da http://left.ru/2008/5/baumgarten174.phtml

traduzione dal russo di Paolo Selmi per www.resistenze.org

 

Il vento soffia, ma mancano le vele: risposta a Jakushev  (seconda parte) - (prima parte)

 

di Anton Baumgarten

 

In pratica sin dal suo inizio il capitalismo della borghesia russa ha assunto un carattere dichiaratamente monopolista. Allo stesso tempo Stato e capitale monopolistico si sono amalgamati in maniera più forte persino di quanto accaduto negli Stati Uniti. Questo è sotto gli occhi di tutti. Tuttavia, il russo è monopolismo dell’ultim’ora: i mercati mondiali da tempo sono stati spartiti fra le multinazionali occidentali e asiatiche. Ai capitalisti russi è impedito l’accesso ai settori più proficui dell’economia occidentale? Significa che hanno bisogno del sostegno di uno Stato forte, con un potere politico e militare sufficiente a «combattere per la giustizia», perché «tutto sia diviso equamente». Quindi, è necessario ricostruire un esercito e una flotta potenti, «unici amici» della Russia.

 

I capitalisti russi investono miliardi in tutto il pianeta, sfruttando gli operai di tre continenti. E chi difenderà lì sul posto i loro capitali? Ecco intervenire il gruppo da battaglia della portaerei «Ammiraglio Kuznecov» con le sue grandi manovre nel Mar Mediterraneo[1]. I nostri capitalisti offrono un’alleanza strategica ai tedeschi e, al fine di indebolire la stretta mortale degli statunitensi, realizzano con loro un oleodotto[2]. Ora però occorre difendere queste infrastrutture, ed ecco levarsi in volo i bombardieri strategici di nuova generazione[3]. Sono ancora misure difensive, al fine di dissuadere gli imperialisti da eventuali attacchi contro la Russia, e i lavoratori devono sostenere il rafforzamento della capacità militare del proprio Paese finché si parla di una indispensabile difesa. Ora però i vertici delle nostre forze armate - borghesi – già iniziano a parlare della necessità di creare cinque o sei portaerei con relativi gruppi da battaglia[4] per «essere presenti negli oceani». A questo noi dobbiamo opporre l’esigenza di costruire non portaerei, ma cinque o sei milioni di appartamenti spaziosi per i lavoratori.

 

Ancora sulla difesa militare vista dai nostri capitalisti: in essi ancora non c’è quella boria che contraddistingue invece gli imperialisti statunitensi ed europei. Tuttavia essi brillano per il loro patriottismo, cantano a piena voce «Den’ Pobedy»[5] e son già pronti a frequentare i primi corsi di «geopolitica» imperialista. Perché non dovrebbero del resto? Anche lo stesso compagno Jakushev sembra riconoscerlo. Ecco cosa scrive:

 

“Allo stesso tempo la borghesia russa può riuscire nel suo intento di essere riconosciuta dall’Occidente come alleato principale ed esponente del campo imperialista nello spazio post-sovietico. Per questo essa è assolutamente disposta a battersi, per provare all’Occidente che in prospettiva potrà appoggiarsi a loro e non a regimi come quello di Juschenko. In questo senso, è possibile anche che il rallentamento dell’ingresso nella Nato di Ucraina e Georgia sia stato un segnale in risposta all’elezione di Medvedev alla presidenza russa.”

 

Si ammette quindi che Medvedev rappresenti un compromesso fra la borghesia russa e l’ultraimperialismo occidentale. Se così fosse, esisterebbe allora per la Russia la possibilità in futuro di “integrarsi” nell’ultraimperialismo in qualità di feudatario regionale. Non è escluso: ciò non dipenderà né dal compagno Jakushev, né dalla redazione di Left.ru, né dalla «banda sinistra»[6] e neppure dal cosiddetto «popolo», ma da cosa decideranno invece gli imperialisti statunitensi, i loro vassalli europei, la burocrazia statale russa e i capitalisti che la attorniano. Dopo aver ammesso però che la Russia può ancora divenire un centro regionale all’interno del sistema dell’ultraimperialismo, l’Autore giunge a una conclusione quantomeno stravagante:

 

“Ciò comporta a sua volta che allo stato attuale è impossibile una nuova guerra mondiale sotto forma di schermaglie fra blocchi imperialisti contrapposti. Le future guerre, sulla falsariga delle aggressioni alla Jugoslavia e all’Iraq, esprimeranno in effetti la repressione del centro imperialista delle ribellioni della periferia. A oggi appare sempre più chiaramente come il mondo sia sotto il «tallone di ferro» dell’imperialismo euro-americano. Tale «tallone di ferro», dittatura assoluta prima non visibile prima di queste guerre, rappresenta la punta più alta non solo dello sviluppo capitalista, ma dello sviluppo umano sotto forma di società divisa in classi di sfruttatori e sfruttati.”

 

Tutto questo non significa niente: anche ammesso che per le «schermaglie fra blocchi imperialisti contrapposti» ne occorrono almeno due, e per il momento ce n’è solo uno, tuttavia la logica dell’Autore non regge. Inizialmente si lamenta che gli arretrati capitalisti russi non possiedono ambizioni internazionali per trarre vantaggio dalla «crisi» e prendersi una fetta di mondo. Subito dopo scrive che effettivamente ci sono delle ambizioni, ma solo a carattere regionale. Per questo motivo, conclude che oggi un conflitto interimperialistico sia impossibile. Dio salvi la logica. Ammesso che oggi sia impossibile, e domani o dopodomani? Cos’è questa «crisi»? E la Cina, l’India, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, il mondo islamico dove li mettiamo? Pure la Cina è sotto il «tallone di ferro»? Perché quest’ultimo non l’ha ancora schiacciata anzi, all’interno del «tallone» stesso, molti oggi cominciano ad aver paura di un rafforzamento del “Paese di Mezzo”[7]? Perché in tutto il mondo si è scatenata la corsa agli armamenti? E se domani gli imperialisti statunitensi ci ripensassero e decidessero che Medvedev si potrebbe anche accontentare del solo Rialto centrale russo[8]? Che faremo allora? Ecco cosa: ci scriveremmo sopra un bel pezzo da tre pagine, dove esporremo in modo così assiomatico nuove verità sul destino dell’umanità. Ma a che pro? Non è forse meglio lasciar stare questi opinabili esercizi di “politologia moscovita”?

 

Sulle macerie di due guerre mondiali, in seguito alla rovina di Germania, Giappone e alleati, fu costruito il sistema dell’ultraimperialismo, ovvero un’alleanza che unisce gerarchicamente grandi e piccoli Paesi imperialisti sotto l’egemonia politica, militare ed economica degli Stati Uniti (USA sull’Europa, Europa sulla Germania). Dopo aver sconfitto l’URSS e distrutto il socialismo in Europa dell’Est, questa alleanza inizia ora a sperimentare sulla propria pelle gli effetti della legge storica dello sviluppo ineguale. Sin dal principio l’ultraimperialismo si è retto su due pilastri: la fobia verso l’URSS e il socialismo e lo strapotere USA. Ora, il primo pilastro è venuto a mancare e, per quanto riguarda il secondo, dal punto di vista economico esso sta scomparendo davanti ai nostri occhi: l’economia unificata dei capitalisti europei non è più succube di quella statunitense e oggi la loro valuta, l’euro, ha messo KO il dollaro nelle contrattazioni. Vediamo ora come si comportano in questa nuova situazione le classi dirigenti dei membri principali dell’alleanza ultraimperialista.

 

Nel corso degli anni ’90 fra gli imperialisti statunitensi si sono via via differenziate due direttrici fondamentali: la prima, che chiameremo “linea Cheney”[9], sostiene che gli USA debbano impiegare il loro potere militare e politico per creare una Pax americana e ottenere l’egemonia sul globo. Questa ala più dura e fascistizzante dell’imperialismo statunitense si poggia sulle antiche alleanze atlantiche, in primo luogo con i cugini britannici[10] e in particolare con la City[11], oltre che sull’alleanza con i sionisti del Likud[12]. Furono loro a ispirare alla dottrina di Stato USA il principio di attacco preventivo a qualsiasi Paese che ostacolasse il cammino delle conquiste della Pax americana. Ciò vale anche per l’Unione Europea. Ovviamente non parliamo in questo caso di un attacco nucleare missilistico, ma di controllo politico ed economico di quella parte di UE che loro chiamano «vecchia Europa». In primo luogo si tratta di Germania e Francia: la borghesia di quei Paesi possiede una grande esperienza di politiche imperialiste autonome ed è in grado di condurre l’Europa su binari propri. In opposizione a questi potenziali concorrenti gli Stati Uniti hanno creato un nuovo cordone sanitario fra «vecchia Europa» e Russia[13]. Sono gli stessi vecchi «Stati limitrofi»[14] di Woodrow Wilson, con cui i diplomatici della Conferenza di pace di Parigi speravano di circondare la Russia sovietica e prevenire l’espandersi dell’«infezione bolscevica»[15]. In Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Bulgaria, Ucraina e Romania gli Stati Uniti hanno messo a comandare le vecchie élite post-naziste, che avevano trovato rifugio oltreoceano dall’Armata Rossa e dai governi popolari: sono i figli e i nipoti degli allora fascisti locali, grande borghesia, collaborazionisti e banderovcy[16]. In Bielorussia soltanto non hanno avuto successo, ma anche lì esiste una rete di spionaggio influente, e la sua vittoria è solo questione di tempo. Il cordone sanitario in Europa dell’Est offre agli Stati Uniti la possibilità di contrastare l’avvicinamento della «vecchia Europa» alla Russia.

