Mohamed Hassan, Grégoire Lalieu | investigaction.net
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
16/10/2016
"Se parli di democrazia ti uccidono. Se torno in Etiopia forse mi uccideranno o mi ha metteranno in carcere..." Dopo avere conquistato la medaglia d'argento alla maratona dei Giochi olimpici di Rio, Feyisa Lilesa ha fatto puntare i riflettori sull'Etiopia. E' stato necessario che questo corridore tagliasse il traguardo incrociando le braccia sopra la testa perché i media si interessassero un po' alle manifestazioni rigorosamente represse, che fanno tremare il regime da più di un anno. Come è successo che l'Etiopia è sprofondata in una nuova dittatura dopo essersi lasciata alle spalle Sélassié e Menghistu? La carestia imperversava; colpa dei fenomeni climatici o del programma d'affitto delle terre, che svende le ricchezze del paese alle multinazionali dell'agro-business? Meles Zenawi era realmente un dirigente africano ammirevole che si è battuto "per far uscire milioni di etiopi della povertà grazie alla sua azione a favore della sicurezza alimentare" come ha dichiarato Obama? Perché un miliardario saudita, originario dell'Etiopia, ha versato un assegno di due milioni di dollari alla fondazione Clinton? In quest'ultima parte della nostra intervista, Mohamed Hassan rivela le sfide di una crisi che potrebbe radicalmente cambiare il volto dell'Etiopia e lancia un appello all'unione delle forze progressiste etiopi affinché salvino il paese dall'implosione.
La Costituzione del 1995 doveva pertanto garantire la libertà di culto e la separazione tra Chiesa e Stato. Come spiegare questa ingerenza del governo?
Nei confronti della storia dei musulmani d'Etiopia, la Costituzione segnava effettivamente un passo avanti. Secondo una certa tradizione i seguaci del Profeta Maometto sarebbero approdati nel regno di Axum, al nord dell'attuale Etiopia, per sfuggire alle persecuzioni alla Mecca. Nei secoli che seguirono, l'islam si diffuse dalla penisola arabica per poi attraversare il Mar Rosso e raggiungere le coste dell'Abissinia. Con il commercio, si è diffuso a est e a sud del Corno d'Africa. Il sultanato della Scioa è così nato nel IX° secolo. Nel 1270, Yekuno Amlak stabilisce una nuova dinastia salomonica sulle rovine del vecchio impero di Axum. Il monarca ostentava una discendenza dal re Salomone e dalla regina di Saba. E la Chiesa cristiana ortodossa diventava un pilastro del potere. Successivamente, da Galawdewos (Claudio I d'Etiopia ndt) a Sélassié, passando per Theodoros e Menelik II, i monarchi si iscriveranno in questa stessa stirpe, presentando l'Etiopia come un'isola cristiana circondata da musulmani. Occorrerà attendere la dittatura di Mènghistu perché i musulmani dell'Etiopia si vedano riconosciuti come cittadini a pieno titolo. Ma il tenente colonnello manterrà, in nome dell'unità etiope, un pugno di ferro sulla Comunità musulmana, come su tutta la popolazione.
Quando Zenawi prende il potere nel 1991 attraverso la coalizione del EPRDF, garantisce in modo efficace la separazione tra Chiesa e Stato. Instaura inoltre il federalismo etnico. Lo sviluppo di un'amministrazione decentrata permette allora alle nazionalità che erano state rese marginali, di accedere agli ingranaggi dello Stato. Ovviamente, Zenawi e TPLF mantengono posizioni chiave. Ma inizialmente, questa liberalizzazione apparente comporta l'accettazione dei musulmani attraverso diversi gruppi etnici. L'apertura del TPLF vede inoltre diverse correnti religiose svilupparsi in Etiopia. Ad esempio, i cristiani pentecostali degli Stati Uniti si infiltrano nella società. Hanno risorse importanti, producono programmi televisivi e convertono molti. Anche i wahhabiti acquisiscono un'importanza maggiore. In realtà, il TPLF è aperto a tutto. Se volete distruggere l'Etiopia, basta mettere tutto in una grande busta e il TPLF accetterà.
