www.resistenze.org - popoli resistenti - sudan - 06-07-07

da Rebelion
www.rebelion.org/noticia.php?id=53086
Oulala.net
 
Sudan: qualche chiarimento
 
Cosa c’è dietro il”genocidio del Sudan”
 
04/07/2007
 
COMAGUER*
 
Sulla scena diplomatica mondiale la questione del Darfur è in primo piano, ma ciò non è una conseguenza di un rapido e drammatico aggravarsi del conflitto, che in quella provincia occidentale del Sudan perdura da anni.
 
L’uso del gravissimo termine di “genocidio” rispetto al Darfur è stato lanciato nel 2004 da Colin Powell. L’abuso di questo termine, in contraddizione con la definizione stabilita dall’ONU in occasione della “Convenzione per la prevenzione e la sanzione del delitto di genocidio” adottata il 9 dicembre del 1948 ed entrata in vigore il 12 gennaio del 1951, è una costante della politica estera degli Stati Uniti da quando è scomparsa l’URSS. Nonostante gli USA siano stati fra i primi firmatari di tale convenzione e negli ultimi anni abbiano dimostrato di preoccuparsi ben poco del diritto internazionale, accusano il Sudan di tale crimine. Il Sudan, tra l’altro, è firmatario della convenzione sopra citata, a differenza dei suoi vicini, il Ciad, la Repubblica Centrafricana ed il Congo, che non lo sono mai stati.
 
Allora perché è di moda il “genocidio del Darfur”? E dire che quella parola fa accapponare la pelle quando si riferisce alle sofferenze reali di popolazioni già disgraziate.
 
Un cattedratico statunitense, Alex Waal, che di recente ha studiato l’argomento, ha concluso che è vero, nel Darfur c’è un “genocidio”, così come esiste un genocidio nel Congo, in Burundi, in Uganda, in Nigeria ed in molti altri paesi.
 
Alex Waal dirige il Programma di Ricerca di Scienze Sociali di New York ed è membro del Global Equity Initiative di Harvard. Sul Darfur ha pubblicato due libri molto documentati, in cui studia le specificità etniche e culturali degli abitanti di questo paese, realmente molto diversi fra loro, ma che non coincidono affatto con l’immagine ridicola e senza fondamento mostrata dai media, seconda la quale gli abitanti del Darfur sarebbero “africani” vittime di arabi, con il seguente e devastante sottinteso: i darfuregni sarebbero “africani buoni” vittime di “arabi cattivi”, compreso il governo di Kartum. Che gli arabi abbiano superato il Mar Rosso e si siano piazzati nel Sudan è un fatto storico, ma risale all’epoca di Maometto, e da allora hanno avuto tempo di mischiarsi.
 
Pertanto ci sono due modi di parlare di Darfur:                                                                          
 
-          in modo umanitario: in una regione povera di un paese povero, una “guerra civile” causa terribili sofferenze agli esseri umani.
-          in modo politico: il Sudan è lo scacchiere di rivalità fra grandi potenze, con gli USA in testa, che vogliono far cadere l’attuale regime sudanese, e la “guerra civile” non consiste solo nel fatto che i cittadini del Sudan si ammazzino fra di loro.
 
Il primo modo di parlarne è usato in genere dalle ONG come Amnesty International, MSF, la Croce Rossa e tante altre, o da ONG create appositamente, quelle che cercano soprattutto un’influenza sull’opinione pubblica occidentale col fine di preparare e approvare azioni politiche e militari - segrete e/o pubbliche - contro il potere sudanese che progettano o sono intraprese dai loro governi.
 
La dinamica, già sperimentata in Yugoslavia, è oggi ben nota.
 
Perché l’interesse per il Sudan ?
 
Il Sudan è il paese più grande dell’Africa, poco popolato: 33 milioni di abitanti in un grande territorio - circa 5 volte la Francia, poco industrializzato, povero di infrastrutture (c’è solo una strada asfaltata) e sotto pressione da parte di un enorme apparato imperialista occidentale (come ha dimostrato la rapida visita di Bernard Kouchner a Kartum, appena un mese dopo la sua nomina a Ministro degli Esteri del governo francese).
 
Tra il tropico e l’equatore, il paese si estende su più di 2.500 chilometri da nord a sud e nell’alta valle del Nilo, che nel suo territorio si divide in due grandi affluenti; il Nilo bianco che nasce molto a sud del paese e il Nilo azzurro, che viene dall’Etiopia, costituendo la colonna vertebrale di questo
 
agglomerato geografico e concentrando la maggior parte della popolazione, inclusa l’enorme Kartum, che ha più di 7 milioni di abitanti.
 