 

Questo gruppo di imperialisti statunitensi (“linea Cheney”) è stato al potere negli ultimi otto anni. E ci resterà, se sarà eletto presidente McCain. L’altro gruppo invece professa un imperialismo «democratico». Esso è rimasto scioccato dall’esito catastrofico della politica estera dettata dalla linea Cheney in Medio Oriente, nonché dal peggioramento dei rapporti con Francia e Germania: per questo vuole tornare al vecchio modello di ultraimperialismo, dove gli USA sono sì egemoni, ma non dittatori. Possiamo chiamare questo gruppo di imperialisti “linea Brzezinski”[17], che andrà al potere in caso di vittoria di Barack Obama. Hillary Clinton rappresenta una linea in qualche modo intermedia : imperialisti del tipo “armiamoci e partite”[18].

 

Tutti questi tre gruppi li possiamo trovare in Europa occidentale. La borghesia nazionalista di Francia e Germania vorrebbe liberarsi dalla tutela morbosa dello zio Sam. In un passato non remoto i suoi capi furono Chirac e Schröder. La vittoria della Merkel e di Sarkozy ha comportato una temporanea sconfitta politica dai nazionalisti tedeschi e francesi a tutto vantaggio degli atlantisti e dei loro alleati sionisti. Tuttavia, già nella condotta dimostrata dalla Merkel e nel rifiuto di Sarkozy all’allargamento della NATO a Georgia e Ucraina, possiamo vedere come essi siano stati costretti ad ascoltare le istanze dei propri nazionalisti e capitalisti dubbiosi del nuovo corso in politica estera: per essi infatti il rafforzamento dei legami con la Russia non è solo una necessità economica, ma anche l’unica possibilità di indebolire la dipendenza politica tedesca dagli Stati Uniti e dalla loro rete di alleanze europee, in primis britannici ed Europa dell’Est. Così, esistono fratture nell’ultraimperialismo, e non faranno che approfondirsi. Tuttavia a questo sistema potrebbe allungare la vita uno scontro fra blocchi, qualora per esempio sorgesse una forte alleanza politico militare forte fra Russia e Cina. Anche questo è possibile, così come sono possibili anche altri scenari. Non si possono ad esempio sottovalutare forme di solidarietà su base etnica o culturale. Per noi, materialisti storici, le parole di «politologi» ciarlatani e di sedicenti «esperti» pagati per fare previsioni univoche, lasciano il tempo che trovano.

 

Il nostro obbiettivo non è declinare in tutte le salse gli interessi di questo o quel gruppo di capitalisti e burocrati russi, ma formare la coscienza dei loro nemici di classe e spingere avanti le organizzazioni rivoluzionarie dei lavoratori russi. Ci basti sapere che i capitalisti di ogni Paese, inclusa la lumpenborghesia russa, ci condurranno a un nuovo conflitto mondiale, il quale potrebbe portarci se non alla morte della civiltà, quantomeno a quella di milioni di operai e all’instaurazione di regimi fascisti in tutto il mondo. Solo allora si potrà parlare di «tallone di ferro» e consolare la propria disperata speranza nel «vento della Storia». Farlo ora significa estraniarsi – ed estraniare altri – dalla lotta, significa togliere ogni speranza se non di fermare l’uragano incombente, almeno di andargli incontro su una nave sicura, con un comando esperto e vele robuste.

 

Per costruire una simile nave è di fatto necessaria una buona dose di ottimismo storico, però di natura completamente diversa rispetto a quanto scrive il compagno Jakushev:

 

“La transizione al socialismo, sistema basato sulla proprietà sociale dei mezzi di produzione, rappresenta l’unica alternativa al vicolo cieco in cui il capitalismo si è infilato. Su ciò si fonda l’ottimismo storico dei comunisti, che non muore nemmeno quando la stessa causa del comunismo appare perduta in partenza.”

 

Nulla da eccepire, soltanto il socialismo costituisce l’alternativa di progresso all’imperialismo capitalista. Ciò che non è chiaro è come su questo pensiero si possa «fondare l’ottimismo storico dei comunisti». Chi sta morendo di fame sa bene che l’unica cosa che potrà salvarlo è una pagnotta che non ha: significa forse che, in virtù di questa conoscenza, morirà sì di stenti ma pieno di ottimismo?

 

Ancora, se il compagno Jakushev ripetesse ai nostri comunisti che tengono la testa fra le nuvole: «la vittoria del comunismo è inevitabile perché sì e basta», il suo ottimismo al limite si fonderebbe su di un cieco fideismo dall’aspetto quasi religioso: è comprensibile allora come in quest’ottica il movimento reale del socialismo possa infondere ottimismo all’interno della classe operaia e fra gli altri lavoratori. Se però, secondo l’Autore, «la stessa causa del comunismo appare perduta in partenza», allora non vedo alcun motivo per essere ottimista. Al contrario, esistono tutte le ragioni per il pessimismo più nero e, conseguentemente, non ci rimarrebbe che una corsa affannosa contro «il vento della Storia», che avremmo ormai chiaro da che parte soffi.

 

D’altra parte, nel compagno Jakushev la «disperazione» stranamente si associa al convincimento che «il vento della Storia» soffi laddove ce ne sia bisogno. Siccome però si trova a corto di argomenti, chiama in causa lo scomparso filosofo sovietico Mikhail Lifshic:

 

Il grande marxista sovietico Mikhail Lifshic scrisse nel suo saggio «Il vento della Storia»: “Il più grande patrimonio di questa potenza (il socialismo, N.d.A.) è anzi tutto questa superiorità morale, il vento della storia che soffia verso il comunismo. Questa è la cosa più preziosa, giacché questa forza non la si può né creare né tanto meno comprare. Essa vive di un’esistenza propria, indipendente dagli uomini ma, a sua volta, esige da essi la massima responsabilità”.

 

Chiaramente Lifshic non aveva in mente un mondo in qualche modo ideale, ma quello socialista che allora esisteva per davvero e in cui viveva circa un terzo del genere umano. Si può anche dire non a torto che quel mondo, da un punto di vista astrattamente morale, fosse di gran lunga superiore a quello capitalista. Tuttavia, nell’interpretazione di Jakushev la frase di Lifshic si trasforma in un inno a una pseudo-forza mistica di nome «vento della Storia».

 

“C’è un vento della Storia, indipendente dagli uomini, che condanna la reazione al suo inevitabile destino e non importa se dalla sua parte ci siano governi, parlamenti, leggi, tribunali, polizia, esercito e intere industrie dedite al lavaggio del cervello. Tutto questo perderà vigore e per questo, come spesso accade, il sistema della reazione inizierà a crollare proprio nel momento del suo massimo potere.”

 

Ora, in che cosa il «vento della Storia» si differenzia dalla cara vecchia Provvidenza di Bossuet[19], di Herder[20] o del nostro Karamzin[21]? Quest’ultimo amava dire: “Amici miei, senza tentare di addentrarci nei meandri della Sapienza divina, senza perderci in speculazioni sterili, affidiamoci alla divina Provvidenza. Tutto quanto ci si oppone prima o poi si disgregherà, si squarceranno i veli dell’oscurità, sopra tutto splenderà la verità”, e via di questo tenore. Cos’è questa Provvidenza, o vento della Storia, che soffia sempre dove decide lui? In ultima analisi non è altro che il Fato del mondo antico, ripensato in chiave cristiana. Se però a governare la Storia continuasse a essere una «forza indipendente dagli uomini», a cosa servirebbe il marxismo? Il lavoro storico consapevole sarebbe un’illusione.

 

Non è forse che queste idee in bocca a un marxista costituiscano la prova inoppugnabile della forza della reazione, che continua a godere di buona salute al punto da mimetizzarsi anche in questa Provvidenza marxista?!

