www.resistenze.org - popoli resistenti - palestina - 20-01-10 - n. 302

Il muro egiziano e il diritto internazionale
 
di Kutaiba Younis
 
Al momento l’unica replica del governo egiziano alle critiche che gli piovono addosso è che l’Egitto ha il diritto di esercitare la propria sovranità per impedire le infiltrazioni di terroristi e lo spaccio di droghe dalla Striscia di Gaza. A parte l’offesa che si reca alla popolazione di Gaza in quanto viene assimilata o ridotta ad una banda di spacciatori - o, come sostengono a Tel Aviv, a terroristi - i rappresentanti di questo governo sostengono inoltre che il muro in costruzione serve ad impedire un’eventuale invasione palestinese dell’Egitto. Oltre ad essere ridicola, è strano questo stravolgimento dei fatti operato dai politici egiziani. In 61 anni i palestinesi non hanno mai dimostrato o minacciato l’Egitto. Essi, tutt’al contrario, durante l’ultima aggressione israeliana alla Striscia di Gaza, hanno preferito piuttosto rimanere nelle loro case sotto i bombardamenti che ripetere l’esodo della Nakba. Quando hanno abbattuto la recinzione di frontiera che li separa dall’Egitto un anno fa, lo hanno fatto esclusivamente per motivi di approvvigionamento, compiuto il quale sono tornati alle loro case.
 
Ciò confuta radicalmente la tesi egiziana: non ci sono state manifestazioni di ostilità malgrado la partecipazione attiva dell’Egitto all’assedio del territorio palestinese, o almeno non risultano esserci stati eventi di conflitto tali da giustificare questo allarmismo egiziano. La tesi ufficiale egiziana è falsa; essa nasconde altri scopi che un governo mediorientale non può dichiarare. Lo scopo celato è quello di stringere il cappio e di intensificare l’assedio.
 
A questo proposito vanno ricordate le dichiarazioni della Rice alla vigilia e durante l’aggressione israeliana di un anno fa, quando esigeva dall’Egitto un maggior controllo della propria frontiera con Gaza per impedire il contrabbando e l’uso dei tunnel. L’Egitto come replica ha farfugliato qualcosa sull’esercizio della sovranità e sulla non ingerenza negli affari interni dello stato da parte degli Usa. È stato un mormorio ad uso e consumo della stampa e dell’opinione pubblica perché, subito dopo, il suo appoggio ai bombardamenti israeliani e la chiusura della frontiera di fronte ad eventuali fuggiaschi palestinesi sono stati atti palesi. Anche in quell’occasione, come in questa, il governo egiziano è stato soggetto ad aspre critiche. Nervosismo e disorientamento hanno caratterizzato tutti i discorsi ufficiali e le repliche del regime a queste critiche. La volgarità del linguaggio e del senso di tali repliche ha messo ancor più in difficoltà il governo egiziano e ha denudato la funzione regionale ritagliatagli da Usa e Israele.
 
Ma perché, allora, l’Egitto di Mubarak insiste sul mantenimento di questa linea, malgrado il costo in termini politici che ciò comporta?
 
Un’attenta lettura degli accordi di pace con Israele del 1978 e gli accordi successivi dimostra che l’Egitto aveva già rinunciato alla propria piena sovranità nel Sinai. Il governo egiziano esercita un potere amministrativo e non ha facoltà di stilare programmi di sviluppo né economici, né urbani e demografici senza l’avallo israeliano e degli Usa. Gli egiziani possono, in accordo con le parti contraenti, mantenere una forza di polizia per il mantenimento dell’ordine. Il numero e l’equipaggiamento di tale forza è soggetto a controlli; la funzione di queste forze è volta a garantire la sicurezza dello stato sionista. Ciò è venuto alla luce quando l’Egitto chiese l’aumento della propria presenza nel Sinai per adempiere al dettato della Rice, nel marzo 2009.
 
