www.resistenze.org - popoli resistenti - stati uniti - 18-09-05

Parole in codice:
Se sei povero e negro non puoi attraversare il Missisipi e non puoi lasciare New Orleans

 

LA NOSTRA ESPERIENZA COL TORNADO KATRINA

 

di Larry Bradsahw e Lorrie Beth Slonsky[1]

 

Martedì 6 settembre 2005

Due giorni dopo il passaggio del  tornado Katrina su New Orleans,  il supermercato Walgreen’s all’incrocio delle vie Royal e Iberville  era chiuso. Il banco della latteria era chiaramente visibile dalle vetrine. Da 48 ore mancavano elettricità e acqua potabile. Latte, yogurt e formaggi si stavano deteriorando alla temperatura di 32 gradi. I proprietari ed i dirigenti del magazzino avevano chiuso dentro cibo, acqua, pannolini e medicinali e avevano lasciato la città. All’esterno delle vetrine di Walgreen’s, residenti e turisti crescevano assetati ed affamati. I promessi aiuti federali, statali e locali non si materializzavano e le vetrine di  Walgreen’s furono saccheggiate.

C’era un’alternativa. Le guardie avrebbero potuto romper una piccola vetrina e distribuire noccioline, succhi di frutta e bottiglie di acqua in modo sistematico ed organizzato. Ma non l’anno fatto. Hanno invece passato ore a giocare al gatto col topo, nel tentativo di cacciare i saccheggiatori.

Due giorni dopo siamo stati finalmente trasportati per via aerea fuori di New Orleans e ieri (sabato) siamo arrivati a casa.

 

Abbiamo visto i notiziari televisivi e letto i giornali. Dobbiamo presumere che non ci siano immagini video o prime pagine di turisti europei o di benestanti turisti bianchi che saccheggiano Walgreen’s nel Quartiere Francese.

Sospettiamo invece che i media saranno stati inondati dalle immagini degli “eroi” della Guardia Nazionale, di truppe e polizia  che lottano per aiutare le “vittime” del tornado. Ciò che non potrete vedere, ma che noi abbiamo visto, sono gli eroi reali, coloro che si sono prodigati nei soccorsi: la classe operaia di New Orleans.

Gli operai della manutenzione che hanno usato un carrello elevatore per trasferire malati e disabili. Gli ingegneri intervenuti per attivare i generatori. Gli elettricisti che hanno improvvisato grossi cavi tra i caseggiati per dare bassa tensione necessaria per liberare le auto dai parcheggi elevati sopra i fabbricati. Le infermiere che hanno preso i ventilatori meccanici e per molte ore hanno insufflato manualmente aria  nei tubi di pazienti senza conoscenza per mantenerli in vita. Portinai che hanno soccorso la gente bloccata negli ascensori. Operai delle raffinerie che si sono introdotti nei cantieri navali per “rubare” le barche con le quali salvare i loro vicini aggrappati ai tetti ormai lambiti dall’acqua. Meccanici che facevano partire qualsiasi automobile per portare la gente fuori di città. E i lavoratori delle mense alla ricerca di cucine commerciali per improvvisare pasti pubblici per centinaia di persone abbandonate.

La maggior parte di questi lavoratori hanno lasciato le loro abitazioni, e senza sentire le ragioni delle loro famiglie, sono ancora presenti e assicurano le uniche infrastrutture al 20% di New Orleans non coperta dall’acqua.

 

Il giorno 2 settembre c’erano circa 500 persone negli hotel del Quartiere Francese. Eravamo un misto di turisti stranieri, di partecipanti a conferenze, come noi e di locali, chiusi negli hotel  per ragioni di sicurezza e per proteggersi dal tornado Katrina. Alcuni di noi avevano un contatto telefonico col cellulare con la loro famiglia e con i conoscenti fuori di New Orleans. Ci fu detto ripetutamente che ogni tipo di risorse, inclusa la Guardia Nazionale e un gran numero di autobus sarebbero affluite nella città. Ma gli autobus e le altre risorse devono essere stati invisibili dal momento che nessuno di noi li ha visti. Decidemmo dunque che dovevamo salvarci da soli. Così raccogliemmo tutti i nostri denari per un ammontare di 25.000 dollari per affittare dieci autobus che ci trasportassero fuori della città. Quelli  che non avevano i 45 dollari del biglietto furono aiutati da coloro che avevano del contante in più. Attendemmo gli autobus 48 ore, passando le ultime 12 ore all’aperto, dividendoci l’acqua rimasta, il cibo ed i vestiti che avevamo. Creammo un’area di precedenza per malati, anziani e neonati. Attendemmo fino a notte inoltrata l’”imminente” arrivo degli autobus, ma questi non arrivarono. In seguito sapemmo che quando arrivarono alla periferia della città essi furono sequestrati dai militari.


