L’ABM E LA CINA

 

Intervista a OLEG RACHMANIN

A cura di Aleksandr Drabkin, osservatore della “Pravda”

 

“Pravda” del 28 dicembre 2001

 

Lo storico Oleg Rachmanin è tra i decani dell’ “Istituto per l’Estremo Oriente” dell’Accademia delle scienze di Russia.

Militante comunista (è entrato nel PCUS nel 1943, in prima fila nella resistenza contro l’aggressione nazista), ha dedicato gran parte della sua vita allo studio delle questioni cinesi.

 

 

D. Oleg Borisovich, qual è il suo giudizio sulla reazione della Cina all’intenzione USA di uscire dal Trattato ABM del 1972?

 

R. La reazione ufficiale della Repubblica Popolare Cinese è nota: le trattative furono bilaterali, sovietico-americane, e, di conseguenza, la Cina non ha mai avuto una relazione diretta con l’ABM.

Ma sono pienamente d’accordo con un commento, pubblicato recentemente sulla “Pravda”: posti sotto la protezione dell “ombrello americano”, Taiwan e il Giappone (che, probabilmente, presto diventerà una potenza nucleare) potrebbero rappresentare un pericolo mortale per la RPC. Di conseguenza, a Pechino, cercheranno di sviluppare i propri programmi missilistico-nucleari, per avere un adeguato potenziale di risposta ad eventuali aggressioni.

 

D. Lo sviluppo di tali programmi potrebbe avvenire con l’aiuto della Russia?

 

R. Non necessariamente, sebbene non sia da escludere. Negli anni cinquanta esisteva un accordo speciale tra l’URSS e la RPC, messo in pratica nell’ottobre del 1964, secondo cui il nostro paese avrebbe dato un grande contributo alla costruzione di armamenti atomici cinesi. Nel giugno del 1967 la Cina sperimentò la bomba all’idrogeno. Noi cedemmo ai cinesi alcune specifiche tecnologie e li aiutammo a preparare i quadri necessari. Nel periodo in cui si registrò un peggioramento delle nostre relazioni reciproche, l’accordo non venne più rispettato, e la Cina se ne andò per la propria strada. E fu premiata dal successo. Nel 1999, alla vigilia del cinquantesimo anniversario della RPC, a Pechino risuonarono molte significative dichiarazioni, che misero in imbarazzo coloro che consideravano la Cina “una tigre di carta”. Il 15 luglio 1999 fu reso noto che la Cina aveva già a disposizione le tecnologie necessarie alla costruzione della bomba al neutrone e di ordigni nucleari miniaturizzati. Si sottolineò che i successi erano stati ottenuti negli anni ’70 e ’80. Vennero pubblicati i nomi degli scienziati nucleari cinesi che avevano permesso al paese di dotarsi di uno “scudo nucleare”. Il 2 agosto 1999 Pechino comunicò che in Cina era stato sperimentato un razzo piazzato su piattaforma mobile, con una gittata di 8.000 chilometri, che poteva contenere 700-800 chilogrammi di ordigni nucleari. E subito dopo avvenne la sperimentazione di altri tre nuovi tipi di missili. Nel novembre del 1999, per la prima volta fu lanciato nel cosmo e ritornò sulla terra una navicella spaziale senza pilota a bordo. Seguì un altro lancio simile. Oggi i cosmonauti cinesi si preparano a partire a bordo di una nave spaziale.

Queste comunicazioni hanno provocato molto rumore nel mondo. In particolare, hanno provocato il turbamento di Taiwan, Giappone e USA. Ed è pienamente comprensibile. Il potenziale missilistico nucleare cinese, sebbene non pienamente adeguato (per ora!), rispetto a quello americano o russo, già adesso riesce comunque a influenzare seriamente la situazione nel mondo. E tale influenza è in continua crescita.

 

D. Gli americani hanno veramente ragione di preoccuparsi? E i loro rapporti con la Cina si stanno sviluppando su basi di correttezza?

 

R. E’ una storia complicata. Ormai da decenni, Pechino provoca grattacapi alla politica di Washington. Già all’inizio del XX secolo gli americani avevano cercato di “aprire le porte della Cina” con la forza. Nel 1949, fecero sbarcare truppe in Cina, per aiutare i seguaci di Chiang Kai-shek. In seguito gli USA appoggiarono e rafforzarono Taiwan, trasformandola in una sorta di “portaerei”. Per lunghi anni gli aerei americani hanno sorvolato provocatoriamente lo spazio aereo della RPC. L’ultima violazione di questo tipo risale a non molto tempo fa, al luglio del 2001: un aereo spia americano venne costretto all’atterraggio da “caccia” cinesi. Ne seguì un serio incidente internazionale, che fu composto solo con l’accoglimento delle condizioni cinesi.

Qualche tempo prima, l’8 maggio 1999, l’ambasciata della RPC a Belgrado venne praticamente distrutta da un missile americano. Ciò provocò una reazione massiccia da parte del popolo cinese, che si manifestò in dimostrazioni antiamericane, a cui parteciparono milioni di persone. Gli USA presentarono le proprie scuse, a livello presidenziale, indennizzando il danno materiale.