Il TPLF non è così aperto come sembra, tenta di controllare le organizzazioni musulmane…
L'apertura infatti ha posto problemi a Zenawi. Non sarà necessario molto tempo per mettere il potere in allarme. Tra il 1995 e il 1996, un'ondata di attentati attraversa il paese. Si assiste anche ad un tentativo d'assassinio del presidente egiziano Hosni Mubarak, allora in visita ad Addis-Abeba. Zenawi pensa così di avere fatto entrare il lupo nell'ovile. "L'apertura offerta dal regime all'inizio degli anni 90 ha permesso di collegare l'islam etiope a un "islam globale", attraverso la letteratura e gli scambi accademici, sottolinea il ricercatore Jean-Nicolas Bach. Questo collegamento ha aperto una finestra alla politicizzazione dell'islam e ha attizzato le paure dei responsabili politici riguardo ai movimenti riformisti (salafismo, wahhabismo ). Ha anche accentuato la sfiducia riguardo ai collegamenti internazionali supposti di questi gruppi "salafiti/wahhabiti" con il terrorismo. Questa lettura è consolidata almeno da tre fattori: la rappresentazione storica persistente di una minaccia esterna associata ai musulmani (minacciando l'unità e la stabilità del paese); lo scoppio negli anni 90 della lotta contro il terrorismo, che si accentua dall'11 settembre 2001; e l'impegno armato dell'Etiopia in Somalia, che prende nuove proporzioni dal 2006 e dalla "minaccia" posta prima dall'Unione dei tribunali islamici a Mogadiscio, poi da Harakat al-Shabaab al-Mujahidin (Al-Shabaab)".
Zenawi si è dunque mostrato più che diffidente nei confronti dell'islam. Non per i problemi che le correnti più reazionarie potevano porre all'Etiopia. Ma per i rischi che facevano correre alla sua autorità. Tanto più che l'islam era un vettore di convergenza per alcuni gruppi d'opposizione, che trascendeva le divisioni etniche. Un orrore per Zenawi! Aveva trasformato il federalismo etnico in uno strumento di dominazione. Per lottare contro questa nuova tendenza, il TPLF difenderà un islam tradizionale sufi, in opposizione alle correnti riformiste apparse più recentemente. Così nominerà nuovi membri nell'ambito del Consiglio supremo degli affari islamici per promuovere Al-Ahbash, l'Associazione dei Progetti Caritatevoli islamici. Questo movimento è stato fondato in Libano negli anni 60 da uno sceicco sufi etiope, Abdullah al-Harari originario di Harar, il cuore storico dell'islam etiopico. Al-Ahbash ha esteso la sua sfera d'influenza un po' ovunque nel mondo e in particolare in Etiopia. Opposto, da un punto di vista dogmatico, al salafismo e ai Fratelli musulmani, si presenta come un movimento moderato che sostiene la stabilità, Al-Ahbash gode del sostegno delle autorità etiopi.
Ma tutti i musulmani dell'Etiopia non accetteranno Al-Ahbash…
Certo. Assistiamo dunque ad una democratizzazione dei movimenti musulmani, che chiedono al governo di non interferire nei loro affari. Se il TPLF va troppo lontano, la radicalizzazione della comunità musulmana potrebbe svilupparsi. I missionari pentecostali continuano d'altra parte la loro missione di pacificazione, ma non esitano a criticare la Chiesa ortodossa. Il governo ha tentato di adottare alcune misure di ritorsione, proibendo il finanziamento delle associazioni religiose con fondi stranieri. Senza molti successi. Oltre a questo, c'è la povertà e le contraddizioni di classe… Tutto ciò dà origine a un cocktail particolarmente esplosivo.
