www.resistenze.org - popoli resistenti - vietnam - 16-12-10 - n. 345

Accade in Việt Nam.
 
I mille anni di Thành Long-Hà Nội e i Centoventi anni della nascita di Hồ Chí Minh
 
di Sandra Scagliotti
 
ottobre 2010
 
Con i suoi sette milioni di abitanti - secondo le cifre suggerite da The Saigon Times Daily - Hà Nội ha inaugurato, il 1° ottobre scorso, le celebrazioni in onore dei suoi mille anni. Teatro delle manifestazioni d’apertura è stato il Giardino Lý Thái Tổ, nei pressi del Lago Hoàn Kiếm, descritto da poeti e scrittori come l’occhio azzurro della capitale. Il 10 ottobre, nelle celebre Piazza Ba Ðinh si è tenuto invece un solenne incontro commemorativo. Il Comitato popolare cittadino ha scelto con largo anticipo i doni con cui omaggiare gli invitati provenienti da varie parti del mondo: un vassoio in bronzo, finemente cesellato, un CD di musica tradizionale ed un emblema della città, mentre una corposa raccolta di saggi intitolata alla millenaria cultura di Hà Nội ed un volume enciclopedico sull’antica Thành Long - preziosi fondi documentari pubblici -, verranno offerti alle biblioteche di ogni provincia ed ogni città vietnamita. Molte imprese sono al lavoro sin dall’inizio dell’anno per produrre souvenirs del Millennio; la Società di Belle Arti di Dông Son ha coniato mille draghi in bronzo in perfetto stile Ly (1010-1225) e la fabbrica di ceramiche Chu Dâu ha forgiato piatti decorati con nove draghi che simbolizzano le nove generazioni di imperatori della dinastia Ly. Nondimeno sono stati realizzati cento tamburi di bronzo, secondo l’antica modalità Dông Son, un migliaio di bambù in forma di drago e 1.000 porcellane riproducenti l’antica ordinanza imperiale che sancì il trasferimento della capitale nel Nord. Non sono tutte rose e fiori: nella foga preparatoria dello show pirotecnico che avrebbe dovuto concludere la manifestazione è saltato un deposito di botti con il tragico risultato di quattro morti, fra cui tre stranieri...
 
Il drago, com’è noto è un simbolo privilegiato in tutto il Viet Nam, ma lo è soprattutto a Hà Nội: nel 1010, narra la storia leggendaria, infatti, il Re vide il mitico animale risalire le sponde del Fiume Rosso e così battezzò il nuovo insediamento Thành Long, appunto “città del drago che si innalza in volo”. Al di là della leggenda, la città oggi contribuisce in maniera significa al PNL e turismo, finanza ed operazioni bancarie sono attività di crescente impulso. L’Italia, sempre un po’ sommessa, partecipa in superficie agli eventi in programma, prima fra tutte la Città di Firenze, che si fa promotrice di un grande progetto culturale, sociale ed economico rivolto al Viet Nam. L’occasione si presenta grazie ai festeggiamenti di due date dal forte valore simbolico per la storia di questo paese: i mille anni dalla fondazione della capitale Hà Nội e i 120 anni dalla nascita del presidente Ho Chi Minh. A Palazzo Medici Riccardi si sono riuniti amministratori della Regione Toscana, del Comune di Firenze e di diversi soggetti fiorentini e toscani proprio per confrontarsi sul tema e dialogare con l’ambasciatore del Viet Nam in Italia, Đặng Khánh Thoại; il fine è quello di avviare un tavolo tecnico impegnato nello stilare un piano di attività bilaterali da realizzare non solo nel corso del 2010 ma anche nel lungo termine.
 
Lotta alla corruzione
 
Mentre nel nostro Paese gli scandali hanno il sopravvento, il primo ministro vietnamita Nguyên Tân Dung approva un piano d’applicazione della Convenzione ONU sulla lotta alla corruzione. Il programma tende a perfezionare testi giuridici sulle misure di prevenzione e lotta contro un flagello che non risparmia nemmeno il confuciano Việt Nam. Aumentando l’autonomia dei servizi pubblici ed investendo sulla trasparenza in materia di pubblica amministrazione, il governo vietnamita sollecita la semplificazione delle formalità di carattere amministrativo e dispone immediate sanzioni penali contro atti di immoralità compiuti da funzionari che si procurano fortune illegali attingendo al denaro pubblico ed anche privato. In un quadro di corruzione endemica - scrive Arno J. Mayer, professore emerito di Storia europea presso l’Università di Princeton, su Le Monde - « se l’idra indistruttibile promette di acclimatarsi ad ogni latitudine, (...) i dirigenti ipocriti di un mondo opulento non hanno la forza di denunciare la corruzione come stigmate del terzo mondo cui occorre ricordare che, senza la complicità dei loro intermediari occidentali, i predatori finanziari delle regioni non occidentali non avrebbero potuto trafserire e investire il loro bottino all’estero, né imporsi come maestri di corruzione in stati embrionali o vacillanti, terreno di caccia dei cavalieri di industria ed altre simil canaglie d’ogni dove »...
 