Da questo punto di vista, vediamo che il governo egiziano è imbrigliato a combattere chiunque rechi minaccia agli israeliani (anche in termini culturali e commerciali). Questo chiarisce la repressione del regime egiziano contro la propria popolazione, contraria alla normalizzazione dei rapporti con Israele, e chiarisce la persecuzione da parte dello stesso regime della resistenza palestinese e dei rifugiati africani.
 
L’Egitto col passare degli anni ha continuato con la progressiva rinuncia alla sua sovranità nazionale e alla sua autonomia politica. Isolato nel mondo arabo e islamico per quasi dieci a causa dell’iniziativa - più che discutibile - di Sadat (la visita a Gerusalemme nel 1978 e successivi accordi di “pace”), si è gettato nelle braccia degli Usa e dell’occidente in generale. Sadat e Mubarak, hanno creduto che questo avrebbe giovato al paese. Invece l’Egitto è diventato dipendente dagli aiuti statunitensi che, considerando il bisogno dell’Egitto, costituiscono briciole. Inoltre, con questi aiuti gli Usa esercitano un condizionamento sulla politica in Egitto. Tale dipendenza porta l’Egitto a svendere il proprio gas ed affittare migliaia di ettari di terreno (collaborazione col centro Peres per “sviluppo” agricolo del deserto orientale) a Israele e a spaccare il mondo arabo in moderati e intransigenti.
 
Chiarito, a questo punto, che la costruzione del muro della vergogna egiziano non serve a proteggere l’integrità politica e territoriale dell’Egitto, occorre chiarire l’illegittimità e illegalità dello stesso.
 
Il diritto internazionale e tutte le convenzioni danno agli Stati il potere di esercitare la propria sovranità sul proprio territorio. Tale diritto offre ai governi la libera scelta del cosa e del come fare. Ma esso esige nello stesso tempo che ciò non arrechi danno di nessun tipo agli Stati, ai popoli e alle entità limitrofe in alcun modo (come per esempio la deviazione di corsi d’acqua o la sottrazione di aliquote d’acque ad altri stati/nazioni, impedimenti di sorvolo dello spazio aereo/terrestre o navale ad altri stati tagliandoli fuori dal mondo). Non ci possiamo limitare solo al diritto umanitario, citando il quale troviamo: “tutti i popoli hanno, per soddisfare i propri bisogni e necessità, il diritto al pieno sfruttamento delle proprie risorse naturali ed i propri mezzi senza intaccare i principi della reciprocità e cooperazione economici riportati nel diritto internazionale, e non è permesso in nessun caso sottrarre ad una popolazione i mezzi o beni primari necessari per la vita”. Ovvero, tutto quel che danneggia la vita e lo sviluppo di una popolazione viene considerato uno strappo ai diritti sociali ed economici. Questa è una discussione iniziata nel 1904 all’Aja e mira a valutare i danni che possono essere arrecati ad una popolazione data per effetto di un’azione bellica o di natura ostile, o semplicemente prevaricatrice e prepotente di uno altro Stato/nazione.
 
Quel che accade sul confine dell’Egitto con la Striscia di Gaza non possiamo considerarlo un assedio in linea con leggi internazionali, ma è un’azione di prepotenza mondiale e regionale che né l’Onu né la Ue o la Lega Araba hanno mai cercato o usato di “legalizzare”. Il peso e le responsabilità ricadono tutte sul governo egiziano in quanto è colui che sta portando avanti questa azione. Non sto a ripetere qui che la chiusura dell’unica porta di fronte al passaggio di genere alimentari e di prima necessità, come le medicine, è una punizione collettiva per il raggiungimento di scopi politici. Va comunque ribadito che coloro che attuano un’azione del genere devono essere sottoposti al giudizio dei tribunali secondo il diritto internazionale. Quest’azione non va paragonata neanche con l’embargo economico contro gli Stati o all’assedio di un dato territorio per impedire che si fornisca di armi.
 
