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Il conflitto colombiano: La responsabilità dell'insorgenza, la causalità sistemica e le ciance dei rinnegati.

FARC-EP Segunda Marquetalia | farc-ep.net
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

15/10/2020

La natura e il contesto nei quali si svilupparono i fatti dello scontro politico, sociale e armato in Colombia, pongono come attori del conflitto, in primo luogo lo Stato (suoi agenti armati e non), generatori della guerra in quanto origine delle cause economiche, sociali e politiche che ne sono alla base; le insurgenze che sono apparse come espressione legittima della resistenza, tra le quali le FARC-EP, e molti altri attori tra i quali si evidenziano, in un ruolo da protagonista, gli Stati Uniti d'America come potenza imperialista interventista, che ha agito dagli albori della Repubblica e, senza dubbio, la grande stampa sostenitrice degli interessi del Blocco di Potere Permanente.

Ma, così come assunsero le Delegazioni di Pace dello Stato colombiano e dell'insorgenza delle FARC-EP, nel quadro del processo sviluppato a L'Avana a partire dal 2012, e ratificato dalla Commissione Storica del Conflitto e le sue Vittime (CHCV), durante le negoziazioni di pace, le parti che si sono sedute a dialogare erano attori politici che stavano cercando una soluzione ai problemi di miseria, diseguaglianza, esclusione, ecc.; tutti di ordine sociale, che sono le cause fondamentali del conflitto. In tal modo che i punti del dibattito, come quello del conflitto, si riferiscono alla definizione del Sistema di organizzazione sociale che uno o l'altro difendono o combattono.

Non si può, quindi, andare oltre per la ricostruzione della verità o per la definizione di qualsiasi scenario di giustizia che abbia a che vedere con i fatti del conflitto, che il sollevamento armato delle FARC fu sviluppato come legittima difesa sociale, collettiva, rispetto ad un sistema che impone l'ingiustizia, la diseguaglianza, la miseria, la dominazione, l'esclusione e la repressione.

In sintesi, è all'interno dell'insieme del conflitto che queste patologie sociali si alimentano, che il sollevamento armato delle FARC-EP ha il suo inizio e sviluppo. Qui sta l'origine della resistenza dei contadini degli anni '40 e '50, perseguitati dal regime, la quale ha portato ad un esteso e costante scontro con l'ordine sociale vigente, a partire dall'esercizio del diritto universale dei popoli alla ribellione armata.

Pertanto, la ribellione armata delle FARC-EP è conseguenza della natura violenta dell'ordine sociale vigente e quindi il carattere - nella misura in cui si disputa il monopolio delle armi e del potere statale - è essenzialmente politico, indipendentemente dal fatto che proceda, come in effetti avviene, contro la legalità dell'istituzione alla quale resiste e contro cui combatte. E la sua legittimità non dipende dalle qualificazioni o squalificazioni che gli attribuiscono la macchina mediatica del Blocco di Potere Dominante e i suoi apparati ideologici, punitivi e repressivi, tanto meno quando è lo Stato l'artefice della violenza che ha obbligato a rispondere con violenza, creando una situazione in cui la causalità e le responsabilità sono sistemiche, a punto tale che i comportamenti individuali di uno o l'altro lato del conflitto, non devono esser osservati indipendentemente o separandoli da questa causalità sociale conflittuale e sistemica, attraversata dalla violenza politica.

Non è sensato, pertanto, che dopo un Accordo di Pace, lo Stato in difesa di un ordine sociale che non ha cambiato il suo carattere ingiusto, di diseguaglianze e esclusione - e inoltre con una situazione di attuazione in crisi in cui ha distorto i parametri concordati dalla Giurisdizione Speciale per la Pace (JEP) - persista nel mettere in campo tutte le sue potenzialità per trasformare in caso criminale l'oggetto del trattamento della Commissione della Verità e di questa stessa giustizia di transizione offuscata, cercando di applicare a ogni costo parametri ordinari di giudizio, convertendo anche la menzionata JEP in un altro dei suoi strumenti punitivi.

