da
Marx-Engels, Opere Complete, 1845-1848, vol. 6, Editori Riuniti, Roma, 1973,
pp.. 360-377
trascrizione e conversione in html a cura del CCDP
Friedrich Engels
I principi del comunismo (1)
1. Domanda: Che cos'è il
comunismo?
Risposta: Il comunismo è la dottrina delle condizioni della liberazione del
proletariato.
2. Domanda: Che cos'è il proletariato?
Risposta: Il proletariato è quella classe della società che trae il suo
sostentamento soltanto e unicamente dalla vendita del proprio lavoro (2) e non dal profitto di un capitale qualsiasi; quella classe
il cui benessere e i cui guai, la cui vita e la cui morte, la cui intera
esistenza dipendono dalla domanda di lavoro, cioè dall'alternarsi dei periodi
d'affari buoni e cattivi, dalle oscillazioni d'una concorrenza sfrenata. Il
proletariato o classe dei proletari è, in una parola, la classe lavoratrice del
secolo decimonono.
3. Domanda: Non sempre, dunque, ci sono stati dei proletari?
Risposta: No. Ci sono sempre state classi povere e lavoratrici (3)
e le classi lavoratrici sono state per lo più povere. Ma non ci sono stati
sempre dei poveri, dei lavoratori che vivessero nelle condizioni ora indicate,
e dunque dei proletari, così come la concorrenza non è stata sempre libera e
sfrenata.
4. Domanda: Com'è sorto il proletariato?
Risposta: Il proletariato è sorto in seguito alla rivoluzione industriale,
avvenuta in Inghilterra nella seconda metà del secolo scorso e che da allora in
poi si è ripetuta in tutti i paesi civili del mondo. Questa rivoluzione industriale
venne provocata dall'invenzione della macchina a vapore, delle varie macchine
tessili, del telaio meccanico e di tutta una serie di altri congegni meccanici.
Queste macchine, che erano molto costose e quindi potevano essere acquistate
solo da grandi capitalisti, trasformarono tutto il vecchio modo di produzione e
soppiantarono i lavoratori di vecchio tipo, giacché le macchine fornivano le
merci a più basso prezzo e migliori di quanto potessero produrle i lavoratori
con i loro filatoi e telai imperfetti. Così quelle macchine diedero l'industria
completamente in mano ai grandi capitalisti e tolsero ogni valore alla poca
proprietà degli operai (strumenti di lavoro, telai, ecc.), cosicché i
capitalisti ebbero ben presto tutto nelle loro mani ai lavoratori non rimase
nulla. In tal modo fu introdotto il sistema di fabbrica nella industria tessile
d'abbigliamento.
Una volta dato l'impulso iniziale all'introduzione delle macchine e del sistema
di fabbrica, questo sistema fu applicato ben presto anche a tutte le altre
branche dell'industria, specialmente alla stampa delle stoffe e alla
tipografia, all'arte vasaria e all'industria della lavorazione dei metalli. Il
lavoro venne diviso sempre più fra i singoli operai, cosicché l'operaio, che
prima faceva un intero pezzo di lavoro, ora fece solo una parte di questo
pezzo. Questa divisione del lavoro fece si che i prodotti potessero essere
forniti più rapidamente e quindi a minor prezzo. Essa ridusse l'attività di
ogni singolo operaio a un movimento meccanico semplicissimo, ripetuto ogni
momento, che poteva essere compiuto non solo altrettanto bene ma anche molto
meglio da una macchina.
In questo modo tutte quelle branche dell'industria caddero, una dopo l'altra,
sotto il dominio della forza-vapore, delle macchine e del sistema di fabbrica,
proprio come la filatura e la tessitura. Con questo, però, esse caddero allo
stesso tempo completamente nelle mani dei grandi capitalisti, e ai lavoratori
venne sottratto anche qui l'ultimo avanzo di autonomia. A poco a poco oltre la
manifattura vera e propria anche l'artigianato cadde sempre più sotto il
dominio del sistema di fabbrica, poiché i grandi capitalisti soppiantarono
sempre più anche i piccoli maestri artigiani, impiantando grandi laboratori che
permettono un risparmio su molte spese e danno altresì la possibilità di una
grande divisione del lavoro.