 

O forse sono io che non capisco? Sarei comunque in buona compagnia, visto che stando alle parole dell’Autore anche Lenin aveva perso la fede in questa Provvidenza marxista:

 

Non occorre disperarsi se oggi attorno a noi non vediamo quelle forze sociali su cui si potrà fondare il socialismo. Lo stesso Lenin scrisse nel gennaio del ’17: “Noi, ormai vecchi, può essere che non vivremo fino alle battaglie decisive della futura rivoluzione”. In effetti c’erano appena nella società di allora forze a disposizione in grado di fare la transizione al socialismo. Tuttavia ciò accadde. Circa l’origine di tali forze, esse sorsero dalla necessità oggettiva data da un movimento popolare dalla grande forza propulsiva, a cui un pugno di bolscevichi seppe dare coscienza. Ogni cosa a suo tempo: oggi è non è possibile vedere alcuna forza politica seria in grado di condurre la Russia sulla strada del socialismo, almeno fino a quando non sarà messa in moto tramite un processo il più obbiettivo possibile una logica della rivoluzione, che trasformerà una massa indistinta di dimostranti in un popolo cosciente. Fra i bolscevichi tale capacità sorse soltanto dopo le giornate di giugno e la fallita ribellione di Kornilov, allorché aumentò la delusione fra i soviet socialisti rivoluzionari e menscevichi. (corsivo mio – A. B.)

 

«Vento della Storia», «necessità oggettiva», «processo obbiettivo», «logica della rivoluzione»... e tutto questo non dipende da noi, piccoli uomini. Non è forse bello come pensiero autoconsolatorio? Cos’è questo «disperarsi»? Balliamoci sopra una bella lezginka[22], ricordiamoci “ Mangia ananassi, non badare a spese..”[23], “pensiamo positivo”, come scrive la gente su LiveJournal[24]. Torniamo invece a Lenin, leggiamo con maggiore attenzione ciò che scrisse sul «vento della Storia», se davvero allora egli non seppe riconoscere le forze in grado di portare al socialismo. Iniziamo con le sue idee sulla prospettiva rivoluzionaria un anno prima del Grande Ottobre.

 

Dal “Discorso pronunciato al Comizio internazionale di Berna” (8 febbraio 1916)[25] leggiamo:

 

“... in ogni Paese del mondo si sta concretamente preparando l’unione di forze della classe operaia. Gli orrori e le sofferenze del popolo in guerra sono incredibili, ma noi non dobbiamo guardare al futuro con disperazione, non ce n’è alcun motivo. [...] Milioni di vittime in guerra e per la guerra non muoiono invano. I milioni che stanno morendo di fame, i milioni che stanno sacrificando la propria vita in trincea, non stanno solo soffrendo, ma anche raccogliendo le proprie forze, acquisendo coscienza sulle vere cause della guerra, aumentando la propria determinazione e acquisendo sempre più chiaramente uno spirito rivoluzionario. Malcontento crescente delle masse, disordini in aumento, scioperi, dimostrazioni, proteste contro la guerra: questo sta accadendo in ogni Paese del mondo. E questo ci sia da garanzia: dopo la guerra europea ci sarà la rivoluzione proletaria contro il capitalismo.” (corsivo mio – A. B.)

 

Così, un anno prima della Rivoluzione di Febbraio, Lenin osserva «l’unione di forze della classe operaia». Questo, e non la fede nella Provvidenza socialista, gli consente di guardare al futuro senza disperazione. Leggiamo ora dal «Rapporto sulla rivoluzione del 1905»[26] (gennaio 1917) il seguente brano, da cui appare evidente come il compagno Jakushev abbia inteso al contrario le parole di Lenin:

 

·                     “Non dobbiamo farci ingannare dall’attuale silenzio tombale dell’Europa. L’Europa è gravida di rivoluzione. I mostruosi orrori della guerra e le sofferenze causate dalla carenza di tutto stanno generando un atteggiamento rivoluzionario, così come le classi al potere – la borghesia – e i loro garzoni – i governi – stanno stanno sempre più entrando in un vicolo cieco, da cui non potranno uscire senza subire enormi sconvolgimenti. La situazione è simile a quando, in Russia nel 1905, iniziò sotto la direzione del proletariato un’insurrezione popolare contro il potere zarista, con l’obbiettivo della repubblica democratica: allo stesso modo gli anni a seguire porteranno, in risposta a questa guerra di rapina, all’insurrezione popolare sotto la direzione del proletariato contro il potere del capitale finanziario, contro le grandi banche, contro i capitalisti. Questi disordini non potranno condurre ad altro se non all’espropriazione della borghesia e alla vittoria del socialismo. Può darsi che noi, ormai vecchi, non vivremo fino alle battaglie decisive di questa rivoluzione futura. Tuttavia ritengo di poter esprimere con gran fiducia l’auspicio che la gioventù, che così bene sta operando nel movimento socialista in Svizzera e in tutto il mondo, avrà non solo la fortuna di lottare, ma anche di vincere nella rivoluzione proletaria futura.” (corsivo mio – A. B.)

·                      

Quanto detto da Lenin sulle prospettive della rivoluzione nel gennaio del ’17 corrisponde in toto alle idee espresse l’anno precedente. Si tratta di una posizione ponderata, fondata sull’analisi dello sviluppo effettivo degli eventi storici e della sua teoria politica. Lenin scrive che il silenzio imperante è ingannevole edesprime fiducia che la guerra imperialista si concluderà con fortissimi sconvolgimenti e con la vittoria del socialismo. Lenin però non è un “esperto”, non è un “politologo moscovita”, non è un aruspice che esamina le viscere degli animali e quindi non conosce la data esatta della «battaglia finale» e del riscatto dell’umanità: può darsi che vivremo tanto per vederla, come può darsi di no. Per inciso, Lenin non vide né la battaglia finale, né il riscatto dell’umanità, così come forse saranno i nostri pronipoti da vecchi ad assistere alla vittoria della gioventù socialista svizzera.

 

Inoltre, a differenza dell’ottimismo del compagno Jakushev, la fiducia di Lenin nella «rivoluzione futura», nella vittoria del socialismo, finanche in una direzione necessaria per la Storia, era fondata sugli eventi storici mondiali a lui contemporanei – la prima guerra imperialista e le sofferenze inaudite che essa provocava a centinaia di milioni di persone – nonché sull’esperienza fresca della Prima rivoluzione russa, in cui aveva giocato un ruolo fondamentale l’attivismo spontaneo delle masse, che avevano creato un’inedita forma di organizzazione del proprio potere politico: i soviet. Oggi da noi non c’è niente di simile: a differenza di Lenin, dietro non c’è nessuna rivoluzione, ma un tragicomico smantellamento del primo Stato socialista della Storia; al posto del POSDR (b)[27], abbiamo la «banda sinistra», resti “lumpenizzati” del PCUS traditore, un variegato campionario zoologico di Komsomol[28] e una gioventù piccolo-borghese pronta a a qualsivoglia porcheria dai narcotrafficanti della Far West LLC[29] all’alleanza Kasparov-Limonov[30]. In una parola, quel vento altro non è che il fiato che soffia dalle nostre bocche. Se dobbiamo proprio parlare di vento della Storia, questo è un vento contrario, che soffia verso una nuova guerra mondiale e una dittatura di stampo fascista.

 

Del resto non è soltanto l’ottimismo ingenuo del compagno Jakushev a non reggere una critica di tipo storico, ma tutto sommato anche quello dello stesso Lenin, anche se apparentemente fondato sulla concretezza e sull’esperienza della lotta politica. Non è forse sorprendente che questo grande critico dello spontaneismo (“Che fare?”[31]) nel movimento operaio e socialista non dubiti nemmeno per un istante della vittoria futura della rivoluzione proletaria in Europa proprio nel momento in cui dichiarava morta la Seconda Internazionale?! Inoltre, alla sua venuta a Pietrogrado lo aspettava una triste scoperta: i soviet erano nelle mani dei menscevichi e dei socialisti rivoluzionari[32], la politica di difesa «rivoluzionaria» era stata lo slogan di un giorno, la direzione degli stessi bolscevichi, Stalin, Kamenev e altri credeva seriamente in un lungo periodo di repubblica borghese[33]. Ciò non di meno in Russia c’era lo stesso Lenin, c’erano Trotckij e Bukharin, c’era un partito combattivo e disciplinato e, a prezzo di sforzi enormi, a loro riuscì di imbrigliare l’uragano della Storia con la piccola e rammendata vela dell’Ottobre. Di questo però Lenin non fece cenno in Svizzera e, anche in seguito, parlò della rivoluzione europea e della vittoria del proletariato europeo: lì, e non in Russia si sarebbero dovute issare le vele della rivoluzione mondiale, la quale avrebbe poi trainato anche il fragile battello di Lenin. Eppure, in Europa non ci fu nulla di neppure lontanamente simile al POSDR (b) e alla classe operaia del ’17: questo fra l’altro lo sapeva bene anche lo stesso Lenin, che infatti aveva condannato a morte l’Internazionale per alto tradimento. Tuttavia, dal condannare a morte al fare i funerali c’era di mezzo ben più che il mare: quell’Internazionale infatti è ancor oggi viva e vegeta[34]. Le voci sulla sua fine si rivelarono esagerate, mentre di Lenin è da molto che ormai si son perse le tracce. Accadde che in Europa tutto si risolse nel nulla e il battello di Lenin si ritrovò da solo in balia di elementi ostili. Noi, a differenza di Lenin e di tutti i suoi compagni, ora sappiamo tutta la storia di quella navigazione, dall’inizio glorioso alla triste fine. Il nostro compito è trarre lezioni da quella storia, senza le quali il nostro ottimismo sarebbe un ottimismo da ciarlatani.

