Putin, l’imperialismo e i comunisti
di Dmitrij Jakushev
http://www.kprf.ru/articles/21530.shtml
Il lungo articolo, di cui proponiamo la traduzione dei passaggi più
significativi, è stato scritto da Dmitrij Jakushev, un intellettuale marxista
russo che milita nel “Partito Comunista Operaio Russo-Partito Rivoluzionario
dei Comunisti”, i cui lavori appaiono frequentemente nel sito “Kommunist.ru”.
Il lavoro di Jakushev è stato ripreso anche dal sito del PCFR, a testimoniare
dell’aspro confronto che si è aperto nel principale partito dei comunisti
russi, dopo la bruciante sconfitta elettorale del 7 dicembre 2003. L’autore
sottopone a critica spietata la linea adottata dal gruppo dirigente del più
importante partito comunista del paese, sollecitando la sinistra russa ad una
radicale revisione dell’approccio nei confronti dello scontro in atto ai
vertici del potere e del ruolo (per Jakushev sostanzialmente positivo) assolto
dal presidente Vladimir Putin nell’attuale fase della storia russa.
M.G.
Questo articolo rappresenta la continuazione e la concretizzazione del tema
proposto nell’articolo “I comunisti rivoluzionari e le elezioni presidenziali”,
pubblicato nel numero 112 del settimanale “Kommunist.ru”. L’autore è
assolutamente convinto che, se non si ha un approccio corretto al triangolo
“Putin-imperialismo-comunisti”, la sinistra russa non avrà alcuna prospettiva:
il che vuol dire che non ci saranno prospettive per la Russia e per i suoi
popoli. Come minimo. Ma tutto potrebbe andare ancora peggio. La disfatta della
sinistra in Russia porrebbe in discussione la prospettiva rivoluzionaria
mondiale, dal momento che anche oggi la Russia, per una serie di ragioni
oggettive, rappresenta uno dei candidati principali (se non l’unico) al ruolo
di “anello debole” dell’imperialismo. Ma perché proprio la Russia? Questo è un
grande tema per una ricerca seria, che non è possibile esaurire in un solo
articolo. Ma è comunque possibile sviluppare alcune riflessioni che indichino
la direzione di questa ricerca.
Con l’apparizione, all’inizio del XX secolo dell’imperialismo, la Russia si
trovava in una posizione in qualche modo intermedia, essendo da un lato non
sufficientemente forte perché le fosse
permesso di sedere alla stessa tavola dell’imperialismo, dall’altro,
troppo forte per essere semplicemente relegata nel terzo mondo, tra coloro che
venivano dominati dalle grandi nazioni. E’ possibile affermare che tale
posizione intermedia ha anche reso la Russia un “anello debole”,
particolarmente esposto alle tempeste rivoluzionarie. Oggi, dopo la sconfitta
della rivoluzione, la Russia è venuta nuovamente a trovarsi in questa posizione
intermedia. Solo adesso si aspira sempre più intensamente a spingerla verso il
terzo mondo, nel ruolo di colonia e di appendice di materie prime
dell’imperialismo. Ma decine di milioni di russi non riescono a rassegnarsi
all’idea che la Russia è solo un paese di terzo rango... Il socialismo ha vinto
inizialmente proprio in Russia e non certo casualmente. Esisteva una necessità
storica, che fu realizzata dai bolscevichi. Tra le grandi nazioni, la Russia
sembrava essere il “fratello minore”…Oggi la stessa necessità storica pone di
nuovo la Russia nella posizione di “anello debole” e a noi spetta ancora una
volta il compito di realizzare tale necessità. Ma la necessità non significa
inevitabilità. Il successo rimane incerto. La responsabilità è enorme.
E allora occorre dire che la sinistra russa non è certo all’altezza del
compito. La sciagura più grave della nostra sinistra è dovuta al fatto che essa
non riesce a vedere la questione nella sua interezza, a comprendere la totalità
e che, di conseguenza, assolutizza la parzialità. E quando non sei in grado di
vedere la totalità, allora non riesci assolutamente a comprendere la storia in
quanto processo unitario.