Così oggi siamo arrivati al punto che nei paesi civili quasi tutte le branche
di lavoro funzionano col sistema di fabbrica e in quasi tutte le branche di
lavoro l'artigianato e la manifattura sono stati soppiantati dalla grande
industria. A questo modo si è sempre più rovinato il vecchio ceto medio,
specialmente i piccoli maestri artigiani, le condizioni dei lavoratori sono
state del tutto sovvertite, e sono state create due classi nuove, che a poco a
poco inghiottiscono tutte le altre, e cioè:
I. La classe dei grandi capitalisti, che in tutti i paesi civili già ora hanno
il possesso quasi esclusivo di tutti i mezzi di sussistenza, nonché delle
materie prime e degli strumenti (macchine, fabbriche) necessari per la
produzione dei mezzi di sussistenza. Questa è la classe dei borghesi, o
borghesia.
II. La classe di coloro che non hanno possesso alcuno, che sono costretti a
vendere ai borghesi il proprio lavoro per averne in cambio i mezzi di
sussistenza necessari per il loro sostentamento. Questa classe si chiama classe
dei proletari, o proletariato.
5. Domanda: A quali condizioni si attua questa vendita del lavoro dei proletari
ai borghesi?
Risposta: Il lavoro è una merce come tutte le altre e il suo prezzo viene
quindi determinato proprio secondo le stesse leggi che determinano quello di
ogni altra merce. Ma sotto il dominio della grande industria o della libera
concorrenza — il che, come vedremo, è poi tutt'uno — il prezzo di una merce è
in media sempre uguale ai costi di produzione della merce stessa. Anche il
prezzo del lavoro, dunque, è uguale al costo di produzione della merce stessa.
Ma il costo di produzione del lavoro consiste esattamente nella quantità di
mezzi di sussistenza necessaria a mettere l'operaio in condizione di rimanere
atto al lavoro e ad impedire l'estinzione della classe operaia.
L'operaio non riceverà dunque, per il suo lavoro, più di quanto sia necessario
a questo scopo; il prezzo del lavoro o salario sarà dunque il minimo necessario
per il suo sostentamento. Ma, siccome i periodi degli affari sono ora peggiori
ora migliori, egli riceverà ora più ora meno, proprio come il fabbricante
riceve ora più ora meno per la sua merce. Tuttavia, come il fabbricante, nella
media dei periodi buoni e cattivi, non riceve per la sua merce né più né meno
dei costi di produzione, così l'operaio in media non riceverà né più né meno di
questo stesso minimo. Questa legge economica del salario, però, sarà attuata
tanto più rigorosamente quanto più la grande industria s'impadronirà di tutte
le branche del lavoro.
6. Domanda: Quali erano le classi lavoratrici prima della rivoluzione
industriale?
Risposta: Le classi lavoratrici hanno vissuto in condizioni differenti e hanno
avuto posizioni differenti di fronte alle classi possidenti e dominanti secondo
i differenti gradi di sviluppo della società.
Nell'antichità coloro che lavoravano erano gli schiavi appartenenti ai
proprietari, come avviene ancora oggi in molti paesi retrogradi e perfino nella
parte meridionale degli Stati Uniti. Nel medioevo erano i servi della gleba appartenenti
alla nobiltà proprietaria di terre, come avviene ancora oggi in Ungheria,
Polonia e Russia. Inoltre, nel medioevo e fino alla rivoluzione industriale vi
erano nelle città garzoni artigiani che lavoravano al servizio di maestri
d'arte piccolo-borghesi, e a poco a poco sorsero, con lo sviluppo della
manifattura, anche operai manifatturieri che venivano occupati da capitalisti
di una certa entità.
7. Domanda: In che cosa il proletario si distingue dallo schiavo?
Risposta: Lo schiavo è venduto una volta per sempre; il proletario deve vendere
se stesso giorno per giorno, ora per ora. Il singolo schiavo, proprietà di un
solo padrone, ha l'esistenza — per miserabile che possa essere — assicurata
dall'interesse di questo padrone; il singolo proletario, proprietà per così
dire dell'intera classe dei borghesi, e il cui lavoro viene acquistato
solo se qualcuno ne ha bisogno, non ha l'esistenza assicurata. Questa esistenza
è assicurata soltanto alla classe dei proletari nel suo insieme. Lo
schiavo si trova al di fuori della concorrenza; il proletario si trova nel suo
mezzo e ne risente tutte le oscillazioni. Lo schiavo è considerato un oggetto,
non un membro della società civile; il proletario è riconosciuto come persona,
come membro della società civile. Lo schiavo può quindi avere un'esistenza
migliore del proletario, ma il proletario appartiene a uno stadio superiore di
sviluppo della società, e si trova egli stesso a un grado di sviluppo superiore
a quello dello schiavo. Lo schiavo si emancipa abolendo, fra tutti i rapporti
di proprietà privata, solo il rapporto della schiavitù e divenendo così,
dapprima, egli stesso proletario; il proletario si può emancipare solo abolendo
la proprietà privata in generale.