 

Veniamo quindi al punto. Penso che, stanti così le cose, sia abbastanza chiara a tutti oggi come fra cent’anni l’improbabilità di un’eventuale “rivoluzione mondiale” piuttosto che la vittoria del socialismo in Svizzera, eccezion fatta per i “trotzkisti” della Russia intera, gli angeli dell’Internazionale celeste e i nostri della “banda sinistra”: tutti personaggi che in ogni caso non saranno della partita. La lezione della “rivoluzione mondiale” l’abbiamo imparata, e anche a caro prezzo: se mai guarderemo ancora al futuro con un ottimismo di diritto, i ragionieri di Zurigo e i signori Bauer di Emmental questa volta non ne avranno colpa.

 

Avremo quindi bisogno di costruire non il battello di Lenin, ma una grande nave transoceanica. Il partito bolscevico non era pronto alla rivoluzione socialista ma lo divenne soltanto al ritorno di Lenin in Russia: prima infatti mancavano indispensabili risorse intellettuali, organizzative e professionali. Questo una volta: oggi ancor più di allora sperare nel “vento della Storia” senza tali quadri nel Partito è ciarlataneria allo stato puro.

 

Colpisce come lo sciopero nazionale degli impiegati statali subito dopo l’Ottobre abbia colto così di sorpresa i bolscevichi[35]. Trotckij insieme alla cronaca di questo evento sociale ci riporta l’ostilità dei telegrafisti di Pietrogrado verso gli operai e i soldati rivoluzionari. Se pensaste che lo stesso risultasse inaspettato anche agli stessi operai, vi basti leggere per esempio le memorie della guardia rossa Dune[36] per mutare idea: egli e i suoi compagni ben sapevano dell’abisso che tradizionalmente li separava persino dagli stessi impiegatucoli degli uffici delle loro fabbriche! Questo è un esempio lampante della cecità di questa intellighenzia rivoluzionaria: questi telegrafisti così snobbati dai bolscevichi rappresentarono una classe che offrì in massa il suo supporto alla controrivoluzione e alla guerra civile. A questa classe non apparteneva la cricca numericamente insignificante dei proprietari terrieri, dei padroni di piccole fabbriche e dei banchieri – la quale era fuggita in Europa quando già cominciava a sentire puzza di bruciato – ma la massa della piccola borghesia cittadina, che non poteva scappare da nessuna parte e la cui autocoscienza si fondava sulla fiducia assoluta della propria superiorità sugli operai. Fu sempre questa la classe che costituì la base di massa per la controrivoluzione sovietica dalla NEP alla «perestrojka»[37]. Ecco così un’altra lezione da trarre: per catturare il “vento della Storia” con la propria vela, la classe operaia deve avere come alleata una parte significativa della piccola borghesia, a maggior ragione oggi che la Russia è per lo più uno Stato piccolo borghese.

 

Da noi la classe operaia industriale non è mai stata molto numerosa. Inoltre, come abbiamo già visto, la tendenza generale non è di una sua crescita, anzi il contrario. Il momento è già di per sé negativo, ma non basta: cosa ancor più importante, l’attuale classe operaia è circondata da una massa piccolo-borghese che ha attualmente nel Paese l’egemonia culturale. Molti sicuramente si ricordano una classica scena degli anni della “perestrojka”, dove l’insegnante scolastico o l’ingegnere facenti parte dell’Unione democratica[38] attiravano per strada i passanti e facevano propaganda per le «riforme». All’epoca anche il più piccolo crocchio di propagandisti antisovietici aveva un fascino irresistibile su operai e operaie ideologicamente allo sbando. Lenin aveva il problema che in Russia i piccoli proprietari contadini soverchiavano numericamente gli operai. Tuttavia, per quanto fosse basso il livello culturale degli operai del suo tempo, ciò nonostante era di poco superiore a quello dei contadini. Ciò rese possibile a una classe operaia relativamente poco numerosa la direzione politica di un Paese a prevalenza contadina. Oggi noi abbiamo un altro problema: che fare perché la classe operaia guidi un Paese, dove il livello culturale della massa fondamentale piccolo-borghese è superiore al suo? Sperare nel “vento della Storia” non risolve questo problema: anche in questo caso è ciarlataneria allo stato puro.

 

La forza dei bolscevichi stette nel suo stretto legame col proletariato: gli operai con funzione di dirigenti nel Partito ne costituivano l’ossatura sia fra la base che a livello intermedio. Quando nel periodo a cavallo fra 1914 e 1916 la polizia segreta zarista faceva fuori ogni due o tre mesi l’intero attivo del comitato di Partito di Petrograd, al posto dei compagni arrestati giungeva un nuovo gruppo di giovani operai bolscevichi. A partire dal 1917 si formò una nuova generazione di operai, la cui coscienza non era più demoralizzata dalla disfatta della rivoluzione del 1905-06. Questo fu un momento estremamente importante: non era solo la classe operaia, così come non era solo la borghesia. Questa nuova leva, nella sua concretezza storica, era composta di reparti borghesi e operai che avevano trovato fra loro il giusto bilanciamento di forze. Fu in questo contesto che i giovani operai, nati a cavallo fra il 1890 e il 1900, costituirono la forza politica d’assalto della rivoluzione d’Ottobre. Come scrisse Isaac Deutscher[39], il proletariato del ’17 fu un miracolo della storia: passione politica, idealismo e fede nella missione storica della propria classe erano i tratti distintivi della sua avanguardia.

 

Oggi è l’opposto: non solo c’è una generazione operaia demoralizzata, ma dilaga una mentalità piccolo-borghese satura di anticomunismo.

 

Una fonte di questo becero anticomunismo fra gli operai russi è data dai cosiddetti “sindacati liberi”[40], creati come da copione sui parametri del Dipartimento internazionale dell’AFL-CIO[41] e all’ombra della CIA e del Dipartimento di Stato USA[42]. Del resto, in fatto di anticomunismo, anche i sindacati guidati da Shmakov[43] non sono molto lontani da quelli “liberi”. Unendo di fatto le loro forze, essi hanno dato il colpo finale a quel movimento di scioperi già agonizzante e che pure ancora respirava a inizio secolo. Se è vero che le armi del proletariato sono gli scioperi, allora bisogna concludere che il proletariato russo è diventato pacifista: nel 2000 in pieno riflusso[44] gli scioperi furono 817 con un numero di partecipanti pari a 40.000. Non pochi, potremmo dire. Vediamo ora il 2006: in tutto ci furono 8 scioperi a cui aderirono 1.200 persone. Inoltre, questo crollo verticale (al grado zero) è occorso in condizioni di forte crescita economica, quando per gli operai sarebbe più possibile scioperare. Inoltre, in questa statistica non sono compresi gli scioperi “atipici”, condotti per lo più sotto forma di scioperi della fame[45]. Gli scioperanti scelgono la forma più estrema per sostenere la propria causa, cercando di muovere a pietà il padronato e a compassione l’opinione pubblica borghese. Il ricorso estremo agli scioperi della fame è divenuto pratica corrente degli operai russi, mai nella storia della classe operaia russa siamo scesi così in basso nei rapporti politici e morali come in questo periodo post-sovietico[46]. Non ci si meravigli anche di un altro fatto: la diffusione di una mentalità neofascista fra gli operai. Già negli anni ’90 questo fenomeno era constatabile, quando ad accompagnare gli scioperi e i blocchi stradali erano anche discorsi di questo tenore. Oggi che le nuove Centurie nere[47] guadagnano consensi in tutti gli strati della società russa, gli operai si trovano a essere la loro prima vittima e formano l’ossatura di questo nuovo nazionalismo etnico organizzato.

