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Kosovo 2005: Viaggio - reportage nell’Apartheid in Europa - (Prima parte)

 


di Vigna E.

 

Cos’è un enclave…. Un territorio, un villaggio, una ristretta area completamente chiusa, dove si sono rifugiate quelle ultime migliaia di serbi e non albanesi, che dopo i bombardamenti del 1999, non hanno accettato di essere cacciati dalla propria terra e di scappare in Serbia o altrove. Qui vivono barricati, circondati da mezzi militari delle forze internazionali ( Kfor) e spesso dal filo spinato, in una condizione umana di prigionieri e assediati; dove nessuno può uscire, se non sotto scorta militare in autobus collettivi, e solo per emergenze, pena il rischio di venire ammazzati.

“ Qui chi non impazzisce non è normale “, c’era scritto sul muro di una scuola dell’enclave serba di Gracanica….prima che distruggessero anche il muro.

 

In questi cinque anni ho seguito costantemente e davicino le vicende del Kosovo Metohija, ma la realtà vista e constatata nel vivo della vita quotidiana sul posto, ha superato qualsiasi analisi, valutazione o cognizione di causa.

Le parole dette da un militare italiano in una chiacchierata informale, penso possono dare un’idea della realtà delle enclavi : “…per un mese dal mio arrivo sul posto, sono rimasto scioccato da cosa vedevo e conoscevo circa le enclavi e la vita in esse…”. Parole di un militare, membro di truppe di occupazione straniera.

 

Il viaggio è stato fatto dal 13 al 18 gennaio 2005, insieme al sottoscritto invitato dalla comunità dell’enclave di Gorazdevac, facevano parte della delegazione due sindacalisti del Sindacato Samostalni e le due responsabili dell’Ufficio Adozioni Internazionali dello stesso sindacato.

Sono stati portati  contributi economici derivati dal Progetto SOS KOSOVO, lanciato nel dicembre scorso dall’Associazione SOS Yugoslavia, i cui dettagli sono indicati a parte, doni in dolciumi e vestiario con il contributo del Sindacato stesso.

Il viaggio è stato possibile avendo avuto la scorta della Kfor, che ci ha permesso di poter andare a visitare e incontrare anche le realtà di Pec e Decani, oltre a Mitrovica.


Il ruolo della scorta: soprattutto nella prima notte, ma anche al ritorno, se ne è andata un po’ per conto suo, lasciandoci spesso lontani e abbastanza indifesi ed esposti ad eventuali violenze, se si esclude il soldatino ( poco più di un ragazzino del contingente rumeno) che saliva con noi sul furgone col suo mitragliatore, quasi più grande di lui. Bisogna dire che l’unica funzione reale è quella di formale deterrente, dato lo spaventoso livello di odio e violenza che viene manifestato lungo le strade da ragazzini e non, al passaggio di macchine scortate, che hanno il significato della presenza di serbi o…di amici dei serbi, che porterebbe allo stesso non piacevole risultato se si finisse in mezzo alla gente. Nella normalità accade soltanto gestacci, minacce, sputi sui vetri o sassi volanti. Infatti proprio nei mesi scorsi lo stesso convoglio è stato attaccato a novembre con bottiglie molotov, e a dicembre con una sassaiola che, in entrambi i casi ha distrutto il bus e provocato numerosi feriti, in questi casi non gravi; la scorta come spesso in questi 5 anni, non è riuscita a impedire nulla e nemmeno ad identificare nessuno delle decine di assalitori albanesi. A detta della gente del posto ogni volta che gli estremisti albanesi attaccano la Kfor si defila o si allontana, per poi ricomparire quando gli avvenimenti prendono una piega incontrollabile. Ad onore della verità, questo finora non è successo nella difesa dell’antico patriarcato di Pec e al monastero di Decani, dove ci è stato detto dell’impeccabile e finora decisivo, nell’evitarne la distruzione, compito difensivo svolto dal contingente italiano contro le orde criminali.

 

La vita (…?…) dentro le enclavi.

Nell’enclave di Gorazdevac sopravvivono circa 760 persone.


