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Aldo Bernardini ci ha lasciato

CCDP

08/04/2020

Apprendiamo la triste notizia della morte del compagno Aldo Bernardini, apprezzato accademico e militante comunista autentico, la cui statura intellettuale e morale abbiamo avuto il privilegio di conoscere e apprezzare. Come in occasione della presentazione del libro di Kurt Gossweiler "Contro il revisionismo", di cui aveva curato la prefazione. Per questo, vogliamo ricordarlo attraverso le sue parole pubblicandone uno stralcio.
A nome delle compagne e compagni del Centro di Cultura e Documentazione Popolare, esprimiamo cordoglio e vicinanza alla sua compagna Ingrid.
Ciao Aldo, che la terra ti sia lieve.

La redazione di Resistenze.org

* * *

Contro il revisionismo

Aldo Bernardini, Introduzione a:Kurt Gossweiler, Contro il revisionismo, Zambon, 2009

04/08/2009

"È possibile essere contrari al comunismo senza ignorare le caratteristiche di uno Stato che fu pur sempre, nonostante i suoi molti vizi, una grande opera del XX se­colo?" Una domanda retorica sull'Unione Sovietica, la cui sostanza non ci proviene oggi da rivoluzionari e comuni­sti - sedicenti, per vero, i più, ed annebbiati -, ma risulta formulata da un conservatore confesso quale Sergio Ro­mano: certamente, almeno per contrasto, illuminato (Cor­riere della Sera, 22-12-2008).

Un riconoscimento come questo, proprio raro, e che a comunisti autentici potrebbe apparire parziale, non viene raccolto come pur ci si aspetterebbe. E ciò pone di fronte ad una gravosa constatazione: da decenni viviamo sotto la cappa di una menzogna totale, di un rovesciamento della storia e della sua rappresentazione e percezione per quel che riguarda l'esperienza del "socialismo reale". Lo con­fermano reticenze e silenzi al cospetto di affermazioni e atteggiamenti di larghi strati delle popolazioni dei paesi che il capitalismo, con la sua esiziale "vittoria", avrebbe "liberato" dalla "dittatura comunista", dal "totalitarismo" (per sostituirvi la dittatura e il totalitarismo del mercato, cioè dei capitalisti): affermazioni e atteggiamenti in buona parte positivi e di rimpianto del passato (soprattutto in Russia e nella ex Repubblica democratica tedesca). Lo ren­de evidente una situazione mondiale e dei popoli e dei la­voratori quanto mai deteriorata, dopo gli eventi del 1989-91, e destituita della prospettiva di esiti positivi (per la generalità degli esseri umani, e vi torneremo).

A dispet­to di tutto, veniamo pur sempre investiti nei nostri ambien­ti, e penso specificamente all'Italia, in primo luogo per la voce dei transfughi del comunismo, da una pervicace e or­mai dogmatica pronuncia di condanna e demolizione del "socialismo reale". Di criminalizzazione, addirittura, so­prattutto per la fase della vittoriosa edificazione sociale ri­voluzionaria, quella di Stalin: certo con il suo non occulta­to carico di tragedia, va pur detto, ma la tragedia partico­larmente affilata e carica di contraddizioni, propria di ogni impresa storica che seppellisce un passato restio a di­leguare e addita una speranza e una meta contro cui quel passato si divincola con violenza. Il tutto, in questa ostina­ta ricusazione, con autodispensa da dubbi e ripensamen­ti, al di fuori di ogni contestualizzazione storica e politica e tanto meno delle necessarie periodizzazioni, al di fuori persino di una conoscenza reale e approfondita e men che meno vissuta delle società socialiste.

Quasi sempre con ignoranza, anche voluta e coltivata, delle vicende concrete, delle trasformazioni sociali, delle lotte politiche e ideologi­che in quei paesi, del freno all'imperialismo e del contribu­to per la pace, dell'impulso rivoluzionario dato ad altre si­tuazioni sul pianeta, alle stesse battaglie di riforme nell'Oc­cidente capitalistico (Lula, La Repubblica, 31-12-2008, affer­ma che senza la resistenza di Cuba socialista gli attuali sviluppi pre-socialisti in America latina non vi sarebbero - ma lo stesso ragionamento vale per Cuba: la rivoluzione cubana esplode sulla scia delle rotture rivoluzionarie so­cialiste e anticoloniali aperte dall'Ottobre e sostenute dal­l'Unione Sovietica e dai paesi socialisti: come avrebbe ret­to fuori da tale contesto?).

Un'ignoranza coltivata, perché in blocco disdegnosa delle posizioni vere e dei comporta­menti e decisioni, nonché dei problemi effettivi dei partiti e dirigenti comunisti al potere. Tutto spregiato aprioristi­camente, con l'accettazione, desunta in buona sostanza dall'ideologia borghese e capitalistica ritenuta definitiva­mente vincente, dell'artefatta "categoria" del "totalitari­smo" (dittatura ecc.), oltre che dei "valori" di un indivi­dualismo a volte deprecato a parole, ma profondamente introiettato: sino alla scientificamente e politicamente (nonché eticamente) blasfema assimilazione tra nazifasci­smo e comunismo (per il "socialismo realizzato") o, per semplificare, tra Hitler e Stalin.

