www.resistenze.org - popoli resistenti - corea del sud - 10.06.02

Decine di sindacalisti in carcere

La squadra che non partecipa ai mondiali
di Davide Orecchio
Trenta sindacalisti rinchiusi nelle carceri coreane e molti di più ricercati nel paese. Di cosa sono accusati? Di avere fatto il proprio mestiere, o di averci provato. Di avere costituito un sindacato, di avere indetto uno sciopero o una manifestazione, di avere difeso i diritti dei lavoratori. Una macchia indelebile sul biglietto di presentazione della Corea del Sud, paese organizzatore dei mondiali di calcio insieme al Giappone. Una macchia che, però, né i cugini del Sol Levante né la Fifa hanno visto quando hanno coinvolto la tigre asiatica nel primo mondiale del terzo millennio.

I sindacati sud-coreani accusano il governo di perseguire una strategia repressiva nei confronti delle organizzazioni del lavoro. E le cifre danno loro ragione. Nel 2001 ben 200 rappresentanti dei lavoratori sono stati arrestati; dal 1998 a oggi, anno in cui è stato eletto premier Kim Dae-jung (poi insignito del premio Nobel per la pace), i sindacalisti finiti in prigione sono stati 700. Spesso e volentieri, in Corea del Sud, le vertenze industriali vengono chiuse per intervento delle forze dell'ordine. Cosμ le manifestazioni, anche le più pacifiche.

La Corea del Sud non vanta un diritto del lavoro particolarmente evoluto: si pensi che alla maggior parte dei dipendenti pubblici è vietata l'iscrizione al sindacato, che il diritto di sciopero viene spesso negato e che è prassi del governo intervenire negli affari interni delle organizzazioni sindacali. Non a caso il paese è sotto stretta osservazione internazionale: l'Oil l'ha più volte ammonito a liberare i sindacalisti arrestati e l'Ocse ha istituito un osservatorio permanente sulla legislazione del lavoro sud-coreana. Ma i ritardi strutturali della Corea sono stati aggravati da una crisi economica che ha spinto il governo ad avviare ingenti privatizzazioni nei settori pubblici, i trasporti su tutti, dove l'anno scorso hanno perso il posto più di 7 mila lavoratori. Naturalmente i sindacati hanno risposto con scioperi e mobilitazioni a questo giro di vite, e di conseguenza violenza e tensioni sono aumentate.

La denuncia di Yoon Youngmo
Il congresso nazionale della Cgil, lo scorso febbraio, ha dato spazio alla questione sud-coreana ospitando Yoon Youngmo, un delegato della Kctu, la confederazione del lavoro locale. In quell'occasione Youngmo ha denunciato le violenze che subisce il movimento sindacale nel suo paese. "E' dal 1997 (l'anno del grande sciopero generale,
ndr) - racconta Yoon Youngmo -  che i lavoratori sud-coreani sono sottoposti a violenti attacchi neoliberisti da parte del governo, con l'appoggio del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale. Col pretesto della crisi economica sono stati attaccati i diritti dei lavoratori e delle loro organizzazioni".

Ora la crisi è finita, ma le sue conseguenze sono più che mai attuali: "Il mercato del lavoro è cambiato del tutto -  spiega Yoon Youngmo -. Quasi il 60% dei lavoratori, adesso, è composto da interinali. Tutti i meccanismi di sostegno all'economia e di protezione sociale sono stati smantellati. Speculazione e finanza regnano sovrane. Il governo non persegue alcun programma di sviluppo. A fronte di tutto ciò i sindacati non hanno la possibilità di agire. La legge sud-coreana, infatti, vieta loro il diritto di negoziare nei casi di ristrutturazione aziendale. Non si può scioperare contro un'impresa che chiude e licenzia, né si può contrattare nulla. Ma negli ultimi cinque anni abbiamo avuto solo ristrutturazioni e licenziamenti! Per questo i nostri sindacalisti sono finiti in carcere".

Ad ogni modo il movimento sindacale sudcoreano ha ottenuto anche dei successi. L'ultimo è venuto dalla campagna mondiale di supporto lanciata lo scorso gennaio dalla Federazione internazionale dei metalmeccanici. "In quell'occasione -  conclude Yoon Youngmo -  abbiamo ricevuto il sostegno di ben 37 paesi, tra i quali anche il vostro (i sindacati italiani, specialmente la Fiom, hanno fatto molto per noi). E 37 paesi sono davvero molti, se si pensa che all'Onu ne sono rappresentati 200."

(
5 giugno 2002)