Era chiaro fin dall’inizio che lo scopo della chiusura dei valichi della Striscia di Gaza è quello di fare una pressione sull’intera popolazione per influenzare i governanti “militari”, Hamas. Ciò vuol dire che l’Egitto sta portando avanti una punizione collettiva della popolazione, che è protetta dal diritto e dalle convenzioni internazionali, per cose o “colpe” portate avanti dalla resistenza. In altre parole, si sta buttando la popolazione in mezzo a un conflitto politico e militare che non la riguarda, fatto questo vietato a sua volta dalle leggi internazionali.
 
Lo scopo di un assedio è di imporre la resa. Durante il processo di Norimberga, la corte ha sancito che l’assedio non viene considerato legittimo a meno che non venga effettuato sul suolo del territorio interessato e non attorno di esso.
 
Nel 1956 la tesi degli Usa sulla definizione del concetto di assedio fu rigettata dall’assemblea dei diritti dell’uomo e dalla commissione diritti umani dell’Onu. Secondo la tesi dei nordamericani l’assedio è legittimo quando vi sono scopi politici o militari ben definiti come obiettivi. Essi hanno considerato non perseguibile il danno (lieve) che viene arrecato alla popolazione conseguente all’assedio (quel che oggi viene chiamato impropriamente danno collaterale). Una volta raggiunti gli obiettivi politici o militari cessa l’assedio. L’assemblea e la commissione diritti umani hanno considerato che è lo stato umanitario quello che debba essere il parametro per decretare la fine dell’azione d’assedio, e non certo gli obiettivi militari e politici. Comunque, l’assedio secondo tale commissione deve avere una limitata durata al termine della quale va revocata anche senza il raggiungimento degli obiettivi che stanno alla base della sua decretazione.
 
L’Egitto, quando ha deciso prima la chiusura della frontiera e poi la costruzione del muro, non ha dichiarato di voler imporre la resa ai “militari” palestinesi: infatti non è in atto uno stato di chiara belligeranza o conflitto tra le due parti. Lo stesso Egitto non ha cercato di preservare la popolazione dalla sua azione di chiusura della frontiera permettendo la libera o facilitata circolazione della gente e della merce e impedendo tale passaggio ai “governanti militari” e alle armi.
 
Secondo il diritto militare britannico lo stato assediante deve garantire l’approvvigionamento e proteggere la popolazione civile. È tenuto, inoltre, a risarcire la popolazione danneggiata. Ci sono articoli nel diritto internazionale che precisano che l’assedio deve riguardare il ceto militare e per un periodo limitato di tempo per imporre loro la resa.
 
Non possiamo considerare, altresì, l’azione egiziana un embargo. Dal punto di vista della responsabilità penale nel diritto internazionale essa sta su un livello superiore alla classica definizione dell’embargo (non vi è chiara lista di beni od oggetti vietati, inoltre vi è una restrizione pesante alla circolazione di persone e beni primari). Assedio ed embargo si somigliano negli obiettivi perché mirano a impedire all’avversario di accrescere il suo armamentario secondo la convenzione di Ginevra del 8 giugno 1977.
 
Attraverso i tunnel che collegano la Striscia di Gaza con l’Egitto passano indubbiamente anche le armi. Ma il grosso del passaggio è per i generi alimentari e di prima necessità. Si stima che l’83% dei beni in circolazione nella Striscia di Gaza sia di origine egiziana, molti dei quali passano attraverso il contrabbando. Questo contrabbando avviene grazie alla chiusura della frontiera, quindi l’impedimento del passaggio “legale” di tale merce. Per non costringere la popolazione a questa azione “illegale” l’Egitto è tenuto ad aprire la propria frontiera e facilitare l’approvvigionamento della popolazione. Con la scusa del contrabbando di armi l’Egitto mira, come logico dedurre, allo strangolamento della popolazione. Il muro ha, quindi, la funzione di indurire l’assedio.
 
Secondo il diritto internazionale questa azione è oggetto di denuncia e da perseguirne i responsabili.
 
