www.resistenze.org - popoli resistenti - bolivia - 25-11-19 - n. 730

Bolivia al bivio

Julio Cota * | elmachete.mx
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

18/11/2019

La classe operaia boliviana e i popoli indigeni vivono una delle più cruente battaglie per mantenere i loro diritti e libertà conquistate in decenni di lotta. Il colpo di stato messo in atto dai settori oligarchici, militari e religiosi più reazionari della Bolivia - con l'aiuto dell'imperialismo statunitense - è un ulteriore esempio di come in America Latina il progressismo sia giunto al suo limite e la reazione abbia gettato la maschera della "democrazia" per avanzare con sfrontatezza e imporre il proprio potere politico ed economico con il sangue e il fuoco. Al momento, i grandi mezzi di comunicazione e opinione si limitano a demonizzare o appoggiare l'immagine di Evo Morales, tuttavia quello che è veramente importante è ciò che la classe operaia boliviana e i popoli indigeni imprimono nello scenario politico di fronte alla reazione dell'oligarchia. Di fronte a questo contesto, alcune delle domande che dobbiamo porci e a cui rispondere sono: che lezioni lascia la Bolivia alla classe operaia latinoamericana? Perché tornano nuovamente i tentativi di colpo di stato? Qual è la rotta da seguire per gli operai e gli indigeni boliviani?

Prima di tutto bisogna condannare il colpo di stato perpetrato in Bolivia. Quando le forze armate di un paese "chiedono le dimissioni di un presidente", si rompe ogni contratto sociale e ordine costituzionale dei quadri delle democrazie liberali borghesi. Nessun governo che si dica "democratico" deve tacere o far finta di nulla di fronte un atto di barbarie, quando l'unica legge è quella dei fucili militari. Per questo è necessario salutare e appoggiare la degna resistenza della classe operaia boliviana e i popoli indigeni, i minatori, i cocaleros, il Partito Comunista di Bolivia e la sua gioventù comunista, così come le diverse organizzazioni che integrano le Juntas Vecinales (organizzazioni comunitarie di carattere territoriale rappresentative degli abitanti di uno stesso quartiere, ndt). I numeri e l'informazione sono imprecisi a causa del blocco mediatico dei grandi monopoli della comunicazione al servizio dell'imperialismo, ma fino ad ora una decina di morti per armi da fuoco militare e centinaia di feriti sono alcuni dati iniziali di una lotta che lontana dal pacificarsi si intensifica.

Da un'analisi marxista-leninista con un criterio di classe, i recenti fatti politici in Bolivia dimostrano la correttezza delle tesi del Partito Comunista del Messico (PCM) espresse con preoccupazione qualche anno fa: il ciclo progressista è giunto ai suoi limiti in quanto gestore del capitalismo; l'antineoliberismo della cosiddetta socialdemocrazia ha favorito temporaneamente le masse operaie e popolari, ma le riforme non hanno propiziato un'accumulazione di forze nella direzione di distruggere il capitalismo ma di gestirlo, ciò in un determinato tempo ha generato un'offensiva delle forze più reazionarie, religiose e militari della borghesia per mantenere la sua dittatura di classe. Ossia, i governi chiamati progressisti e di taglio socialdemocratico lungi dall'approfondire le riforme a favore della classe operaia, dei settori indigeni e popolari, hanno invece attuato misure politiche che sembrano "radicali" come le nazionalizzazioni e la rottura con l'imperialismo statunitense, ma anche alleanze con il polo imperialista Europeo, russo e cinese. Tutto ciò senza toccare la base economica su cui poggia il potere della borghesia: la proprietà dei mezzi di produzione e scambio, il carattere dello Stato e la composizione delle forze armate.

