano "collas", che vivono nei quartieri emarginati e nei mercati. Cantano slogan come "devi uccidere i collas" e se lungo la strada incrociano una donna in pollera [gonna a tre strati diffusa tra le donne di discendenza Inca, ndt], la picchiano, la minacciano e le urlano di andarsene dalla loro terra. A Cochabamba, organizzano convogli per imporre la loro supremazia razziale nella zona sud, dove vivono le classi bisognose e caricano - quasi fossero un distaccamento di cavalleria - le migliaia di contadine indifese che marciano per la pace. Stringono in mano mazze da baseball, catene, granate lacrimogeni. Alcuni mostrano armi da fuoco. Le donne sono le vittime preferite: prendono la sindaca di un borgo contadino, la umiliano, la trascinano per strada, la colpiscono, le urinano addosso quando cade a terra, le tagliano i capelli, minacciano di linciarla e quando si accorgono di essere filmati decidono di dipingerla rosso simboleggiando ciò che faranno con il suo sangue.

A La Paz sospettano dei loro dipendenti e non parlano quando portano cibo in tavola. In fondo li temono, ma li disprezzano anche. Più tardi scendono in strada per gridare, insultano Evo e con lui, tutti questi indiani che hanno osato costruire una democrazia interculturale con equità. Quando sono molti, trascinano la Wiphala, la bandiera indigena, le sputano sopra, la calpestano, la tagliano, la bruciano. È una rabbia viscerale che si scarica su questo simbolo degli indios e che vorrebbero cancellare dalla terra insieme a tutti coloro che in essa si riconoscono.

L'odio razziale è il linguaggio politico di questa classe media tradizionale. A nulla servono i suoi titoli accademici, i viaggi e la fede perché, alla fine, tutto è diluito dinnanzi al lignaggio. In fondo, la stirpe immaginata è più forte e sembra aderire al linguaggio spontaneo della pelle che odia, dei gesti impulsivi e della sua morale corrotta.

Tutto è esploso domenica 20 [ottobre], quando Evo Morales ha vinto le elezioni con più di 10 punti di distacco dal secondo, ma non più con l'immenso vantaggio di prima o con il 51% dei voti. Era il segnale che le forze regressive acquattate nell'ombra stavano aspettando: dal timido candidato dell'opposizione liberale, alle forze politiche ultraconservatrici, all'OAS [Organizzazione degli Stati americani] sino all'ineffabile classe media tradizionale. Evo aveva vinto di nuovo, ma non aveva più dalla sua parte il 60% dell'elettorato. Era più debole e doveva passare oltre. Il perdente non ha riconosciuto la sconfitta. L'OAS ha parlato di "elezioni pulite" ma di vittoria risicata e ha chiesto un secondo turno, consigliando di andare contro la Costituzione, la quale afferma che se un candidato consegue più del 40% dei voti e più del 10% dei voti sul secondo, il candidato viene eletto. E la classe media si è lanciata a caccia degli indios. Nella notte di lunedì 21, 5 dei 9 organi elettorali sono stati bruciati, comprese le schede elettorali. La città di Santa Cruz ha decretato uno sciopero cittadino che ha coinvolto gli abitanti delle aree centrali della città, ramificandosi nelle zone residenziali di La Paz e Cochabamba. E poi è scoppiato il terrore.

Bande paramilitari hanno iniziato ad assediare le istituzioni, bruciare le sedi sindacali, dare fuoco alle case dei candidati e dei leader politici del partito di governo. Perfino la casa privata del presidente è stata saccheggiata. In altri luoghi, le famiglie, compresi i bambini, sono state rapite e minacciate di essere percosse e bruciate se il loro padre ministro o dirigente sindacale non si fosse dimesso dal suo incarico. Si scatenava così una notte dei lunghi coltelli e il fascismo ascoltava di nascosto.

Quando le forze popolari si sono mobilitate per resistere a questo colpo di stato civile, hanno iniziato a riguadagnare il controllo territoriale delle città con la presenza degli operai, dei minatori, dei contadini, di indigeni e coloni urbani - e l'equilibrio dei rapporti di forza si stava spostando verso il lato delle forze popolari - è arrivato l'ammutinamento della polizia.

I poliziotti hanno mostrato per settimane grande indolenza e inettitudine nel proteggere la gente umile quando veniva picchiata e perseguitata dalle bande fasciste. Ma a partire da venerdì, con il disconoscimento del comando civile, molti di loro hanno mostrato una straordinaria capacità di attaccare, fermare, torturare e uccidere i manifestanti popolari. Certo, prima dovevano contenere i figli della classe media e presumibilmente, non ne avevano capacità. Tuttavia, ora che si trattava di reprimere gli indios in rivolta, il dispiegamento, l'arroganza e l'accanimento repressivo sono stati colossali. Lo stesso è accaduto con le Forze armate. Durante tutta la nostra amministrazione, non abbiamo mai permesso che le manifestazioni civili fossero represse, nemmeno durante il primo colpo di stato civile del 2008. E ora, in piena convulsione e senza che gli chiedessimo nulla, hanno dichiarato di non avere elementi antisommossa, che avevano in dotazione a malapena 8 proiettili a testa e che affinché potessero scendere nelle strade in modo dissuasivo, era richiesto un decreto presidenziale. Tuttavia, non hanno esitato a chiedere / imporre al presidente Evo le sue dimissioni, infrangendo l'ordine costituzionale. Hanno fatto di tutto per tentare di rapirlo quando si trovava nella [provincia di] Chapare e quando si è consumato il colpo di stato, sono scesi in strada per sparare migliaia di proiettili, per militarizzare le città, per uccidere i contadini. E tutto questo senza alcun decreto presidenziale. Per proteggere gli indios, era richiesto un decreto. Per reprimere e uccidere gli indios, era sufficiente obbedire a ciò che ordinava l'odio razziale e di classe. E in soli 5 giorni ci sono già più di 18 morti e 120 feriti da arma da fuoco. Ovviamente, tutti indigeni.