Prima dei bombardamenti del ’99

Nelle parole del nostro referente locale, l’ex operaio Zastava Milko, frammenti degli avvenimenti e delle verità nascoste o falsificate per “formare” una opinione pubblica occidentale consenziente alla “necessità della guerra umanitaria”.

“…Il nostro vicino di casa era albanese e per oltre trentanni abbiamo vissuto da buoni vicini e amici, in tutte vicende della vita quotidiana. Anche negli anni prima del ’99, quando gli estremisti albanesi facevano protestare per maggiori diritti e per più autonomia, ogni famiglia di loro era obbligata a  partecipare in qualche modo, in quanto l’UCK era clandestino e commetteva  numerose aggressioni ed attacchi, soprattutto contro albanesi che erano indifferenti o distaccati a quelle proteste; di fatto nessuno di loro poteva esimersi dal farle, altrimenti gli ammazzavano animali o bruciavano i campi, o peggio attaccavano la casa o le persone, se sapevano che erano addirittura contrari. Così per non incorrere in questo, anche i nostri vicini facevano scioperi della spesa, o non mandavano a scuola i bambini, non pagavano le bollette e altre cose, ma l’accordo tra noi era che,  in quei periodi, gli facevamo noi la spesa, badavano ai campi o alle bestie se bisognava portarle fuori, gli procuravamo medicine o altre piccole commissioni o fabbisogni giornalieri; questo per dare l’idea di come era la vita di tutti i giorni, e questo valeva anche tra le altre famiglie del villaggio…. Amici e buoni vicini per 30 anni e poi…una sera durante le violenze e gli assalti, mentre la mia famiglia era profuga in Serbia ed io ero rimasto, vivendo nei boschi intorno alla casa, sperando che non la bruciassero, una sera aspetto il mio amico al suo ritorno dai campi, cercando il momento che nessuno ci potesse vedere, sapendo che se si sa che un albanese parla con un serbo, rischia di essere ucciso dall’UCK. Avevo pensato di regalargli la mia mucca prima che venisse rubata o ammazzata dai terroristi, lo chiamo ma  lui non mi saluta più, mi guarda come fossi un fantasma, uno sconosciuto ed il fratello che era venuto dall’Albania, mi insulta e minaccia urlandomi che avrebbero ammazzato tutti i serbi e che dovevo andarmene via subito se non volevo morire….Ma non è stato tanto questo, lui non era un mio amico, è stato guardare negli occhi una persona con cui hai vissuto vicino per trentanni ed essa fa finta di non conoscerti, io so che  forse era per paura o terrore di essere considerati amici dei serbi, per paura di quelli dell’UCK, per salvare la propria famiglia, la propria casa, la terra, so che potrebbe essere per questo,ma….in quel momento, quella sera in quel sentiero sulle nostre terre, dei nostri campi, che ogni sera percorrevamo insieme per tornare dalle nostre famiglie, nei nostri focolari, quella sera ho pianto. Ho compreso fino in fondo che nulla sarebbe più potuto tornare come prima, mai più. Non solo perché si stava vivendo una situazione spaventosa, non solo perché quello è stato il tradimento di una amicizia, il tradimento di trentanni, ma perché è stato un tradimento nell’anima. Eravamo sempre stati amici, i bambini cresciuti insieme, feste fatte insieme, aiuti reciproci e questo non lo si potrà più dimenticare, ma non si potrà più tornare come prima, nulla potrà mai più essere come prima, ci hanno traditi, forse per paura del terrore dell’UCK, forse per opportunismo e prendersi le nostre case e terre, forse, forse, forse…. Ma nulla e nessuno potrà cancellare cosa è successo e cosa ci hanno fatto. Noi non lo dimenticheremo mai e neanche i nostri figli…”.

 

Come scriveva il poeta serbo di inizio novecento V.P. Dis:


“…i tempi neri della distruzione sono arrivati.

Sono gonfiati la feccia, il vizio, la malvagità.

Il marcio puzzo del declino si è levato.

Tutti gli eroi e i poeti sono morti.

