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Più di trenta manifestanti uccisi durante la violenta repressione di una dimostrazione di massa in Sudan

Pavan Kulkarni | peoplesdispatch.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

03/06/2019

L'Associazione dei professionisti sudanesi considera gli eventi un "sanguinoso massacro",  ha chiesto una "totale disobbedienza civile" e ha promesso "non ci ritireremo"

Almeno 35 manifestanti sono stati uccisi e oltre un centinaio feriti questa mattina in Sudan quando le forze di sicurezza sono penetrate violentemente nel principale presidio che da quasi un mese occupava l'area intorno alla sede dell'esercito e del ministero della Difesa nella capitale del paese, Khartoum.

Dopo che i gas lacrimogeni e le granate stordenti non sono riuscite a disperdere i manifestanti, le forze di sicurezza hanno sparato proiettili veri. La dimostrazione di massa è iniziata per esercitare pressione contro la giunta militare e consentire il ritorno di un governo civile.

I filmati caricati sui social media mostrano anche che le forze caricano i manifestanti con i manganelli, e continuano a percuotere con i bastoni molti manifestanti, anche dopo che sono rimasti a terra in uno stato semicosciente. Oltre ai dimostranti uccisi, molti dei feriti sono in condizioni critiche.

Anche le tende piantate dai manifestanti sono state incendiate dalle forze di sicurezza. "Ora hanno il controllo della maggior parte dell'area del sit-in e hanno bruciato le infermerie da campo. La maggior parte dei manifestanti è stata dispersa. I soldati stanno bloccando tutti gli ingressi dell'area con veicoli militari per impedire ai manifestanti di tornare", ha detto Mohammed Alamin, un giornalista di Khartoum ad Al-Jazeera.

Molti dei manifestanti costretti a disperdersi dal principale presidio si sono raggruppati in diverse zone della capitale, dove hanno eretto barricate in diversi quartieri e bloccato ponti e strade con pietre e pneumatici in fiamme per ostacolare gli spostamenti dei veicoli delle forze di sicurezza.

Oltre alla polizia, le forze di sicurezza coinvolte nell'operazione includevano il famigerato reparto paramilitare chiamato Rapid Support Forces (RSF), composto dai combattenti Janjaweed che erano stati utilizzati dallo spodestato regime per commettere genocidi nel Darfur. L'RSF è diretto dal vicepresidente della giunta militare che attualmente governa il Sudan.

"I manifestanti che siedono in presidio di fronte al comando generale dell'esercito stanno affrontando un infido tentativo per disperdere la protesta e stanno subendo un massacro", ha commentato in una dichiarazione l'Associazione dei professionisti sudanesi (SPA), che ha guidato le dimostrazioni di massa.

Secondo quanto riferito, le truppe della RSF hanno fatto irruzione negli ospedali, sparando proiettili veri e percuotendo il personale medico che stava curando i manifestanti feriti. Molti ospedali rimangono circondati dall'RSF.

Il Comitato per i medici sudanesi, che ha lavorato a stretto contatto con i manifestanti, ha invitato tutti i medici a mobilitarsi e a tenersi pronti per curare i feriti, visto che nelle prossime ore sono attesi altri casi di emergenza. La ZPS ha anche chiesto a Croce Rossa, Mezzaluna Rossa e Medici senza frontiere di intervenire in favore dei feriti che non hanno ancora potuto ricevere cure.

Rifiutando di arrendersi di fronte al terrore di stato, la SPA ha giurato che "non ci ritireremo finché la giunta militare non sarà rovesciata" e ha invitato i cittadini di tutto il paese a scendere in strada con "manifestazioni pacifiche, chiudendo tutte le strade principali con barricate". Migliaia di persone in tutto il paese si stanno mobilitando in risposta alla richiesta di una "totale disobbedienza civile" da parte della ZPS.

La forza politica denominata Dichiarazione per la Libertà delle Forze di Cambiamento (DFCF), che include un numero di partiti politici di opposizione oltre alla ZPS, ha annunciato che non negozierà più con la giunta, ma aumenterà la resistenza.

Uno dei capi della  DFCF e attivista per i diritti umani, il dott. Mudawi Ibrahim, alla domanda se i manifestanti torneranno in presidio davanti al quartier generale dell'esercito, ha detto al giornalista: "l'intero Sudan è ora un sit-in ".

Insistendo sul fatto che la giunta ha la "responsabilità criminale per il sangue dei martiri", la DFCF ha promesso di sottoporre a un equo processo tutti i funzionari responsabili, dopo la rivoluzione, la cui vittoria, afferma la sua dichiarazione, è "inevitabile".


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