E’ un paese con grandi diversità, tanto per i suoi climi che per le sue popolazioni e culture, eppure, parafrasando Galileo, esiste.
 
Esiste…
 
-          Perché è sempre esistito lungo la sua storia, eccetto che per un breve periodo in cui era integrato in impero del Nilo che esercitava il suo potere sull’immensa conca fluviale.
-          Perché è sfuggito alle faide tribali che in Africa occidentale condussero, con l’appoggio del colonialismo europeo e soprattutto francese, allo smembramento territoriale
-          Perché, al contrario, il colonialismo britannico fece di tutto per evitare che al momento della decolonizzazione gli ufficiali rivoluzionari egiziani estendessero il loro potere sul Sudan
-          Perché nonostante abbia due fattori di unificazione: l’Islam, religione del 60% della popolazione e la lingua araba, anch’essa maggioritaria, questi fattori non condussero all’eliminazione delle minoranza linguistiche, culturali e religiose, e nemmeno produssero un blocco musulmano unificato, giacché le varietà tribali sono ancora vive
 
Il Sudan, dunque, è un paese africano per lo più musulmano e di lingua araba che attraverso la resistenza al colonialismo prima, e attraverso le forti tendenze secessioniste post - decolonizzazione al sud e al nord-ovest, in mezzo a combattimenti e conflitti che superarono l’intensità di quanto accade oggi in Darfur, si è forgiato un’unità.
 
Si dovrebbe ricordare a Washington, e pure in altri posti, che il cammino dell’unità nazionale non è un sentiero fiorito!
 
L’essere oggetto di interessi secondari da parte dell’imperialismo, dato che le sue ricchezze naturali erano difficili da sfruttare (vedi l’immensità del territorio e la povertà o inesistenza della rete di trasporti), è un aspetto che è venuto meno a partire da quando queste ricchezze, in primo luogo il petrolio, sono divenute promettenti, sfruttabili e cominciano a diventarlo davvero per aziende straniere che in maggioranza non sono “occidentali”.
 
L’imperialismo occidentale, quindi, ha intrapreso un’azione multiforme che non esclude rivalità interne - è il caso della Francia con gli USA - destinata a favorire la secessione di alcune province, cioè la “somalizzazione” del paese, la distruzione dello stato e la creazione del caos in cui il potere dovrebbe essere raccolto da bande armate che vivrebbero d’imposte sulle esportazioni (come accade con l’oppio afgano). Ma questa prospettiva è ora lontana, e non sembra nemmeno realizzabile senza un massiccio intervento militare statunitense.
 
Questi tipo di azione è fallita, ma potrebbe tornare in auge nel caso del referendum previsto dagli accordi di pace di prima del 2008, che nel Darfur è stato rapidamente messo fuori discussione.
 
Cenni storici
 
La storia del Sudan è lunga e complessa, è nostra intenzione fare qui solo un breve riassunto, ma alcuni episodi della storia contemporanea, quelli che sono stati i fattori fondamentali dell’unità sudanese, meritano maggiore attenzione.
 
Colonizzato dalla Gran Bretagna, questo paese in Francia era semisconosciuto, e le popolazioni francofone sul territorio erano scarse. C’era un “Sudan francese”, ma con la decolonizzazione è stato rimpiazzato dall’attuale Mali. La sua apparizione nei media francesi è stata brusca, tanto che nei dibattiti sulle questioni internazionali le rare questioni considerate al suo riguardo sono state condivise da entrambi i leaders della competizione presidenziale; il fatto sarebbe davvero sorprendente se non rivelasse, in realtà, un’operazione mediatica preordinata.
 
L’impero del Madhi: l’espulsione del colonizzatore
 
Facente parte dell’impero ottomano agli inizi del secolo XIX, il Sudan fu uno dei paesi occupati dall’imperialismo britannico in espansione solo per esercitare il controllo strategico sulla via dell’India. Il Sudan, infatti, ha 700 km. di costa sulla riva occidentale del Mar Rosso.
 