Dal  4 settembre le scorte di combustibile ed acqua del nostro hotel si esaurirono. La condizione igienica  precipitava pericolosamente. Assieme alla disperazione ed allo sconforto, crescevano i crimini di strada ed il livello dell’acqua. Gli altri hotel ci respingevano e chiudevano le porte e ci si diceva che le fonti ufficiali invitavano di raccoglierci al Convention  Center per attendere altri autobus. Quando arrivammo al centro della città, incontrammo finalmente la Guardia Nazionale. La Guardia ci disse che non ci sarebbe concesso di entrare nel Superdome che da ricovero primario della City era diventato in un girone infernale dal punto di vista umano e sanitario. Ci dissero anche che l’altro rimanente ricovero, il Convention  Center stava precipitando nel caos e nello squallore e che la polizia non permetteva a nessuno di entrare. Naturalmente chiedemmo, “Se non possiamo andare nei soli due ricoveri della città, quali sono le nostre alternative?”. La Guardia  ci rispose che questo era un nostro problema e che non avevano acqua da darci. Questo fu l’inizio dei nostri incontri con l’insensibile ed ostile “mano della legge”.


Camminammo fino al centro del comando della polizia ad Harrah’s sul Canal Street e dicemmo le stesse cose, che noi si dipendeva da loro ed essi risposero che non avevano acqua da darci. Eravamo in quel momento molte centinaia e tenemmo una riunione per decidere il da farsi. Decidemmo di accamparci fuori del posto di comando della polizia. Saremmo  stati chiaramente visibili ai media e avremmo potuto costituire un altrettanto visibile imbarazzo per le autorità cittadine. La polizia ci disse che non potevamo restare, ma noi cominciammo a sistemarci e ad accamparci. In men che non si dica, il comandante della polizia  attraversò la strada e ci disse che aveva una soluzione. Avremmo dovuto trasferirci a piedi fino alla Pontchartrain Expressway e attraversare il maggior ponte di New Orleans dove la polizia aveva allineato un gran numero di autobus per portarci fuori della città. La folla applaudì ed iniziò a muoversi. Ma  noi la richiamammo e spiegammo al comandante che c’era stata troppa disinformazione o cattiva informazione e che avrebbe  dovuto essere veramente sicuro che c’erano gli autobus ad aspettarci. Il comandante si rivolse alla folla ed assicurò con enfasi, “Vi giuro che gli autobus sono lì”.


Ci organizzammo e in 200 ci avviammo verso il ponte con grande eccitazione e speranza. Quando passammo davanti al Convention  Center molte persone del luogo notarono il nostro gruppo determinato ed ottimistico e ci chiesero dove fossimo diretti. Noi raccontammo loro la grande novità.  Intere famiglie raccolsero immediatamente i loro effetti personali e rapidamente il nostro numero raddoppiò e poi raddoppiò ancora. Si aggregarono bambini in passeggino, persone con le stampelle, anziani che con tutori per la deambulazione ed altri su sedie a rotelle. Camminammo per due o tre miglia fino all’autostrada e sul pendio per il ponte. Riprese a piovere a dirotto, ma ciò non diminuì il nostro entusiasmo. Ma quando ci avvicinammo al ponte, gli sceriffi armati della contea di Gretna formarono una linea all’ingresso e prima che fossimo sufficientemente vicini per parlare fecero fuoco sopra le nostre teste. Ciò disperse la folla. A questo punto, pochi di noi proseguirono e cercarono di interloquire con qualche sceriffo. Raccontammo loro delle nostra conversazione col comandante della polizia e delle sue assicurazioni. Gli sceriffi ci informarono che non c’erano affatto autobus in attesa. Il comandante della polizia ci aveva ingannati per farci spostare. Chiedemmo perché non potevamo attraversare il ponte, dato che c’era poco traffico su un’autostrada  a sei corsie. Ci risposero che la West Bank non era New Orleans e che non ci sarebbe stato un altro Superdomes nella loro città. Queste erano parole in codice significavano semplicemente “se siete poveri e neri, non potete attraversare il ponte sul Mississippi e non potete uscire da New Orleans”.