Le tane, i covi e i canali sono scoperchiati,

i sotterranei sono elevati al sole del giorno.

Tutti subdoli, tutti maledetti, tutti piccoli….”

 

 

La situazione sociale dentro le enclavi : Gorazdevac.

 

Sanità : una stanza è adibita ad ambulatorio, con la presenza di una dottoressa del posto che vive all’interno dell’enclave; oppure in altre enclavi, viene portato un medico sotto scorta una o due volte la settimana ad incontrare la gente.

Mancano praticamente tutti i tipi di medicine ( vi sono solo quelle donate, in  questa occasione abbiamo portato tre scatole di medicinali raccolte, erano alcuni mesi che non ricevevano nulla: ma le nostre medicine non erano specifiche, bensì una raccolta generica, quindi forse neanche un palliativo, come utilità ); non vi sono strumenti, macchinari per fare esami. Per essere curati o in casi di malattie o problemi, occorre fare una richiesta 72 ore prima alla Kfor ( forze militari internazionali), per poter essere portati sotto scorta  all’ospedale di Mitrovica nord, cittadina con la più alta concentrazione della comunità serba, e ricevere cure o fare controlli ed esami, questo per casi urgenti, per il resto si può aspettare anche mesi. Ovviamente nelle situazioni in cui quei tre giorni   possono essere decisivi, si muore e pazienza, come già successo per vari casi sia di anziani causa problemi cardiaci, sia per bambini che necessitavano di ricoveri o interventi immediati. Quindi per morire è sufficiente che sia necessario anche solo un semplice farmaco che lì non c’è,  o un semplice intervento di pronto soccorso che lì non esiste.


Ma c’è anche lo spaventoso problema delle conseguenze dei “bombardamenti umanitari “ con l’uranio impoverito, un argomento top secret, su cui non si hanno dati, cifre o numeri, ma che ormai è entrato normalmente nella vita della popolazione kosovara, questa volta in modo unitario e paritario, in quanto per “liberarli” li hanno abbondantemente investiti di centinaia di tonnellate di proiettili “arricchiti di uranio impoverito” : ci sono mappe e cartine del Dipartimento Pubbliche Informazioni dell’ONU  dove risulta praticamente uranizzata l’intera area, in ogni suo angolo e dove l’inquinamento della terra e delle falde acquifere è praticamente ufficiale; tanto che l’uso dell’acqua dei rubinetti è sconsigliata anche solo per lavarsi i denti, figurarsi per dissetarsi o fare da mangiare: gli stessi soldati della Kfor hanno l’ordine di non bere assolutamente acqua fuori dalle loro basi, al cui interno viene usata esclusivamente solo acqua minerale.

 Ma sorge una domanda: e chi non ha soldi sufficienti per fare scorte di acqua minerale per tutti gli usi? E chi, come i prigionieri delle enclavi, può procurarsi solo periodicamente e in non grosse quantità l’acqua minerale, quale destino gli spetta? Intanto ufficiosamente si sa già che sia tra i neonati degli ultimi tempi, che nelle stesse nascite di animali, sono centinaia già i casi di deformazioni e malattie, legate all’uranio impoverito.


Ha denunciato il padre francescano J. M.Benjamin: “…Il 70% della regione del Kosovo e il 30% della Serbia sono contaminati. E’ scandaloso e riprovevole il comportamento dei mass media di tutto il mondo nei confronti dell’uranio impoverito…Ancora una volta gli organi di informazione si mostrano asserviti ai dettami del potere che, come d’abitudine, rende noto solo  quanto conviene ai loro scopi…”.