Prima l’impero britannico dovette assumere il controllo dell’Egitto, che riuscì dopo un lungo scontro con la Francia, terminato nel 1881. L’influenza britannica sul Sudan era difficile e si concretizzò solo dopo una guerra sanguinosa. Il leader sudanese Muhammad Ahmad Ibn Abdallah, detto il Mahdi, diresse la resistenza in nome dell’Islam perché, eccetto che a sud, il paese si era islamizzato da molto tempo, ed era un paese di transito per molti pellegrini provenienti dall’Africa subsahariana diretti alla Mecca. Il colonialismo fece base a Kartum, dove il generale inglese Gordon comandava una guarnigione angloegiziana. Il 26 gennaio 1885 le truppe del Mahdi presero Kartum, uccisero il generale Gordon e posero definitivamente fine alla nuova tutela angloegiziana sul paese.
 
L’episodio è narrato, dal punto di vista britannico, nel film Kartum (1966).
 
Il Sudan divenne uno stato islamista e rimase tale per 14 anni, ma s’indebolì in lotte con l’Egitto e l’Etiopia, che cercavano di sottometterlo. Una nuova campagna militare durata tre anni (1896-1899) permise alla Gran Bretagna di far cadere il regime del Madhi, ma non ottenne la pacificazione del paese, dove si ripeterono varie ribellioni tanto al nord, animate dagli islamismi, tanto al sud, dove le popolazioni erano cristianizzate.
 
Il regime di Neimeiry
 
La Gran Bretagna, pur di impedire alla monarchia egizia - e soprattutto ai suoi ufficiali progressisti - di annettere il Sudan, concesse l’indipendenza al paese. Siccome non ci fu una lotta di liberazione centralizzata, insieme all’indipendenza non si materializzò un potere politico nazionale che alla stabilizzazione compiuta dal governo del generale Neimeiry, rimasto a capo dello stato dal 1969 al 1985. Anche se arrivò al potere insieme ai comunisti, Neimeiry li mise da parte, ed in politica internazionale il regime seguì un’evoluzione parallela a quella del regime egiziano, che non si caratterizzava per un compromesso terzomondista e nemmeno per una posizione neutrale. Ma nonostante la sua differenza di dimensioni, geografica, culturale ed etnica, il Sudan rimase unito e  Neimeiry era rispettato ovunque per essere riuscito ad integrare nel gioco politico nazionale le regioni secessioniste del sud, dotando il paese di una Costituzione federale che dava ampi poteri alle regioni
 
Il regime di Al Bashir
 
Neimeiry venne rovesciato da un colpo di stato senza spargimento di sangue, e la situazione proseguì nell’instabilità fino al 1989, quando, il 30 giugno un nuovo golpe militare portò al potere il generale Omar Hassan Ahmed Al Bachir. Segno dei tempi, il nuovo governo è appoggiato da un movimento islamista, il Fronte Nazionale Islamico (FNI) di Hassan Turabi.
 
Al Bachir è tuttora a capo del paese, ma contrariamente all’immagine fornita all’esterno, il regime non è islamista radicale. Di fatto, il FNI non riunisce tutti i musulmani - né i religiosi praticanti e neppure tutti gli islamismi che vogliono fare dell’Islam la legge dello stato - che sono organizzati in altri gruppi politici e l’esercito sfugge ampiamente alla sua influenza.
 
Il nuovo potere non si è lasciato controllare dal FNI; Turabi è stato messo progressivamente a margine dal centro del potere, e anche se la "Sharia" (1) fa parte della Costituzione, i militari evitano gli eccessi dottrinali perché sono ben coscienti che il mantenimento dell’unità del paese richiede il rispetto delle sue diversità linguistiche e religiose. Al Turabi, dopo aver occupato importanti funzioni, nel 2001 è finito in prigione.
 
La vera ragione per cui l’Occidente, e gli USA in particolare, hanno puntato i riflettori sul regime sudanese è l’appoggio politico che diede all’Iraq durante la guerra del Golfo. Senza tornare sulla storia del Sudan contemporaneo, bisogna segnalare che i vari regimi che si susseguono, anche se prendono il potere con la forza, dopo si fanno confermare al governo tramite elezioni, e che il federalismo, stabilito dalla Costituzione del 1975 e ampliato da una nuova Costituzione nel 1999, rimane la forma base di organizzazione del paese. Nonostante le ribellioni regionali al sud e al nordest, in ballo non c’è mai l’unità del paese, né all’interno né all’esterno, e nessuno dei suoi vicini è intervenuto, se non in modo clandestino, contro il Sudan.
 
