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L'attuale situazione del Libano nei nuovi sviluppi in atto nella regione e il programma del Partito Comunista Libanese sul piano interno ed arabo

Partito Comunista Libanese | lcparty.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

Beirut, Novembre 2013

Il Libano sta attraversando situazione molto critica per molte ragioni.

Il sistema politico confessionale è diventato un muro di cemento non facile da abbattere. La lotta nella regione tra imperialismo statunitense e suoi alleati europei e arabi, da un lato, e la coalizione russo-siriano-iraniana dall'altro, si riflette in modo crescente in Libano. I primi sono finanziati e sostenuti dall'Arabia Saudita e da altri paesi del Golfo, mentre i secondi dall'Iran. Questo porta nell'area una situazione potenzialmente esplosiva, di minaccia alla pace civile e di deterioramento della già delicata situazione in Libano.

A ciò va ad aggiungersi la paralisi delle istituzioni politiche del paese. Il governo è dimissionario da molti mesi, ma fino ad ora non c'è stata la possibilità, o la volontà, di formarne uno nuovo. Il parlamento (che ha prolungato di altri 18 mesi la sua carica) non si riunisce perché privo del numero legale minimo e la presidenza (che gli Accordi di Ta'if del 1989 hanno svuotato dei privilegi) non ha un ruolo attivo.

Queste difficili condizioni politiche e di sicurezza, in particolar modo la paralisi delle istituzioni, minacciano un peggioramento della già critica situazione economica e sociale, soprattutto in considerazione della ripresa delle minacce "israeliane" al Libano meridionale con la violazione della cosiddetta "linea blu" che dovrebbe essere sotto la protezione delle forze ONU (UNIFIL). In aggiunta vanno considerati gli effetti negativi della crisi siriana le cui battaglie hanno raggiunto molte regioni ai nostri confini, con il coinvolgimento delle fazioni libanesi, l'incapacità del governo libanese di garantire condizioni di ospitalità a oltre 1,5 milioni di profughi siriani (circa 1/3 della popolazione del Libano), in aggiunta ai circa 400mila palestinesi che soffrono la difficile congiuntura economica, con la chiusura di molte unità produttive soprattutto nel settore del turismo, con aumento della disoccupazione e dell'emigrazione, soprattutto tra i giovani e soggetti più professionalizzati.

D'altra parte, quando si parla di questo, non dobbiamo dimenticare l'oligarchia finanziaria che controlla il Libano dalla fine della guerra civile durata 15 anni (1975-1990), non sulla base di un aumento delle capacità produttive e di un sostegno delle forze produttive del paese, ma in virtù dell'appoggio offerto al capitale arabo (soprattutto del Golfo) rispetto ai suoi depositi in Libano. Questa politica ha fatto sì che milioni di dollari uscissero dal Libano sotto forma di interessi, contribuendo alla diminuzione dei livelli di crescita e all'aumento rapido dei livelli di indebitamento pubblico. Il debito pubblico è aumentato di 3 volte dopo la fine della guerra civile (1992) e oggi supera il 150% del Pil, secondo le statistiche ufficiali (mentre altri studi parlano di circa il 170% del Pil).

Oggi il Libano viaggia verso una nuova esplosione, con il riaffacciarsi dei tentativi di divisione del paese in confederazioni, pulsioni che erano dominanti nel periodo precedente alla guerra civile. Il discorso della divisione trae efficacia dalla situazione reale di divisione settaria tra sunniti e sciiti, a causa della crisi in Siria e della divisione regionale (Arabia Saudita - Iran) di cui abbiamo accennato prima. Dipende inoltre dall'ingresso nel paese di forze terroristiche salafite provenienti dalla Siria, presenti in più di una regione da Tripoli al sud nella valle della Bekaa.

Di fronte a tutte queste minacce il Partito Comunista Libanese propone un piano diviso in due parti.

La prima parte del piano è politica e dipende da un'iniziativa dal nome "Per la pace civile e il cambiamento democratico". L'obiettivo è di raccogliere le forze politiche democratiche, associazioni, sindacati, organizzazioni giovanili, organizzazioni delle donne e intellettuali e di tutti coloro che si oppongono al ritorno della lotta confessionale e religiosa. Quest'iniziativa dipende inoltre dalla necessità di un cambiamento che sopprima il sistema politico confessionale scaturito dal mandato francese negli anni Trenta del secolo scorso, per sostituirlo con uno civile e democratico, che faccia proprio il principio della separazione tra stato e religione nei campi della vita civile, a partire dalla legge elettorale su basi proporzionali invece che confessionali, fino a imporre una legge sullo status civile individuale per evitare divisioni tra i libanesi in quanto appartenenti a differenti entità pre-statali.

La seconda è di tipo socio-economico e vuole prevenire che Banca mondiale e Fondo monetario internazionale interferiscano nelle politiche economiche del Libano, specialmente ora che siamo vicini ad attuare "l'accordo internazionale per il commercio", impedendo alla borghesia di tornare ai progetti decisi tra il 2000 e il 2004 a Beirut, Parigi e Roma, esempio dei quali è la privatizzazione dei servizi fondamentali, delle risorse idriche ed energetiche, della sanità e la distruzione del settore pubblico. In questo quadro, il PCL ha svolto un importante ruolo nel movimento dei lavoratori delle centrali elettriche contro la loro privatizzazione, nel grande sciopero dei dipendenti ministeriali e amministrativi del settore pubblico, nello sciopero durato più di un mese nel comparto dell'istruzione pubblica e le cui parole d'ordine erano la riorganizzazione del settore pubblico e l'attuazione di un nuovo piano salariale. I sindacati progressisti, soprattutto quelli guidati dai comunisti, hanno anche partecipato ai movimenti del settore privato, alla battaglia su salari, continuità lavorativa e previdenza sociale, considerata una delle conquiste fondamentali dei lavoratori in Libano.

Parallelamente a ciò, si lavora ad un piano per evitare che la borghesia libanese, che segue l'imperialismo, rubi la nostra ricchezza di petrolio e gas scoperta di recente nelle acque libanesi. Attualmente ci si concentra sulla lotta interna alla borghesia per dividere tra le sue varie parti questa ricchezza e concedere alle compagnie petrolifere statunitensi, britanniche ed anche russe i diritti di prospezione di petrolio e gas. Altro punto importante in questo campo è il ruolo di "Israele", che rifiuta di confessare, nel tracciare i suoi confini marittimi, l'intenzione di rubare parte della nostra ricchezza naturale, come ha fatto, e fa, con l'acqua dolce libanese che si trova in prossimità delle sue frontiere.

Questa sommaria analisi ci permette di concludere che, ancora una volta, la situazione nella regione, soprattutto nell'area del Mediterraneo orientale che va dai confini turco-siriani all'ingresso del Canale di Suez in Egitto, è diventata ancora più intricata di prima. La regione che comprende Siria, Libano, Palestina ed Egitto non è soltanto la principale via del petrolio e del gas, ma è anche divenuta una regione che possiede queste merci. Ciò significa che dovrà affrontare sempre maggiori controversie militari e legate alla sicurezza e più cospirazioni da parte dell'imperialismo e di "Israele".

Questa conclusione non è solo nostra, ma è la conclusione comune dei 26 partiti che hanno partecipato all'"Incontro della sinistra araba", istituito nell'ottobre 2010 e che ha iniziato a svilupparsi in direzione di una maggiore cooperazione tra i suoi membri. La saldatura tra queste condizioni di dominio e l'aggressività che ci troviamo ad affrontare richiede l'unificazione della sinistra con l'obiettivo di gettare le basi per il cambiamento.


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