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Scuola / Il caos infinito delle graduatorie
La lunga estate dei precari
di Luisella De Filippi
Segreteria nazionale Flc Cgil
Manifestazioni, sit-in, contestazioni. Il mondo dei precari della scuola
è in agitazione ormai da due anni e più e con esiti poco soddisfacenti. Ai
problemi di natura regolamentare che non riescono a trovare composizione, si
aggiungono quelli determinati dalla politica scolastica e del lavoro portati
avanti dalla maggioranza di centro destra, con una legge di (contro)riforma
della scuola che riduce il tempo scuola, tagliando così posti di lavoro. In
questo clima è dunque altissima l'attenzione per i dispositivi normativi che
regolano lo scorrimento delle graduatorie permanenti: un punto in più o in meno
può essere determinante per la conquista di un posto di lavoro stabile.
I numeri parlano da soli: più di 400.000 precari affollano le graduatorie
concorsuali. Ogni anno l'amministrazione scolastica copre i posti vacanti
stipulando, con i precari, contratti a tempo determinato e contratti a tempo
indeterminato, la cui entità è subordinata alle disponibilità finanziarie
annuali. Negli ultimi due anni, nonostante 150.000 posti vacanti, nessun
contratto a tempo indeterminato è stato stipulato; per il prossimo anno sono
previsti soltanto 15.000 contratti di questo tipo e, dunque, le aspettative e
la fibrillazione sono massime, visto che un'ampia platea di aspiranti dovrà
contendersi la miseria dei 15.000 posti.
Ma come si è arrivati a questa situazione? Nel '99 la legge 124 ha definito un
sistema di regole organico per il reclutamento del personale precario che, nei
dieci anni precedenti, in assenza di concorsi, aveva maturato anni di servizio
e dunque esperienza e professionalità acquisita sul campo. Era necessario regolarizzare
la posizione di queste persone, avviando percorsi riservati di abilitazione e,
contemporaneamente, avviare una riforma che prevedesse una formazione iniziale
specifica per gli insegnanti che al titolo di studio affiancasse competenze
professionali derivanti dallo studio delle scienze pedagogiche.
L'equilibrio dei diritti di persone che avevano storie e percorsi diversi era
stato trovato attraverso la stratificazione di una graduatoria in 4 fasce che
permetteva di storicizzare la situazione senza mettere in diretta concorrenza
le diversità che, nel corso del tempo, si erano delineate. Il ministro Moratti
è intervenuta su questo equilibrio, eliminando una fascia e producendo, così,
la diretta concorrenza fra interessi che a quel punto entravano in conflitto.
Le rivendicazioni degli uni e degli altri hanno indotto l'amministrazione a
fare interventi maldestri che regolarmente hanno ricevuto sonore bocciature dai
tribunali amministrativi. A causa dell'imperizia del ministro nel gestire una
materia complessa e delicata come quella delle tabelle dei punteggi, si è
pensato di eliminare i motivi di contenzioso amministrativo attraverso un
provvedimento di legge (la n. 143/04) che, in qualità di norma primaria, può
modificare dunque altre norme di pari grado.
Si tratta di un grave errore: la definizione di una tabella di punteggi è norma
di carattere prettamente amministrativo: applicando i princìpi contenuti nella
legge, si caratterizza per essere uno strumento flessibile ai possibili
cambiamenti che si dovessero rendere necessari. Aver affidato alla legge il
compito di definirla ha reso rigido lo strumento; solo un'altra legge, infatti,
può modificarne anche una piccola parte. La scarsa dimestichezza dei
parlamentari con i particolarismi oggetto della tabella di valutazione ha,
inoltre, prodotto errori di sottovalutazione delle problematiche connesse. La
valutazione politica generale che la Flc Cgil fa della legge 143/04 è, dunque,
estremamente negativa: è sbagliato l'impianto e, inoltre, in molte sue parti essa
viola alcuni princìpi costituzionali che intendiamo far rispettare attraverso
ricorsi e impugnative, qualora la pressione politica non ottenga i cambiamenti
auspicati.
Questi gli aspetti più contestati della nuova tabella di punteggi:
- il raddoppio del punteggio per il servizio svolto nelle scuole di montagna,
nelle istituzioni carcerarie e nelle piccole isole;
- la possibilità di far valere metà del punteggio per i servizi svolti in posti
o classi di concorso diversi da quella di appartenenza;
- l'esclusione di alcune persone che hanno i requisiti per chiedere
l'inserimento nelle graduatorie, sia pur acquisiti dopo il '99;
- la retroattività dell'efficacia di tali norme che modifica il quadro
normativo quando le scelte sono già state fatte.
Se il merito di queste novità introdotte dalla legge 143/04 può essere oggetto
di valutazione anche positiva, per esempio la valutazione del servizio svolto
in altra classe di concorso (oggi non vale nulla) o l'individuazione di
meccanismi che premino il disagio, la formulazione della norma si presta invece
a uno snaturamento del diritto in quanto avvantaggia in modo casuale e
discriminatorio alcuni gruppi di docenti, stravolgendo i criteri consolidati di
valutazione dei titoli e intaccando in tal modo le legittime aspettative del
personale già collocato nelle graduatorie. La rideterminazione integrale delle
graduatorie sulla base di regole fissate oggi per allora viola, dunque, il
principio contenuto nell'art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale,
che prevede che una legge possa disporre soltanto per l'avvenire. Inoltre, la
discriminazione messa in atto dall'applicazione di tali norme viola il
principio costituzionale contenuto nell'art. 3 sull'uguaglianza dei cittadini
di fronte alla legge, altri princìpi costituzionali sulla tutela del lavoro in
tutte le sue forme e applicazioni e il principio del buon andamento e
imparzialità dell'amministrazione.
Rispondendo alle pressioni politiche promosse da sindacati e movimenti dei
precari, il Parlamento sta ora cercando di correggere le storture introducendo,
in un decreto legge sulla pubblica amministrazione, norme di interpretazione
autentica della legge 143/04. Il Senato ha approvato dei correttivi che
riducono il danno prodotto dalla legge precedente senza però risolvere la
sostanza delle illegittimità: ha ridotto, per esempio, la retroattività a un
anno soltanto, il 2003/04, violando dunque ancora il principio contenuto nel
citato articolo 11 e introducendo una nuova disuguaglianza fra coloro che
rientrano nel beneficio e coloro che ne restano esclusi.
Ora spetta alla Camera confermare o modificare quanto già approvato al Senato.
Ciò che balza in evidenza però è ancora una volta la superficialità e la
sciatteria, sia giuridica che politica, con cui questa classe politica tratta
le delicate questioni di diritto che determinano il destino di migliaia di
lavoratori.
(Rassegna sindacale, n. 29,
luglio 2004)