Guerre civili in Sudan; silenzio su una e baccano sull’altra
 
Fra le ribellioni regionali la più importante è scoppiata a sud, a partire dal 1990. In realtà era solo la ripresa di una vecchia cospirazione resuscitata dalla presa del potere a Kartum da parte degli islamisti. Nel conflitto precedente tra le regioni del sud, dove l’Islam era minoritario, la popolazione era in maggioranza cristiana e animista (senza netta separazione fra le due pratiche religiose) e il potere centrale era stato abolito nel 1975 dagli accordi di Addis Abeba e l’instaurazione della Costituzione federale. Ma la nuova guerra civile non ha prodotto un’intensa attività informativa in Occidente, per la semplice e buona ragione che esistevano già importanti appoggi proprio dentro l’occidente: i cristiani fondamentalisti degli Stati Uniti e i sionisti, gli uni e gli altri si dedicavano a satanizzare il regime islamista di Kartum, con la segreta speranza di ottenere la divisione del paese e l’indipendenza del sud.
 
Il Movimento per la Liberazione del Sudan (MPLS) ed il suo braccio armato, l’APLS, erano diretti da John Garang, un ufficiale formatosi negli USA, e poteva contare su numerosi simpatizzanti all’estero: gli USA, anzitutto, Israele e la vicina Uganda, da dove provenivano armi e munizioni. Però queste simpatie non si limitavano all’ideologia. Il sud del Sudan possiede importanti ricchezze petrolifere. Le prime indagini e scoperte di giacimenti furono opera di società occidentali capitanate dalla statunitense "Chevron", che diresse le ricerche contemporaneamente sul litorale del Mar Rosso e al sud, ma poiché la guerriglia impediva la prosecuzione di quest’attività, costrinse "Chevron" e "Total" ad abbandonare la missione.
 
Per vendere il petrolio del sud del Sudan nel mercato mondiale è necessario attraversare il centro ed il nord del paese e raggiungere il Mar Rosso. Ma se il potere centrale impedisce il passaggio del petrolio tra i giacimenti del sud e del Mar Rosso, dal punto di vista di una multinazionale statunitense o europea, la cui prima preoccupazione non è certo lo sviluppo del Sudan ma l’estrazione, quel petrolio diventa inutile..Quindi può nascere l’idea di far cadere il regime sudanese ed utilizzare la guerriglia del sud per indebolirlo. Una guerra civile di questo tipo, che potrebbe favorire il capitalismo occidentale non ha suscitato nessuna commiserazione nei nostri media, né alcun progetto di “guerra umanitaria”, come quella condotta all’epoca in Yugoslavia.
 
Questa guerra sudanese è esistita ed ha prodotto profughi e grandi perdite in vite umane, ma l’imperialismo (che la favoriva sottobanco) non ha fatto nessuna pubblicità.
 
L’unico atto di guerra imperialista diretto fu il bombardamento, deciso da Clinton, di una fabbrica di medicine di Kartum, presunta fabbrica di armi biologiche, con il pretesto della presenza sul suolo sudanese di “terroristi islamici”. Erano accusati - a ragione o a torto - di essere implicati nell’attentato contro il World Trade Center di New York (1993).
 
Il petrolio unisce anziché dividere
 
Nonostante la guerra civile che si prolunga e fa decine di migliaia di vittime, progressivamente si stabilizza il percorso di uscita dalla crisi. Il governo sudanese apre la porta a nuove compagnie petrolifere, cinesi, malesi e indonesiane. Queste riprendono le ricerche nel sud, comincia lo sfruttamento e quelle si lanciano, in accordo con il governo, alla costruzione di un oleodotto che porta il petrolio prima di tutto a Kartum, dove viene costruita una raffineria, ed un nuovo porto petrolifero nel Mar Rosso al sud di Port Sudán. Allo stesso tempo si stabilisce un accordo di settore circa le rendite petrolifere tra governo centrale e le regioni produttrici. In tal modo le condizioni per la pace prendono piede e nel 2002 viene firmato l’accordo tra l’MPLS ed il governo di Kartum.
 
John Garang, che morirà poco dopo in un incidente a bordo di un elicottero rapidamente archiviato - forse troppo rapidamente - ufficialmente dovuto alle cattive condizioni atmosferiche, viene nominato vicepresidente del Sudan. Dal 99’ il paese torna così ad essere un protagonista, per il momento ancora di peso modesto, ma con buone prospettive di crescita, e proprio fra i piedi delle multinazionali statunitensi.
 
