www.resistenze.org - popoli resistenti - nicaragua - 23-02-04

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Settant'anni fa cadeva, sotto i colpi dei militari di Somoza, Augusto Cesar Sandino, padre dell'indipendenza nicaraguense. Alle sue gesta si ispirò poi il Fronte sandinista

Il generale degli uomini liberi


Nella tarda serata del 21 febbraio 1934 un'auto ministeriale con autista e cinque passeggeri correva nell'umida notte di Managua dal palazzo presidenziale alla casa del ministro Sofonias Salvatierra. Oltre al ministro erano a bordo Augusto Cesar Sandino, il "generale degli uomini liberi", suo padre Gregorio e due suoi ufficiali Estrada e Umanzor, di ritorno da una cena offerta dal presidente Sacasa, nel corso della quale si era discusso degli esperimenti di agricoltura collettiva a favore dei contadini poveri e del ruolo della Guardia nazionale, formalmente forza armata nicaraguense in realtà fedele solo al suo comandante, Anastasio Somoza, di cui tutti conoscevano i legami con il governo Usa. Quella sera Sandino era tranquillo, certo di aver dato al suo paese, dopo oltre sette anni di guerriglia del suo "ejercito defensor de la soberania nacional de Nicaragua", indipendenza e pace: gli americani se ne erano andati e il nuovo presidente, per quanto debole, offriva garanzie alle quali il generale aveva creduto fino a far disarmare i suoi.

Perciò fermò la reazione dei suoi compagni quando un plotone di soldati bloccò la macchina; chiese solo, inutilmente di essere messo in comunicazione con Sacasa e con Somoza. Disarmati e gettati brutalmente su un camion Cesar Sandino, Estrada e Umanzor furono trasportati nella località periferica detta la Calavera e fucilati.
Meno di due anni dopo Somoza era presidente di un paese terrorizzato e dolente: la guardia nazionale aveva massacrato non solo i sandinisti ma interi villaggi contadini, primo fra tutti Wiwili, principale esperimento di agricoltura collettiva dove nessuno dei trecento abitanti scampò all'eccidio. Il presidente Sacasa chiese la punizione degli assassini e ottenne qualche bugia, si rivolse a Washington denunciando le simpatie naziste, peraltro non nascoste, di Somoza e delle sue camicie azzurre, senza risultato. Non gli resterà che salvarsi la vita con una fuga in Salvador.

Il "generale degli uomini liberi" (la definizione è di Henry Barbousse) era nato il 18 maggio 1895 nel villaggio di Niquinohomo nella montuosa regione Las Segovias dall'incontro fra un piccolo proprietario terriero, Gregorio Sandino, e una ragazza india, Margarita Calderon. Una relazione non coronata da matrimonio ma Gregorio riconobbe il figlio e lo portò nella sua casa considerandolo al pari dei fratelli legittimi, uno dei quali, Socrates, sarà legato a Cesar da una profonda amicizia e combatterà al suo fianco.

Cesar Sandino ragazzo e adolescente, assisté alla caduta del presidente Zelaya, liberale blandamente progressista ma geloso dell'indipendenza del suo paese, al primo sbarco dei marines Usa a sostegno del colpo di stato del partito conservatore, alla ribellione del generale indio Zeledon, schiacciata nel sangue. Giovane e già esperto meccanico nel 1920 fu coinvolto in una rissa e costretto ad espatriare in Honduras, in Guatemala, e infine in Messico a Tampico, città operaia con una vivace presenza sindacale, dove ebbe la possibilità di dare uno sbocco politico alle sue confuse idee di giustizia sociale e indipendenza nazionale, scoprendo il legame fra i discorsi di Simon Bolivar, letti nella biblioteca paterna e le miserabili condizioni di vita di sua madre. Individuò anche il nemico da battere, l'imperialismo Usa.

Con questo bagaglio, più qualche risparmio ed una pistola, nel 1926 tornerà nel Nicaragua ancora una volta invaso dai marines accorsi a sostenere i conservatori minacciati da una rivolta liberale.
Cesar Sandino fu accolto con diffidenza da patrioti sinceri che volevano l'indipendenza nazionale ma mantenendo ben ferme le distinzioni di classe: «Terra ai contadini» è una parola d'ordine "bolscevica" e i bolscevichi non hanno buona fama nella borghesia latino americana.
Rispondono invece con slancio, contadini operai e ragazze di vita di Puerto Cabezas, con l'aiuto dei quali vengono recuperati fucili e munizioni gettati in mare per ordine degli statunitensi. Di queste armi e di trecento uomini è fatto il nucleo iniziale dell'esercito sandinista che ha nel suo programma politico, oltre alla fine di ogni intromissione militare, politica e economica degli Usa in Nicaragua, la riforma agraria, il controllo del lavoro di donne e minori, l'istruzione e la sanità pubbliche e gratuite.

Aderiscono i vecchi militanti delusi dai vecchi capi nazionalisti, uomini e donne dei villaggi indios depredati, operai, studenti e anche rivoluzionari provenienti da tutta l'area latino-americana, tra i quali il salvadoregno Farabundo Martì, più tardi fondatore del partito comunista del suo paese e fucilato dal dittatore Martinez. «Avremo in Nicaragua il nostro trionfo definitivo» scrive Sandino «con cui si accenderà la miccia dell'esplosione proletaria contro gli imperialisti della terra».
Contro l'esercito rivoluzionario si scatena la guardia nazionale voluta ed armata dagli Usa ma la guerra di guerriglia ha l'appoggio degli uomini, delle donne, dei ragazzini dei villaggi di montagna mentre la notizia delle sue vittorie si diffonde nel mondo e il "generale degli uomini liberi" entra nella storia del movimento operaio e proletario.

Non sarà una sconfitta militare a determinare la caduta di Sandino ma il tradimento di una borghesia per la quale l'indipendenza nazionale vale infinitamente meno dei propri privilegi e il nemico principale non è l'invasore ma il proprio popolo. Il pur progressista governo messicano negherà il suo appoggio e le calunnie su un presunto tradimento di Sandino troveranno credito perfino nei partiti comunisti della regione e nella Terza internazionale che lo accuserà di essere «un piccolo borghese nazionalista che si è venduto facendo fallire la rivoluzione».

Come in Italia, come in Germania in tempi e modi diversi, un governo sinceramente democratico del quale facevano parte molti uomini onesti, aprì le porte alla dittatura rimanendone travolto. La famiglia Somoza restò al potere fino al 19 luglio 1979, quando il Fronte di liberazione nazionale che portava il nome di Sandino guidò la rivoluzione vittoriosa per finire a sua volta sconfitto, dopo pochi anni di una faticosa e esaltante costruzione di una realtà più giusta. Sconfitto dalla stessa borghesia che aveva ucciso la speranza dei cileni e come il Cile il Nicaragua tornò nel "cortile di casa" degli Stati Uniti.

Bianca Braccitorsi