La rivolta degli Etiopisupera anche le frontiere del paese. Nel maggio 2015, sono i Falascia, gli ebrei d'Etiopia, che fanno intendere la loro rabbia a Israele. Quali erano le origini di queste manifestazioni severamente represse?
Innanzitutto, l'Etiopia è un paese multi-nazionale e multi-religioso. Le tre grandi religioni monoteiste hanno una presenza storica in Etiopia. Gli ebrei etiopi, sono Etiopi. E' vero, vivono in minoranza nelle montagne del Nord dei cristiani ortodossi nelle province del Gondar e del Tigré. Ma storicamente, non hanno alcun legame con Israele, né con la Palestina.
Come si sono trovati in Israele allora?
La storia di Israele si basa su un mito. Il popolo ebreo sarebbe fuggito dalla Palestina e dopo due mila anni d'erranza, sarebbe ritornato alla sua "terra promessa". In realtà, lo storico Shlomo Sand (9) ha perfettamente dimostrato che la nozione di popolo ebreo è obsoleta e che l'esilio non ha mai avuto luogo. Il bacino mediterraneo invece, ha conosciuto un'importante espansione del giudaismo tra il II° secolo AC e il II° secolo DC, con la conversione di numerosi pagani. L'ascesa del cristianesimo inizialmente e quella dell'islam, in seguito, ha rallentato il proselitismo ebraico. Ma il giudaismo tutto sommato ha guadagnato alcune regioni della penisola arabica e del Maghreb. E nel VII° secolo, si è assistito a una conversione di massa dei Cazari, tra il mar Nero e il mar Caspio. Gli aschenaziti sono così per la maggior parte discendenti dei Cazari.
I sionisti hanno costruito questa storia del popolo ebraico per giustificare la creazione di Israele sul territorio palestinese. Ma non tutti gli ebrei erano necessariamente sensibili a questo appello di tornare alla terra promessa. Un colpo per i sionisti, poiché occorreva popolare lo Stato coloniale e gli ebrei non potevano essere una minoranza. È in questo contesto che sono stati perpetrati gli attentati alle sinagoghe irachene da una rete clandestina di sionisti. L'idea era di spaventare gli ebrei dell'Iraq per farli fuggire in Israele. Naeim Giladi faceva parte di questa rete (10). Racconta come suo padre lo ha messo in guardia quando ha manifestato il suo desiderio di partire per Israele. "Ci conduci al disastro, gli ha detto suo padre. Siamo ebrei e siamo arabi. Non devi credere a questa gente che ti ha irreggimentato. Tutta la nostra vita è qui. Un giorno, ritornerai con la coda tra le gambe". In Discord in Zion, un altro Giladi racconta come ebrei sefarditi hanno lasciato tutto per raggiungere Israele (11). C'erano avvocati, medici e insegnanti che occupavano una buona posizione ad esempio nella società irachena. Ma arrivati in Israele, hanno subito il razzismo degli aschenaziti ed erano considerati meno di niente. I sefarditi di seconda generazione infatti creeranno un ramo israeliano del movimento delle Black Panthers, per protestare contro l'apartheid.
E gli ebrei Etiopi in tutto questo?
