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Barakat: Sul "conflitto" interno palestinese

Khaled Barakat | samidoun.net
Traduzione da palestinarossa.it

07/06/2020

Ci stiamo dirigendo verso un "conflitto" interno palestinese o quella che alcuni chiamerebbero una "guerra civile"?

Questa domanda viene strumentalmente utilizzata da qualcuno per i propri meschini scopi, posta di fronte al popolo palestinese al fine di intimidire e spaventare. Qualcuno che, avendo da tempo rinunciato alla Resistenza, vorrebbe che il nostro popolo accetti le condizioni del nemico sionista e lo "status quo" senza affrontare la crisi insita nella situazione interna palestinese. Tutto questo con il pretesto della "dedizione all'unità nazionale".

D'altra parte ci sono quelli che vorrebbero spingere il nostro popolo in una battaglia sbagliata, costringendolo a mescolare mele con arance, fino a quando i loro piedi non verranno trascinati e macinati nel mulino dell'autodistruzione.

In entrambi i casi saremmo condotti in un campo minato che minaccia una sconfitta certa e un progetto che serve solo il nemico, i suoi alleati e i suoi agenti.

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Tuttavia la domanda di cui sopra resta legittima se considerata sull'esperienza storica del popolo palestinese e se affrontata seriamente e intimamente nel suo naturale contesto.

I popoli e i movimenti di liberazione che affrontano il colonialismo hanno spesso vissuto conflitti interni o guerre civili. Non sono mai arrivate all'improvviso o senza l'accumulo di condizioni pregresse. Non si è mai raggiunto il punto di rottura tra avversari politici perché "ispirati" da un'ulteriore conflitto che si aggiunge al tormento quotidiano per mano del colonizzatore. Infatti la maggioranza dei popoli cerca di assestarsi in uno stato naturale di complicità interna, preferendo gestire le proprie differenze secondo meccanismi pacifici e democratici, se ci sono le condizioni per farlo. Tuttavia i conflitti interni in ebollizione talvolta portano all'impossibilità di convivenza tra programmi, classi e forze sociali che diventano incompatibili e le contraddizioni raggiungono un punto di non ritorno.

Nonostante le specificità contestuali di ogni popolo, area e nazione, gli scritti del compagno martire Mahdi Amel sulla guerra civile in Libano rimangono un importante riferimento storico ed intellettuale per comprendere l'essenza dei conflitti settari, delle guerre civili, delle loro origini e il ruolo delle forze locali ed esterne. Mahdi Amel ha voluto sottolineare che questi eventi vanno oltre la forma di un conflitto tra leader, fazioni o tribù. Esiste una classe dirigente che raccoglie tutti i benefici del conflitto ed è disposta a sacrificare vite umane.

C'è un altro esempio, sempre dal Libano, che può sembrare abbastanza distante dalla nostra comprensione di guerra civile: quando discutiamo del ruolo dell'"Esercito del Libano del Sud", i collaboratori dell'occupazione israeliana e i suoi agenti nella "regione della cintura di sicurezza". La Resistenza li trattava come parte integrante delle forze nemiche e quindi bersagli legittimi del fuoco della Resistenza. La presenza del nemico sionista nella battaglia fece apparire questo conflitto come se fosse completamente al di fuori dell'ambito dello scontro interno in Libano. Ciò ha facilitato la missione della Resistenza di affrontare la battaglia risolutamente, raggiungendo la vittoria e infine la liberazione.

È necessario esaminare le esperienze dei movimenti dei popoli e le lotte di liberazione in Cina, Vietnam, Cuba, Sudan, Filippine, Colombia, Irlanda, Sudafrica e altri, traendo esperienze e rilevando somiglianze e differenze. Lo stesso vale per l'esperienza del popolo palestinese, i suoi conflitti interni e il modo in cui c'erano (e ci sono) forze palestinesi che ostacolavano il progresso della loro lotta di liberazione nazionale dal momento in cui le navi da guerra di Napoleone erano ancorate davanti alle mura di Akka nel 1799.

Forse oggi si deve prestare maggiore attenzione alla nostra interpretazione del significato di "conflitto interno" o "guerra civile". Questo tipo di guerra è, nella maggior parte dei casi, inseparabile dal conflitto in una regione o area. Il caso palestinese non fa eccezione. Inoltre le cause dei conflitti interni sono sempre presenti e i loro elementi possono essere scoperti scavando sotto le ceneri. E questa guerra non significa sempre conflitto politico violento o esplicito. Il conflitto interno è l'incarnazione di una lotta tra blocchi, classi, opzioni politiche e centri di potere. Spesso è uno scontro tra la maggioranza popolare e i sistemi e le strutture fondate dal moderno colonialismo che "consente" loro di governare nella misura consentita dal colonizzatore, decretandone il beneficio. Servono come strumento, arma e scudo, il cui destino è deciso solo da una rivoluzione popolare o dalla sconfitta dello stesso colonizzatore.

