L’attacco alle pensioni e al lavoro - una lunga storia
7 aprile 2004 - Comunicato Stampa RdB CUB P.I. - Economia e Finanza
Vi
ricordate i governi "tecnici" e quelli "amici", tanto cari
a CGIL, CISL e UIL? Ebbene, proprio quei governi, attaccarono, per primi, il
sistema pensionistico.
A
partire dal governo Amato che, nel lontano 1992, allungò il limite della
pensione d’anzianità di 5 anni e, basandole sul calcolo degli ultimi dieci
anni, di fatto le impoverì.
Dopo
3 anni, nel 1995, con la concertazione di CGIL, CISL e UIL, arriva la riforma
Dini.
Che cosa successe? Graduale abolizione delle pensioni d’anzianità e
introduzione del metodo contributivo per chi iniziava a lavorare dal 1996.
Persino
l’allora segretario generale della UIL, ora presidente del CNEL, Pietro Larizza
, venne nel nostro ministero a spiegare la grande conquista a cui andavano
incontro i lavoratori! Ancora si ricorda l’eco dei fischi con il quale fu
accolto dai lavoratori.
Con la riforma Dini, di fatto, si è smantellato il sistema previdenziale
pubblico. Il filo solidale che lega gli anziani ai giovani è spezzato e si
riconosce il diritto alla pensione solo in virtù dell’accrescimento del
capitale individuale.
Nel
1997, il governo di centro-sinistra dà alla luce il pacchetto Treu.
Di
fatto, si aprono le porte al precariato, alla flessibilità del mercato del
lavoro, tutto a favore delle imprese e delle rendite.
Si
prosegue attraverso il Patto per l’Italia, sottoscritto dalla CISL e UIL fino
all’emanazione della legge 30.
Liberalizzazione
del sistema di avviamento al lavoro mediante le agenzie interinali. Nuove norme
facilitano le esternalizzazioni, le cessioni e i trasferimenti di rami
d’azienda finora frenati da vincoli ma che ora sono superati. I nuovi contratti
prevedono le più diverse forme di deregolamentazione: dal lavoro a chiamata o job call, al lavoro condiviso o job sharing, tra due o più lavoratori
a cui si applicherà un unico contratto. Ma altre forme, made in USA o in Japan,
sono pronte ad essere utilizzate come il telelavoro,
i callcenter, l’homeworking, il desk sharing, fino all’ultima trovata
dello staff leasing, cioè
dell’affitto di intere schiere di manager e di specialisti, giusto il tempo di
impostare nuove strategie e poi via anche loro, a prendere aria nei
giardinetti. Persino il più vecchio part time diventa più elastico, in tutte le
forme orizzontali, verticali, diagonali, a scacchi, in cui il padrone potrà
decidere, in modo unilaterale e senza limiti di fissare o cambiare fascia
oraria, lavoro supplementare, straordinario, festivo, notturno, per 36 ore
filate o un giorno sì e uno no.
Tutto
si basa sul concetto liberista che bisogna sostituire le norme, le garanzie e i
diritti con regole leggere, diritti minimi, un livello salariale basso e
differenziato per aree geografiche (caro a Rutelli!) e maggior flessibilità,
lasciando al mercato il ruolo di regolatore dei rapporti. Questi concetti si
materializzano in atti concreti che smantellano un sistema di relazioni,
rapporti, diritti e tutele costruito in decenni di lotte e conquiste, arrivando
a negare il diritto costituzionale ad un’esistenza libera e dignitosa. C’è solo
una concezione mercificata del lavoro. Le assunzioni in forma precaria
costituiscono il criterio di fondo attorno al quale ruota tutta la riforma del
mercato del lavoro, legittimando le forme più elastiche d’impiego. L’apoteosi
del liberismo la raggiungono con il part-time a zero ore, o lavoro
intermittente, grazie al quale il lavoratore resta in attesa della convocazione
dell’impresa senza alcuna garanzia, ricevendo in cambio un’elemosina
rappresentata dall’indennità di disponibilità.
Le
norme, quindi, che regolano gli orari di lavoro, daranno alle aziende la
libertà di organizzare gli orari in base alle mutevoli esigenze di mercato e di
poter ricorrere sempre più a contratti atipici e, comunque, in deroga ai
contratti nazionali. Si affossano i servizi pubblici all’impiego attraverso la
liberalizzazione del collocamento, e la possibilità di accedere a lavoro
interinale in modo permanente, estendendola anche al settore agricolo,
rilegittimando il caporalato.
In
questo quadro, quando i giovani potranno avere una pensione? Mai.
Se a
questo, si aggiunge la politica dei redditi fin qui perseguita e quella nuova
che CGIL, CISL e UIL stanno concertando con il nuovo vertice della
Confindustria, un nuovo occupato, a tempo determinato, morirà di vecchiaia
prima di averne il diritto!
Ora,
il governo Berlusconi, con i suoi fidi condottieri, cancella la possibilità di
andare in pensione a 57 anni con 35 anni di contributi e, dal 2008, il diritto
si eserciterà con 40 anni di contributi. Ma il vero obiettivo è un altro.
L’ultima spallata al sistema pubblico previdenziale.
I
lavoratori alimenteranno il mercato finanziario mediante il TFR investito nei
"Fondi complementari". Il gradimento di CGIL, CISL e UIL sulla
formula del silenzio – assenso e il loro coinvolgimento nei comitati di
gestione è significativo.
Su
questi fondi, creati con la 335/95 e inseriti contrattualmente, pesa fortemente
l’andamento azionario mondiale. Un esempio, per tutti, la ENRON americana che
ha disintegrato milioni di pensioni di lavoratori o quelli dell’Alaska che
hanno investito un milione di dollari in Parmalat!
Insomma,
CGIL, CISL e Uil chiamano i lavoratori e i pensionati a difendere la legge Dini
solo per lo scopo di concertare nuovamente la gestione, a loro molto cara, dei
fondi pensione complementari.
Chiamano
i lavoratori alla difesa dagli attacchi al mondo del lavoro ma ne regolamentano
gli effetti come gli accordi siglati con il governo sul salario di ingresso,
apprendistato generalizzato e i contratti di inserimento!
Vi
basta o andiamo avanti?