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Jenin, l'inferno è in Palestina
La città martire Edifici in macerie, centinaia i morti nel campo profughi  che resiste da cinque giorni bombardato da terra e dal cielo: uccisi ieri 13  soldati israeliani.
Sarebbero centinaia le vittime dell'assedio israeliano, giunto ormai al  quinto giorno, del campo profughi di jenin, un chilometro quadrato di  poverissime casupole tirate su alla meglio dai profughi palestinesi cacciati  nel `48 dalla regione di Haifa. Ottanta carri armati, elicotteri apache e  centinaia e centinaia di soldati rovesciano da giorni,senza sosta, bombe e  proiettili sugli abitanti decisi a non arrendersi. A costo di essere sepolti  sotto le macerie delle casupole buttate giù da enormi bulldozer corazzati.  Il campo di Jenin, che ormai sulla stampa israeliana viene definito come una  vera e propria «Masada palestinese», è da tempo noto come una roccaforte  della resistenza e soprattutto della sua autonomia politica, anche nei  confronti della stessa Anp. Come lo era nel 1976 il campo di Tal al Zaatar a  Beirut ovest caduto dopo oltre 50 giorni di assedio da parte dei falangisti  alleati da Israele e protetti dalla Siria. Di fronte alla resistenza dei  profughi, da sempre avanguardia del movimento di liberazione palestinese, il  capo di stato maggiore dell'esercito israeliano Shaul Mofaz e il ministro  della difesa laburista Benyamin Ben Eliezer, presenti entrambi sul posto per  dirigere le operazioni, hanno dato via libera ad un fuoco indiscriminato  contro il campo. Secondo fonti palestinesi vi sarebbero centinaia di morti.  E a questo proposito anche da parte israeliana comincia a circolare negli  ambienti governativi una certa inquietudine, non certo per le vittime  palestinesi ma perché, come avrebbe dichiarato Shimon Peres al quotidiano  liberal israeliano Haaretz, quando si conoscerà il numero dei morti  l'attacco al campo «di terroristi ben armati» potrebbe essere presentato  all'opinione pubblica internazionale come una strage. La situazione dei  sopravvissuti, come riportiamo in questa pagina di testimonianze da Jenin,  sarebbe oltre la tragedia. Senza cibo, elettricità, acqua, senza alcuna  possibilità di muoversi per non essere colpiti dai cecchini israeliani la  popolazione si rifiuta di uscire dal campo. I combattenti all'interno del  campo stanno mostrando, secondo la stampa israeliana, una determinazione  inaspettata. Assai diversa da quella dei vari Jibril Rajoub, il capo del  servizi di sicurezza, preoccupato più per i suoi affari che della sorte del  suo popolo. Da venerdμ scorso, nonostante la sproporzione delle forze, a  Jenin sono stati uccisi 22 soldati della riserva mentre decine sono stati  feriti. Solamente ieri mattina per le vie del campo sono stati uccisi  tredici soldati israeliani e nove sono stati feriti. Un reparto era entrato  in un vicolo del campo quando improvvisamente sono esplose numerose cariche  di dinamite e in quel momento dai tetti vicini è partito un fitto fuoco di  fucileria. La miccia sarebbe stata accesa da un Pietro Micca palestinese  rimasto nei sotterranei di una delle case. Quando è intervenuto un altro  reparto israeliano altre cariche collocate lungo la strada sono epslose e il  fuoco dei palestinesi è ripreso intensissimo provocando altri sette feriti.  A questo punto l'esercito israeliano ha chiesto una tregua per ricuperare i  corpi dei caduti. Ma anche durante la tregua ha continuato ad impedire alle  ambulanze e ai convogli umanitari di avvicinarsi al campo. Tra questi un  convoglio dell'Unrwa, l'organismo per il welfare dei profughi. Bloccati  anche alcune centinaia di palestinesi con passaporto israeliano che insieme  ad alcuni deputati arabi e a gruppi di pacifisti israeliani aveva portato  medicinali e generi alimentari per la popolazione assediata da cinque  giorni. Il convoglio è stato prima attaccato da gruppi di coloni che  lanciavano sassi al grido di «amici dei terroristi» «via gli arabi» e poi  fermato dall'esercito. A questo punto un uomo, forse un colono, in divisa da  militare ha esploso alcuni colpi di fucile contro i manifestanti provocando  due feriti: un ragazzo e una donna. Commentando la morte dei tredici soldati  il generale Yitzhak Eytan, comandante del fronte centrale, ha sostenuto che  la battaglia e l'assedio al campo di Jenin continueranno fino a quando i  difensori non si saranno arresi o saranno stati uccisi. Di diverso avviso il  movimento pacifista Gush Shalom, che in un suo comunicato ha sostenuto ieri  in serata: «A Jenin è stata sepolta Masada» e ancora «il mito dell'eroismo e  del sacrificio ebraico è stato sepolto dalla montagna di morti dei  combattenti palestinesi per la libertà... Generazioni intere saliranno verso  il campo per chinare la testa ed elargire onore e rispetto alla memoria di  questi combattenti».
Di STEFANO CHIARINI