(…)
Per questa ragione, non è corretto guardare all’attuale situazione politica in
Russia e nel mondo, separando un contesto dall’altro e al di fuori da un comune
processo storico unitario, di cui tale situazione è il risultato. In caso
contrario, si prendono per buone le più ridicole sciocchezze, come quella
dell’imperialismo russo che avrebbe attaccato due volte la Cecenia negli anni
’90. Gli autori di tali stupidaggini proprio non vogliono porsi la domanda: ma
da dove è sbucato l’imperialismo russo negli anni ’90? Se non si dimentica che
nel mondo ci sono dei veri imperialismi, se si ricorda come e quando si è
manifestato l’imperialismo, allora risulta evidente che non esiste un
imperialismo russo neppure oggi, nel 2004. Negli anni ’90, la Russia era un
paese senza un bilancio statale, di fatto senza uno stato unitario, senza
esercito, con un enorme debito estero, che sembrava impossibile restituire, con
regioni che non facevano più riferimento al centro e che addirittura avevano
cominciato ad emettere una propria moneta, con una direzione esterna esercitata
dal FMI, che controllava il budget e tutte le spese del governo centrale. La
guerra in Cecenia rappresentava la continuazione della politica di
annientamento della Russia, in quanto stato indipendente unitario.
Ricordate che all’inizio i banditi di Dudajev, non senza il sostegno dei
“democratici” moscoviti, si impadronirono dell’intera repubblica, che furono
compiuti i “pogrom” e il genocidio dei russi del luogo, che bande armate fino
ai denti scorazzavano per tutto il paese, seminando il terrore fra la
popolazione ed imponendo il “pizzo” non solo ai piccoli imprenditori, ma anche
alle grandi aziende. Il tentativo di riportare l’ordine in Cecenia si concluse
con la disfatta dell’esercito russo affamato, spogliato e demoralizzato, che
era diventato lo zimbello per il mondo intero. Nel ’99, i banditi ringalluzziti
cercarono di infliggere il colpo decisivo alla Russia. E se non ci fosse stato
Putin, non ci sarebbe più la Russia. Non ci sarebbe più un’industria, né la
classe operaia, né ordini del giorno su cui qualche sinistra possa intervenire.
Il sud del paese sarebbe controllato dai banditi e a guardia del petrolio e dei
gasdotti ci sarebbero le truppe della NATO, di cui noi stessi avremmo
sollecitato l’intervento, per tenere sotto custodia gli arsenali nucleari
sparsi per il paese, ormai incapace di esercitare un controllo autonomo del
proprio territorio. Questa non è fantasia, perché quattro anni fa le cose
stavano proprio così.
Forse che il mantenimento dell’unità e dell’indipendenza della Russia, la
fuoruscita dalla situazione in cui essa versava alla fine degli anni ’90, non
rappresentavano un compito di interesse nazionale? Putin si è dedicato a questo
compito e lo ha risolto, agendo in fretta, con decisione ed efficacia. Il
risultato è stato che il paese ha evitato la rovina: è stato soffocato il
separatismo dei governatori, è stato creato un terreno legislativo unitario, è
stata creata una cospicua riserva valutaria, la Russia si è sottratta al giogo
del debito ed è diretta da un governo nazionale e non dagli esperti del FMI.
Putin ha salvato lo stato russo e di questo gli dobbiamo essere molto grati. Lo
stato borghese non è il “male assoluto”. E sebbene noi comunisti siamo
impegnati a demolire lo stato borghese, trasformandolo in democrazia
proletaria, quale autentica espressione del potere del popolo, non siamo
comunque assolutamente interessati a che questo stato borghese scompaia nell’abisso
del separatismo, dell’estremismo religioso, dell’oscurantismo medievale e
dell’imperialismo che sta dietro a tutti questi fenomeni. C’è solo da
rallegrarsi che il popolo si sia raccolto dietro a Putin, come gli ebrei dietro
a Mosè.