Non si dà alcun beneficio alla ricerca di una pace vera, che non può esser altra che quella della giustizia sociale che risulti dai cambiamenti profondi dell'ordine sociale vigente, che persiste nel seguire il cammino oscuro del diritto penale contro il nemico e la dissolvenza della responsabilità collettiva, come nessun beneficio viene dal continuare nel percorso delle narrazioni sorprendentemente assurde e vigliacche di coloro che rinnegano ciò che furono come ribelli dicendo ora, come ha fatto Timoleón Jiménez, che arrivano a «odiare» la loro organizzazione «per le atrocità commesse nei cinque decenni del conflitto». In che mondo viveva colui che la pensa così? In che paese viveva e per chi lottava chi non sapeva il motivo per cui molti minori si unirono ai ribelli? O del perché si facevano dei sequestri in momenti in cui si affrontava il più terribile regime di terrore del continente? O del perché era obbligatoria la pianificazione per chi entrava nei ranghi?

In che modo, agli occhi di qualche dirigente rinnegato, e più che vergognoso, spudorato, «si stanno configurando delle FARC che arrivo ad odiare perché non hanno nulla a che vedere con le FARC nelle quali sono entrato?»

Tutte le nostre ragioni per dolorose che furono ebbero e hanno propositi altruisti e qualsiasi siano state le loro conseguenze, un vero rivoluzionario deve assumerle a testa alta, con dignità, rettificando dove c'è da rettificare per andare avanti, ma senza scaricare la responsabilità sugli altri o su chi non c'è più. È ciò che corrisponde a una Direzione insurgente o rivoluzionaria che non ha la determinazione di abdicare dai suoi propositi e sogni, sia per continuare nella lotta legale o per proseguire nella clandestinità. Così era stato definito dopo la firma dell'accordo finale, senza che questo implicasse trasformarci in delatori, in rospi, o che portassimo sul patibolo ogni combattente e comando intermedio che eseguisse gli ordini dati da una Direzione che si supponeva seria, coerente ed era quella che doveva rispondere collettivamente sotto il parametro della causalità sistemica e non sotto i parametri dei capricci e dei canoni morali, falsi o no, del regime che abbiamo affrontato per più di mezzo secolo.

Dalle FARC-EP, Segunda Marquetalia, questo è il modo in cui pensiamo alle circostanze, positive o avverse, della lotta, nobilitandola e mai infangandola con un atto di falsa contrizione opportunista in cui sembra che dopo esser stati al centro del conflitto, tutto sia avvenuto alle nostre spalle. Ebbene, se agiamo, come fa l'establishment, con il negazionismo profondo che lo caratterizza, non possiamo pretendere di continuare a sostenere il progetto di un nuovo ordine sociale in libertà e decoro che vogliamo conquistare per la maggioranza oggi sottomessa.

Bisogna ricordare, che c'è stato da parte dello Stato verso coloro che si sollevarono in armi, le FARC-EP, il riconoscimento dell'esistenza del conflitto armato e quindi del carattere politico di questa organizzazione con la quale ha sottoscritto un Accordo di Pace in cui ha assunto l'impegno - a nome di tutta la società - di avanzare le riforme che permettessero di superare le cause del conflitto, riconoscendo le ragioni politiche delle condotte dei ribelli; e in tal senso, come depositario del riconoscimento istituzionale che la controparte concede come prodotto dell'Accordo Finale (cioè come prodotto della negoziazione), l'impegno di questo Stato era quello di implementare pienamente la giustizia speciale; quindi, la Giurisdizione Speciale per la Pace secondo il Pacta Sunt Servanda, osservando che i fatti e attori che si sono avvalsi di essa dovrebbero essere trattati sotto il parametro della causalità sistemica; con la consapevolezza che la partecipazione di tali attori ai fatti del conflitto è inseparabile dall'assioma che il conflitto è stato generato dal sistema sociale e politico vigente, e di conseguenza, ribadiamo, le condotte non devono esser giudicate come il risultato di motivazioni personali, che si deve applicare all'insieme del Sistema Integrale di Verità Giustizia Riparazione e non Ripetizione.

Ma avviene che poco a poco, plasmando un altro enorme inadempimento e distorsione di quanto concordato tra l'insorgenza e il regime, lo Stato è passato a esser giudice e parte in causa nella valutazione dei fatti del conflitto. E la matrice mediatica disegnata e posta in opera è quella di trasformarci da rivoluzionari in carnefici per concederci l'interlocuzione solo su questo piano, al fine di mantenerci in un eterno stato di rimorso e penitenza, come peccatori che hanno offeso l'intera società e persino lo Stato stesso, senza lasciarci altra strada da quella del pentimento per una colpa commessa, che in realtà non ha nulla a che fare con quanto concordato per raggiungere la pace, perché mai si è pensato, da parte dei ribelli, che l'insorgenza dovesse abiurare le sue idee e rinnegare il legittimo sollevamento realizzato, soprattutto di fronte al regime che ha causato le calamità che alimentano il conflitto.