La domanda a cui tutti dobbiamo rispondere è: perché questa classe media tradizionale ha covato così tanto odio e risentimento nei confronti del popolo, arrivando ad abbracciare un fascismo razziale, incentrato sull'indio come nemico? Come è riuscita a diffondere le sue frustrazioni di classe sulla polizia e la Forze armate ed essere la base sociale di questa fascistizzazione, di questa regressione statale e degenerazione morale?

È stato il rifiuto dell'uguaglianza, cioè il rifiuto delle basi stesse di una democrazia sostanziale.

Gli ultimi 14 anni di governo dei movimenti sociali hanno avuto come caratteristica principale il processo di perequazione sociale, la brusca riduzione della povertà estrema (dal 38 al 15%), l'estensione dei diritti per tutti (accesso universale a sanità, istruzione e protezione sociale), la indianizzazione dello Stato (oltre il 50% dei funzionari della pubblica amministrazione ha un'identità indigena, una nuova narrativa nazionale attorno al tronco indigeno), la riduzione delle disuguaglianze economiche (cadono da 130 a 45 differenza di reddito tra i più ricchi e i più poveri); cioè la sistematica democratizzazione della ricchezza, dell'accesso a beni pubblici, delle opportunità e del potere statale. L'economia è cresciuta da 9 a 42 miliardi di dollari, espandendo il mercato e il risparmio interni, il che ha permesso a molte persone di avere una propria casa e migliorare la loro attività lavorativa.

Ma ciò ha portato al fatto che in un decennio, la percentuale di persone nella cosiddetta "classe media", misurata in termini di reddito, aumentasse passando dal 35% al 60%, la maggior parte proveniente da settori popolari, indigeni. È un processo di democratizzazione dei beni sociali attraverso la costruzione dell'uguaglianza materiale ma che, inevitabilmente, ha portato a una rapida svalutazione dei capitali economici, educativi e politici di proprietà delle classi medie tradizionali. Se prima un cognome importante o il monopolio del sapere legittimo o l'insieme dei legami parentali tipici delle classi medie tradizionali permettevano loro di accedere a posizioni nella pubblica amministrazione, ottenere crediti, offerte per lavori o borse di studio, oggi il numero di persone che combattono per la stessa posizione o opportunità, non solo è raddoppiata - riducendo della metà le possibilità di accesso a tali beni - ma, inoltre, gli "arrampicatori", la nuova classe media di origine popolare indigena, hanno una serie di nuovi capitali (lingua indigena, legami sindacali) di maggior valore e riconoscimento statale da utilizzare nella lotta per i beni pubblici disponibili.

Si tratta, pertanto, del crollo di quella che era una caratteristica della società coloniale: l'etnicità come capitale, cioè il fondamento immaginato della superiorità storica della classe media rispetto alle classi subalterne, perché qui, in Bolivia, la classe sociale è comprensibile ed è visibile sotto forma di gerarchie razziali. Il fatto che i figli di questa classe media siano stati la forza d'urto dell'insurrezione reazionaria è il grido violento di una nuova generazione che vede come l'eredità del cognome e della pelle svaniscano di fronte alla forza della democratizzazione dei beni. Pertanto, sebbene alzino le bandiere della democrazia intesa come voto, in realtà si sono ribellati alla democrazia intesa come perequazione e distribuzione della ricchezza. Ecco il perché del traboccare d'odio, dell'eccedere nella violenza. Poiché la supremazia razziale non è qualcosa di razionalizzato, ma è vissuta come impulso primario del corpo, come un tatuaggio della storia coloniale sulla pelle. Quindi, il fascismo non è solo l'espressione di una rivoluzione fallita ma, paradossalmente anche nelle società post-coloniali, l'esito di una democratizzazione materiale raggiunta.

Non sorprende quindi che, mentre gli indios raccolgono i corpi di una ventina di morti assassinati a fucilate, gli autori materiali e morali raccontino di averlo fatto per salvaguardare la democrazia. Ma in realtà sanno di aver agito per proteggere il privilegio di casta e di cognome.

L'odio razziale può solo distruggere. Non è un orizzonte, ma nient'altro che una vendetta primitiva di una classe storicamente e moralmente decadente, che dimostra come dietro ogni mediocre liberale, si celi un consumato golpista.

*) Álvaro García Linera, vicepresidente dimissionario della Bolivia


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