Questa è la realtà del conflitto, delle regole che lo sviluppano e le contraddizioni che instaura in ogni società dove una classe stabilisce un regime di oppressione al posto del dialogo, senza considerare il confronto con il nemico esterno la priorità nazionale. Qualsiasi regime che opta per il percorso di abuso, sfruttamento, monopolio, impoverimento ed esclusione - come inerente al sistema capitalista - è un regime della minoranza dominante e il suo rapporto con il popolo alla fine raggiungerà un punto critico, scontrandosi inevitabilmente con la maggioranza popolare che ha perso tutto e ora non ha più nulla da perdere.

Oggi i rivoluzionari nelle Filippine stanno combattendo contro i loro "connazionali" con le armi, ma si rendono conto che stanno combattendo gli strumenti dell'imperialismo e del saccheggio delle corporazioni nel loro paese. Il popolo filippino ha vissuto per 400 anni sotto il giogo del colonizzatore spagnolo, che nel 1898 passo ad un'occupazione americana che persistette quasi 50 anni. Questa realtà dell'egemonia e del dominio degli Stati Uniti persiste fino ai giorni nostri, anche se i meccanismi di egemonia, controllo nominale e sistemi di saccheggio sono variati nel tempo.

Il popolo algerino ricorda come il colonialismo francese abbia istituito le "Brigate Harki", battaglioni armati di algerini fantoccio che hanno servito le forze colonizzatrici francesi commettendo crimini contro il loro stesso popolo. Sembrano una copia fedele delle "Fazioni di pace palestinesi" (gruppi paramilitari fondati dai colonizzatori britannici per annientare la resistenza palestinese negli anni '30 e '40).

Queste cosiddette "fazioni di pace" furono stabilite dalla Gran Bretagna in Palestina, supervisionate dalle forze britanniche e addestrate e armate dall'ufficiale O'Connor a metà degli anni '30. Parteciparono alla soppressione della Grande Rivoluzione Palestinese nel 1936, preludio alla Nakba del 1947-48. Erano guidati da figure di ricche famiglie feudali, con stretti legami con le forze imperialiste e reazionarie della regione, tra cui Fakhri al-Nashashibi, Fakhri Abdul-Hadi e altri, guidati da Ragheb Nashashibi, leader del Partito della Difesa Nazionale. Il generale britannico Charles Tiggart istituì un sistema di sicurezza completo grazie a queste brigate e stabilì centri militari di polizia nelle città e nelle aree di confine conosciute come "composti" (Muqata' in arabo, oggi il nome usato per il palazzo presidenziale dell'Autorità Palestinese nella Ramallah occupata) formando "cinture di sicurezza" per proteggere i coloni sionisti britannici dagli attacchi rivoluzionari. Il collaboratore Fakhri Nashashibi fu assassinato in Iraq nel 1941, mentre Fakhri Abdul-Hadi fu assassinato dai rivoluzionari nel villaggio di Arraba (distretto di Jenin) nel 1943.

Prima della formazione dell'Autorità Palestinese nel 1994, l'occupazione israeliana ha istituito un sistema noto come Rete del Consiglio del Villaggio. Stabilirono anche altre entità con vari nomi e stendardi, tutti utili agli interessi di Israele e al progetto sionista. Tuttavia tutti questi strumenti divennero non più necessari con l'istituzione dell'Autorità Nazionale, di Oslo e dei suoi strumenti. Il colonizzatore lavora sempre per creare una zona cuscinetto o un sistema di mediazione tra se stesso e la popolazione colonizzata attraverso un'autorità locale subordinata.

Gli scontri armati avvenuti tra le forze palestinesi nel 1935 in Giordania e in Libano dopo l'inizio della rivoluzione palestinese negli anni '60, ma anche a Gaza nel 2007, sono tutte manifestazioni che incarnano questo conflitto interno palestinese tra approcci alla lotta, linee politiche, classi e interessi contrastanti. La questione tra lo sceicco Izz al-Din al-Qassam e il leader feudale Ragheb Nashashibi non era "personale" né lo era tra il martire Wadie 'Haddad e il re Saddam Hussein. Chiunque sostiene altrimenti serve solo a promuovere illusioni a beneficio di coloro che cercano di commercializzare risposte rapide e pronte.