La decisione politica di abbandonare la guerra per avanzare delle trasformazioni sociali che aiutassero a gettare le basi affinché si eliminassero le cause dell'ingiustizia sociale che la sostenevano, era il mutuo impegno che doveva soddisfare entrambi. E su questo, l'alta Direzione statale, includendo il suo esecutivo, le forze armate e di polizia e gli altri rami del potere pubblico, doveva assumere la responsabilità di ciò che era avvenuto. E lo Stato in rappresentazione della società doveva assumere le riparazioni materiali. Da parte sua l'essenziale era che l'insorgenza si assumesse la responsabilità politica e morale di quanto successo nel conflitto, ma senza che questo implicasse perdere la sua natura rivoluzionaria e la sua identità o la possibilità di persistere nella conquista dei suoi obiettivi, o di riferirsi liberamente alle ragioni della sua lotta e alle interrogazioni contro l'istituzione nemica. Ma assumere la responsabilità morale e politica come rivoluzionari, non include l'esibizione della verbosità della delazione e il disimpegno disinteressandosi delle conseguenze che si possono scatenare contro un'intera popolazione umile che ha appoggiato la nostra causa.

Contrariamente a quanto concordato, Santos ha fatto ciò che voleva e in convenienza personale e il suo successore, il presidente della Ñeñepolítica (Duque Márquez), ha continuato superandolo di gran lunga, chiedendo giustizia ordinaria, e più concretamente l'applicazione del diritto penale del nemico per l'insorgenza, quando in tale giustizia mai è esistita la possibilità di superare minimamente l'impunità per la criminalità statale che ha dato origine all'insorgenza armata. Tale criminalità che da molto tempo ha attentato contro l'insieme dei diritti economici, politici, sociali e culturali, configurando nei decenni la specifica tipologia della criminalità dello Stato, si manifesta in fatti come la scomparsa forzata con metodi di terrore e di eliminazione; il genocidio politico e sociale; l'assassinio di leader sociali; la tortura sistematica; l'impiego del paramilitarismo da parte dello Stato e l'utilizzo degli apparati di intelligence militare e di agenzie statali per svolgere attività di spionaggio con il fine di reprimere e distruggere gli oppositori.

Di questi aberranti comportamenti che squalificano lo Stato colombiano come Stato democratico, parlando apertamente, poco se ne occupa la CEV [Commissione della Verità, ndt] e ancor meno lo ha fatto la JEP, in quanto già parte del regime istituzionale ufficiale, ha perso l'impulso di superare la negazione istituzionale, come avvenuto nel caso paradigmatico del genocidio dell'Unione Patriottica, ad esempio, che fu quasi distrutta attraverso lo sterminio a cui fu sottoposta da uno Stato che sequestrò, fece scomparire, assassinò e perseguitò migliaia e migliaia di suoi militanti e simpatizzanti.

Queste come molte altre carneficine continuano nell'impunità, così come avviene con la sparizione forzata con fini di omicidio, che eufemisticamente sono denominati falsi positivi. Questa realtà, in cui il carnefice noto è la Forza Pubblica, permane, essenzialmente, in uno stato d'impunità, essendo fatti avvenuti in maniera sistematica da vari anni e si conosce bene che nascono da una Direttiva Ministeriale che coinvolge un insieme ampio di Generali della Repubblica e l'istanza completa del comando militare, al cui comando supremo fa capo al Presidente della Repubblica.

Senza parlare del fenomeno spaventosamente complesso dei massacri e sfollamenti forzati di milioni di abitanti delle campagne, membri di comunità contadine, etnie e comunità afro-discendenti, che hanno avuto l'approvazione di assassini di alto rango situati nella sede presidenziale, come è successo con Álvaro Uribe Vélez, e altri che hanno permesso l'intervento violento delle grandi imprese multinazionali e del Governo degli USA. Chi è responsabile di questi criminali che, per mano dello Stato e coperti dalla grande stampa, sono attori principali anche della guerra imposta ai sottomessi?

La vera pace non si conquista con inganni, menzogne, tradimenti né con le canzoni stonate dei rinnegati. Ci chiediamo se la Commissione della Verità chiarirà queste questioni; ci domandiamo se l'imperialismo, la classe imprenditoriale e la Grande Stampa complice di tanta criminalità risponderanno per alcune delle loro atrocità.

FARC-EP
Segunda Marquetalia


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