Pacificando il sud entra in scena il Darfur
 
Per la strategia di destabilizzazione di Washington il Darfur è un autentico caso da manuale.
 
Una regione lontana dalla capitale, poco collegata al resto del paese da strade che non sempre sono praticabili, di più facile accesso da parte dei suoi vicini (Ciad e Libia) che da parte del potere centrale. Una regione portatrice di promesse petrolifere, e con una guerra civile condotta da gruppi rivali che hanno più velleità di partecipare alla spartizione di una futura torta petrolifera che di autentica indipendenza politica. La lezione è chiara, bisogna che il conflitto aumenti per intervenire sempre più apertamente. Si può fare in modo che le armi arrivino ai ribelli dall’est - con la Francia che agisce da pilota - attraverso il Ciad, il cui dittatore (che è in buoni rapporti con gli USA) si presta di buon grado a questo gioco, appoggiando uno dei due gruppi dei ribelli: il MJE. Ma non basta, bisogna fare qualcosa di più, perciò il Sudan viene classificato come un paese “pericoloso”, si fa decollare la campagna mediatica mondiale per far attecchire l’idea della necessità dell’intervento, e comincia l’intervento. Quest’ultimo lo si può datare in quel 2004, quando Colin Powell lancia l’arma di distruzione di massa politica: l’accusa di “genocidio”. Quest’accusa consacra il buon esito della campagna antisudanese lanciata dalla lobby sionista statunitense e la ratifica da parte del Congresso USA, che adotta il Sudan Peace Act, firmato da Bush nell’ottobre del 2002, con cui si concedono al Dipartimento di Stato i mezzi finanziari per gli interventi “umanitari”, mentre il Sudan veniva sottoposto al regime di sanzioni economiche.
 
A partire da questa fase il progetto di intervento militare - umanitario è manifesto ed ufficiale.
 
Il governo sudanese, però, resiste; accetta la presenza di truppe dell’Unione africana nel Darfur ma rifiuta la presenza di caschi blu dell’ONU, quasi tutti di paesi della Nato, per evitare quanto già successo nel sud del Libano dopo l’attacco israeliano del 2006. Il governo sudanese vede anche che il Pentagono fin dall’inizio della “guerra contro il terrorismo” si posiziona in modo sempre più forte nell’Africa orientale: base militare a Gibuti (all’interno di installazioni gentilmente messe a disposizione dall’esercito francese) seguita dal bombardamento della Somalia e l’invasione etiope del territorio sotto la direzione statunitense.
 
Il governo sudanese, per esperienza, sa anche che il regime ugandese (che aveva fornito un appoggio regolare al MPLS e al APLS durante la ribellione del sud) è un alleato fedele degli USA, e sa pure che i servizi segreti israeliani in quel paese sono molto attivi. Sa che il Ciad, considerato il paese più corrotto dell’Africa da Transparency Internacional, si è avvicinato molto agli Stati Uniti da quando la Exxon sfrutta il petrolio ciadiano. L’Egitto non gli è ostile, ma anche quello si allinea con gli USA. Il Sudan è praticamente accerchiato.
 
A questo punto il governo accetta la negoziazione con i ribelli del Darfur, per cercare di arrivare ad un vero accordo di pace completo, che concede molti diritti economico - sociali alle regioni del Darfur. Quell’accordo di pace viene siglato in tre lingue; arabo, francese e inglese. Potrà servire da modello per l’uscita dalla crisi in numerosi paesi in cui esistono conflitti militari simili.
 
Disgraziatamente, uno dei gruppi ribelli, il MJE, appoggiato dal regime ciadiano, non ha firmato gli accordi, e la pace non è ancora tornata.
 
1-   http://es.wikipedia.org/wiki/Sharia
 
Originale in francese: http://www.oulala.net/Portail/article.php3?id_article=3023
 
* COMAGUER: Comitato "Contro la guerra, capire e agire", creato nel 2005 da un gruppo di cittadini di Marsiglia, Francia, "per capire e agire contro la guerra, tutte le guerre ed in particolare quella lanciata unilateralmente da Bush contro l’Iraq”
Caty R. e Ferran Muiños Ballester appartengono ai collettivi di Rebelión e Cubadebate. Caty R. è anche membro di Tlaxcala.
 
Questa traduzione la si può riprodurre liberamente a condizione di rispettare la sua integrità e di menzionar l’autore, la traduttrice e la fonte.
 
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org di FR