Lavoro:
l’unica forma di lavoro è in piccoli appezzamenti di terra esterni alle case, ma  interni alla zona protetta. L’enclave è formata da due zone : quella dove vive la comunità con la case non distrutte o incendiate, con un diametro vitale di circa 1 Km, dove vi è la prima linea di controllo della Kfor e la più vigilata ( in cui vi è anche il campo militare della Kfor ), da dove nessuno può entrare o uscire senza permesso. La seconda fascia è formata da campi e da boscaglia circostanti il villaggio, anche questa di circa 1 Km, meno controllata e quindi più pericolosa, a sua volta circondata da una seconda linea più esterna di vigilanza della Kfor; ed in questa gli uomini ogni giorno vanno a lavorare un pezzo di terra, con il rischio quotidiano di non tornare a casa per via dei cecchini o di raid terroristici improvvisi, o di mine sparse intorno dall’UCK, come più volte successo in questi anni. Per il resto non c’è nessun altro tipo di attività produttiva, se si esclude l’allevamento di animali ad uso del sostentamento familiare.


Scuola :
nell’enclave di Gorazdevac, vi è solo la scuola elementare, con circa un centinaio di bambini,  con la presenza di alcuni maestri e un ottimo direttore, che l’Unmik (Missione dell’ ONU) voleva sostituire con uno più “ fiduciario” ai suoi interessi ed esigenze amministrative, ma che la comunità con forti proteste ha fermamente difeso e preteso restasse nel suo incarico. La vita dei bambini ruota tutta intorno alle ore passate nella scuola,  dove tutto è vetusto e fermo a cinque anni fa, e dove manca ogni cosa,  dalla cancelleria alle attrezzature. Il resto delle loro giornate, da cinque anni a questa parte, è in casa o nelle strade sterrate del villaggio, perché non devono assolutamente neanche andare in prossimità delle ultime case, per non rischiare di venire colpiti da eventuali cecchini; come avvenuto ad Agosto del 2003, quando un gruppo di ragazzi dell’enclave andato a poche decine di metri a bagnarsi in un torrente è stato assalito con raffiche di mitra dal bosco, con due ragazzi assassinati e altri quattro feriti, di cui due rimasti invalidi permanenti.

Per i ragazzi delle enclavi che vanno alle superiori o all’Università, l’unica possibilità è frequentare nella cittadina di Mitrovica nord, andando all’inizio della settimana con l’autobus scortato dalla Kfor e rientrando al venerdì, dormendo da parenti o alla casa dello studente; mentre per chi fa l’Università la cosa più semplice e dare solo gli esami senza frequentare.


L’economia
della comunità si basa esclusivamente su orti familiari, sulle pensioni degli anziani erorate dalla Serbia ( 50 o 60 euro) e sul sussidio mensile di disoccupazione ( 60 euro, che scadrà a settembre 2005) degli unici 17 ex lavoratori della Zastava di Pec, che dal Marzo ’99 non possono più recarsi al loro posto di lavoro…colpevoli di essere serbi. Nell’enclave vi è soltanto un negozietto bazar rifornito periodicamente di prodotti su richiesta ed un bar, dove non vi sono neanche sedie.


Diritti:
  su questo aspetto c’è poco da dire, chi vive nelle enclavi è di fatto un prigioniero, ma anche un essere umano senza nessun tipo di diritti, da quelli umani, a quelli civili, a quelli sociali.


Il Kosovo di oggi è una situazione di apartheid, dove chi non è di origini schipetare (albanesi), sopravvive in una sorta di limbo fondato sul razzismo etnico; dove sono negati il diritto al lavoro, ad essere curati, all’istruzione, alla spesa anche solo per il sostentamento alimentare della propria famiglia, alla libertà di movimento, al diritto del proprio credo religioso; persino la continua e provocatoria interruzione della fornitura dell’acqua ed elettrica, sono usate per rendere impossibile  l’uso dei frigoriferi, che significa l’affamamento, in quanto le scorte alimentari marciscono; delle radio e tv, dei telefoni, unico filo virtuale di comunicazione col mondo reale, praticamente impedendo anche una allucinante normalità. In compenso la Compagnia Elettrica Kosovara sta mandando a tutte le famiglie serbe ancora presenti, le bollette con gli arretrati di tutti questi anni, bollette che arrivano anche a 1000 euro.

In pochi giorni siamo stati subissati da decine, centinaia di storie e vessazioni, da quella di un semplice contadino del posto bastonato, pestato a sangue, arrestato perché indicato da un albanese come un criminale e dopo tre anni di prigione, senza avvocati né interrogatori di alcun tipo, rilasciato e minacciato di morte se non abbandonava il Kosovo.