Il nostro piccolo gruppo ritornò indietro sull’Autostrada 90 per cercare rifugio dalla pioggia sotto un cavalcavia. Discutemmo sul da farsi ed alla fine decidemmo di costruire un accampamento sulla spartizione centrale della Ponchartrain Expressway, tra le uscite di  O'Keefe e Tchoupitoulas. Pensammo che saremmo stati  visibili a tutti, che avremmo ricavato una certa sicurezza dall’essere su un’autostrada sopraelevata e che avremmo potuto attendere e vigilare l’arrivo degli autobus.


Durante tutto il giorno vedemmo altre famiglie, persone e gruppi fare lo stesso percorso sulla salita per cercare di attraversare  il ponte, semplicemente per essere respinti. Alcuni inseguiti da tiri delle armi da fuoco, altri semplicemente respinti a parole, altri ancora rimproverati aspramente ed umiliati.


A migliaia di abitanti di New Orleans fu vietato e proibito di uscire a piedi da soli dalla città. Nel frattempo gli unici due rifugi della città affondavano nello squallore e nello sfacelo. Il solo modo di attraversare il ponte era un mezzo di trasporto. Noi vedemmo operai rubare camion, autobus, caravan, camioncini e ogni tipo di auto che si potesse far funzionare. Tutti i mezzi furono stipati di persone che cercavano di fuggire da quella che era diventata la misera New Orleans.


Il nostro piccolo accampamento riprese a sperare. Qualcuno prese un camion per la distribuzione dell’acqua e ce lo portò.


Parliamo ora di sciacallaggio! A circa un miglio sotto l’autostrada, un camion militare aveva perso un paio di carichi di razioni-C su una curva stretta. Trasportammo il cibo al nostro campo nei carrelli della spesa. Ora assicurate le due necessità primarie, cibo ed acqua, fiorirono anche la cooperazione, il senso comunitario e la creatività. Organizzammo una pulizia radicale e attaccammo sacchetti della spazzatura ai pali dell’autostrada. Costruimmo letti ricavandoli dai cassoni di legno e dalle scatole di cartone.   Individuammo uno scolo delle acque dei temporali da usare come gabinetto e i bambini costruirono una elaborata chiusura per la privacy utilizzando  plastica, ombrelli rotti ed altri rottami. Noi stessi organizzammo un sistema di riciclo del cibo per scambiare parti delle razioni-C (pappe di mele per i bebè e i dolciumi per i bambini!). Noi notammo spesso questo comportamento nei momenti successivi al tornado Katrina. Quando dovevi lottare per trovare cibo o acqua, sei portato a guardare solo te stesso. Devi  fare qualsiasi cosa per trovate acqua per i figli o cibo per i genitori. Ma quando questi bisogni essenziali furono soddisfatti le persone guardarono oltre se stesse, lavorando assieme e costruendo una comunità.

Se l’organizzazione di soccorso avesse distribuito con cibo ed acqua in città nei primi 2 o 3 giorni, la disperazione, la frustrazione e la cattiveria non avrebbero preso piede.

 


La disponibilità di beni di prima necessità ci consentì di offrire cibo ed acqua alle persone e alle famiglie che passavano. Molti decisero di unirsi a noi. Il nostro accampamento crebbe di 80 o 90 persone. Da una donna con una radio a batterie, venimmo a sapere che i media parlavano di noi. In piena vista sull’autostrada, ogni  organizzazione di soccorso e di notizie ci vedeva nei loro viaggi in città. Si chiese alle autorità cosa intendessero fare per tutte quelle famiglie che vivevano sull’autostrada. E quelle risposero che si sarebbero prese cura di noi. Qualcuno di noi provò un senso paura. “Prendersi cura di noi” aveva un tono minaccioso.


