www.resistenze.org - proletari resistenti - scuola - 01-03-10 - n. 308

da www.aurorainrete.org - num. 16 - 2010
 
La controriforma della scuola
 
Il ritorno alla scuola di classe. Meno istruzione, meno cultura, meno coscienza
 
di Perla Conoscenza
 
L’istruzione ci permette di capire la società nella quale viviamo, apprezzarne la cultura, comprendere le sue diseguaglianze e contraddizioni, di cambiarla a favore del popolo. Il miglioramento di una società è strettamente legato alla conoscenza e alla cultura.
 
In ogni parte del mondo e da sempre i comunisti hanno considerato l’istruzione come il principale strumento per affrancarsi dall’oppressione e via necessaria per condurre una vita degna e da uomini liberi. I comunisti si sono sempre battuti per una scuola di massa, obbligatoria, pubblica e gratuita, affinché il figlio del contadino, dell’operaio, del precario, abbiano la stessa cultura e gli stessi strumenti del figlio del professionista o del dirigente. Una scuola di massa è funzione strumentale all’interpretazione dei fenomeni e della realtà, alla condivisione e costruzione della coscienza e conoscenza, del ripensamento dei meccanismi sociali ed economici. In altre parole per una scuola che fornisce uguali opportunità alle nuove generazioni e contribuisce a superare le differenze di reddito e di classe.
 
Per noi, all’istruzione fornita dalla scuola si assegnano due funzioni strettamente connesse: fornire le basi per garantire lavoro e mobilità sociale; ma anche fornire i saperi per sviluppare una conoscenza del realtà e preparare a una partecipazione dialettica alla vita politica, sociale e culturale del paese.
 
Con la riforma della scuola secondaria imposta dal Governo Berlusconi, assistiamo alla sconfitta di queste speranze e di questi valori. Come rimarca il manifesto dei docenti italiani: “anni di ideocrazia e strategia di distrazione di massa, si sono tradotti per la cittadinanza in un allontanamento crescente dalle tematiche sociali, in disinformazione diffusa, in cancellazione della memoria recente, in superficialità delle conoscenze, in proposizione di modelli privi di qualsiasi spessore culturale”. Ora questo degrado, viene esteso alla scuola, resa perfino peggiore della scuola della Riforma Gentile nel 1923, realizzata durante il fascismo.
 
La strutturazione rigida in Nuovi licei, Nuovi istituti tecnici e Nuovi istituti professionali, pone termine alle sperimentazioni didattiche attivate negli anni ’90, e alle strutture democratiche di partecipazione, riduce materie, orari e anni di studio. Viene propagandata dal governo come un’opera di sfoltimento degli indirizzi, di avvicinamento della scuola al mondo del lavoro, di riduzione del carico di studio per gli studenti e dei costi per lo stato.
 
In realtà la Nuova scuola è una vecchia scuola di classe. Il governo ha di fatto separato in due il sistema scolastico: da una parte ci sono i licei, dall’altra i tecnici e i professionali. In seguito ad una scelta precoce (a 13 anni), si determina un percorso di studi, e di vita, difficilmente reversibile, che nega pari opportunità di educazione, di lavoro, di vita e partecipazione, alle future generazioni.
 
Osservando le modifiche curriculari, il disegno emerge chiaramente. In particolare gli indirizzi tecnici e professionali abdicano alla funzione di formare cittadini capaci di un’analisi e comprensione del mondo, focalizzandosi sulla preparazione al lavoro. Le materie ridotte o eliminate sono quelle necessarie a comprendere il contesto: Storia, Geografi a, Discipline Economiche e Giuridiche.
 
La decisione di ridurre l’orario nella classi successive alla prima e nei soli istituti tecnici e professionali, accentua la separatezza tra i diversi segmenti, producendo nei fatti una divisione sociale grave e inaccettabile tra i giovani sulla base del censo e delle condizioni sociali e culturali di partenza. In questi istituti le ore settimanali da 36 si riducono a 32. Col nuovo disegno sul lavoro, si prevede che l’apprendistato possa valere a tutti gli effetti come assolvimento dell’obbligo di istruzione. Quindi con questo escamotage, gli studenti potrebbero uscire dalle aule scolastiche un anno prima dell’attuale obbligo scolastico, fissato a 16 anni. Già spontaneamente molti genitori poveri, invece di mandare i figli a scuola, li mandavano a lavorare in nero per portare a casa qualche euro in più. Questo sfruttamento, diventa legale e equivale a un titolo di studio, purché avvenga tra i 15 e i 16 anni di età.
 
L’ultimo anno di istruzione obbligatoria (il secondo anno delle superiori, in un percorso regolare) diviene, quindi, una forma di «contratto d’apprendistato». Quali corsi sono assenti, eliminati o ridotti ? Storia, Geografi a, Discipline Economiche e Giuridiche, Tecnologie dell’Informazione.
 