Oppure al storia di una madre di 5 figli ( aiutata dalla nostra Associazione) a cui i banditi dell’UCK hanno ucciso il marito e poi bruciato la casa. Ora i resti della casa  si trovano ai lati della base della Kfor, che le impedisce di tornare a viverci per motivi di sicurezza militare; per lei tornare lì anche se diroccata, è meglio che continuare a vivere in case di altri che la ospitano, in quanto non ha più nulla. Per cui ha deciso che pianterà una
tenda dove c’era la casa e la Kfor dovrà cacciarla con la forza insieme ai suoi bambini.


Oppure il comportamento della
Kfor durante il capodanno albanese, alcuni di loro sono andati verso l’enclave sparando raffiche di mitra e lanciando granate, con la Kfor che, dopo le proteste della gente dell’enclave perchè intervenissero a sequestrare le armi ( visto che le enclavi sono state minuziosamente perquisite alla ricerca delle armi), indispettita ha intimato ai serbi di rientrare nelle case e di non insegnare a loro cosa dovevano fare, aspettando che se ne andassero tranquillamente con le loro macchine. Per poi, durante il capodanno ortodosso accorrere e sequestrare ai bambini serbi dell’enclave alcuni petardi con cui giocavano…perché disturbavano.

Oppure la storia di quell’anziano, il cui figlio era venuto in Italia in cerca di lavoro ed ora è in regola con i documenti, l’ha invitato prima che muoia, a rivedersi in Italia dopo 5 anni, ma lui non può andare perché è un cittadino….che non esiste più: infatti dovrebbe avere il timbro dal consolato italiano di Pristina…ma lui non può uscire dall’enclave e andare a Pristina, perché essendo serbo lo possono ammazzare…..e così via, racconti per giorni, mesi interi. 


Penso possa dare l’idea della situazione allucinante, da antico Far West… ma accade nel 2005, è la norma di sostituire le
targhe prima di avventurarsi per le strade del Kosovo, infatti una macchina con le vecchie targhe federali sarebbe immediatamente attaccata e i suoi occupanti probabilmente ammazzati; così, come abbiamo fatto anche noi, pur avendo la scorta armata della Kfor, cacciavite e copia taroccata di una targa kosovara e via, nel regno della democrazia e della civiltà portate dall’occidente, con buona pace di quei primitivi e cavernicoli cittadini kosovari che, fino al 1999 fossero stati di qualsiasi etnia o TRIBU’ autoctona del Kosovo Metohija, avrebbero potuto andare dove gli pareva e con chi gli pareva.….Tra l’altro non erano invitati a violare le leggi del proprio stato, infatti l’invito, in realtà quasi un ordine dato dalla Kfor ( in quanto altrimenti non rispondono della vita di chi non lo fa), è paradossalmente un invito a compiere un atto che, come era nel Kosovo incivile fino a 5 anni fa e come è in qualsiasi paese della Terra, un REATO: sostituire le targhe delle auto a seconda delle zone in cui ci si trova, addirittura ci sono zone dove si è autorizzati a girare senza targa….tanto il Kosovo è “libero”!!! …..Però non c’era la civiltà e la democrazia!  

Altro che i bla bla bla occidentali sulla libertà e la democrazia: è il diritto alla vita stessa che viene negato oggi in questa parte d’Europa. In quanto cercare di perseguire anche uno solo di quei diritti significa oggi rischiare di essere assassinati: una vita quotidiana, da cinque anni riempita di terrore, di angoscia, di vessazioni materiali e morali, di stress con conseguenze devastanti nella psiche dei bambini, ma anche degli adulti; questo è oggi la provincia del Kosovo Metohija, questo è il risultato dell’aggressione alla Repubblica Federale jugoslava di cinque anni fa, la famosa “guerra umanitaria” con i “bombardamenti etici”, perché, dicevano bisognava portare i “diritti” in quella regione, impedire violenze o addirittura genocidi.

 

Prima parte   -    (8-02-05)