www.resistenze.org - popoli resistenti - siria - 26-11-11 - n. 387

da http://www.michelcollon.info/Syrie-autant-en-emporte-le-vent.html?lang=fr
Traduzione dal francese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare 
  
Siria: via col vento…
 
La guerra dell'informazione, propaganda e menzogne mediatiche: la Siria più che mai sul terreno di un giornalismo a geometrie variabili
 
di Pierre Piccinin *
 
23/11/2011
 
Dall'inizio dei disordini scoppiati in Siria, nel contesto della "primavera araba", l'informazione e la disinformazione si fronteggiano su questo terreno, rappresentando in maniera particolarmente instabile i molteplici interessi delle diverse comunità e fedi che vi coabitano, ma anche i ruoli ambigui dei diversi attori internazionali, compresi Turchia e Arabia Saudita, nonché il Qatar con la sua emittente televisiva sempre più controversa, Al-Jazeera.
 
Di fronte a questa situazione critica, il governo baathista aveva adottato una politica di opacità, chiudendo i confini e vietando i giornalisti e gli altri osservatori.
 
Verificare l'affidabilità delle informazioni provenienti dalla Siria è stato da allora spesso difficile. Ma non impossibile. Nel mese di luglio, avevo ottenuto il visto e il permesso di viaggiare liberamente in tutto il paese: da Deraa ad Aleppo e da Latakia a Deir ez-Zor; e non ero l'unico sul posto François Janne d'Othée, Alain Gresh di Monde Diplomatique, o Gaëtan Vannay di Radio suisse romande.
 
Avevo osservato la situazione a Homs, dove i manifestanti "pacifici" dotati di armi da fuoco avevano attaccato l'esercito, e a Hama venerdì 15 luglio, dove qualche migliaio di manifestanti di cui avevo potuto verificare la consistenza numerica, si erano miracolosamente moltiplicati in 500.000 oppositori nelle veline di AFP [Agenzia di stampa France Presse], "informazione" docilmente ripetuta da Euronews, France 24 e dai maggiori giornali "mainstream", con la sola eccezione di Le Monde, che ha rilanciato a 600.000 manifestanti (Hama conta poco più di 340.000 abitanti).
 
Questa politica di opacità, si è rapidamente rivelata controproducente per il governo siriano nella misura in cui l'opposizione ha progressivamente diffuso notizie false, ingigantendo l'importanza dei movimenti di protesta a proporzioni colossali: la battaglia delle cifre sul numero di morti e quello dei manifestanti ha raggiunto il limite dell'assurdo, come dimostra l'esempio succitato riguardo la mobilitazione a Hama.
 
Assenti dal campo e chiaramente riluttanti a criticare le loro fonti, i media occidentali non hanno dubitato delle "informazioni" che ricevano attraverso i canali dell'opposizione, rifiutando come propagandiste le notizie diffuse dal governo siriano. Allo stesso modo non è mai stato avanzato alcun dubbio sui video trasmessi dalle opposizioni, presunte prove di una Siria a ferro e fuoco, attraversata da dimostrazioni di decine o centinaia di migliaia di partecipanti, quando le immagini sistematicamente ritraevano primi piani con qualche centinaio di persone. E i pochi osservatori che hanno potuto entrare in Siria e fare le loro constatazioni sono stati generalmente smentiti e screditati come fantasisti o sostenitori della dittatura.
 
Tra le fonti principali di comunicazione, l'Osservatorio siriano per i diritti umani (OSDH), quasi sempre citato dai giornalisti ed egemone nel campo dell'"informazione" sulla Siria (è questa l'organizzazione, con sede a Londra, che ha annunciato i 500.000 dimostranti a Hama, il 15 luglio 2011).
 
Tuttavia, non è difficile avere notizie riguardo l'identità di OSDH e delle persone che si nascondono dietro questa etichetta rispettabile, a cominciare dal suo presidente, Rami Abdel Rahman, un oppositore di lunga data del regime baathista, ben noto in Siria come strettamente legato ai Fratelli Musulmani, l'organizzazione radicale islamista la cui crescente influenza sul movimento di protesta in Siria indica chiaramente le ambizioni di questo gruppo ritenuto quasi inesistente nel paese per via della sua interdizione, ma che covava in clandestinità.
 
Il 17 novembre, i Fratelli Musulmani sono usciti dal bosco: mentre molti osservatori ritenevano il movimento esangue e senza alcun peso, il portavoce dei Fratelli, Mohammad Riad Shakfait, in esilio in Turchia, parlando a nome del "popolo sirianio", ha annunciato che "l'intervento era accettabile per proteggere la popolazione civile". Ne ha definito anche i contorni: l'intervento sarebbe stato accolto meglio se fosse provenuto dalla Turchia, piuttosto che dalle potenze occidentali (la Turchia è governata da un partito islamico chiamato "moderato", l'AKP).
 
Nel mese di luglio, avevo potuto constatare il crescente coinvolgimento dei Fratelli Musulmani nelle proteste, tanto che comunità minoritarie (cristiani, drusi, curdi, sciiti e alawiti ... oltre che una parte della borghesia sunnita) si sono separate e hanno persino rivendicato il loro sostegno al regime, temendo un'ascesa islamista, le cui intenzioni sono chiare: la creazione in Siria di una repubblica islamica.
 