La corruzione di per sé, non può imporsi nel medesimo modo in ogni tempo ed in ogni luogo. Nei periodi di mutamento economico e sociale, quando le strutture giuridiche dello Stato sono ancora vacillanti ed i costumi tendono ad essere meno rigidi, - come avvenne negli StatiUniti fra il 1865 e il 1890, o negli Stati pot-coloniali del cosiddetto Medio oriente, d'Africa e del Sud-est asiatico, o ancora, nei vecchi Paesi del blocco sovietico dopo il 1989 -, la corruzione prende piede, guadagnando terreno e mostrandosi spudorata-mente come una benedizione per « seduttori » e « sedotti »...
 
Germogli di società civile in Asia
 
Eppure, in alcuni di questi paesi, in particolare in alcuni Paesi asiatici, pur in un contesto ancora fortemente autoritario e segnato dalla corruzione, si stanno affermando forme di pluralismo e partecipazione dei cittadini alla vita pubblica davvero degne di nota. È quanto sottolinea il volume Germogli di società civile in Cina, che Renzo Cavalieri e Ivan Franceschini presentano in questi giorni nelle librerie. Il libro descrive le trasformazioni avvenute in seno alla società cinese negli ultimi decenni, spaziando dal dibattito politico alla riforma del sistema giudiziario, dall'emergere dei nuovi media alla trasformazione del mondo del lavoro, dalla nascita di un terzo settore alle lotte per l'ambiente. Occorre infatti sfatare alcuni miti, o meglio alcuni stereotipi che da anni determinano la percezione degli italiani nei confronti della Cina: nell'immaginario dell'italiano medio, quello cinese è un regime in cui tutte le scelte politiche vengono compiute da una dirigenza comunista centrale numericamente ridottissima e autoreferenziale, un sistema in cui non è prevista alcuna forma di consultazione popolare, né di dibattito pubblico; egualmente, è forte nel sentire comune l'idea che in Cina lavoro significhi esclusivamente sfruttamento e media semplicemente censura, una visione in bianco e nero della società cinese perpetuata negli anni attraverso un'informazione largamente superficiale ed approssimativa. Eppure, nell'ultimo trentennio di riforme, infatti, si è assistito in Cina ad una serie di cambiamenti sostanziali che hanno stravolto il panorama sociale. « Da questo punto di vista - scrive Franceschini -, l'assunto in base al quale in Cina alle riforme economiche non si sia accompagnata alcuna riforma politica (e, dunque, che i meccanismi deliberativi e applicativi delle scelte politiche siano rimasti invariati), appare riduttivo, una semplificazione che non rende minimamente giustizia alla complessità della Cina di oggi. Di fatto, per quanto la presenza del Partito comunista nella società e nella vita dei cittadini cinesi rimanga tuttora pervasiva, con l'adozione delle politiche di riforma ed apertura si è assistito all'emergere di nuovi spazi di partecipazione e pluralismo, realtà in cui potremmo facilmente leggere degli embrioni di una società civile ». La tesi dei due studiosi è che sebbene non si tratti di una nuova forza sociale favorevole ad un'eventuale transizione democratica, siamo di fronte a embrionali forme di pluralismo, diversificazione e destrutturazione sociale in un sistema politico che, nonostante i grandi passi mossi verso la valorizzazione dei diritti individuali, rimane fondamentalmente autoritario. Non democrazia, dunque, ma semplicemente partecipazione, nonché una crescente tutela degli spazi di autonomia. Le dinamiche storiche e sociali alla base della profonda trasformazione degli ultimi decenni sono profonde e complesse : se la ragione principale del mutamento va individuata nel cambiamento della struttura economica del paese, tre sono le ragioni « empiriche » - ci dicono ancora gli autori -, che, dopo tre decenni in cui, pur con qualche distinguo, qualsiasi forma associativa e partecipativa al di fuori del Partito-Stato era al bando, hanno permesso lo sviluppo dei germogli che danno il titolo al libro. Queste tre ragioni sono: lo smantellamento del sistema delle unità di lavoro (danwei); il graduale ritiro dello Stato da alcuni settori della vita pubblica (con la conseguente estensione delle libertà, delle autonomie e dei diritti individuali); l'emergere di nuove tecnologie che facilitano la comunicazione tra i cittadini. « Si tratta di tre fattori convergenti ed in parte sovrapposti che, congiuntamente, hanno creato e stanno creando le condizioni necessarie all'apertura di nuovi spazi per la partecipazione dei cittadini ».
 
