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Yemen. Indagine Onu accusa Riad: attacchi diffusi e sistematici contro i civili

Il rapporto delle Nazioni Unite parla di ripetute violazioni da parte della coalizione guidata dall'Arabia Saudita e getta un'ombra su Gran Bretagna, Stati Uniti, e anche Italia, che vendono ai Saud e ai loro alleati le armi che fanno strage tra la popolazione

Sonia Grieco | nena-news.it

28/01/2016

La guerra in Yemen ha fatto oltre 6.000 morti, la metà dei quali tra la popolazione civile, circa due milioni di sfollati interni e oltre 160.000 profughi. E tante di queste persone sono probabilmente vittime di crimini di guerra commessi dalla coalizione a guida saudita, che dallo scorso marzo ha avviato una campagna militare in Yemen al fianco del presidente amico dell'Occidente Abdrabbuh Mansour Hadi, per fermare l'avanzata dei ribelli Houthi, legati all'Iran, sollevatisi contro il governo centrale oltre un anno fa, e degli uomini fedeli all'ex presidente Saleh loro alleati.

È quanto emerge da un rapporto delle Nazioni Unite trapelato sulla stampa internazionale in questi giorni, in cui si chiede al Consiglio di Sicurezza l'istituzione di una commissione d'inchiesta. Nel rapporto si parla di 119 azioni belliche della coalizione che potrebbero essere considerate "violazioni del diritto internazionale", poiché si sarebbe trattato di bombardamenti multipli su obiettivi civili. Si parla persino di elicotteri che hanno inseguito e fatto fuoco, uccidendo, persone in fuga dai raid. Le violazioni, dicono gli esperti che hanno redatto il rapporto, sono attribuibili anche alle milizie Houthi, accusati di avere attaccato scuole e ospedali, ma questo non giustifica la coalizione che, stando ad alcuni stralci del report pubblicati dal Guardian, "sta prendendo di mira i civili con i suoi raid, sia bombardando zone residenziali sia trattando come obiettivi militari le città di Sa'dah e Maran, in violazione dei principi di distinzione, proporzionalità e precauzione". "In alcuni casi", continua il report, "tali violazioni sono state perpetrate in maniera diffusa e sistematica".

Non è la prima volta che la strategia bellica della coalizione di paesi sunniti è accusata di un uso indiscriminato della forza, senza peraltro ottenere un reale vantaggio bellico. Eppure i morti yemeniti non fanno notizia, né provocano troppa indignazione nella cosiddetta comunità internazionale che si è limitata a qualche rimprovero, ha promesso indagini, ha invitato Riad e i suoi alleati a fare più attenzione, ma lo Yemen oltre a essere il terreno di scontro per l'egemonia regionale tra Arabia Saudita e Iran, è anche un mercato prolifico per il business degli armamenti.

Le monarchie del Golfo comprano una marea di armamenti dai Paesi occidentali, in primis dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, ma anche dall'Italia partono parecchi carichi alla volta della Penisola arabica. Il Regno Unito nei primi nove mesi del 2005 ha venduto armamenti all'Arabia Saudita per un valore di 2,95 miliardi di sterline (all'incirca 4 milioni di euro). E ci sono anche 72 caccia di ultima generazione Eurofighter Typhoon tra gli acquisti dei Saud. A novembre, invece, Riad ha concluso un accordo, che sarà chiuso nei prossimi mesi, da 1,29 miliardi di dollari (quasi 1,2 milioni di euro) negli Usa per l'acquisto di munizioni di precisione che dovranno rimpiazzare le bombe e i missili che dallo scorso marzo hanno distrutto infrastrutture, case, ospedali e scuole in Yemen. Il 60 per cento dei civili morti o feriti nel conflitto sono stati vittime di raid.

Inoltre, riporta il Guardian, Londra ha confermato che ufficiali britannici sono presenti nel centro di comando saudita, negando però che abbiano un ruolo nelle operazioni belliche. Una mezza ammissione su quanto detto a metà mese dal ministero degli Esteri saudita, cioè che ufficiali delle Forze armate statunitensi e britanniche sono presenti nei centri di comando e, soprattutto, sono a conoscenza degli obiettivi scelti dalla coalizione. Quindi, ha precisato il capo del dicastero saudita degli Esteri, Adel al-Jubeir, "non abbiamo nulla da nascondere".

È invece molto difficile per le cancellerie occidentali nascondere le proprie responsabilità in questa guerra voluta da Riad per mostrare i muscoli a Teheran, il "serpente" contro cui la casa reale wahhabita invocava un'azione militare e invece è stato riabilitato dall'accordo sul nucleare sponsorizzato proprio dagli amici della Casa Bianca. Amnesty International e Human Rights Watch hanno chiesto di fermare la vendita di armi, ma i governi coinvolti si affrettano ad agitare leggi e regolamenti nazionali sulla vendita di armi che li metterebbero al riparo da ogni accusa. Il business non si ferma e aumentano le vittime, mentre i negoziati sponsorizzati dall'Onu non sono mai realmente iniziati.

Gli esperti dell'Onu stanno anche investigando su un potenziale trasferimento di armi  agli Houthi dalla Repubblica islamica, dopo che a settembre navi militari Usa e australiane hanno intercettato un carico al largo delle coste dell'Oman.

In Yemen, come accaduto in Bahrein nel 2011, i Saud vogliono chiarire chi è che domina la Penisola arabica, ma sul terreno yemenita le cose si sono complicate non poco. La guerra lampo che aveva raccolto i consensi dei sudditi di re Salman, terrorizzati dalla propaganda anti-sciita e anti-iraniana, rischia di diventare un pantano. Non sembra esserci una strategia a lungo termine. Per evitare di presentare il conto in termini di soldati morti alla propria opinione pubblica, Riad ricorre agli accordi commerciali con altri Paesi e spende soldi per rimpinguare le file dell'esercito della coalizione in cui combattono colombiani, mauritani, senegalesi, sudanesi. Una strategia spregiudicata, innaffiata di settarismo, che sta trascinando lo Yemen nel baratro.

Il Paese è una polveriera di rivalità etniche, claniche, religiose, terreno fertile per ogni estremismo. E Al Qaeda e l'Isis ne stanno approfittando. I qaedisti occupano città strategiche al sud, come Mukalla, e c'è da chiedersi se tutte queste armi che stanno arrivando nel paese non facciano gola anche ai jihadisti.


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