8. Domanda: In che cosa il proletario si distingue dal servo della gleba?
Risposta: Il servo della gleba ha il possesso e l'uso di uno strumento di
produzione, di un appezzamento di terra, in cambio di parte del provento o di
prestazioni di lavoro. Il proletario lavora con strumenti di produzione altrui,
per conto altrui, e riceve in cambio parte del provento. Il servo della gleba
dà, al proletario vien dato. Il servo della gleba ha l'esistenza assicurata, il
proletario non l'ha. Il servo della gleba è al di fuori della concorrenza, il
proletario vi si trova in mezzo. Il servo della gleba si emancipa o fuggendo
nelle città per divenirvi artigiano, o dando denaro, invece che lavoro e
prodotti, al proprietario del fondo e divenendo così libero fittavolo, o
scacciando il signore feudale e diventando proprietario egli stesso, in breve,
entrando in un modo o nell'altro nella classe possidente e nella concorrenza.
Il proletario si emancipa eliminando la concorrenza, la proprietà privata e
tutte le differenze di classe.
9. Domanda: In che cosa il proletariato si distingue dall'artigiano?
[Nel manoscritto di Engels è lasciata mezza pagina bianca per la risposta
mancante]
10. Domanda: In che cosa il proletario si distingue dall'operaio
manifatturiero?
Risposta: L'operaio manifatturiero, dal secolo decimosesto fino al secolo
decimottavo, aveva ancora, quasi dappertutto, uno strumento di produzione in
suo possesso: il suo telaio, i filatoi per la sua famiglia, un campicello che
coltivava nelle ore libere. Il proletario non ha nulla di tutto questo.
L'operaio manifatturiero vive quasi sempre in campagna, in rapporti più o meno
patriarcali col proprietario del fondo o col datore di lavoro; il proletario
vive per lo più in grandi città, e i suoi rapporti col datore di lavoro sono
esclusivamente di denaro. L'operaio viene strappato dalla grande industria alle
sue patriarcali condizioni di vita, perde quel poco che ancora possedeva e
diviene così egli stesso proletario.
11. Domanda: Quali furono le conseguenze immediate della rivoluzione
industriale e della scissione della società in borghesi e proletari?
Risposta: In primo luogo, l'antico sistema della manifattura o
dell'industria fondata sul lavoro manuale venne completamente distrutto, in
tutti i paesi del mondo, dai prezzi dei prodotti industriali, che si facevano
sempre più bassi in seguito al lavoro eseguito con le macchine. A questo modo
tutti i paesi semibarbarici, che fino ad allora erano rimasti più o meno
estranei allo sviluppo storico e la cui industria fino ad allora si era fondata
sulla manifattura, furono strappati con la forza al loro isolamento. Comprarono
le merci più a buon mercato dagli inglesi e lasciarono andare in rovina i
propri operai manifatturieri.
Così, paesi che da millenni non avevano fatto alcun progresso, p.es. l'India,
sono stati rivoluzionati in pieno, e perfino la Cina si avvia ora ad una
rivoluzione. Si è giunti al punto che una nuova macchina inventata oggi in
Inghilterra nel corso di un anno priva del pane milioni di operai cinesi. A
questo modo la grande industria ha collegato tutti i popoli della terra, ha
agglomerato in un mercato mondiale tutti i piccoli mercati locali, ha preparato
ovunque la civiltà e il progresso ed è arrivata a far si che tutto ciò che
avviene nei paesi civili deve ripercuotersi su tutti gli altri paesi. Cosicché,
se oggi gli operai si emancipano in Francia e in Inghilterra, ciò deve portare
con sé, in tutti gli altri paesi, rivoluzioni che prima o poi condurranno, a
loro volta, all'emancipazione dei rispettivi operai.