 

Pertanto, non esiste nulla in comune, né alcun legame fra gli operai russi di oggi e il proletariato del ’17. Politicamente sono agli antipodi. Allo stesso tempo però l’uragano dilaga: tutto quello che possiamo e dobbiamo fare ora è iniziare a costruire questa nave e tessere ampie e forti vele. In conclusione quindi oppongo le seguenti tesi a quelle esposte dal compagno Jakushev:

 

Secondo la concezione giudaico-cristiana il vento della Storia non soffia in Cielo, ma dal Cielo: la Storia dell’Uomo inizia dopo la sua cacciata dall’Eden. In verità questa stessa concezione ha in sé l’idea di una fine della Storia: il Messia per gli ebrei, il Salvatore per i cristiani, la classe operaia per i marxisti. Qui però le analogie si fermano: a differenza dei rabbini e del clero della Chiesa Ortodossa, i marxisti invitano gli operai a contare solo su loro stessi. I marxisti non difendono per procura la classe operaia dai suoi sfruttatori, ma mostrano ai lavoratori come soltanto essi con la loro azione possano liberare sé stessi e il resto dell’umanità dalle catene dello sfruttamento.

 

Mai come oggi la Storia è mossa dalla volontà degli uomini, ovvero da una politica cosciente degli interessi di classe. Il Partito comunista resta oggi l’organo con cui la classe operaia esercita tale politica. Il lavoro per la creazione a livello nazionale di un’organizzazione comunista di tutti i lavoratori deve essere il primo punto all’ordine del giorno dei marxisti russi. Soltanto entrando con volontà nella lotta politica, la classe operaia potrà radicalizzarsi e attrarre a sé parte degli intellettuali.

 

Il comunismo di oggi deve essere cento volte più cosciente e fondato del comunismo dell’epoca di Lenin. Portando con noi tutte le qualità morali e la ferrea volontà di questo grande prosecutore del Manifesto, noi dobbiamo anche rileggerne criticamente la politica. I bolscevichi non erano pronti alla direzione della rivoluzione e dello Stato socialista, specialmente in quel complesso Paese che era l’Impero russo. Il nuovo Partito comunista dovrà essere pronto a questo e non solo: dovrà preparare anche la nostra classe operaia. A tal fine abbiamo l’enorme esperienza storica maturata nel periodo sovietico.

 

L’isolamento internazionale sofferto dalla Rivoluzione d’Ottobre può essere in Russia una seria minaccia anche per l’attuale rivoluzione. Tuttavia questo pericolo e la minaccia bellica che ne conseguirebbe sarebbero compensate dalla presenza dell’arsenale atomico. Sotto il suo scudo la società socialista potrebbe impiegare le proprie risorse umane e materiali secondo un disegno preciso, evitando al contempo la creazione di organizzazioni chiuse, vere e proprie caste come i servizi segreti sovietici, l’esercito e la polizia.

 

La classe operaia potrà vincere tanto più facilmente quanto più riuscirà a trovare alleati e compagni di strada, nonché a isolare i grandi capitalisti e burocrati, unendo intorno a sé tutte le vittime del capitalismo monopolistico. In questo sta la chiave della vittoria, in questo ci serva da lezione in particolar modo l’esperienza negativa dei bolscevichi.

 

I compiti del Partito comunista nel breve periodo sono chiari nella loro sostanza: tutti i mezzi della grande produzione industriale, agricola e mineraria siano proprietà sociale degli operai, dei contadini e della loro intellighenzia, tutto il potere ai loro soviet! Non resta ora che dare vita a queste splendide parole.

 

 



[1]          Si allude alle grandi manovre a cui presero parte nei primi due mesi del 2008, oltre alla portaerei citata, anche altri 11 navi, 47 aerei e 10 elicotteri. Una cronaca in inglese dall’agenzia RIA Novosti (http://en.rian.ru/russia/20080108/95710715.html)

[2]          Parliamo della impresa russo-tedesca Nord Stream AG (51% in mano a Gazprom, 24,5% a Wintershall-BASF, 24,5% a Ruhrgas), che nel 2010 partirà con la costruzione di un oleodotto da Vyborg (Finlandia) a Greifswald (Germania), che passerà per il Mar Baltico saltando Stati e Staterelli (Polonia e Baltici in testa, che infatti stanno ostacolando il progetto anche in sede UE) e soprattutto i loro balzi e balzelli (Sito: http://www.nord-stream.com/en/).

[3]          L’Autore si riferisce ad esempio ai nuovissimi Su-34 che la Sukhoi inizierà a produrre quest’anno per modernizzare il parco aeromobili russo (Su RIA Novosti: http://en.rian.ru/russia/20080114/96572867.html )

[4]          Essendo per definizione mezzi “pesanti” e quindi bersaglio relativamente facile, le portaerei raramente prendono il largo da sole ma necessitano di un gruppo da battaglia, ovvero una flotta che le scorti e le protegga. Per un approfondimento cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Carrier_battle_group

[5]          “Il giorno della Vittoria”, canzone composta trent’anni dopo la fine della II Guerra Mondiale ma di grandissimo successo al punto di diventarne uno dei motivi più suonati durante le parate del 9 maggio. Una pagina in italiano su http://it.wikipedia.org/wiki/Den'_Pobedy_(canzone) e la possibilità di ascoltarla in una delle varie versioni disponibili in rete del suo primo interprete, Lev Leshenko, su http://victory-day.ru/?download=den_pobedy.mp3

[6]          “Levaja kodla”: termine con cui l’intero collettivo di Left.ru chiama un gruppo composto da personaggi legati ai servizi segreti sovietici il quale, dietro una facciata legale (l’agenzia di consulenza Far West LLC, proprietaria fra l’altro della rivista Zavtra e dell’I.PRO.G, Istituto dei problemi della globalizzazione), nasconde traffici illeciti e attività eversive. Per una scheda approfondita sulle attività di questo gruppo cfr “Filin-"El Buho" Is Getting Nervous” (http://left.ru/burtsev/ops/filinnervous.phtml).

[7]          Traduzione letterale di Zhongguo (中国), ovvero il nome con cui i cinesi chiamano nella loro lingua il loro Paese. Per conoscere invece l’etimologia dei nomi con cui è conosciuta in tutto il mondo (di cui “Cina” e “Kitaj” rappresentano i due tipi principali), cfr. l’interessante http://en.wikipedia.org/wiki/Names_of_China

[8]          Una regione geografica della Russia Europea: una scheda in http://it.wikipedia.org/wiki/Rialto_Centrale_Russo e una cartina in http://www.zanichellibenvenuti.it/materiali/pdf/geografia/PACIG.benvenuti-2-B11russia.pdf

[9]          Dick Cheney, attualmente vicepresidente degli USA.  Una sua breve biografia è su  http://www.repubblica.it/2004/j/speciale/altri/elezioniusa/proficheney/proficheney.html. In particolare, Cheney

            - è stato amministratore delegato della Halliburton (gruppo specializzato in lavori pubblici e nello sfruttamento dei giacimenti petroliferi, delle cui nefandezze – in particolar modo in Iraq – una quantità impressionante è stata meticolosamente raccolta su http://www.halliburtonwatch.org/);

            - è a capo dell’ala “neoconservatrice” (cfr. “Un breve dossier sui neoconservatori negli USA ad uso di una sinistra moderna.” in http://www.arcipelago.org/internazionale/un_breve_dossier_sui_neoconserva.htm;

            - è stato fondatore dell’istituto “Progetto per un nuovo secolo americano” (Project for the New American Century (PNAC)), che produsse materiali strategici come “Rebuilding America's Defences: Strategies, Forces And Resources for a New Century” (2000, versione integrale scaricabile da http://www.kelebekler.com/occ/pnac.pdf), interessanti perché divennero parte integrante della “National Security Strategy” di Bush una volta eletto presidente.

[10]        Per una approfondita ricostruzione storica, politica e ideologica dei rapporti fra le due sponde anglofone dell’Atlantico, cfr. di Luca Bellocchio, ““Londington”? Forma e forza della nuova Pax Anglosferica” (Università degli studi di Milano, Dipartimento di studi sociali e politici, http://www.socpol.unimi.it/papers/2005-06-15_Luca%20Bellocchio.pdf)

[11]        Dal sito ufficiale della città: “Londra è il centro bancario del mondo e il principale centro d’affari in Europa”.  100 delle 500 maggiori aziende europee hanno sede a Londra, così come ¼ delle maggiori imprese finanziarie al mondo. L’articolo poi prosegue con l’elenco dei primati (http://www.london.gov.uk/london-life/business-and-jobs/financial-centre.jsp) che fanno della City ancor oggi una piazza d’affari per certi versi ancor più importante di New York (cfr. The Competitive Position of London as a Global Financial Centre”,  Corporation of London & Z/Yen, 2005 http://www.cityoflondon.gov.uk/NR/rdonlyres/131B4294-698B-4FAF-9758-080CCE86A36C/0/BC_RS_compposition_FR.pdf ).