Sfortunatamente le nostre paure erano corrette. All’imbrunire, infatti, uno di quelli sceriffi di Gretna di cui abbiamo già detto, si precipitò da noi su un veicolo della polizia,  ci puntò in faccia la pistola, urlando “Fottuti, via dall’autostrada”. Arrivò un elicottero e usò il vento delle sue pale per disperdere le fragili strutture dell’accampamento. Quando ci ritirammo, lo sceriffo caricò sul suo camioncino il nostro cibo e la nostra acqua. Ancora una volta, sotto la minaccia delle armi, fummo allontanati dall’autostrada. La sostanza della “mano della legge” era minacciosa contro gli assembramenti di 20 o più persone. In ogni assembramento di “vittime” essi vedevano “risse” o “rivolte”. In realtà fu il numero a salvarci.

Ma non fu possibile seguire il nostro proposito di “rimanere uniti” perché gli agenti ci divisero in piccoli gruppi.


Nel caos seguito alla distruzione dell’accampamento, fummo dispersi ancora una volta.  Ridotti in piccoli gruppi di 8 persone, al buio, trovammo rifugio in uno “scuolabus” abbandonato sotto l’autostrada in via Cilo. Eravamo in ansietà per la possibile presenza di elementi criminali, ma ugualmente e definitivamente noi temevamo la polizia e gli sceriffi  con la loro legge marziale, il coprifuoco e la loro politica di sparare per uccidere.



Nei giorni seguenti, il nostro gruppo di 8 persone si spostò in continuazione per prendere contatti con il Dipartimento dei Vigili del fuoco di New Orleans per cercare di essere trasportati fuori per via aerea da qualche gruppo ricerca e soccorso. Arrivammo vicino all’aeroporto e ci disponemmo ad un incontro con la Guardia Nazionale. Le due giovani  guardie si scusarono per la loro limitata presenza  in Louisiana. Ci spiegarono che il grosso della loro unità era in Iraq e che erano a insufficienti e impossibilitati a compiere qualsiasi incarico fosse loro assegnato.

 

Arrivammo all’aeroporto nel giorno in cui era iniziato un massiccio trasporto aereo. L’aeroporto divenne un altro Superdome. Noi 8 fummo cacciati in una calca di gente quando i voli furono sospesi per molte ore mentre George Bush atterrò brevemente  per farsi fotografare. Dopo essere stati caricati in un aereo da carico della Guardia costiera, arrivammo a San Antonio nel Texas.

 

Qui, però, le umiliazioni e le violenze delle autorità.continuarono  Fummo sistemati in un autobus e portati in un grande campo di raccolta dove fummo costretti a sedere per ore ed ore. Molti autobus non avevano l’aria condizionata. Nella notte, centinaia di noi furono costretti a dividere due luridi e stracolmi vasi per i propri bisogni. Coloro che cercarono di soddisfali in altro modo (spesso in qualche contenitore di plastica) erano soggetto alle cure di due cani per la ricerca della droga.

 

Molti di noi non mangiarono per tutto il giorno perché le nostre razioni-C erano state confiscate all’aeroporto perché individuate dai metal-detector. Dunque non si distribuì cibo agli uomini, alle donne, ai bambini, agli anziani, ai disabili, costretti a sedere per ore in attesa di “un controllo medico” per essere sicuri che non fossero portatori di malattie contagiose.

 

In contrasto col caldo, il trattamento che ci riservò l’autorità fu la fredda accoglienza dell’ordinamento texano. Vedemmo un operaio delle linee aeree dare le sue scarpe a qualcuno che era scalzo. Per strada degli stranieri ci diedero dei soldi e articoli da toeletta con parole di benvenuto. Invece i comportamenti dei soccorsi ufficiali furono duri, inetti e razzisti.

Ci fu più sofferenza del necessario. Furono perse vite che non dovevano essere perse.

 

 

[Messaggio ricevuto da Roselva Ungar, che commenta: “Ogni guerra è basata sulla menzogna—Sun Tzu” e originato da Rosemary Lee, rosmarylee@earthlink.net].

 

Traduzione di Giuliano Cappellini

 



[1] Gli autori sono due paramedici californiani che nei giorni del tornado seguivano una conferenza della EMS a New Orleans. Larry Bradshaw  è il capo dei rappresentanti sindacale dei paramedici del sindacato SEIU della zona 790 e Lorrie  Beth Slonsky è una delegata dello stesso sindacato.