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L'accordo del 10 Gennaio 2014 pietra tombale della democrazia sindacale

Giliola Corradi | ful-lav.it

25/11/2014

Per comprendere appieno la valenza e la perniciosità dell'accordo del 10 Gennaio 2014 è indispensabile risalire  all'art. 19 dello Statuto dei lavoratori (L. 20 Maggio 1970 n. 300) nella sua versione originaria e nella versione uscita dal referendum del 1995.

Nella versione originaria  l'art. 19 recitava:
19 – Costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali.
Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell'ambito:
a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale
b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell'unità produttiva. Nell'ambito di aziende con più unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire organi di coordinamento.

Nella versione modificata dal referendum del 1995 l'articolo subisce profonde  e radicali modificazioni che, nelle intenzioni dei promotori avrebbero dovuto "aprire" gli spazi di rappresentanza al maggior numero di sigle sindacali presenti nel variegato panorama sindacale e, quindi, realizzare quell'intento di massima democrazia nei posti di lavoro che si andava affermando all'interno del movimento del lavoro.
Il nuovo articolo 19, infatti, recita:
19 – Costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali.
Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell'ambito:
b) delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell'unità produttiva.

Questo profondo mutamento verso una maggiore apertura alla democrazia contrattuale che ridimensionava di molto il monopolio delle "maggiori confederazioni" proprio nel momento in cui queste si erano poste come uniche interlocutrici al tavolo della concertazione non poteva che portare ad una reazione in senso  contrario che ha trovato soluzione con il primo accordo del 28 Giugno 2011 firmato da CGIL, CISL e UIL con confindustria (e il patrocinio del governo). Con tale accordo le OOSS firmatarie  si pongono come uniche interlocutrici  nella partita della contrattazione collettiva e, quindi, della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro.

L'accordo del 28 giugno, dunque, non è che il primo passo per reintrodurre, in modo surrettizio, quella lettera a) dell'art. 19 dello Statuto abrogata dal referendum.  E già questo rappresenta un elemento di riflessione per comprendere la mutazione quasi "genetica"  del sindacato e in particolare, e di questo si parlerà, della CGIL.

L'accordo  del 28 Giugno è stato poi riconfermato con il protocollo del 31 maggio 2013 per giungere, infine al cosiddetto "Testo Unico sulla rappresentanza" del 10 Gennaio 2014. Il percorso è funzionale ad uno scopo ben delineato: reintrodurre fittiziamente la parte dell'art. 19 modificata dal referendum ed anzi di cancellarlo a favore di una disciplina integralmente pattizia. Questo non può  che riportarci alla proposta di legge di Cesare Damiano ed altri che all'art. 1 co. 5 prevede espressamente l'abrogazione dell'art. 19. In effetti, dietro a tutto ciò, non può che esservi una mano sicura e pervicace che conduce a tale scopo che, tuttavia, non può essere dichiarato. Per completezza di informazione devo anche portare a conoscenza di chi legge che, in epoca successiva, è stata depositata alla Camera una proposta di legge a firma Pietro Ichino che, propone una disciplina legislativa residuale per le situazioni non regolate pattiziamente. E veniamo ad analizzare, seppure a grandi linee l'accordo del 10 Gennaio 2014. La prima parte di tale accordo, molto estesa e ben dettagliata prevede il riconoscimento della rappresentanza sindacale contrattuale solo per le organizzazioni sindacali che superano la soglia del 5 per cento così calcolato:

Per la misura e la certificazione della rappresentanza delle organizzazioni sindacali aderenti alle Confederazioni firmatarie dell'Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011, del Protocollo d'intesa del 31 maggio 2013 e del presente Accordo, ai fini della contrattazione collettiva nazionale di categoria, si assumono i dati associativi (deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori) e i dati elettorali ottenuti (voti espressi) in occasione delle elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie.

L'accordo del 28 Giugno così specifica:
Per la legittimazione a negoziare è necessario che il dato di rappresentatività così realizzato per ciascuna organizzazione sindacale superi il 5% del totale dei lavoratori della categoria cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro. Le deleghe verranno raccolte dal datore di lavoro ma solo per le sigle firmatarie e verranno poi trasmesse all'INPS. Per le sigle non firmatarie, il datore non raccoglie le deleghe, non le trasmette e, quindi, queste, sono escluse dal meccanismo di rappresentanza, a meno che queste sigle non sottoscrivano gli accordi e si impegnino a rispettarli integralmente.

testualmente:
" Le imprese accetteranno anche le deleghe a favore delle organizzazioni sindacali di categoria che aderiscano e si obblighino a rispettare integralmente i contenuti del presente Accordo nonchè dell'Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011 e del Protocollo 31 maggio 2013".