Việt Nam progressi e obiettivi raggiunti
 
Questi germogli in Viet Nam già da tempo si possono scorgere. Cito a caso e a memoria: dal 2008 vengono applicate tecnologie avanzate - SIG, Sistema di informazione geografica -, nella preservazione dei beni culturali e nella gestione del patrimonio paesaggistico del Việt Nam. Ad oggi sono censiti nel Paese circa 40.000 vestigia e siti di cui 3.042 classificati e 3 milioni di oggetti conservati in musei. L’applicazione di tali tecnologie ci dimostra che il Viet Nam vuole investire in cultura, in attrezzature moderne e nella formazione di quadri competenti. Nel millenario di Ha Noi che in questi giorni si celebra, un colloquio internazionale dedicato allo « Sviluppo spstenibile della capitale Ha Noi, sotto l’égida della Commissione centrale di propaganda e formazione, propone un dibattito sull’importanza della cultura e dei suoi valori inestimabili per lo sviluppo del Paese. Sviluppo non solo economico, quindi, ma storico, sociale, politico e ambientale.
 
L’economia, nel contempo, va a gonfie vele. Ed è donna, perché donne sono i nuovi managers ai posti di comando in banche e aziende. Le donne non sono in maggioranza nel paese ma sono anche coloro che sanno manovrare le leve di un’economia in pieno boom. «Durante la guerra - dicono -, gli uomini combattevano, noi facevamo funzionare il Paese. Fu, per certi aspetti, una benedizione: non abbiamo dovuto affrontare le battaglie delle europee, quando è nato il Viet Nam moderno il potere lo avevamo già». Forse l’affermazione è un po’ troppo ottimistica, ma a quello che avevano non hanno più rinunciato. Di generazione in generazione le donne vietnamite hanno contribuito allo sforzo bellico, poi alla costruzione dello Stato socialista ed infine all’esplicitazione del socialismo di mercato. Qualcuna di loro ricorda che, nel primo Doi Moi, furono i commenti domenicali siglati dall’allora premier Nguyen Van Linh - con linguaggio innovativo nella forma e nei contenuti -, apparsi sulle pagine dei quotidiani vietnamiti ad incentivarle. Ma, nella sostanza il cambiamento, è derivato, come spesso nella storia del Viet Nam, dal basso e proprio dalle donne. Non si sentono capitaliste le managers vietnamite. Hanno studiato economia e finanza per sostenere le loro famiglie. Sono ancora comuniste e soprattutto sono nazionaliste, nel senso vietnamita del termine, cioè appartenenti ad una comunità coesa. Se gli anni di guerra dal ’45 al ‘75 furono marcati dal motto «Vinceremo perché crediamo nella gente”, l’odierna quotidianità riprende il concetto...
 
Nel contempo, un recente rapporto dell'Oxfam - una delle maggiori grandi reti di Ong al mondo -, evidenzia gli enormi progressi fatti in Việt Nam per raggiungere il primo obiettivo di sviluppo del millennio, abbattere la fame e ridurre la povertà nel mondo in vista del target del 2015. “Il record raggiunto dal Viet Nam in questo campo - afferma Steve Price-Thomas, direttore di Oxfam-Việt Nam -, è uno dei migliori al mondo, il paese è un modello per l'Asia orientale e per tutto il mondo”. Il paese ha ridotto la fame e la povertà dal 58% del 1993 all’odierno 18%; ciò significa che circa 6 mila persone ogni giorno sono state sottratte alla fame e al indigenza. Per quanto riguarda le riforme dell’agricoltura il Paese ha provveduto ad una distribuzione equa dei terreni, investito copiosamente nell'irrigazione dei campi e nelle tecnologie agronomiche, oltre a mantenere restrizioni sull'esportazione di riso fino al 2001, alimentando così l'industria interna al Paese. E, in un mondo ancora fortemente segnato dalla piaga della denutrizione e malnutrizione, dove continua a morire un bambino ogni sei secondi, questi risultati ci sembrano degni di nota. Più che germogli di civiltà.
 

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