Naturalmente, con Putin è stato varato il “Codice del lavoro”, è iniziata la
riforma pensionistica, si sono ridotte l’istruzione e l’assistenza sanitaria
gratuite. Perché Putin è pur sempre un presidente borghese, che non promette a
nessuno il socialismo. E poi, tutto l’attacco di Putin ai diritti sociali fino
ad ora si è limitato alla sanzione giuridica di ciò che è già stato perso “de
facto”, e perciò non viene avvertito dal popolo come una riduzione di diritti.
Ad esempio, negli anni ’90 avevano semplicemente smesso di finanziare la sanità
e l’istruzione: per anni non hanno pagato i salari, non c’erano le
attrezzature, i mezzi per le riparazioni, ecc. Oggi si parla di assicurazione
sanitaria che, nonostante tutto, è pur meglio che mandare tutto alla malora
(dal momento che per i ricchi non cambierebbe nulla, disponendo essi di
cliniche carissime). E se anche Putin fosse un convinto comunista, tuttavia
dovrebbe ugualmente dare alla società delle leggi borghesi, per adattare la
legislazione alla nuova realtà delle cose. E poi non va dimenticato che in
Russia fino ad ora semplicemente non abbiamo avuto un’ala sinistra organizzata,
un forte movimento comunista ed operaio. Ciò significa che nella società non ci
sono sostegni, non diciamo per progetti socialisti, ma neppure per quelli
sociali.
In effetti Putin, in mancanza di autentici e influenti comunisti, rappresenta
il politico più di sinistra nell’attuale Russia, il democratico borghese più
conseguente e onesto. In un contesto diverso tutto potrebbe andare molto
peggio. I progetti più radicali di riforma dei codici del lavoro e della terra,
delle pensioni, della sanità e dell’istruzione sono stati accantonati. E ciò
avviene, sebbene da sinistra non venga praticamente alcuna pressione, sebbene
non scendano in piazza milioni di dimostranti, sebbene non vengano paralizzati
interi settori con scioperi organizzati sull’esempio di quanto avviene in
Europa. In una certa misura, bisogna riconoscere che un ruolo di relativo
contrappeso da sinistra è stato esercitato dal potere stesso. E’ proprio il
potere di Putin che non ha ancora permesso quella privatizzazione di settori
energetici strategici, che rappresenta il sogno dell’oligarchia.
(…) Oggi non ci sono uomini d’affari che diano la rotta al Cremlino, al
contrario di quanto accadeva non molto tempo fa. Nel settore petrolifero non
assistiamo alle risse tra i gruppi per la spartizione della proprietà, ma è
ormai evidente che si sta attuando una politica tesa alla limitazione del ruolo
del capitale straniero in tale ambito strategico e di ripristino del controllo
statale sulle risorse.
E’ una coerente politica democratico-borghese, che crea condizioni migliori per
la lotta dei lavoratori. E se i comunisti hanno l’esigenza di unirsi agli
autentici democratico-borghesi contro la dittatura di tipo “pinochettista”,
essi devono convincersi che tale unità va realizzata con Putin contro le
Khakamada, i Berezovskij, il Comitato 2008, i seguaci di Zjuganov e di Limonov (leader dei nazi-bolscevichi, nota
del traduttore). La democrazia
è qui con Putin, mentre là c’è il ritorno dello strapotere degli oligarchi, con
i loro sanguinari “gorilla”, che imporrebbero al popolo di gelare in città che
non servono a nessuno, di morire di fame, al fine di succhiare dalla Russia
quanto più si può. Il programma dell’opposizione antiputiniana è allora il
programma degli oligarchi e dell’imperialismo, nudo e crudo: la piena apertura
della Russia al capitale occidentale, la privatizzazione dei condotti
energetici, lo scorporo e la privatizzazione di Gazprom, l’instaurazione della
proprietà privata delle risorse strategiche e l’abolizione di qualsiasi
controllo statale sull’estrazione e il trasporto del petrolio, del gas, dei
minerali. Da qui potrebbe derivare anche la radicale risoluzione in senso
liberale delle questioni dei “codici”, della sanità, dell’istruzione, vale a
dire tagli in questi settori fino a trasformarli in merce. Tale programma di
per sé stesso presuppone il ricorso a un suo Pinochet. Per questo oggi la
democrazia è Putin, per quanto paradossale possa sembrare tale affermazione. La
dittatura di tipo “pinochettista” è incarnata dall’opposizione antiputiniana,
in cui oggi sono stati attirati con un ruolo attivo anche i comunisti.