Inoltre, i Fratelli Musulmani a nome del CNS (Consiglio nazionale siriano: riunisce le principali correnti di opposizione con obiettivi molto diversi e divergenti e si presenta come alternativa al governo di Bashar al-Assad) di cui sono membri, hanno avviato negoziati con la Turchia, ma anche con i governi occidentali, per la creazione di una zona interdetta al volo per proteggere i civili, quando il CNS stesso aveva rifiutato qualsiasi ingerenza straniera. E' chiaro da questi eventi che gli islamisti hanno acquisito un'influenza significativa sull'opposizione e sulle sue strutture esecutive.
 
In altre parole, è chiaro che negli ultimi mesi, i media occidentali sono stati "informati" dai Fratelli Musulmani siriani e, attraverso la OSDH, hanno servito, compiacenti o meno, la loro agenda per la Siria.
 
Riconoscendo la necessità di contrastare efficacemente la propaganda dell'opposizione, e questo in modo credibile e indiscutibile (vale a dire con strumenti diversi dalle smentite ufficiali), il governo siriano pare abbia deciso, da circa una settimana, di consentire nuovamente l'ingresso sul suo territorio di osservatori stranieri. Il contesto intanto è sempre più teso: la Lega Araba ha aspramente criticato la Siria, per decisione di Arabia Saudita e Qatar, profondamente coinvolti nel sostegno ai movimenti islamisti libici, tunisini e siriani; Israele, silenzioso fin dall'inizio degli eventi, ha accettato di ricevere i rappresentanti del CNS per avviare negoziati; la Russia, benché alleato storico del regime siriano, ha fatto lo stesso (nonostante abbia dispiegato la sua marina nei porti siriani, chiaro messaggio a chi prevede, Ankara o altri, un intervento militare in territorio siriano) e, infine, la militarizzazione della protesta: l'opposizione sembra aver deciso di passare all'offensiva e gli attacchi sempre più frequenti contro le forze armate del governo siriano, talvolta con armi pesanti, o con il fuoco dei cecchini sulla polizia, i rapimenti e gli omicidi, e un "esercito siriano libero", composto di "disertori", ha iniziato la lotta contro il governo e ha chiesto al CNS di accoglierlo sotto il suo comando (qualche dubbio sussiste sulla costituzione dell'esercito siriano libero, con il grosso della forze in realtà composto da elementi stranieri in uniforme siriana, soprattutto islamici armati dal Qatar).
 
Se alcuni media hanno iniziato a cambiare il loro parere sugli eventi in Siria (si veda, ad esempio, l'articolo di Christophe Lamfalussy, pubblicato da La Libre Belgique il 19 novembre o il reportage di RTBF, benché timido, in onda lunedì 21), questa apertura non è riuscita a fermare la guerra di propaganda contro il regime baathista, sostenuta non solo dall'organizzazione dei Fratelli Musulmani e dalle varie correnti di opposizione riunite nel CNS.
 
Già profondamente coinvolto nel rovesciamento del governo libico, dove, a seguito di un accordo bilaterale con la Francia, ha rinforzato molti movimenti islamisti, il Qatar usa ora il suo braccio mediatico, Al-Jazeera, per sostenere la protesta in Siria, come aveva fatto in Tunisia contro Zine Abidine Ben Ali (in Marocco, però, Al-Jazeera aveva abbandonato al loro destino i manifestanti che denunciavano la monarchia; lo stesso silenzio ha tenuto sul massacro dei manifestanti in Bahrain, schiacciati dai carri armati delle truppe saudite inviate a rinforzo).
 
Un esempio di media-menzogne "made in Qatar" è andato in onda questa domenica 20 novembre: Al-Jazeera (e Al-Arabia: Dubai - Emirati Arabi Uniti) ha diffuso un reportage che annuncia l'attacco al quartier generale del partito Baath a Damasco.
 
Secondo Al-Jazeera, due uomini su una motocicletta hanno sparato almeno due razzi contro l'edificio, andato in fiamme; l'attentato è stato rivendicato dall'esercito siriano libero, che ha colpito i simboli del potere nel centro di Damasco, la capitale, fino ad ora risparmiata da nove mesi di contestazioni.
 
Il regime di Bashar al-Assad, colpito al cuore e per la prima volta a Damasco?
 
Di nuovo, a sostegno di questa "informazione" inventata questa volta da Al-Jazeera, l'Osservatorio siriano dei diritti dell'uomo appone il sigillo, fornendo due precisazioni: sarebbero stati sparati due ulteriori razzi, che hanno mancato il bersaglio ...
 
Come di consueto le "informazioni" sono state ripetute in coro da tutti i media mainstream.
 
Quella domenica sera stessa, uno dei miei contatti a Damasco mi ha chiamato: "La mia famiglia vive vicino alla sede del partito Baath, l'edificio è intatto, è una menzogna".
 
Lunedì 21, ho chiesto a un amico che vive a Damasco di verificare per me l'informazione e scattare una fotografia della sede del Baath, con in primo piano l'edizione quotidiana di un giornale occidentale ad ampia diffusione, in modo che non ci potesse essere alcun dubbio circa la data in cui è stata scattata la fotografia.
 
Risultato: l'edificio sede del partito Baath a Damasco è intatto, nessun lancio di razzi ha colpito l'edificio. [Foto]
 
L'esercito siriano libero che domenica aveva rivendicato l'attacco sulla sua pagina Facebook, ha rimosso la pagina lunedì.
 
Tra la disinformazione organizzata da un'opposizione islamista, sostenuta dalle monarchie del Golfo e dai media arabi dominanti e l'incompetenza politically correct dei media occidentali, Damasco può sempre riaprire i propri confini ...
  
(*) Storico - politologo (Bruxelles)
 
 

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