[12]        Cfr. “Lo strano caso del dottor Benjamin Netanyahu” su Il Manifesto del 25/03/2006  e reperibile in rete tra l’altro su http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=8607.

[13]        Cfr. l’interessante saggio di Stefano Vernole “''Il terzo incomodo'': il ruolo della NATO tra la Russia e l'Europa – 9-12-06” (http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=3000)

[14]        Questo cordone sanitario doveva comprendere: Polonia e corridoio di Danzica, Lituania, Lettonia, Estonia, Finlandia, Ucraina, Caucaso e Stati fantoccio in Estremo Oriente.

[15]        Sull’acceso antibolscevismo mascherato da pseudo-pacifismo dell’allora presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, cfr. l’interessante saggio di Terence Phelan, “Woodrow Wilson and Bolshevism” (http://www.marxists.org/history/etol/newspape/fi/vol04/no04/phelan.htm)

[16]        Ovvero così erano chiamati i criminali seguaci di Stefan Bandera (1909-1959), capo dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (“L’OUN ha iniziato nel 1929 i suoi attacchi armati contro il potere sovietico in Ucraina. Durante la seconda guerra mondiale, il suo capo, Stepan Bandera, ha combattuto a fianco degli occupanti tedeschi. Nel 1941 il suo principale generale, Shuskievitch, indossando l’uniforme tedesca del “Nachtigall Bataljon”, ha assassinato 7.000 ebrei. Dopo la guerra, i quadri dell’OUN sono stati integrati nei servizi segreti americani e la diaspora ucraina negli Stati Uniti ha costituito una lobby di estrema destra antisovietica di massa.”, trad. dal francese del CCDP, originale su http://www.archivesolidaire.org/scripts/article.phtml?lang=2&obid=25395)

[17]        Zbigniew Brzezinski, già consigliere per la sicurezza nazionale di Carter (cfr. “La NATO non è un fiore...” di Andrea Catone http://www.resistenze.org/sito/os/dg/osdg4n24.htm), ebbe un ruolo determinante nell’ultima fase della guerra fredda (“Come io e Jimmy Carter abbiamo creato i Mujaheddin”, intervista tradotta in italiano e raccolta dal sito http://www.kelebekler.com/caimani/41.htm) quindi ideologo principale della politica di espansione USA nel mondo negli anni ’90 (cfr. il suo testo fondamentale “La grande scacchiera”, recensito da Fausto Sorini su Liberazione del 05/06/99, “La "grande scacchiera" e la guerra della Nato”, e raccolto sempre nel medesimo sito). La sua ultima fatica letteraria “Second Chance: Three Presidents and the Crisis of American Superpower” è non solo una severa critica alla politica estera USA delle ultime tre presidenze (cfr. la recensione “A Manifesto For the Next President” su http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2007/03/13/AR2007031301504.html) ma segna anche l’inizio del suo aperto sostegno a Barack Obama (cfr. “Brzezinski Backs Obama” sempre sul Washington Post, http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2007/08/24/AR2007082402127.html).

[18]        “и хочется, и колется”: letteralmente “piace ma punge” (e quindi rinuncio).

[19]        Jacques Bénigne Bossuet, (1627-1704), scrittore, vescovo cattolico, precettore del Re di Francia (una scheda su http://it.wikipedia.org/wiki/Jacques_B%C3%A9nigne_Bossuet). In effetti basta leggere queste poche righe, tratte dal suo “Discours sur l’histoire universelle”, per vedere come, una volta sostituito Dio con la Storia, forti siano le somiglianze tra questi due concetti metafisici (corsivo mio): “Mais souvenez-vous, monseigneur, que ce long enchaisnement des causes particulieres qui font et défont les empires dépend des ordres secrets de la divine providence. Dieu tient du plus haut des cieux les resnes de tous les royaumes; il a tous les coeurs en sa main: tantost il retient les passions, tantost il leur lasche la bride, et par là il remuë tout le genre humain.”(www.samizdat.qc.ca/cosmos/sc_soc/histoire/hist_med/hist_universel.pdf )

[20]        Johann Gottfried Herder (1744-1803), filosofo e teologo tedesco (  cfr. la sua scheda su  http://it.wikipedia.org/wiki/Johann_Gottfried_Herder), Nel suo “Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit”, 1791; Idee per la filosofia della storia dell’umanità) espone un’idea della Provvidenza diversa per forma da quella di Bousset ma del tutto analoga per funzione: “Sulla terra è fiorito tutto ciò che poteva fiorire, ogni cosa al suo tempo e nella sua cerchia: poi è sfiorito e tornerà a fiorire, quando verrà il suo tempo. L’opera della Provvidenza procede nel suo eterno cammino secondo grandi leggi universali, che noi ci accingiamo ora a considerare da vicino, con modestia” (cfr. Il breve saggio “Herder e Humboldt” su http://www.filosofico.net/filstoriabologna2.htm e “La filosofia della Storia di Herder: una prospettiva greco-centrica?” su http://www.filosofico.net/herdergreci.htm).

[21]        Nikolaj Mikhajlovič Karamzin (1766-1826), storico e storiografo, scrittore e poeta russo, autore dalla monumentale Storia dello Stato Russo (История государства Российского). Una scheda su http://en.wikipedia.org/wiki/Nikolay_Karamzin.

[22]        Ballo popolare che trae il suo nome da un’etnia del Caucaso, i lezgi, ma che è diffusissimo in tutta la regione, danzato specialmente in occasione di feste e matrimoni. Alcuni passi, le ronde che accompagnano i ballerini, il ritmo ricordano la nostra “pizzica pizzica” (cfr. ad es. Youtube http://www.youtube.com/watch?v=DnX7bYTjsU8&feature=related), eccezion fatta per le forme più complesse e acrobatiche, queste ultime proprie delle danze caucasiche (http://www.youtube.com/watch?v=lEQW1HxuWSc&feature=related). Nikita Mikhailkov nel suo film “12” (in uscita anche in qualche sala italiana) ci regala un piccolo cameo di questo ballo: è una scena molto intensa che vede protagonista un bimbo ceceno il quale, ammirato dal coltello a doppia lama del guerrigliero, se lo fa prestare e inizia a provarlo. Ben presto però passa dai fendenti della scherma a una frenetica lezginka, che sembra decisamente soddisfarlo di più. Infine suo padre lo chiama a casa e il bimbo restituisce al guerrigliero quel coltello ormai depotenziato, ridotto al pollice e l’indice con cui si affrontano i danzatori della nostra “pizzica a scherma” (scena su http://www.youtube.com/watch?v=PQ-bCv8AVmM&feature=related).

[23]        Traduzione a senso e a rima del seguente mottetto di Majakovskij:

Ешь ананасы, рябчиков жуй,

Mangia ananassi, non badare a spese,

день твой последний приходит, буржуй.

l'ultimo tuo giorno arriva, borghese.

В. В. Маяковский, 1917

V. V. Majakovskij, 1917

            (Una raccolta molto completa della produzione di Majakovskij su http://www.v-mayakovsky.narod.ru/books.html)

[24]        Sito (http://www.livejournal.com/) che offre a chiunque la possibilità di creare e mantenere una propria pagina di diario in linea.

[25]        “Discorso pronunciato al Comizio internazionale di Berna”, in V.I. Lenin, Opere Complete, vol. 22 [dicembre 1915 - luglio 1916], Editori Riuniti, Roma, 1966, p. 128. Originale: Полное Собрание Сочинений В.И.Ленина 5-е изд. - М.: Издательство политической литературы, 1967, vol. 27, p. 234 (su internet in http://vilenin.eu/t27/p234). Su http://www.marxists.org/archive/lenin/works/1916/feb/08.htm è disponibile la traduzione integrale in inglese.

[26]        “Rapporto sulla rivoluzione del 1905”, in italiano Op. Cit., vol. 23 [agosto 1916 - marzo 1917], p. 237. Sulla rete disponibile in inglese presso marxists.org (http://www.marxists.org/archive/lenin/works/1917/jan/09.htm). Originale: in attesa che anche il volume 30 sia digitalizzato sul sito citato nella nota precedente, una copia si trova su http://libelli.ru/works/30-2.htm.

[27]        Partito Operaio Socialdemocratico Russo (bolscevico), così chiamato dal 1912 al 1918, poi Partito comunista russo (bolscevico) dal 1918 al 1925, poi Partito comunista di tutta l'Unione (bolscevico) dal 1925 al 1945 e infine PCUS (1952-1993).