(…) Certo, il carattere borghese della presidenza non permette di esprimere con
coerenza l’autentico interesse nazionale, che coincide con l’interesse del
proletariato. Ricordiamo, a questo proposito, che anche i primi passi di Putin,
diretti alla conservazione dell’unità del paese, hanno sollevato la furiosa
resistenza dei vertici della borghesia russa. Gli attacchi, che si
concentrarono su Putin ai tempi della tragedia del “Kursk” e le lotte attorno a
NTV non avevano precedenti. Ma, in veste di leader borghese, Putin non arrivò
fino al punto di contrapporre al ricatto e alla pressione della grande
borghesia il sostegno popolare, come, ad esempio, sta facendo Chavez. Putin
preferisce appoggiarsi su una parte della classe dominante, legata al grande
capitale statale: Gazprom, Rosneft, Transneft. (…) Naturalmente, una parte
significativa del grande capitale privato non è affatto interessata a che si
affermi un forte stato russo. Per costoro è sicuramente ben più importante
l’appoggio che a loro viene dall’Occidente imperialista, che ha bisogno di
realizzare le condizioni migliori per esportare le risorse naturali: petrolio,
gas, legname, metalli. E tali condizioni si possono ottenere con la
disgregazione della Russia, con la presenza delle truppe della NATO e con
l’instaurazione di un feroce stato di polizia. Il loro programma, concordato
con l’imperialismo, si dovrebbe concretizzare nello sfruttamento coloniale di
quel territorio che una volta si chiamava “Russia”.
Un’altra parte del grande capitale, compreso quello di stato, convenzionalmente
definito “patriottico”, non è del resto disposta a spingersi troppo lontano.
Costoro sognano di essere ammessi nel club degli imperialisti. L’ideologia di
questa parte della borghesia, di interrelazione con l’imperialismo, è stata ben
illustrata da Gleb Pavlovskij in un articolo pubblicato in “Russkij Zhurnal”.
“Oggi il compito di qualsiasi leader della Russia è quello di mantenere
relazioni amichevoli con gli USA, facendo in modo, allo stesso tempo, di porre
un limite alle improvvisazioni americane, ergendo barriere rappresentate dagli
interessi della società e dello stato. E’ un compito difficile, ma non esito a
dire che Putin, almeno fino ad ora, è riuscito a soddisfarlo. Pur mantenendo
l’amicizia con l’America, egli non le ha permesso di intervenire,
vivisezionandolo, sul nostro processo politico, al contrario di quanto è
avvenuto in Georgia, in Iraq oppure in Ucraina.
Anche se questa minaccia continuerà ad incombere”.
(…) E’ evidente l’incoerenza dell’antimperialismo russo. A fianco di Putin si
schiera una borghesia che è molto interessata ad intrattenere rapporti di
amicizia con gli USA, anche quando l’imperialismo interviene direttamente
contro la Russia, come sta avvenendo nel Caucaso, dove l’imperialismo sostiene
apertamente dei banditi.
Ma la parte “patriottica” della borghesia russa, sebbene desideri l’amicizia
con l’imperialismo, contemporaneamente si trova in una contraddizione
insanabile con esso, dal momento che la realizzazione dei piani imperialistici
in relazione alla Russia, significherebbe la sua fine. Il complesso militare-industriale,
i settori automobilistico e dell’aviazione, l’agricoltura, le banche e le
assicurazioni, il petrolio, il gas e l’atomo controllati dallo stato, tutto ciò
verrebbe messo in ginocchio. Ormai l’imperialismo non può più sganciarsi dalla
Russia, e ciò significa che lo scontro decisivo sarà inevitabile. C’è solo da
sperare che parte dei borghesi “patrioti” - dal momento che non è possibile una
conciliazione con l’imperialismo e che non ci sono le condizioni per batterlo –
realizzi che l’unica via di uscita che ha di fronte è quella di fare
affidamento sul proletariato, risolvendo in modo dialettico la contraddizione.