L’economia è stata bandita dalle scuole, lo stesso vale per il diritto (unica eccezione le discipline giuridiche ed economiche nel liceo delle scienze umane e l’economia nello specifico istituto tecnico di economia). Le scarse ore dedicate alla storia e alla geografi a negli istituti tecnici e professionali vengono accorpate e ulteriormente ridotte, quando, invece, la formazione di un cittadino passa oggi attraverso queste materie, che non sono una nozionistica serie di formule e dati, ma scienze interdisciplinari sempre più utili a analizzare e comprendere la complessità dei fenomeni sociali, economici e politici. La Geografia inizialmente eliminata è stata parzialmente reintrodotta a seguito di una possente sollevazione popolare. Come fanno notare i promotori di tale sollevazione: “Fare geografia e storia a scuola vuol dire formare cittadini consapevoli, autonomi, responsabili e critici, che sappiano convivere con il loro ambiente e sappiano modificarlo in modo creativo e sostenibile, guardando al futuro». E ancora: «I sottoscrittori di questo documento ritengono che privarsi degli strumenti di conoscenza … in una società sempre più globalizzata e quindi complessa, significa privare gli studenti di saperi assolutamente irrinunciabili per affrontare le sfide del mondo contemporaneo. Chi insegnerà ai nostri ragazzi la geopolitica del mondo contemporaneo? Chi insegnerà loro qualcosa come un’educazione civica globale, la capacità di situare in uno spazio-tempo planetario la questione dei diritti umani, o degli indici di sviluppo, o delle diseguaglianze fra Nord e Sud del mondo?».
 
Anche la qualità dell’istruzione rivolta a esigenze puramente professionali viene ridotta. Ad esempio negli istituti tecnici, i laboratori sono fondamentali. Ma i laboratori, necessitano numerose ore di applicazione che verranno meno. Di fronte alle occupazioni delle scuole e al disvelamento di questo disegno reazionario, nello stesso modo in cui vengono dispersi i risultati di anni di sperimentazione, viene chiusa ogni possibile voce critica (in attesa che la riforma della scuola impedisca il sorgere di cittadini critici). Occorre annientare la cultura e l’indipendenza dei docenti.
 
Si escludono i docenti dalla gestione della scuola: la riforma abolisce i Collegi dei Docenti, che vengono sostituiti dai Consigli di Amministrazione, in netto contrasto con la legge che riguarda l’autonomia scolastica. Senza alcun preavviso e senza alcuna motivazione, si oscurano tutti i Forum “Conosci e commenta la Riforma” presenti sul sito istituzionale. Il governo giustifica la smantellamento dell’insegnamento pubblico, con il taglio di risorse e le restrizioni di budget pubblico dovute alla crisi finanziaria.
 
Tagli personale tecnico e professionale, tagli dei fondi, regionalizzazione, tagli delle ore di insegnamento, accorpamento degli istituti e delle classi nelle superiori. Abolizione della gratuità dei libri nelle scuole elementari, maestro unico, abolizione del tempo prolungato nelle elementari. Si autorizzano classi di 31 alunni (quando spesso le aule obsolete riescono a contenerne a malapena 22), propone la riduzione delle ore di lezione e di conseguenza dell’offerta formativa e che comporta il licenziamento di migliaia di docenti. Il ritorno al maestro unico alle elementari, porterà un il taglio di circa 87.000 insegnanti in tre anni, mentre alle superiori, grazie alla riduzione di orario e dei corsi, si calcola che verranno eliminati 17.000 docenti.
 
Con la generale perdita di visione della classe politica che dirige (si fa per dire) l’Italia, perfino l’ex-comunista migliorista Napolitano, attualmente Presidente della Repubblica, concorda: “…è necessario ridurre a zero nei prossimi anni il deficit pubblico e per incidere sempre di più sul debito accumulato nel passato. Nessuna parte sociale e politica può sfuggire a questo imperativo. Ed esso comporta anche un contenimento della spesa per la scuola”.
 
Ecco come preparare il futuro dei nuovi cittadini: riducendo le ore di insegnamento e tagliando le risorse. Un tempo, quando vi era una coscienza maggiore, l’investimento per l’istruzione era considerato l’investimento prioritario per permettere un futuro differente alle nuove generazioni. Un investimento fatto dai genitori a costo di pesanti sacrifici. Ci “si toglieva il pane di bocca” per mandare i figli a studiare.
 
La laurea, in termini puramente economici di resa salariale, è conveniente. In base ai calcoli OCSE un laureato può aspettarsi rispetto a un diplomato un vantaggio salariale durante la carriera lavorativa superiore a 400.000 euro. Nel marzo 2000 il Consiglio europeo di Lisbona, conscio dell’evoluzione dei maggiori margini di profitto dell’economia capitalista verso settori legati alla conoscenza, ha fissato all’Unione Europea l’ambizioso obiettivo strategico di diventare entro il 2010 “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo”. Considerava “imperativo categorico” l’investimento efficiente nell’istruzione e nella formazione. L’istruzione “fa la differenza” perché permette di aumentare il reddito individuale e la produttività generale del paese.
 
Allora qual’è il modello di società e di economia, disegnato da questa riforma? Quale è il posto dell’Italia nel prossimo capitalismo finanziario e cognitivo? Rimanere emarginata ? Dobbiamo prepararci ad accogliere una nuova ondata di emigrazione, dove i più capaci e indipendenti, se potranno, lasceranno l’Italia per formarsi una cultura adeguata? Agli altri, a meno che non appartengano ad una ristretta elite privilegiata, spetta un futuro di bassi salari, lavoro nero, sottopagato e precario: in una sola parola di supersfruttamento. Al quale si aggiunge uno scenario di ignoranza, povertà culturale e passività. A noi lottare insieme per cambiare questo scenario, prima che sia troppo tardi.
 
 

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