Nell'adesione conclusiva alla tesi dell'ideologia dominante, secondo cui gli eventi del 1989-91 segnerebbero l'affermazione, persino augura­ta da siffatti "comunisti", della "libertà" (di chi e di che?), della "democrazia" (quale, quale demos-popolo e quale kratos-potere?), e la disfatta totale del "comunismo", sen­za remissione né possibilità di "ritorno": in ciò nessuna at­tenzione a quel che ancora ne è presente nel mondo, negli stessi paesi del "socialismo reale", e soprattutto nessuna cura per un esame oggettivo e il riconoscimento di quel che è stato sconfitto concretamente, il "revisionismo mo­derno", il revisionismo al potere nei paesi socialisti con Ti­to e Chruscév e alla direzione in altri partiti (pur se apre la questione del perché e del come questo revisionismo ab­bia a sua volta avuto la meglio nelle società socialiste e nei partiti). Cosicché, l'interrogativo di Romano pare ribaltar­si, almeno per ora, nella pressione ambientale cui siamo esposti, in un: "è possibile oggi per un comunista conside­rare in principio l'Unione Sovietica come 'grande impresa del XX secolo'?".

Ci si trova di fronte ad un atteggiamento puramente demolitorio, di politici, intellettuali, partiti, movimenti, che ormai configura l'esito di un lungo percorso di ripudi e dinieghi nel movimento comunista internazionale. Un atteggiamento che anzitutto non regge di fronte a critica seria e documentata, non solo si rivela frutto di codardia intellettuale ed opportunismo (lasciamo da parte che talu­ni, forse, hanno operato nell'illusione rovinosa di "salvare il salvabile"; naturalmente poi permanendo sempre, co­munque, ogni possibilità di seria critica storica e politica).

Un atteggiamento che sta alla fonte della disfatta, della di­struzione di partiti che, sulla base di quella tabula rasa, su cui si imbandiscono pregiudizi, subalternità intellettuale, gretta ignoranza, suprema arroganza, hanno avanzato la pretesa di "uscire dal '900" e di "rifondare" il comunismo, lo hanno invece per la parte loro riaffondato e sono retro­cessi, al meglio, nel socialismo utopistico e nella politica della discettazione sterile e della chiacchiera vuota. Risal­tano, fra costoro, quelli che si sono prefissi di cancellare dal panorama politico nome e simboli comunisti. Si tratta di una brulicante genia di "comunisti anticomunisti", non sai se per naturale vocazione, per interessata "conversio­ne", per pianificata infiltrazione. Non sottovalutiamo na­turalmente le "compensazioni" di varia caratura e conio offerte a questi soggetti dal sistema vigente, non più rifiu­tato o solo a parole: a miglior gloria del capitalismo.

La deriva, che ha preso corso da tanto tempo, si è fatta preci­pitosa dopo il "crollo del muro di Berlino". Un evento in­teso per mitico ed emblematico di un "fallimento" in real­tà da molti auspicato e senza dubbio anche praticamente propiziato, lo si è detto, in assenza di qualunque riflessio­ne oggettiva e scientificamente motivata. E non manca, in tali atteggiamenti, l'oltraggio infame a chi ha dedicato la vita, e a volte ve l'ha perduta, ha sofferto di anni di carce­re e di esilio, per la causa dell'effettiva trasformazione so­ciale a nome e a vantaggio del proletariato, nelle condizio­ni reali dell'impresa, a cominciare dai milioni di sovietici morti nella fatale e trionfante lotta contro il nazifascismo. Un'offesa spesso scagliata da piccola gente di salotto, che anzitutto non sarebbe stata, e non è stata, capace dell'im­presa - vera, concreta, materiale - del "socialismo realiz­zato" (memorabile la sfida di un regista cubano - II mani­festo, 30-12-2008 - : "cosa ha fatto la sinistra italiana per pretendere di insegnarci quello che dobbiamo fare? Noi la rivoluzione l'abbiamo fatta. E voi?"), ma appunto ha trascinato qui da noi, come altrove, alla degenerazione e poi alla liquidazione delle forze richiamantisi al comuni­smo, anche se ormai spesse volte solo di nome.

Una pregevole sintesi sulla palude revisionistica e sul precipizio verso l'annientamento, nel quale sono gradual­mente caduti, a partire dai vertici ma con corruzione dila­gante, salvo eccezioni, nelle loro basi popolari, il Pci e quindi i partiti che ne hanno preso la successione in Italia, prima fra tutti Rifondazione comunista, proprio per aver perduto l'anima come conseguenza, e meglio si vedrà, del rifiuto globale della storia passata (e quindi per il ripudio ormai pregiudiziale di principi, metodi di lotta, obiettivi di trasformazione radicati nelle esperienze storiche e nei bisogni reali dei lavoratori e dei popoli), si può oggi leg­gere nella introduzione di Adriana Chiaia al volume, re­centemente tradotto in italiano, di Kurt Gossweiler, La (ir)resistibile ascesa al potere di Hitler, ed. Zambon, 2008: Gossweiler, l'autore di cui qui presentiamo altri scritti, che argomentano, con l'acutezza figlia dell'esperienza vissuta, i motivi della caduta e le ragioni a difesa, con i dovuti di­stinguo, delle realtà storiche di socialismo, a rigetto docu­mentato degli sgretolamenti operati dai nemici, anche in­terni e camuffati, del socialismo e dell'ideale comunista. Quindi, essenziali per dissipare la cappa della menzogna totale, di cui in apertura, e per ricollocare con i piedi per terra le ragioni della storia.

[...]

Il quesito iniziale di Sergio Romano deve subire un'ulteriore torsione: "è possibile oggi essere comunista senza considerare l'Unione Sovietica (e gli altri paesi del "socialismo reale") quali elementi essenziali del cammi­no storico del movimento comunista internazionale, se­condo un'adeguata analisi pur non scevra della necessa­ria attenzione critica?". Da Gossweiler proviene la rispo­sta: no, non è possibile. Ed è anzi la carenza di una cor­retta riflessione in proposito, con il rifiuto cieco di quel­l'esperienza fondamentale, una, se non la più rilevante, delle cause profonde dell'attuale rotta catastrofica subita ovunque dai comunisti.


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