Qui non c’è possibilità di scelta. La necessità dovrebbe spingere gli elementi
più di buon senso della borghesia nazionale verso il proletariato.
Certamente, tra le vittime potenziali dell’imperialismo non c’è solo la Russia,
ma è proprio lo scontro con la Russia che potrebbe generare una crisi mondiale
di rilievo tale, da preludere alla rivoluzione. I comunisti dovrebbero persino
augurarsi questo scontro.
(…) Alcuni compagni domanderanno perché poi l’imperialismo dovrebbe colonizzare
proprio la Russia, e non la Cina o qualche altro paese. Il fatto è che, nel
caso della Cina, è ancora possibile un’espansione economica, mentre in Russia
tale espansione urta con un mercato interno, che, in modo abbastanza deciso,
non permette la concorrenza. L’imperialismo non può tollerare questo,
soprattutto oggi, nel momento in cui la permanente crisi economica lo obbliga a
realizzare l’espansione a qualsiasi prezzo. La crisi economica rende
l’imperialismo particolarmente aggressivo.
Per quanto riguarda la Russia, la questione si pone senza mezzi termini. La
situazione è mutata negli ultimi anni. Soprattutto dopo l’11 settembre e nel
periodo di preparazione della guerra in Iraq, era sembrato che la Russia, in
qualche modo, potesse fare il suo ingresso nel club dei più forti, utilizzando
le contraddizioni tra i centri imperialistici. Ma oggi è sempre più evidente
che la situazione si è capovolta: non hanno nessuna intenzione di ammettere la
Russia nel loro club.
Gli avvenimenti in Georgia, in Ucraina e nelle altre ex repubbliche sovietiche
mostrano che si è accelerato il processo di separazione dalla Russia, se
pensiamo che fino a non molto tempo fa pareva fossimo in presenza di un unico
aggregato. Non ci vogliono particolari capacità divinatorie per pronosticare
già nell’immediato futuro (uno o due anni) i primi scontri militari della
Russia con l’imperialismo. L’Abkhazia e l’Ossezia del Sud sono repubbliche, dove
la popolazione quasi al completo ha assunto la cittadinanza russa. La Russia
dovrà difendere queste repubbliche dall’esercito georgiano armato dagli
americani. Dopo l’arrivo di Saakashvili la guerra sarà inevitabile. E cosa
succederà in Ucraina se dovesse arrivare al potere Juschenko? Quando si porrà
la questione delle basi NATO in Crimea, ben difficilmente la popolazione locale
accetterà passivamente il fatto compiuto. E se dovesse divampare una rivolta
contro il nuovo potere ucraino e i suoi padroni della NATO, cosa farà la
Russia? Simili sollevazioni potrebbero verificarsi anche in altre parti
dell’Ucraina, particolarmente nell’oriente abitato da russi. Sarà allora in
grado il potere borghese russo di contrapporsi adeguatamente all’aggressione
imperialista? Naturalmente no! E’ evidente che un’efficace resistenza
all’aggressione potrà manifestarla solo un potere popolare, che attraverso
l’esproprio delle proprietà, restituisca le ricchezze al popolo, soffocando con
durezza i tradimenti borghesi. Tale potere dovrà essere in grado, da un lato,
di confrontarsi con la necessaria energia all’imperialismo e ai suoi complici
e, dall’altro dovrà rivolgersi ai popoli del mondo, chiedendo solidarietà e un
intervento deciso contro il sistema capitalista mondiale e la guerra scatenata
dall’imperialismo. Se l’imperialismo dovesse abbattersi sulla Russia, ciò
significherebbe la sua fine, significherebbe la rivoluzione mondiale, che oggi
sembra del tutto improbabile.