È certo che lo sfruttamento del litio ha un ruolo strategico nel conflitto boliviano, ma il problema va al di là. Al momento la vera disputa in Bolivia è per come si sviluppa il capitalismo. Da un lato, i settori borghesi più reazionari, organizzati nei Comitati Civici Pro Santa Cruz, vogliono tornare al governo per imporre metodi arcaici di sfruttamento delle miniere, la privatizzazione dell'acqua, il gas e le altre fonti di risorse non rinnovabili a costo del disastro ecologico, della svalorizzazione della forza lavoro e della cancellazione di qualsiasi diritto lavorativo e politico per la classe operaia e i settori popolari. Tuttavia, Evo Morales e la socialdemocrazia, il polo progressista liberale della borghesia e l'aristocrazia operaia, hanno perso il governo perché i loro interessi sono entrati in contraddizione con la base operaia, indigena e popolare che li ha mantenuti per quasi 14 anni al potere. Esempio di questo è stato il tentativo di sopprimere i sussidi per il carburante e gli idrocarburi, così come l'applicazione di misure di austerità, tagli ai diritti lavorativi, che hanno scatenato proteste contro lo stesso Evo Morales, che qualificò a suo tempo queste proteste come "difensori del neoliberismo".

La classe operaia latinoamericana e i popoli indigeni devono imparare che non si può stare contro solo l'imperialismo statunitense e a favore di un altro polo imperialista, sia con capitali europei, cinesi, giapponesi o russi, così come con la stessa borghesia nazionale boliviana; ognuna di queste opzioni è a scapito degli interessi dei lavoratori e del territorio dei popoli indigeni boliviani. La lotta di classe richiede chiarezza per evitare che la nostra classe sfruttata sia carne da cannone per portare un nuovo presidente al governo, in continuità con lo stesso sistema capitalista di sfruttamento. È un falso dilemma decidere tra governo di destra "neoliberale" o di sinistra "progressista", ognuna di queste gestioni del capitalismo portano inevitabilmente a rafforzare i settori più reazionari imprenditoriali, militari e religiosi perché non li si combatte all'origine: dal potere economico e i suoi vincoli imperialisti.

Viene dimostrato ancora una volta che lo Stato mai è neutrale e che invece, come affermò Lenin: "lo Stato è una macchina per mantenere il dominio di una classe sull'altra". Per quanti benefici economici per mantenere una presunta lealtà o dottrina, si cerchino di inculcare alle forze armate con tinte nazionaliste, bolivariane, indigene o populiste, il carattere dell'esercito è quello di uno strumento di repressione e dominazione. Il gioco della "democrazia" liberale e tutti i suoi organismi internazionali come l'Organizzazione degli Stati Americani (OSA) è di imporre, sanzionare e promuovere sempre: colpi di stato, interventi militari e violazione di ogni sovranità. Non comprendere queste esperienze condanna la nostra classe a rivivere gli oscuri anni delle dittature militari. Da qui che la classe operaia, i popoli indigeni e settori popolari hanno il legittimo diritto di difendersi con gli stessi strumenti che utilizza lo Stato per reprimerli.

La classe operaia boliviana e i popoli indigeni sono gli unici che possono trasformare un colpo di Stato in una insurrezione popolare. E la rotta da seguire non può esser quella di scegliere una o l'altra forma di amministrazione del capitalismo. La democrazia liberale borghese si esaurisce e ogni giorno rivela il suo vero volto: la dittatura del capitale sui lavoratori. I minatori, gli operai dell'industria del gas, i cocaleros, i contadini poveri e le comunità indigene sono coloro che creano la ricchezza e per questo sono coloro che devono contendere il potere. Noi comunisti lo diciamo ancora una volta: ciò che è fallito in Bolivia e in America Latina è il capitalismo; sono le sue gestioni sia neoliberali che progressiste socialdemocratiche. È compito delle organizzazioni sindacali, operaie, indigene e popolari rafforzare i loro organi di potere, come assemblee, consigli, centrali e altri strumenti decisionali. È necessaria che l'analisi e la discussione di nuove leggi a favore delle maggioranze lavoratrici siano esercitate dagli organi del Potere Operaio e non dalla lettera morta di una costituzione ammanettata. È necessario passare dalla mobilitazione e dalle barricate difensive a elevare le forme di lotta politica, allo sciopero generale offensivo per eliminare il vertice militare golpista. Lo diciamo chiaro: la lotta rivoluzionaria è più attuale che mai; il socialismo non è un discorso, è una necessità improcrastinabile davanti alla barbarie capitalista.

*) Julio Cota, direttore di El Machete


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