In effetti ciò non comporta alcuna violazione dell'art. 14 dello Statuto ma di fatto ostacola pesantemente la formazione e l'adesione ad organizzazioni sindacali estranee all'accordo le quali non solo non verrebbero certificate ai fini della rappresentanza contrattuale, ma non avrebbero alcun ruolo neppure in caso di firma di contratti aziendali.

Si potrebbe porre il problema di incostituzionalità per violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione, per l'ingiustificata disparità di trattamento. L'accordo violerebbe poi norme imperative (art. 19 dello Statuto) in quanto ne vanificherebbe la portata normativa non derogabile a favore della forma pattizia.

La seconda parte dell'accordo è dedicata, anche in questo caso, molto dettagliatamente ( in ben 22 articoli), per le procedure di costituzione delle nuove RSU come modificate dalle nuove intese interconfederali. Innanzitutto le RSU vengono costituite, non più come prevede l'art. 19 dello Statuto dei lavoratori per le RSA ad impulso dei lavoratori stessi ma su impulso delle OOSS firmatarie dell'accordo.

Per quanto riguarda le altre organizzazioni sindacali il paragrafo successivo prevede nuovamente:
Hanno  potere di iniziativa le associazioni sindacali abilitate alla presentazione delle liste elettorali ai sensi del punto 4,( e cioè solo dopo aver aderito  a tutti gli accordi dal 28 giugno 2011, 31 Maggio 2013 e succ.), sezione terza, a condizione che abbiano comunque effettuato adesione formale al contenuto dell'Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011, del Protocollo 31 maggio 2013 e del presente Accordo."

Ancor più perniciosa risulta la successiva previsione per cui:
"Le r.s.u. subentrano alle r.s.a. ed ai loro dirigenti nella titolarità dei poteri e nell'esercizio delle funzioni ad essi spettanti per effetto di disposizioni di legge."

Ciò significa che le RSA costituite da organizzazioni diverse da quelle firmatarie verranno sostituite "ope pactum" in disprezzo di quanto previsto dall'art. 19 L. 20 Maggio 1970 n. 300 Statuto dei lavoratori. Profilo di incostituzionalità per violazione del principio delle fonti: una norma di legge non può essere abrogata o modificata da una fonte di rango inferiore o addirittura da fonte pattizia tra le parti.

Nella parte terza intitolata "Titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva nazionale di categoria e aziendale", si ribadisce ancora una volta l'esclusività della rappresentanza alle trattative contrattuali delle sigle firmatarie.

In paragrafi successivi   si affronta il problema della efficacia ed esigibilità dei contratti collettivi nazionali di categoria  stipulati  con la parte datoriale e si  afferma che: "I contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti formalmente dalle Organizzazioni Sindacali che rappresentino almeno il 50% +1 della rappresentanza, come sopra determinata, previa consultazione certificata delle lavoratrici e dei lavoratori, a maggioranza semplice – le cui modalità saranno stabilite dalle categorie per ogni singolo contratto – saranno efficaci ed esigibili. La sottoscrizione formale dell'accordo, come sopra descritta, costituirà l'atto vincolante per entrambe le Parti".

Con questa determinazione si vorrebbe estendere erga omnes i contratti firmati secondo la disciplina pattizia dell'accordo. Ma, in cauda venenum, ecco l'aspetto più macroscopicamente "antisindacale" e assolutamente in contrasto con ogni principio di libertà di opinione e di sciopero previste dalla Costituzione.  Si tratta dell'Intera Parte Quarta, qui importata integralmente in nota. (

(1) DISPOSIZIONI RELATIVE ALLE CLAUSOLE E ALLE PROCEDURE DI RAFFREDDAMENTO E ALLE CLAUSOLE SULLE CONSEGUENZE DELL' INADEMPIMENTO

Le parti firmatarie dell'Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011, del Protocollo d'intesa del 31 maggio 2013 ovvero del presente Accordo convengono sulla necessità di definire disposizioni volte a prevenire e a sanzionare eventuali azioni di contrasto di ogni natura, finalizzate a compromettere il regolare svolgimento dei processi negoziali come disciplinati dagli accordi interconfederali vigenti nonché l'esigibilità e l'efficacia dei contratti collettivi stipulati nel rispetto dei principi e delle procedure contenute nelle intese citate.

Pertanto i contratti collettivi nazionali di categoria, sottoscritti alle condizioni di cui al Protocollo d'intesa 31 maggio 2013 e del presente accordo, dovranno definire clausole e/o procedure di raffreddamento finalizzate a garantire, per tutte le parti, l'esigibilità degli impegni assunti con il contratto collettivo nazionale di categoria e a prevenire il conflitto.

I medesimi contratti collettivi nazionali di lavoro dovranno, altresì, determinare le conseguenze sanzionatorie per gli eventuali comportamenti attivi od omissivi che impediscano l'esigibilità dei contratti collettivi nazionali di categoria stipulati ai sensi della presente intesa.