La sinistra russa, per potere assolvere adeguatamente al proprio ruolo, deve
fin d’ora definire correttamente la propria posizione. Dal momento che ora si
sta cercando di arruolare la sinistra nel campo imperialista. Circola nella
sinistra una leggenda del genere: “la Russia è una potenza imperialista aggressiva,
Putin è un tiranno. L’essenziale è abbatterlo, restaurando la democrazia”. Di
per sé stessa tale posizione è del tutto falsa, e spinge la sinistra a fare
fronte comune con l’imperialismo. Se la sinistra ha una ragione per criticare
Putin, non è certo perché egli è un tiranno e un imperialista, ma piuttosto
perché egli è un democratico-borghese e, di conseguenza, non può essere un
combattente deciso e determinato contro l’imperialismo. Ma fin dall’inizio
sarebbe stato necessario sostenere Putin contro un’opposizione creata
dall’imperialismo. Per questa ragione è necessario collocarsi alla sinistra di
Putin, mettendo in rilievo la mancanza di coerenza e l’indecisione del suo
antimperialismo, della sua lotta con gli oligarchi; occorre esigere passi più decisi
in difesa degli autentici interessi nazionali; che sono allo stesso tempo gli
interessi di classe del proletariato e gli interessi generali dell’umanità.
Un ruolo di rilievo nello spingere la sinistra nel campo imperialistico viene
svolto da Ilija Ponomariov (responsabile
del settore informatico del PCFR ed esponente di spicco della più giovane
generazione di dirigenti del partito comunista, nota del traduttore), che si è pronunciato apertamente
per l’unità della sinistra con gli oligarchi e per un’opposizione antiputiniana
“di sinistra-destra”: Ecco cosa propone Ponomariov alla sinistra:
“Si deve sottolineare che la posizione del nostro partito rispetto al sistema
di capitalismo oligarchico che si è sviluppato nel paese, è molto dura.
Personalmente ritengo che proprio questa sia la causa della povertà del nostro
popolo e che tutte queste persone, Khodorkovskij, Ciubajs, Berezovskij, Potanin
ed altri, portino una personale responsabilità. Ma perché non capire che
costoro, in questo momento, rappresentano il nostro alleato oggettivo, l’unica
alternativa al Cremlino? Un fattore positivo si riscontra nello svolgimento
della campagna per la presidenza. Una parte significativa dell’opinione
pubblica democratica ha espresso l’intenzione di boicottare le elezioni, e non
solo tra i “democratici” classici, ma anche nella sinistra. Ciò pone le
condizioni per la creazione di un’opposizione “di sinistra-destra”, dall’
“Unione delle forze di destra” (SPS) al “Partito Nazional-Bolscevico” (NBP),
che potrebbe avere delle analogie con il blocco “Kmara” della Georgia” (“La
sinistra ha un’opportunità”, www.kprf.ru).
Questo è il programma concreto che l’imperialismo, per bocca di Ponomariov,
propone alla sinistra russa. E questo programma si sta realizzando a tutti i livelli. Alcuni
esponenti del partito comunista, cercando di giustificare unioni senza
principi, si affannano a convincere il pubblico che Putin avrebbe riunito
attorno a sé tutta la borghesia e che, quindi, tutto ciò che si rivolge contro
Putin è contro il capitalismo. Naturalmente non è così. Parlare di blocco della
borghesia attorno a Putin, in presenza della massiccia pressione che
l’imperialismo sta oggi esercitando sulla Russia e su Putin, è semplicemente
ridicolo. Sarebbe piuttosto il caso di parlare di un blocco della grande
borghesia contro Putin. In sostanza, in questo blocco le sinistre vengono, da
Ponomariov, esplicitamente invitate ad entrare.
(…) Che l’imperialismo abbia comperato la sinistra russa, sarà chiaro a tutti
entro brevissimo tempo. Ma coloro che non si riconoscono in questa opposizione
unitaria “di sinistra-destra” dal SPS al NBP, devono cominciare a riflettere
seriamente su come unirsi allo scopo di creare una vera sinistra.
Traduzione dal russo di Mauro Gemma