Dalla sua creazione, Israele ha considerevolmente esteso il suo territorio. Ma ciò ha posto una sfida demografica significativa ai sionisti. Hanno così fatto venire gli ebrei da ovunque, a popolare lo Stato coloniale con la legge del ritorno che permette a qualsiasi ebreo di rivendicare la nazionalità israeliana. I Falascia d'Etiopia hanno iniziato a scendere a partire dagli anni 80. Si ritiene oggi che sarebbero 120.000 in Israele, di cui 80.000 nati su suolo israeliano. Ma dagli anni 2010, mentre la crisi economica colpisce Israele, il governo di estrema destra di Benjamin Netanyahu, si mobilita a ridurre il flusso dei migranti che vengono dall'Etiopia. Peggio ancora, un'indagine rivelava nel 2012 che il ministero della Salute aveva costretto le Etiopi ebree a prendere un anticoncezionale duraturo prima di autorizzarle a stabilirsi in Israele. In una decina di anni, questo metodo avrebbe fatto cadere il tasso di natalità degli ebrei etiopi del 50 %. (12)
Di fatto i Falascia sono considerati come cittadini di seconda classe e subiscono una terribile discriminazione. Ad esempio, nel 2013, una donazione di sangue di una deputata nera è stata rifiutata. L'indicazione veniva dal Ministero della Salute che temeva che il sangue degli ebrei etiopi propagasse malattie come l'AIDS. Quasi il 40% delle famiglie etiopi vivono al di sotto della soglia di povertà mentre la proporzione è del 16% per tutta la popolazione ebrea di Israele. Inoltre, le prigioni per minori sono riempite per il 40 % da etiopi. Tutti questi problemi hanno portato i Falascia a rivoltarsi l'anno scorso, dopo la diffusione di un video che mostrava un soldato ebreo etiope attaccato senza ragione da poliziotti. Come per i sefarditi in passato, le nuove generazioni dei Falascia sono più rivendicative. Spero che tutte le forze democratiche di Israele si uniranno alle vittime dell'apartheid e ai lavoratori che subiscono le misure di austerità. Se uniscono i loro sforzi contro questo governo di estrema destra, ci potrebbero essere cambiamenti in Israele e forse anche, un ampio fronte unito con i Palestinesi.
In Etiopia anche, un'unione delle forze progressiste è necessaria. Pensi che i movimenti d'opposizione riusciranno a superare le divisioni etniche?
È assolutamente vitale. Ho conosciuto personalmente quadri del TPLF tra cui Zenawi. Inizialmente nei movimenti studenteschi in occasione delle manifestazioni contro Sélassié. In seguito, alla caduta del Derg, c'era molta speranza e ho servito il governo come diplomatico. Ma mi sono rapidamente scontrato con la vacuità politica dei dirigenti del TPLF e ho lasciato il mio posto. Questi banditi non avevano progetti per l'Etiopia. Pensavano soltanto ad arricchirsi e hanno venduto tutto: le imprese nazionali, i terreni agricoli e anche i bambini! Le giovani Etiopi sono ridotte in schiavitù nelle monarchie del Golfo. I loro datori di lavoro confiscano il loro passaporto e le fanno lavorare in condizioni terribili.
Oggi, i giorni del TPLF sono contati. Il governo del resto ha appena decretato lo stato di emergenza. Non penso che potrà contenere ancora a lungo la pressione popolare. Il TPLF ha trasformato l'Etiopia in uno Stato fallito. Ma questo paese dispone di importanti risorse e occupa una posizione strategica. L'Etiopia ha l'opportunità di scrivere una nuova pagina della sua storia. Dopo avere conosciuto le dittature di Sélassié, del Derg e del TPLF, può alzare la testa. Occorrerà tuttavia che i movimenti d'opposizione si uniscano per costruire il futuro. Con la pazienza e il dialogo, è possibile. In generale i problemi del Corno d'Africa potrebbero essere risolti in questo modo. È ciò che l'Eritrea raccomanda da tempo: riunire gli attori locali attorno al tavolo e discutere senza interferenza delle potenze straniere. I paesi dell'Africa Orientale hanno un interesse comune a vedere la regione svilupparsi. Il caos in Somalia, le guerre fratricide, le divisioni sudanesi e forse la balcanizzazione dell'Etiopia… Tutto ciò non è nell'interesse degli Africani.
Con la caduta del TPLF, gli Stati Uniti potrebbero perdere un alleato importante in Africa. Pensi che potrebbero tentare di salvare il regime?