Decretare l’embargo e l’assedio è facoltà delle istituzioni internazionali deputati a farlo e non rientra assolutamente nei diritti o poteri dei singoli stati. Secondo lo statuto dell’Onu sono solo il Consiglio di sicurezza o le istituzioni regionali, la Lega Araba in questo caso, tra gli organismi ad avere la facoltà di decretare lo stato d’assedio e/o embargo alla Striscia di Gaza. Secondo alcuni anche la UE o L’unione Africana ed organismi simili rientrano nella definizione di organismi aventi questo potere. Queste azioni sono sottoposte ad un rigido controllo “legale” e secondo lo Statuto dell’Onu, all’art.41, l’embargo economico e l’assedio vengono considerati sostitutivi all’azione militare e vengono decretate solamente quando lo Stato sottoposto a tale sanzione è considerato minaccia alla sicurezza e stabilità di un altro Stato, art.39. ciò vuol dire che quel che l’Egitto intende costruire e portare avanti non ha ottenuto il via libera dall’Onu e neanche da un ente regionale. Ma la striscia di Gaza non ha mai costituito una minaccia all’Egitto, quindi l’azione egiziana manca anche di motivazioni validi dal punto della legalità internazionale.
 
 Il solo aver svelato la notizia della costruzione del muro egiziano ha portato i prezzi delle merci nella Striscia di Gaza alle stelle. L’aumento è inabbordabile per la stragrande maggioranza della popolazione, dove l’80%, secondo stime dell’UNRWA, campa grazie agli aiuti internazionali. Ciò significa privare questa fetta di popolazione di beni di prima necessità
 
Interrare il muro comporta delle crepature nel terreno facilitando le infiltrazioni delle acque salate del mare nel miglior dei casi o del loro inquinamento nel peggiore. In entrambi i casi le acque diventando inutilizzabili. Questo in una regione dove si registra una penuria di acqua è senza altro criminale. Oltre tutto il danno potrebbe essere permanente per entrambe i versanti della frontiera.
 
Come se questo non bastasse, l’Egitto sta accompagnando il muro d’acciaio con dei tubi che portando l’acqua del mare per rilasciarla in prossimità del tracciato della frontiera per rendere il terreno più friabile ed impedire lo scavo dei tunnel. Non si tratta solo di un pericolo di infiltrazione naturale di acqua salata nelle falde, ma sembra chiaro che ciò è voluto vista l’intenzione di estendere questa rete di tubi.
 
L’Egitto infrange il diritto internazionale e le convenzioni internazionali per la protezione dei civili in tempi di guerra. Esso lo infrange decretando la limitazione della circolazione dei beni di prima necessità, lo infrange per la limitazione che ha decretato alla circolazione delle persone e, infine, lo infrange perché non assicura i presupposti alla vita dignitosa dei cittadini nella Striscia di Gaza.
 
Come da legge, l’Egitto come paese confinante ha l’obbligo a soccorrere le popolazioni di un territorio in uno stato di guerra o di conflitto. Con il muro non solo non viene a questo obbligo, ma al contrario agisce in senso opposto.
 
Inoltre, secondo il principio di Martinez del 1899 evoluto in una base/principio di lavoro finché non vengono emanati principi completi per le regole/leggi della guerra, “le parti contraenti e firmatarie di questi accordi o principi hanno l’obbligo di mettere i popoli sotto la protezione dei principi del diritto internazionale, o sotto quei principi che sono il risultato delle relazioni e cooperazione tra gli Stati sviluppati o il frutto delle leggi umanitarie e del dettato della coscienza e dell’opinione pubblica”
 
Questo è il principio generale che impone agli Stati la sua piena assimilazione in qualsiasi trattato internazionale o legge nazionale resi necessari durante una guerra o ha semplicemente accompagnato uno stato di guerra. Un principio tutt’ora in vigore ma viene disatteso sistematicamente da tutti, in questo caso anche dall’Egitto.
 
 

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