www.resistenze.org - popoli resistenti - congo - 06-07-10 - n. 326

da rebelion.org - www.rebelion.org/noticia.php?id=109066&titular=50-aniversario-de-la-independencia-de-la-rdc-
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Il 50° anniversario dell’indipendenza della RDC - Repubblica Democratica del Congo
 
di Jesús García Pedrajas
 
04/07/10
 
Ricorrono i 50 anni dalla formazione del primo governo democratico e autoctono della Repubblica Democratica Congolese (RDC) e pure i 50 anni da uno dei discorsi più coraggiosi mai pronunciati in un parlamento: il discorso di Patrice Lumumba di fronte al parlamento appena costituito della RDC.
 
Durante i discorsi che in quel giorno lo hanno preceduto, il giovane primo ministro deve aver sentito crescere in lui la rabbia; non poteva permettere che un giorno così importante, di felicità e successi si trasformasse in un perverso omaggio al passato da parte di re Baldovino condito con l’umiliante riconoscimento da parte del presidente Kasavubu della superiorità morale e intellettuale dei suoi amici bianchi.
 
Il re aveva sorvolato sul suo criminale predecessore, Leopoldo II, per cancellare la vittoria del popolo congolese contro uno stato coloniale che al colmo del cinismo era stato chiamato “Stato libero del Congo”. Aveva perfino parlato dei benefici dello stato coloniale, della civilizzazione e della modernità portati in quell’angolo del continente nero. Non aveva detto una parola sul numero (incerto) dei milioni di vittime provocate dalla schiavitù per ottenere il massimo profitto nel saccheggio di caucciù, avorio e minerali. Non aveva neppure parlato delle “legioni di monchi del re Leopoldo”, i mutilati che erano stati così puniti per non aver raccolto la loro quota di caucciù, né aveva ricordato gli stupri e i maltrattamenti.
 
Il discorso del presidente Kasavubu non fu meglio; parlò molto di Dio e pochissimo degli uomini e dei loro peccati, lasciò intendere che lui era un negro obbediente, non come quell’altro con cui condivideva il governo, più carismatico ma meno affidabile per le multinazionali, meno docile per Belgio e Stati Uniti.
 
Pare che non fosse stato previsto un intervento di Lumumba, ma i presenti poterono notare che mentre il re Baldovino e Kasavubu parlavano prendeva freneticamente nota, quindi si alzò si avvicinò alla tribuna e prese a parlare, lasciando uscire non solo la sua l’ira, quella personale, ma attraverso le sue parole quella di tutto il popolo congolese, troppo abituato soffrire e a morire in silenzio. Parlò freddamente di tutte le crudeltà inflitte al suo popolo, di tutte le umiliazioni patite, parlò della vera storia del Congo.
 
Un effetto delle sue parole fu immediato: gli assistenti bianchi della vecchia metropoli coloniale e i suoi futuri collaboratori in Congo si giravano irrequieti sulle loro sedie, parlavano fra loro, si agitavano per le parole di quel negro che osava uscire dal suo ruolo, dal ruolo che gli avevano dato nella piantagione. La voce di Lumumba si mescolò con gli applausi del pubblico, almeno di quelli che amavano il loro paese.
 
L’altro effetto del discorso di P. Lumumba fu ugualmente rapido ma non si notò al momento; si poté vedere l’espressione del viso del re, del presidente, degli inviati di governi e aziende, che esprimevano odio e sorpresa insieme per quella dichiarazione di intenti del primo ministro ma che suonava pure come la sua sentenza di morte. Non potevano lasciare vivere un simile cattivo esempio per i nascenti stati indipendenti in tutto il continente africano, era un pericolo troppo grosso. Non bastava allontanarlo dal potere, lo si doveva eliminare, come dissero nelle comunicazioni fra le agenzie d’intelligence e la Segreteria di Stato degli Stati Uniti. E fu così.
 
Da lì a pochi mesi, nel settembre del 1960, Lumumba fu cacciato dal governo da Kasavubu e nel gennaio dell’anno seguente torturato e assassinato dalle truppe al comando del futuro dittatore Mobutu. Del primo ministro assassinato rimasero le sue parole e il suo ricordo.
 
 

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