Non vedo come. L'imperialismo non fa miracoli. I dirigenti etiopi hanno a lungo mascherato la realtà. Hanno anche pagato per guadagnare il sostegno degli Stati Uniti. Sai, tra gli imperialisti trovi anche gente pigra, che non prova a comprendere il mondo e che si può comperare approfittando delle sue ambizioni personali. Hillary Clinton fa parte di questa gente. Nel suo libro Clinton Cash (13), il giornalista Peter Schweizer indaga sui finanziamenti della fondazione Clinton e delle campagne di Hillary. Spiega in particolare che nel maggio 2007, Mohammed al-Amoudi, il miliardario saudita d'origine etiope di cui abbiamo già parlato, aveva fatto un regalo di 20 milioni di dollari alla fondazione Clinton.
Un'associazione etiope attiva nella difesa dei diritti umani aveva anticipato Bill Cinton affermando che questo regalo era un tentativo di influenzare la politica degli Stati Uniti in relazione all'Etiopia. Infatti, quando Amoudi aveva fatto questo regalo, un membro del congresso degli Stati Uniti aveva appena introdotto un progetto di legge che mirava a rivedere le relazioni americano-etiopi. Per il deputato Donald Payne, il denaro che gli Stati Uniti inviavano ogni anno all'Etiopia - milioni di dollari provenienti dai contribuenti - doveva essere condizionato a un progresso dei diritti umani. Una tegola in testa per il TPLF e Amoudi che si arricchivano sulla schiena degli etiopi reprimendo ogni forma di contestazione. L'associazione etiope aveva dunque anticipato Clinton: "Abbiamo ragione di pensare che questa enorme donazione sia stata fatta per conto del governo etiope. (…) Cheikh Amoudi, il proprietario del famoso etiope Hotel Sheraton, non è particolarmente noto per la sua filantropia. Organizzazioni locali che lottano contro l'AIDS avevano richiesto somme irrisorie al miliardario, ma sono state respinte. Allora, perché un uomo fortunato che viene da uno dei paesi più poveri del mondo, dice no alle organizzazioni del suo paese, ma tira fuori facilmente 20 milioni di dollari per un'organizzazione americana fondata a migliaia di chilometri? (…) Il lavoro della Fondation Clinton in Etiopia è vergognosamente intrecciato alle operazioni del governo. Vi esortiamo ad andare al di là del governo e cercare organizzazioni comunitarie indipendenti che lavorano strettamente con i poveri". L'associazione etiope non ha mai avuto risposte. In seguito, Hillary Clinton è diventata Segretario di Stato. E nonostante i timori sulla corruzione e i diritti umani, gli Stati Uniti hanno continuato a inviare denaro al governo etiope.
Se Hillary Clinton diventa presidente degli Stati Uniti, il TPLF avrà dunque un alleato di prima scelta alla Casa Bianca?
Occorrerebbe che il TPLF fosse già lì. Ma, penso che sia troppo tardi per salvare questo regime corrotto. E penso anche che gli Stati Uniti lo sappiano. L'Etiopia è uno Stato fallito che il TPLF non può più controllare. I suoi capi non fanno che brandire ritratti di Zenawi. Vivono attraverso un fantasma. Ma non controllano più nulla.
Ma dicevi che gli Stati Uniti non avevano il piano B per sostituire il governo attuale. Cosa potrebbero fare allora? Una croce sull'Etiopia?
Abbiamo visto, nella Stratégie du chaos (14), come l'imperialismo USA è entrato in crisi. Da un lato a causa dell'aumento in potenza dei paesi emergenti. Dall'altro a causa dei fiaschi militari d'Afghanistan e di Iraq. Dopo la caduta dell'Unione Sovietica, gli Stati Uniti pensavano di potere dominare il mondo. Doveva essere la "Fine della Storia". Ma l'ascesa dei BRICS, soprattutto Cina e Russia, ci ha fatto passare da un mondo unipolare, a un mondo multipolare. Gli Stati Uniti non sono più in grado di controllare tutto. È per questo che applicano la strategia del caos. Anziché poter dominare i paesi del Terzo Mondo ricchi di materie prime, occorre potere privare i concorrenti degli accessi necessari al loro sviluppo.