Le disposizioni definite dai contratti collettivi nazionali di lavoro, al solo scopo di salvaguardare il rispetto delle regole concordate nell'accordo del 28 giugno 2011, del Protocollo del 31 maggio 2013 e nel presente accordo, dovranno riguardare i comportamenti di tutte le parti contraenti e prevedere sanzioni, anche con effetti pecuniari, ovvero che comportino la temporanea sospensione di diritti sindacali di fonte contrattuale e di ogni altra agibilità derivante dalla presente intesa.

I contratti collettivi aziendali, approvati alla condizioni previste e disciplinate nella parte terza del presente accordo, che definiscono clausole di tregua sindacale e sanzionatorie, finalizzate a garantire l'esigibilità degli impegni assunti con la contrattazione collettiva, hanno effetto vincolante, oltre che per il datore di lavoro, per tutte le rappresentanze sindacali dei lavoratori nonché per le associazioni sindacali espressioni delle confederazioni sindacali firmatarie del presente accordo, o per le organizzazioni che ad esso abbiano formalmente aderito, e non per i singoli lavoratori.

CLAUSOLE TRANSITORIE E FINALI

Le parti firmatarie della presente intesa si impegnano a far rispettare le regole qui concordate e si impegnano, altresì, affinché le rispettive organizzazioni di categoria ad esse aderenti e le rispettive articolazioni a livello territoriale e aziendale si attengano a quanto pattuito nel presente accordo.

In via transitoria, ed in attesa che i rinnovi dei contratti nazionali definiscano la materia disciplinata dalla parte quarta del presente accordo, le parti contraenti concordano che eventuali comportamenti non conformi agli accordi siano oggetto di una procedura arbitrale da svolgersi a livello confederale.

A tal fine, le organizzazioni di categoria appartenenti ad una delle Confederazioni firmatarie del presente accordo, ovvero che comunque tale accordo abbiano formalmente accettato, sono obbligate a richiedere alle rispettive Confederazioni la costituzione di un collegio di conciliazione e arbitrato composto, pariteticamente, da un rappresentante delle organizzazioni sindacali confederali interessate e da altrettanti rappresentanti della Confindustria, nonché da un ulteriore membro, che riveste la carica di Presidente, individuato di comune accordo o, in mancanza di accordo, a sorteggio fra esperti della materia indicati in una apposita lista definita di comune accordo, entro 30 giorni, dalle parti stipulanti il presente accordo.

Nella decisone del collegio, che dovrà intervenire entro dieci giorni dalla sua composizione, dovranno essere previste le misure da applicarsi nei confronti delle organizzazioni sindacali e dei datori di lavoro in caso di inadempimento degli obblighi assunti con il presente accordo e, in particolare, dell'obbligo di farne rispettare i contenuti alle rispettive articolazioni, a tutti i livelli.

Viene poi istituita, a cura delle parti firmatarie del presente accordo, una Commissione Interconfederale permanente con lo scopo di favorirne e monitorarne l'attuazione, nonché di garantirne l'esigibilità.

La Commissione sarà composta, pariteticamente, da sei membri, designati da Confindustria e dalle tre organizzazioni sindacali più rappresentative al momento della composizione della Commissione, tra esperti in materia di diritto del lavoro edi relazioni industriali. Un settimo componente della Commissione Interconfederale, che assumerà funzioni di Presidente, sarà individuato fra esperti della materia indicati in una apposita lista definita di comune accordo. La Commissione potrà avvalersi della consulenza di esperti. Ai componenti non spetta alcuna indennità.

La Commissione è nominata per un triennio e i suoi membri possono essere confermati una sola volta.

Fatte salve le clausole che disciplinano l'esigibilità per i singoli contratti collettivi nazionali di categoria, la Commissione Interconfederale stabilisce, con proprio regolamento, da definire entro tre mesi dalla stipula del presente accordo, le modalità del proprio funzionamento ed i poteri di intervento per garantire l'esigibilità dei contenuti del presente accordo, definendo ogni controversia anche attraverso lo svolgimento di un giudizio arbitrale.

La Commissione Interconfederale provvede all'autonoma gestione delle spese relative al proprio funzionamento, nei limiti degli stanziamenti previsti da un apposito fondo istituito a tale scopo dalle parti stipulanti il presente accordo.

Il presente accordo potrà costituire oggetto di disdetta e recesso ad opera delle parti firmatarie, previo preavviso pari a 4 mesi.

Roma, 10 gennaio 2014
CONFINDUSRTIA
CGIL
CISL
UIL


Su tutto questo sarà necessaria un'approfondita ed estesa riflessione su vari piani ma, per ciò che qui interessa, è sul piano giuridico che dovremmo fornire tutti gli strumenti affinché l'opposizione sindacale possa sviluppare un efficace contrasto  a questo "pactum sceleris" che rischia di cancellare decenni di diritto del lavoro conquistato con le lotte e i sacrifici di generazioni di lavoratori.


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