[28]        L’Unione comunista leninista della gioventù sovietica (ВЛКСМ, Всесоюзный ленинский коммунистический союз молодёжи) ufficialmente si scioglie nel 1991. Da quel momento assistiamo alla formazione di gruppi che si richiamano a quell’esperienza: dall’Unione della gioventù comunista della Federazione Russa (СКМ РФ, http://skm-rf.ru/), organizzazione giovanile del PCFR, all’Unione comunista della gioventù russa (РКСМ, http://rksm.ru/), organizzazione esterna al Partito, all’Unione comunista rivoluzionaria della gioventù (bolscevica) (РКСМ(б), http://rksmb.ru/), di carattere marcatamente settario e di ultrasinistra. Interessante è il processo di unione tentato dalle prime due organizzazioni di giovani comunisti (cfr. “Объединение РКСМ и СКМ”, http://rksm.ru/node/162), il quale se portato a buon fine gioverebbe senza dubbio alla ricostruzione della forza comunista in Russia e non solo.

[29]        L’Autore qui inserisce direttamente il collegamento a burtsev.ru, che in una sezione dedicata (БУРЦЕВ.РУ ПРОТИВ ФАРВЕСТА) contiene una  serie di articoli di denuncia (http://www.left.ru/burtsev/index.html).

[30]        Il collegamento proposto dall’Autore (http://novayagazeta.ru/news/252400.html) riporta il servizio fotografico e l’articolo di cronaca (http://novayagazeta.ru/news/252382.html) della Conferenza dell’opposizione di sinistra, la quale, dopo aver liquidato come “totalmente inefficace” il PCFR, propone in alternativa un’alleanza con l’opposizione di destra su alcuni temi sociali. In questo senso Edvard Limonov (capo del Partito Nazionalista Bolscevico, una scheda http://en.wikipedia.org/wiki/Eduard_Limonov) già collabora con Garri Kasparov (l’ “arancione” russo ex-campione del mondo di scacchi, una scheda su http://en.wikipedia.org/wiki/Garri_Kasparov).

[31]        Traduzione integrale, in http://xoomer.alice.it/primomaggiointernazionalista/testi/lenin/che_fare/index.htm ,  in un sito che raccoglie anche altri testi di Lenin.

[32]        Il Congresso Panrusso, aperto il 3/16 giugno sotto la regia dei capi opportunisti del governo e del Soviet della capitale, constava di mille delegati e più, ma solo 822 avevano voto deliberativo. Di questi 285 erano socialisti rivoluzionari, 248 menscevichi, che, seguiti da varie piccole frazioni, disponevano della maggioranza schiacciante. I bolscevichi non erano che 105.

[33]        Purtroppo i materiali più interessanti in italiano sull’argomento non sono disponibili in rete. Per es. cfr. Giuseppe Boffa, “Storia dell'Unione Sovietica”, Mondadori, 1976, p. 44: “Elemento risolutamente nuovo fu quindi quello che nel dibattito delle forze politiche russe introdusse Lenin, quando ai primi di aprile riuscì finalmente, dopo il viaggio nel famoso « vagone piombato » attraverso la Germania nemica, a rientrare in patria dalla Svizzera, dove era rimasto isolato. Anche i bolscevichi avevano avuto infatti diverse esitazioni di fronte alla situazione, per tanti aspetti imprevista, in cui si erano trovati. Il loro partito era pure in fase di libera organizzazione e di espansione. Nel suo rapido sviluppo lo stesso confine che lo separava dai menscevichi si era annebbiato: specie in periferia, alcune organizzazioni si erano ricostituite in forma unitaria e la discussione su una possibile riunificazione, per quanto vista con sospetto, era arrivata sino al centro. Sebbene essi fossero stati sin dall'inizio in opposizione al governo provvisorio, più tardi soprattutto sotto l'influenza di due dirigenti, discussi ma autorevoli come Kamenev e Stalin, i bolscevichi non esclusero la possibilità di un semplice «controllo» sul governo in modo da stimolarlo a « lottare energicamente » contro ciò che restava del vecchio regime”.

[34]        Il riferimento è all’Internazionale Socialista (nata nel 1951), considerata l’erede della II Internazionale. Una scheda in http://it.wikipedia.org/wiki/Internazionale_Socialista

[35]        Sempre da Boffa, op. cit., p. 69: “Eppure già drammatica fu, per molti aspetti, proprio la lotta contro il sabotaggio degli apparati ministeriali. Se verso la fine di novembre i commissariati del popolo, con pochi collaboratori improvvisati, cominciarono in qualche modo a funzionare, l'insubordinazione massiccia dei vecchi impiegati venne spezzata solo nei primi mesi del '18”. Cfr. inoltre Vera Vladimirov (Вера Владимиров) “L’anno del servizio dei socialisti ai capitalisti” (Год службы социалистов капиталистам), Moskva–Leningrad, Gosudarstvennoe Izdatel’stvo, 1927 (scaricabile integralmente su http://lib-rar.com/save.php?file=91576): “Inizialmente il centro politico dei sabotatori scioperanti fu il Comitato di salvezza della patria e della rivoluzione. L’otto novembre iniziò lo sciopero degli impiegati del ministero del lavoro. La settimana successiva si unirono gli impiegati dei ministeri del commercio e dell’industria, dell’educazione, dell’agricoltura, degli esteri, del controllo statale, delle finanze degli interni, dei trasporti, la direzione delle casse di risparmio statali, del piccolo credito, le casse di risparmio di Leningrado, la direzione centrale per l’economia locale, gli impiegati delle poste e telegrafi e altri ancora. A dirigere gli scioperanti erano nella maggior parte dei casi gli amministratori e i funzionari di grado più alto, a cui si avvicinarono man mano i gradi inferiori della gerarchia.”(questo brano è anche su http://lib.web-malina.com/getbook.php?bid=1190&page=15)

[36]        Eduard M. Dune, “Notes of a Red Guard.”, translated and edited by Diane P. Koenker and S. A. Smith. Urbana and Chicago: University of Illinois Press, 1993. Lo stesso Autore ne scrive un’ampia recensione: “О книге Э. М. Дуне "Записки красногвардейца"” (http://www.left.ru/2006/3/baumgarten137.phtml).

[37]        Lett. “ristrutturazione”: visti però gli effetti in URSS, per l’Autore (e non solo) le virgolette sono d’obbligo.

[38]        Demokraticheskij Sojuz (Демократический Союз, http://www.ds.ru/), partito ultraliberista fondato il 08/05/1988.

[39]        Attivista politico, giornalista, professore universitario polacco (1907-1967). Profondo conoscitore della storia sovietica e dei movimenti comunisti, fu autore di biografie controverse quali quella di Stalin (Stalin: a Political Biography (1949)) e di Trotckij. Una scheda su http://en.wikipedia.org/wiki/Isaac_Deutscher e molti suoi articoli disponibili sul sito dei quaderni inglesi “Socialist Register” (http://socialistregister.com/epublish/8)

[40]        L’Autore usa la parola “nezavimyj” (lett. indipendente) ma chiamandosi “indipendenti” anche i sindacati ufficiali, ho preferito tradurre con “liberi” onde evitare equivoci. Per quanto riguarda il coinvolgimento dell’AFL-CIO nelle politiche sindacali russe, esso apre nel 1992 a Mosca la sezione russa del FTUI (Free Trade Union Institute) e sponsorizza apertamente i sindacati cosiddetti “liberi” (in opposizione alle associazioni sindacali ex-sovietiche riunitesi nella FNPR), incoraggiandone radicamento e rafforzamento sul territorio. Tuttavia, gli scarsi risultati e i tagli dell’allora governo Bush costringono nel 1995 il FTUI a correggere il tiro e a passare dal “muro contro muro” a compiti “educativi” e “di assistenza alla democrazia” (fonte: Renfrey Clarke, “US trade unions in Russia”, http://www.greenleft.org.au/1997/288/16111). Per una disamina di questa seconda fase di questa nuova guerra fredda, cfr. inoltre “I miti della ‘Assistenza alla Democrazia’: l’intervento U.S. nell’Europa Orientale post-sovietica” (http://www.resistenze.org/sito/os/mo/osmo7a27-000995.htm)

[41]        American Federation of Labor and Congress of Industrial Organizations (una scheda su http://www.pbmstoria.it/dizionari/storia_mod/a/a013.htm, sito ufficiale http://aflcio.org/), 13 milioni di iscritti fino alla scissione del settembre 2005, dove sette categorie hanno dato vita a una coalizione, “Change to win”, forte di 6 milioni di iscritti (cfr. Le monde diplomatique, “«Cambiare per vincere». Il sindacato negli Stati uniti” http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Marzo-2006/pagina.php?cosa=0603lm02.01.html&titolo=%C2%ABCambiare%20per%20vincere%C2%BB%20Il%20sindacato%20negli%20Stati%20uniti)