Come dice l'analista Saïd Bouamama, ad ogni età del capitalismo corrisponde un tipo di dominazione (15). La colonizzazione ha segnato la nascita e l'infanzia del capitalismo. "Il saccheggio e la distruzione delle civiltà amerinde e la schiavitù sono state le condizioni affinché il modo di produzione capitalista sia potuto diventare dominante nelle società europee, spiega Saïd Bouamama. La colonizzazione è in seguito soltanto il processo di generalizzazione delle relazioni capitaliste al resto del mondo." La seconda età del capitalismo è segnata, nel ventesimo secolo, dalla formazione dei monopoli. "Sono grandi gruppi industriali che gradualmente vanno a dirigere l'economia e il capitale finanziario diventati preponderanti, prosegue Saïd Bouamama. Il legame fisico e soggettivo tra il proprietario e la sua proprietà scompare a profitto del legame tra il buono dell'azione borsista e l'azionista. Il grande colono proprietario terriero cede il primo posto all'azionista delle miniere. Questa nuova struttura del capitalismo richiede una nuova forma di dominio politico, il neocolonialismo."
Oggi, il capitalismo è entrato in una fase senile con crisi a ripetizione che non lasciano prevedere alcuna ripresa. "La conseguenza è una ricerca del massimo profitto con qualsiasi mezzo. In questa concorrenza esacerbata in situazione di instabilità permanente, il controllo delle fonti di materie prime è una sfida ancora più importante che in passato. Non si tratta più soltanto di avere per sé l'accesso a queste materie prime, ma anche di bloccare l'accesso di queste risorse ai concorrenti. (…) Al cambiamento della base materiale del capitalismo corrisponde un cambiamento delle forme di dominio politico. L'obiettivo non è più soprattutto instaurare governi "fantoccio" che non possono resistere più in modo durevole alle rabbie popolari. È quello di balcanizzare con la guerra, per rendere questi paesi ingovernabili. Dall'Afghanistan alla Somalia, dall'Iraq al Sudan, il risultato delle guerre è ovunque lo stesso: la distruzione delle basi stesse delle nazioni, il crollo di tutte le infrastrutture che permettono una governabilità, l'installazione del caos. Si tratta ormai della balcanizzazione delle nazioni."
Gli Stati Uniti sarebbero dunque pronti a vedere l'Etiopia affondare?
Non hanno molte altre scelte. Il federalismo e la balcanizzazione sono diventati i nuovi ingredienti dell'imperialismo. Osservate ciò che hanno fatto in Libia. Gli imperialisti hanno inasprito le tensioni tra le tribù della Cirenaica e il potere centrale. Oggi, il paese è in preda al caos. Il federalismo e la divisione della Libia sono evocati per uscire dal vicolo cieco. Stessa cosa in Siria. La NATO e i suoi alleati hanno mandato in frantumi il mosaico confessionale di questo Stato laico sostenendo gruppi settari. La balcanizzazione della Siria potrebbe partorire piccoli stati definiti per loro natura religiosa o etnica: uno Stato per i sunniti, uno per gli alauiti, un altro per i Curdi, ecc. Poiché non sono capaci di imporre governi fantoccio al posto dei regimi attaccati, gli imperialisti sembrano dirigersi verso un frazionamento del Medio Oriente. E possono trarre vantaggio da questa situazione. Infatti, liquidando le ultime roccaforti del nazionalismo arabo, gli Stati Uniti si troveranno con una regione spezzettata in piccoli stati antagonisti, che non rappresenteranno più molto pericolo. Inoltre, questa politica della terra bruciata non ha impedito gli imperialisti di fornirsi dei territori dove possono ancora far fruttare i loro interessi. L'esempio del Kurdistan iracheno è significativo. Dalla caduta di Saddam e lo smantellamento delle strutture statali, l'Iraq è sprofondato nel caos. Ma il Kurdistan iracheno è al riparo dalla tempesta. E i suoi dirigenti ne hanno fatto un eldorado per le multinazionali.
