www.resistenze.org - popoli resistenti - iran - 28-02-16 - n. 578

Lo show delle elezioni parlamentari è finito, ma la lotta contro la dittatura continua

Tudeh Partito dell'Iran | solidnet.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

26/02/2016

Venerdì 26 febbraio, l'Iran sarà teatro di elezioni che sono state definite "cruciali e importanti" sia dalla Guida suprema (del regime teocratico), Ali Khamenei, sia da tutte le fazioni del regime, che ritengono determinante la partecipazione popolare. Tutte le voci del coro chiedono agli iraniani di partecipare a "elezioni" in cui i candidati sono stati selezionati accuratamente dal Consiglio dei Guardiani, in cui il presupposto alla candidatura consiste nell'esprimere la piena fedeltà al regime politico attuale, vale a dire alla dittatura teocratica e alle sue politiche macroeconomiche.

L'esclusione di oltre il 50% dei candidati da parte del Consiglio dei Guardiani e la successiva bocciatura del 75% dei ricorsi a questa decisione dovrebbero essere considerate alla stregua di un accordo complessivo sulle quote spettanti a ciascuna delle fazioni dominanti e sul ruolo da giocare nella farsa elettorale del 26 febbraio.

Il punto chiave è che con l'esito dei ricorsi diviene chiaro sia alle persone sia ai riformisti filo-regime, che in questo processo elettorale non sarà previsto alcun cambiamento, per quanto piccolo, riguardo i diritti popolari. Le politiche dei leader del regime sono chiare. Proprio come il precedente regime monarchico (pre-1979), nell'"Iran islamico" i diritti fondamentali non possono trovare realizzazione nel quadro del regime dispotico e di dominio assoluto della Guida suprema. Alle persone è solo permesso di partecipare a una "elezione" i cui candidati sono passati attraverso i filtri delle menti oscure del Consiglio dei Guardiani.

Respingendo in modo sprezzante e selvaggio un gran numero di candidati pro-riforme, i leader del regime hanno fatto capire a dissidenti, forze politiche del paese e società in generale, che alla stagione delle riforme iniziata con le elezioni presidenziali del 1997 e che ha portato all'elezione di Mohamad Khatami – grazie ai voti popolari indirizzati contro il favorito della Guida - non sarà consentito di proseguire come scelta degli elettori.

In testa fino all'inizio del voto, la Guida suprema aveva dichiarato che le elezioni sono un "diritto dei popoli". Tuttavia, dopo le speculazioni ottimistiche di alcune forze politiche sulle buone intenzioni della Guida, le massicce bocciature dei candidati pro-riforme - e anche di un certo numero di "fondamentalisti" – il piano del regime di progettare e dirigere le elezioni parlamentari è stato rivelato. Khamenei aveva precedentemente affermato che tutte le persone devono partecipare alle elezioni, anche chi "si oppone al regime", ma dopo la larga epurazione delle liste - che deve essere stata effettuata con il suo consenso - ha chiarito il senso delle sue parole: "... ciò non significa che possono scegliere e inviare in parlamento individui che si oppongono al regime ... Tutti gli elettori accreditati, anche coloro che sono critici del regime, devono partecipare ... in nessuna parte del mondo, a chi non approva l'essenza di un sistema è consentito di entrare nei centri decisionali". Il suo messaggio al popolo e alle forze politiche del paese è chiaro: ha bisogno dei voti per giustificare la continuazione del regime. Le persone non hanno il diritto di eleggere liberamente i propri candidati. Gli intrighi elettorali del regime teocratico iraniano non sono sconosciuti al popolo e alle forze politiche della nazione.

Alla vigilia delle presidenziali del 2014, l'ex-presidente Mohamad Khatami fornì un giudizio chiaro e preciso delle elezioni proposte dal regime attuale. Egli disse: "Se vogliono escludere i riformisti, o alcuni di loro, non si preoccuperanno dell'opinione pubblica nazionale o internazionale. Ciò che importa è che quelli che non vogliono far entrare nei vari uffici, non ci entrino, e sono sicuro che in queste elezioni loro non ci vogliono. Anche superando indenni questo ostacolo, semplicemente non ci sarà permesso di avere più voti di quelli che sono disposti ad accettare".

Chiaramente, non solo ad uscire da questo spettacolo elettorale non sarà un'assemblea di veri rappresentanti del popolo, ma anche il futuro parlamento nel complesso continuerà a seguire lo stesso corso intrapreso da quello attuale. La struttura delle elezioni parlamentari del 26 febbraio è in continuità con l'abituale tendenza del regime teocratico iraniano, inclusi raggruppamenti e lotte dietro le quinte, in cui il risultato finale è un equilibrio di potere tra le fazioni dominanti basato sulla fedeltà assoluta alla Guida suprema. Pertanto, non sarebbe sbagliato affermare che l'equilibrio e la quota di potere tra le fazioni del regime sono stati messi a punto dietro le quinte nelle ultime settimane - e attraverso la "Supervisione discrezionale" e le consultazioni - e che l'esito del voto del 26 febbraio non inciderà in alcun modo su ciò che è già stato fissato "dall'alto".