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Sì, c'è sempre un conflitto palestinese. Il suo fuoco si attenua e si intensifica in base all'equilibrio delle forze e alla tensione della lotta di classe interna. Questa è stata la norma da quando i leader feudali e la grande borghesia salirono al potere, diventando una manciata di compari, che rappresentavano l'occupazione e il capitale a Ramallah, Amman e Nablus. Indipendentemente dalle cause che hanno portato a questa realtà - che sono innegabilmente importanti e che dovrebbero essere affrontate negli articoli successivi - la verità fondamentale e incrollabile è che esiste un settore palestinese minoritario ma dominante che detiene le corde del processo decisionale politico e lo monopolizza con il potere, grazie al denaro e al sostegno delle famiglie arabe reazionarie, americano ed europeo purché si mantenga il "coordinamento della sicurezza" con l'occupazione. È disposto a commettere crimini politici al fine di difendere i suoi interessi. Queste forze hanno impedito la vittoria, abortito più di una rivolta popolare, svenduto terra e diritti e distrutto i risultati nazionali palestinesi.

Questa guerra non è una guerra tra regioni, tra sette religiose, tra interno ed esterno, tra destra e sinistra, o tra Gaza e Cisgiordania, ma piuttosto è invece una parte naturale del grande conflitto: tra un popolo che sotto occupazione, in esilio e diaspora desidera liberare la propria terra e le forze al servizio del colonizzatore. Fa parte di una più ampia lotta tra la nazione araba e la civiltà che viene schiacciata quotidianamente dall'oceano al Golfo dai progetti delle forze sioniste, imperialiste e reazionarie che cercano di controllare e consumare la ricchezza dei popoli.

La rabbia popolare, che si trova nei campi profughi palestinesi in particolare e nelle fasce più deboli della società, non è dovuta all'"invidia" per coloro che vivono nei palazzi e accumulano ricchezza nelle banche straniere. Questa rabbia è dovuta al fatto che queste fortune si basano sul saccheggio della ricchezza del popolo palestinese, i cui diritti sono stati rubati, saccheggiati e violati per oltre 72 anni.

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Tuttavia, se gli abitanti dei palazzi e i proprietari delle banche hanno la loro autorità e i suoi dispositivi di sicurezza, dove possiamo trovare il potere e l'autorità dei campi e delle classi popolari? Qual è il loro progetto politico alternativo? Quali forze esprimono questa visione oggi?

La terra di Palestina è stata oggetto di negoziati è di proprietà collettiva del popolo palestinese. Le risorse naturali e la ricchezza sono proprietà collettiva. Il gas naturale rubato sotto i mari della Palestina è proprietà collettiva. Anche l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina e le sue istituzioni sono proprietà collettiva, ma sono state confiscate, persino rapite e trasformate in un'impresa privata per una manciata di mercanti che hanno venduto la causa, la terra e il popolo palestinese. La nostra gente si rende conto che la rete di sionisti, collaboratori e ladri, che va da Tel Aviv al Cairo e da Amman a Ramallah, è una rete che saccheggia e svende la loro ricchezza, ed è proprio questa rete che coordina la sicurezza con l'occupazione israeliana e conclude i trattati di resa. Questi includono gli accordi di Camp David tra Egitto e Israele del 1978 e 1979; il trattato Wadi Araba tra Giordania e Israele del 1994; e naturalmente i famigerati accordi di Oslo del 1993 e i loro corollari. Questo stesso settore esclude il 99% del popolo palestinese e proibisce loro di esercitare il loro diritto all'autodeterminazione che segni il destino della loro causa nazionale e della loro volontà libera e popolare.

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Siamo dunque sull'orlo di una guerra civile palestinese?

La verità è che viviamo nel cuore di questo conflitto. Non abbiamo mai lasciato questa contraddizione in corso neanche per un giorno, anche se la sua espressione differisce da uno stadio all'altro, senza assumere sempre la forma di un confronto popolare violento fino al momento presente. Fino a quando il popolo palestinese non riuscirà a liberare la sua voce e a far prevalere la sua volontà nazionale collettiva emancipando le classi popolari, quella frazione arresa e degenerata della classe dominante delle minoranze palestinesi continuerà a fare affari, a svendere i risultati nazionali e i traguardi del popolo, nel nome di quelle stesse persone ma alle loro spalle, senza responsabilità o censura.

Khaled Barakat


Fonte: Samidoun
Questo articolo è stato originariamente pubblicato in arabo su Al-Adab il 31 maggio 2020


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