L'imperialismo funziona come quello di oggi. Cerca i fattori di divisione per distruggere paesi, controllare meglio alcune regioni e bloccare lo sviluppo dei suoi concorrenti. L'imperialismo così inasprirà le tensioni religiose ed etniche. E se non è possibile dividere un popolo su queste basi, troverà un'altra cosa. Creerà un federalismo tra gli uomini e le donne o tra la gente di grande dimensione e quella piccola!
In Etiopia, con il federalismo etnico, le basi della balcanizzazione sono già poste…
La creazione dell'Etiopia moderna si è realizzata attraverso un processo di centralizzazione del potere che ha assimilato il nazionalismo etiope alla cultura della classe dominante. Ménélik II, poi Hailé Selassié, hanno così imposto la cultura amhara all'insieme della popolazione senza tenere conto delle diversità del paese. Ciò ha creato uno squilibrio tra il centro dell'Etiopia, dove era concentrato il potere e la periferia, dove vivevano numerose etnie. Con la rivoluzione del 1974, il Derg aveva promesso che tutte le nazionalità sarebbero state trattate su un piano di uguaglianza. Ma Mènghistu si è mostrato incapace di democratizzare l'Etiopia, tanto che lo sciovinismo amhara è perdurato. Il TPLF è andato più lontano, instaurando il federalismo etnico. Il taglio dello Stato in regioni relativamente autonome, doveva garantire una migliore divisione del potere politico e delle ricchezze. Nei fatti, l'elite Tigré ha conservato il monopolio del potere e la periferia ha continuato a sopravvivere con le briciole del reddito nazionale. Questo squilibrio permanente tra il centro e la periferia ha effettivamente posto le basi per una divisione dell'Etiopia, i movimenti d'opposizione si sono sviluppati per la maggior parte su basi etniche. Inizialmente perché il nazionalismo etiope era percepito come uno strumento del dominio della classe dirigente. In seguito perché il TPLF ha reso ufficiale le divisioni con il federalismo e si è occupato di minare ogni forma di eredità del nazionalismo etiope.
Il TPLF aveva torto nella sua analisi. Il principale problema dell'Etiopia non è l'uguaglianza delle nazionalità. Il principale problema è la dominazione di una classe sociale su tutta la popolazione; una classe sociale che in passato ha imposto la sua cultura; una classe sociale che, ieri come oggi, monopolizza il potere e le ricchezze. La salvezza dell'Etiopia passerà dunque per uno Stato realmente democratico. E quando parlo di democrazia non si tratta soltanto di far scivolare una scheda elettorale in un'urna ogni quattro o cinque anni. No, occorre uno Stato che garantisca una divisione equa del potere e delle risorse. Allora, la diversità non sarà più un problema, ma una fonte di ricchezza.
Note
9. Shlomo Sand, Comment le peuple juif fut inventé, Flammarion, 2010.
10. Naeim Giladi, Ben-Gurion's Scandals: How the Haganah and the Mossad Eliminated Jews, Dandelion Books, 2003.
11. G.N. Giladi, Discord in Zion: Conflict Between Ashkenazi and Sephardi Jews in Israel, Interlink Publishing Group Incorporated, 1990
12. Mathieu Olivier, Juifs mais Éthiopiens, Israël ne veut plus d'eux, in Jeune Afrique, 3 juillet 2013.
13. Peter Scwheizer, Clinton Cash: The Untold Story of How and Why Foreign Governments and Businesses Helped Make Bill and Hillary Rich, Harper Paperbacks, 2015
14. Michel Collon et Grégoire Lalieu, La stratégie du chaos, impérialisme et islam. Entretiens avec Mohamed Hassan, Editions Investig'Action-Couleur Livres, 2011.
15. Saïd Bouamama, Colonialisme, néocolonialisme et balkanisation : Les trois âges d'une domination, sur Investig'Action, 9 mai 2016.
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