La questione è che il regime teocratico dell'Iran ha necessità di guadagnare legittimità politica agli occhi del mondo per preparare il terreno per i suoi piani per il dopo JCPOA (il Piano d'azione congiunto globale sul nucleare, concordato tra l'Iran e il 5+1 a gennaio). Il regime cercherà di incoraggiare i vari strati della società a partecipare alle sue elezioni controllate per mezzo di propaganda calcolata e vuoti slogan.

Se le forze iraniane pro-riforma ritengono di avere una missione e un ruolo in questa fase cruciale della storia della nostra nazione, hanno un solo modo per avere successo, che è quello di tornare fra la gente e cercare di mobilitare il movimento popolare, proprio come fece Mir-Hossein Mousavi durante le elezioni presidenziali del 2009.

La partecipazione a queste elezioni ad ogni costo significa sottomettersi alle richieste della Guida suprema religiosa e degradare il diritto del popolo a libere elezioni – votando invece per i candidati selezionati con cura del Consiglio dei Guardiani. Questi giochi non possono essere considerati delle elezioni. L'esito della partecipazione a tali giochi è la perpetuazione dell'attuale disastrosa situazione. E' solo attraverso una lotta comune e una protesta organizzata di tutte le forze popolari contro la funzione monopolistica e la tendenza dispotica del regime attuale, che la reazione al potere potrà essere spinta indietro e costretta a cedere alle richieste popolari.

Il punto è che non si può pretendere di condurre una lotta per il "cambiamento" democratico e allo stesso tempo mantenere il silenzio sui principali obiettivi delle "magnifiche" e "grandi" elezioni. Non si può favorire l'illusione che le principali istanze socio-economiche e le aspettative del popolo iraniano - la cui fascia inferiore è caduta sotto la pressione economica e la repressione politica del regime teocratico - possano essere realizzate e soddisfatte attraverso queste elezioni.

Il Partito Tudeh dell'Iran ritiene che, al fine di affrontare e combattere le trame del regime di integrare e consolidare il potere attraverso queste elezioni, sia necessario che un ampio schieramento di sinistra, che le forze popolari progressiste e democratiche ingaggino battaglia per denunciare, contrastare e sconfiggere questo "progetto di costruzione della fiducia verso il regime", che in pratica equivarrebbe a disconoscere il Movimento Verde ed i suoi dirigenti in carcere.

Coloro che abbelliscono il regime teocratico cercano di mettere ancora una volta le persone davanti alla scelta tra il "male" e il "peggio". Tuttavia, l'essenza di questo regime dittatoriale rimarrà la stessa e, fatta eccezione per alcuni cambiamenti scontati e di superficie nella vita delle persone, non è immaginabile nessun'altra prospettiva. Era con lo scopo di lasciarsi alle spalle delle condizioni terribili come queste che 37 anni fa il popolo iraniano affrontò la dittatura del vecchio regime, portando alla vittoria della rivoluzione del 1979.

Non vi è dubbio che dopo le elezioni del 26 febbraio, tutta una serie di fazioni del regime e i loro circoli politici giocheranno con le statistiche e i numeri, facendo discorsi coloriti e analisi sui media per descrivere il risultato della "massima partecipazione" degli elettori come una vittoria. Tuttavia, le contraddizioni tra la nazione e il regime teocratico non saranno risolte attraverso mosse tattiche e giocando con le statistiche. Il giorno dopo il voto, non importa come la gente comune avrà reagito alle "elezioni costruite", il livello di aspettative delle persone verso il JCPOA per uscire dalla disastrosa situazione economica sarà molto più alto rispetto a prima.

Se il regime e il suo reazionario Consiglio dei Guardiani non avessero svuotato il futuro parlamento di qualsiasi possibilità e di vera sostanza, il 26 febbraio avrebbe potuto fornire il palcoscenico dal quale rivelare l'incapacità dei candidati selezionati dalla dittatura di mantenere le promesse, in confronto con i candidati che sono devoti e fedeli alle vere riforme e alla difesa dei diritti del popolo nel periodo post-JCPOA.

La lotta contro la dittatura e il processo di passaggio a una fase di sviluppo democratico è inarrestabile. La situazione economica disastrosa sottolinea costantemente la connessione importante e organica tra i cambiamenti politici a favore della libertà, da un lato, e quelli economici in favore della giustizia sociale, dall'altro. Nessuna generica argomentazione può giustificare la continuazione della dittatura teocratica. Il futuro del nostro paese è gravido di importanti sviluppi in quanto il regime teocratico passa da una crisi all'altra e il suo unico mezzo per affrontarle, vale a dire la soppressione, non può più essere camuffato come un'altra cosa, ma si rivela per quel che è: una dittatura. Nel periodo successivo al JCPOA e dopo un'elezione in cui il regime ha ancora una volta determinato la composizione del Parlamento calpestando i diritti del popolo, possiamo e dobbiamo sfidare la dittatura teocratica attraverso l'azione congiunta dei movimenti sociali e delle forze politiche che sostengono il cambiamento democratico. La creazione della forza necessaria ad un reale sviluppo politico e per stabilire la democrazia è legata alla realizzazione di una vasta unità tra tutte le forze che credono nella democrazia e nella giustizia sociale nel paese.

25 febbraio 2016


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