[42]        Tantissimo materiale in merito sulla rete: per esempio, di Kim Scipes, “Ritorna l’imperialismo del lavoro?: la politica estera dell'AFL-CIO dal 1995” (http://www.resistenze.org/sito/te/po/us/pous5e15.htm), oppure le sei puntate del dossier “AFL-CIO's Dark Past” a cura del sito laboreducator.org (http://www.laboreducator.org/darkpast.htm); David Bacon, giornalista e fotografo statunitense, sul suo sito dedica un lungo articolo al caso russo “The AFL-CIO In Moscow: The Cold War That Never Ends” (http://dbacon.igc.org/Unions/22AFLInMoscow.htm) e un lungo rapporto datato 1994 (http://www.nathannewman.org/EDIN/.labor/.files/.internat/.russia.html) si intitola “US labour “missionaries” - no blessing for russian workers”; per un approfondimento sul ruolo dell’AFL-CIO nel Cile di Pinochet, cfr. “CIA, AFL-CIO, and Pinochet” su http://www.hartford-hwp.com/archives/42a/126.html.

[43]        Ovvero quelli ufficiali: Mikhail Shmakov è il presidente della Federazione dei sindacati indipendenti di Russia (Федерация Независимых Профсоюзов России, abbr. FNPR, sito ufficiale www.fnpr.org.ru/), confederazione che raccoglie i sindacati ex-sovietici presenti sul territorio russo, che dopo la fine dell’URSS furono rinominati “indipendenti”. Fa parte della Confederazione Generale Sindacale (Всеобщая конфедеpация пpофсоюзов, sito http://www.vkp.ru/), organismo che, similmente al Consiglio centrale dei sindacati sovietici (Всесоюзный Центральный Совет Профессиональных Союзов), unisce quasi tutte le confederazioni sindacali nazionali dei Paesi dell’ex-URSS: la differenza è che ciò avviene su base di confederazione nazionale e non di categoria. Per una breve storia della FNPR, cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Federation_of_Independent_Trade_Unions_of_Russia.

[44]        Aleksandr Kacva nel suo articolo “Il movimento di protesta in Russia negli anni ’90” (Россия 1990-х:протестное движение, sulla rivista Otechestvennye zapiski, № 3 (11) (2003) “Тема номера: Социальное государство”, http://www.strana-oz.ru/?numid=12&article=542), distingue tre ondate di lotta nel 1992, 1995 e 1997 e scrive: “Così, nel 1995 il numero di imprese dove si scioperò aumentò di 34 volte rispetto al 1990 e il numero di scioperanti di quasi 5 volte. Questa crescita continuò anche nella seconda metà degli anni ’90. Il picco di agitazioni negli anni ’90 fu toccato nel 1997, con oltre 17.000 scioperi, con un aumento di 10 volte rispetto al 1991. [...] La percentuale di aderenti agli scioperi sul totale dei lavoratori delle imprese coinvolte continuava ad aumentare. Se nel 1990 era al 15%, nel 1993 era il 33% e nel 1995 già il 53%. Anche se in seguito essa diminuiva leggermente, tuttavia nel 1997-1998 si riassestava intorno alla metà dei lavoratori. [...] Un altro importante indicatore del movimento a livello nazionale è la misura della sua diffusione in nuove regioni. Così, dal 1994 al 1998 le regioni interessate dagli scioperi aumentarono dal 42% al 75%.”

[45]        Sull’argomento non è stato possibile reperire in rete una letteratura specifica, ma esistono molti articoli di giornale, in russo e in inglese: “В Приморье объявили голодовку рабочие завода”, agenzia ANN del 06.02.07 (http://www.annews.ru/news/detail.php?ID=75163), dove si descrive uno sciopero della fame di lavoratori da sei mesi senza stipendio; Radio Majak riporta nel 2002 di uno sciopero della fame dei controllori di volo di Omsk (“В Омске авиадиспетчеры проводят голодную забастовку”, http://old.radiomayak.ru/regions/02/12/24/17215.html); è di quest’anno l’articolo del portale theotherrussia.org “Russian Workers Continue Hunger Strike over Unpaid Wages”  (http://www.theotherrussia.org/2008/05/14/russian-workers-continue-hunger-strike-over-unpaid-wages/), mentre la BBC nel 2005 scrive un pezzo sui lavoratori degli Urali in lotta – alcuni di questi già in condizioni precarie di salute a causa degli aiuti forniti a Chernobyl all’epoca del disastro nucleare (“Russian workers on hunger strike”, http://news.bbc.co.uk/2/hi/europe/4293715.stm); il portale sui cuscinetti (sic!) ebearings.com riporta nel 2005 “Russian Bearing Factory Workers on Hunger Strike” (http://www.ebearing.com/news2004/121501.htm). Da queste fonti, pur nella loro frammentarietà, si possono ricavare alcune costanti:

            - sono situazioni dove la lotta frontale è divenuta ormai impossibile (e su questo punto torneremo) e si sceglie quindi la platealità del gesto estremo;

            - alle azioni di lotta partecipano al massimo alcune decine di lavoratori in rappresentanza della totalità;

                        - la scelta di questo tipo di lotta impone per la soluzione della vertenza tempi brevi (giorni e non mesi o anni).

[46]        Analizzando tali scelte estreme, occorre per completezza di informazione rilevare alcuni punti, che l’Autore ignora:

            - ovunque essa sia, a una ditta insolvente o in bancarotta non si può chiedere soldi che non ci sono (ne sa qualcosa mio padre, che ricevette il TFR dopo OTTO anni che la ditta era fallita, e siamo in Italia); quando la pratica passa a un tribunale contro chi si sciopera? Rimane solo il gesto di chi cerca come può di attirare l’attenzione collettiva – sia  esso opinione pubblica o assistenza statale – sulla soluzione in tempi rapidi del  proprio caso;

            - l’Autore non menziona nella sua analisi che dal 01/01/02 è in vigore in Russia una nuova legislazione del lavoro (originale pubblicato sulla Rossiskaja Gazeta - Трудовой кодекс Российской Федерации от 30 декабря 2001 г. N 197-ФЗ (http://www.rg.ru/oficial/doc/codexes/trud/) e traduzione integrale in inglese sul sito dell’ILO – Labor code of the Russian Federation of 31 december 2001 (Federal Law No. 197-FZ of 2001) http://www.ilo.org/dyn/natlex/docs/WEBTEXT/60535/65252/E01RUS01.htm). Vista l’enorme mobilitazione sociale degli anni ’90 tale legge, di taglio espressamente borghese, limita fortemente il  diritto di sciopero (Cap. 61: “Sulle controversie di lavoro collettive” art. 398-418). Senza entrare nel merito, in base a questa nuova legge la maggioranza delle modalità di sciopero impiegate fino a quel momento divenne illegale (quindi passibile di sanzioni disciplinari fino al licenziamento).

                In conclusione, anche se questo non giustifica assolutamente la responsabilità diretta dei sindacati nel crollo vertiginoso delle agitazioni, inquadrare il fenomeno nel contesto storico e sociale aiuta sicuramente ad approfondirne la comprensione laddove, in ultima analisi, i lavoratori sono stati lasciati soli.

[47]        Le “Centurie nere”, movimento ultrareazionario a cavallo delle due rivoluzioni, spiccatamente nazionalista, xenofobo e antisemita, dopo la fine dell’URSS si ricostituì con lo stesso nome (Чёрная Сотня) e le stesse idee, oggi pubblica un giornale («Православная Русь») e ha una propria casa editrice (Русская Идея). Una breve scheda su http://en.wikipedia.org/wiki/Black_Hundreds. Interessante notare come inizialmente i diplomatici russi cercarono di spiegare al proprio Paese il fascismo italiano utilizzando come metafora proprio le Centurie nere. Cfr. German Sandomirskij, alto funzionario del commissariato degli Esteri, citato da Vjacheslav Kolomiez, in “Il Bel Paese visto da lontano”, Manduria, 2007,Pietro Lacaita Editore: “È proprio dalla storia del movimento rivoluzionario russo che si può ricavare un termine molto più preciso per definire il ruolo dei fascisti nel movimento economico del proletariato italiano delle città e campagne. Quel termine è la zubatovščina. Infatti, mentre nella parte politica del proprio programma il fascismo può essere paragonato a qualsiasi movimento delle centurie nere, il suo programma economico corrisponde completamente alle caratteristiche della zubatovščina.”