Occorre anche tenere conto della preoccupazione della Cina per l’avanzata ad Est della NATO (dove dominano gli americani). Per di più, attualmente, militari dei paesi membri di questa alleanza stazionano alle frontiere della Cina, negli stati dell’Asia Centrale. Alle porte di una regione sensibile della RPC: il Xinjiang.

Dico tutto questo, per dimostrare che la reazione della RPC alle affermazioni del presidente USA, circa l’intenzione di uscire dal Trattato ABM del 1972, è solo la punta dell’iceberg. Finora la disputa rimane al livello delle dichiarazioni. Ma potrebbero seguire atti concreti.

 

D. Pensa che gli USA intendano esercitare una pressione sulla Cina?

 

R. Già lo fanno. Il Dipartimento di Stato ha inviato a Pechino una delegazione che doveva esaminare le questioni relative all’ABM, mentre il leader pakistano, generale Musharraf, che mantiene buone relazioni sia con la RPC che con gli USA, ha cercato di smussare le contraddizioni cino-americane. La stampa russa ha, per parte sua, cominciato a suggerire che Mosca farebbe bene a esercitare la sua influenza su Pechino, per renderla più arrendevole al dialogo con Washington. Allo stesso tempo, alcuni “media” enfatizzano le voci di presunte forniture di armi cinesi ai “talebani” (vale la pena notare che armi cinesi sono reperibili in diversi paesi, da cui possono tranquillamente essere trasportate in Afghanistan. E cercare di assimilare la RPC al terrorismo internazionale è semplicemente una provocazione).

 

D. E’ quasi un ricatto: o accogliete le condizioni americane, oppure sarete inseriti nella lista dei terroristi, con tutte le conseguenze che ne potrebbero derivare. Vogliono forse logorare Pechino?

 

R. Probabilmente.

 

D. Sullo sfondo dell’attivismo USA, la reazione della Mosca ufficiale appare alquanto fiacca. Quando recentemente il nostro presidente si è recato negli USA, uno dei politici russi di destra ha affermato che Putin stava operando una scelta definitiva in direzione dell’America. Potrebbe avere ragione?

 

R. Non me la sento di commentare queste affermazioni. E’ comunque certo che la situazione sulla linea Mosca- Pechino è cambiata nel corso di un anno. Il 15 luglio è stata creata l’ “Organizzazione per la cooperazione di Shanghai”, a cui hanno aderito sei paesi. Si è affermato che avrebbe dovuto rappresentare un contrappeso alla NATO. Il 16 luglio, a Mosca, è stato siglato lo storico trattato russo-cinese. In entrambi i vertici si è dichiarato che il Trattato ABM è una pietra miliare della sicurezza strategica. Ma in questo momento non esiste ancora un parere comune ai paesi che fanno parte della “Organizzazione per la cooperazione di Shanghai” in merito alla posizione assunta dagli USA sul Trattato ABM. Nella prima metà del 2002 è in programma, a San Pietroburgo, un “summit”, in cui dovrebbe venire stilata una carta dell’organizzazione. Penso che gli specialisti incaricati di preparare i documenti per l’incontro dei leaders, si troveranno in una posizione scomoda: come concordare una carta, in presenza della concreta infiltrazione di truppe di paesi membri della NATO in Asia Centrale?

 

D. Il 18 settembre si è svolta una conversazione telefonica tra Jiang Zemin e Putin. Il dirigente cinese si è espresso, in particolare, sul fatto che, per risolvere i problemi legati agli avvenimenti dell’11 settembre, è fondamentale prendere in considerazione gli interessi di lunga prospettiva del mondo e le questioni dello sviluppo del pianeta. Tradotto in linguaggio diplomatico, significa che, certamente, occorre estirpare la piaga del terrorismo, ma non senza avere prima fatto pulizia in tutta la casa. Tale richiamo era forse un appello a muoversi con prudenza nelle azioni comuni?

 

R. Penso che Lei abbia ragione. Ci si aspettava molto dai contatti russo-cinesi e dall’attività del “gruppo di Shanghai”. Per ora l’attività dell’ “Organizzazione per la cooperazione di Shanghai” parrebbe sospesa per aria, non essendosi ancora manifestata chiaramente in azioni concrete di particolare rilievo.

Ma nonostante tutto, i contatti russo-cinesi proseguono, seppure non con l’attivismo manifestato durante l’estate. In settembre c’è stata la visita in Russia del responsabile del Consiglio di Stato cinese. Il 27 ottobre si è svolta a Mosca la visita del membro del Politburo del CC del PCC, Hu Jintao, che viene indicato quale erede di Jiang Zemin (dopo il XVI congresso del Partito Comunista Cinese, nell’autunno del 2002). Recentemente si è recato a Pechino lo speaker della Duma di Stato Ghennadij Selezniov. E’ evidente che il dialogo tra i nostri paesi prosegue.

 

D. Quali sono, in questo contesto, le prospettive del “triangolo Mosca-Pechino-Delhi”?

 

R. Il nostro paese ha sempre sostenuto la collaborazione trilaterale. In questo momento ci sono segnali di interessamento da parte sia di Pechino che di Delhi.

A livello scientifico, nell’ambito dell’ “Istituto per l’Estremo Oriente” dell’Accademia delle scienze di Russia, questi problemi sono stati affrontati con un lavoro comune delle tre parti. Il prossimo appuntamento degli studiosi coinvolti è previsto a Pechino.

 

Traduzione dal russo

di Mauro Gemma