www.resistenze.org - popoli resistenti - nicaragua - 08-03-20 - n. 741

Ernesto Cardenal e la rivoluzione sandinista

Tiziano Tussi

04/03/2020

La morte di Ernesto Cardenal (Granada, 20 gennaio 1925 - Managua, 1º marzo 2020) ci rimanda ad un periodo nel quale il Nicaragua ha rappresentato una possibilità sui generis di organizzare una società ed uno stato più equilibrato rispetto agli squilibri che in tutto il mondo il sistema capitalistico fa inghiottire a uomini e donne. Una possibilità che era nata il 19 luglio 1979 con la vittoria del movimento sandinista sull'esercito del dittatore Anastasio Somoza, spalleggiato dagli USA. Una rivoluzione vincente in un mondo ancora diviso in due ampi sistemi e che non doveva e non avrebbe potuto, stando alle tattiche dei repressori interni ed esterni, avverarsi. Ma avvenne e i tentativi di farlo terminare furono continui negli anni successivi.

Un'altra anomalia, oltre a quella della sua esistenza, era che questo tentativo si avvaleva di rapporti interni quantomeno insoliti. I cristiani, anche preti cristiani, appoggiavano e lavoravano attivamente in quel nuovo governo, che vedeva ai vertici ministri politicamente troppo sospetti di comunismo, che non corrispondeva al vero, nella sua forma storica, ma comunque troppo propensi ad un atteggiamento di sfida di classe verso il gigante statunitense. I preti ministri furono quattro, tra i più esposti, entrarono come responsabili di aree significative in quel governo.

Ernesto Cardenal quale ministro della Cultura sino al 1987. Anche il fratello Fernando fu ministro dell'Educazione, anche lui prete gesuita, anche lui sospeso a divinis da papa Giovanni Paolo II ed anche lui riammesso all'ordine nel 1997. Molto famosa è la foto del papa polacco che nel 1983, all'aeroporto di Managua indica con il dito indice teso della mano destra proprio Ernesto Cardenal, e lancia una reprimenda che poi toccherà anche agli altri preti impegnati nel governo sandinista, a rientrare docili nella chiesa istituzionale, allora retta dall'arcivescovo Obando y Bravo, e di smetterla con l'impegno politico.

Cardenal spesso ripeterà di "essere poeta, sacerdote y revolucionario". E questi tre impegni riassumevano tutta la sua vita. La sua importanza come poeta è innegabile ed i premi che ha avuto, riconoscimenti internazionali lo stanno a dimostrare. Una poetica che mette assieme gli elementi più decisamente pauperistici di contropotere ad ogni livello, di ogni fonte, con l'impegno preciso di lottare per arrivarvi.

In un'intervista dell'8 settembre 2004 rispondendo alle domande finali mette assieme San Giovanni della Croce e Marx. Il primo è un mistico spagnolo del XVI secolo che ha fondato l'ordine dei carmelitani scalzi, sulla scia dei movimenti pauperistici dei secoli precedenti, san Francesco ad esempio, ed il secondo incarna per Cardenal il tipo dell'impegno reale e materiale per raggiungere risultati di vera umanizzazione del vivere sociale.

Per Cardenal la poesia deve farsi carne. Come se ricchezza di spirito e povertà di beni potessero salvare l'uomo dalle brutture del capitalismo e di ogni altro atto che voglia raggiungere beni terreni che distruggono l'etica dell'uomo. In soldoni: avere od essere (Erich Fromm). Un uomo forse ricco di beni ma senza la ricchezza spirituale che si raggiunge con il donarsi agli altri. Nella versione religiosa così come nella versione politica. Un punto di incontro tra cristianesimo e marxismo.

Così almeno la vedevano i preti che si sono imbarcati nella rivoluzione sandinista alla fine degli anni Settanta del secolo scorso. E per questo mettevano anche il proprio corpo in gioco. In un vecchio articolo dell'Unità del 28 luglio 1985 si può trovare un trafiletto, nelle pagine degli internazionali, che ricorda che padre Miguel D'Escoto, prete e ministro degli Esteri, stava digiunando a Managua da settimane, contro le minacce degli Usa in appoggio alla Contra, guerriglieri controrivoluzionari anti-sandinisti. Caso che sollevò scalpore in tutto il mondo. Ed anche se non tutti a Managua credevano al digiuno questi avvenne sul serio. Io ero là in quel periodo e mi ricordo affermazioni di cittadini nicaraguensi che mettevano in dubbio il digiuno perché il padre era "gordo", grasso, e perciò non poteva digiunare. Evidentemente non tutti appoggiavano i sandinisti che però in quel frangente ancora godevano di largo seguito fra la popolazione e anche fra i credenti. Ne facevano prova i preti sandinisti-

Vorrei ricordarne anche un altro che operò nel nostro Paese e che come Cardenal scriveva poemi sui poveri, sugli ultimi, Bernardino Formiconi. Morto in questi ultimi anni, il 29 dicembre 2018, ha svolto per decenni un'attività di sostegno al suo Paese stando nel nostro.

Certo, dopo anni di avvenimenti politici diversi ora il Nicaragua è decisamente diverso da quello degli anni '80. Ora si tratta di questioni che attengono alla pura lotta per il potere. Si è perso lo spirito di Solentiname, il luogo dove Cardenal, in un isolotto sul lago Nicaragua, aveva avviata una scuola d'arte per i poveri e con i poveri. Si è perso il senso del Nicaragua come "pioniera della Terra Nuova", dal titolo di un lungo poema di Bernardino Formiconi. Ma quel sorriso di Cardenal inginocchiato davanti al papa Wojtyla, il 4 marzo 1983, rimarrà impresso negli occhi di chi la guarda.

Cardenal è in ginocchio ma sorride, sorride al papa, alla repressione papale, che sembra proprio non toccarlo in fondo. Del resto, Gioconda Belli, di cui ricordo il libro La donna abitata, (1988) sul periodo sandinista, parlando di Cardenal ha ricordato proprio questa sua indipendenza e la vicinanza che come prete egli riteneva di avere da spartire, in ultima analisi, con Dio.

Diceva Cardenal: "Nessuno poteva saziarmi, solo Dio. Cosa che Dio sapeva però io no." Ma mentre Dio aspettava Cardenal questi lo aveva servito, con i poveri, contro i repressori per tutta la vita. Questo ci piace e ci accomuna a lui nell'umanità che il tentativo sandinista di liberazione dell'uomo ha messo in campo sul finire del secolo scorso.


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