In secondo luogo, dovunque la grande industria è subentrata alla
manifattura, la rivoluzione industriale ha sviluppato al massimo grado la
borghesia, la sua ricchezza e la sua potenza, facendone la prima classe del
paese. La conseguenza è stata che, dovunque ciò accadeva, la borghesia riuscì
ad avere in mano il potere politico e soppiantò le classi fino ad allora
dominanti, l'aristocrazia, i borghigiani delle corporazioni di mestiere e la
monarchia assoluta, che rappresentava l'una e gli altri. La borghesia annientò
la potenza dell'aristocrazia, della nobiltà, abolendo i maggiorascati, cioè la
inalienabilità della proprietà fondiaria, e tutti i privilegi nobiliari;
distrusse la potenza dei borghigiani delle corporazioni, abolendo tutte le
corporazioni di arti e mestieri e tutti i privilegi dell'artigianato. Al loro
posto essa pose la libera concorrenza, cioè quella condizione della società in
cui ognuno ha il diritto di esercitare qualsiasi attività industriale e nulla
gli può impedire tale esercizio, se non la mancanza del capitale occorrente.
L'introduzione della libera concorrenza è dunque la pubblica dichiarazione che
da quel momento in poi i membri della società sono ormai ineguali fra di loro
soltanto nella misura in cui sono ineguali i loro capitali, che il capitale è
divenuto la potenza decisiva e che con ciò i capitalisti, i borghesi, sono
diventati la prima classe della società. Ma la libera concorrenza è necessaria
all'inizio della grande industria perché è l'unica condizione della società
nella quale possa sorgere la grande industria. Dopo aver così distrutto la
potenza sociale della nobiltà e dei borghigiani delle corporazioni, la
borghesia distrusse anche la loro potenza politica. Come si era elevata a prima
classe nella società, così si proclamò prima classe anche in forma politica. E
lo fece. mediante l'introduzione del sistema rappresentativo, che è fondato
sulla uguaglianza civile dinanzi alla legge, sul riconoscimento giuridico della
libera concorrenza, e che è stato introdotto nei paesi europei nella forma
delle monarchie costituzionali. In queste monarchie costituzionali sono
elettori soltanto coloro che posseggono un certo capitale, quindi soltanto i
borghesi; questi elettori-borghesi eleggono i deputati, e questi
deputati-borghesi eleggono, mediante il diritto di rifiuto del pagamento delle
imposte, un governo di borghesi.
In terzo luogo, la rivoluzione industriale ha sviluppato ovunque il
proletariato nella stessa misura in cui sviluppa la borghesia. Nella stessa
proporzione in cui i borghesi divenivano più ricchi, i proletari divenivano più
numerosi. Infatti, non potendo i proletari essere impiegati se non dal capitale
e non potendo il capitale aumentare se non mediante l'impiego del lavoro, l'aumento
del proletariato procede di pari passo con l'aumento del capitale. Nello stesso
tempo la rivoluzione industriale concentra sia la borghesia che i proletari in
grandi città, nelle quali l'industria può essere esercitata con maggior
vantaggio, e con questo agglomeramento di grandi masse in un solo punto dà ai
proletari la coscienza della loro forza. Inoltre, quanto più si sviluppa la
rivoluzione industriale, quanto più si inventano nuove macchine che soppiantano
il lavoro manuale, tanto più la grande industria riduce il salario al suo
minimo, come già si è detto, rendendo con ciò sempre più insopportabile la
situazione del proletariato. Così, da un lato per il crescente malcontento,
dall'altro per la crescente potenza del proletariato, essa prepara una rivoluzione
della società da parte del proletariato.
12. Domanda: Quali sono state le ulteriori conseguenze della rivoluzione
industriale?
Risposta: Con la macchina a vapore e con le altre macchine la grande industria
ha creato i mezzi per aumentare la produzione industriale all'infinito, in
breve tempo e con poca spesa. La libera concorrenza, che deriva necessariamente
da questa grande industria, data quella facilità di produzione, assunse
prestissimo un carattere estremamente violento: una moltitudine di capitalisti
si gettò sull'industria e in breve tempo si produsse più di quanto fosse
necessario. Conseguenza ne fu che le merci fabbricate non potevano esser
vendute e che sopravvenne una cosiddetta crisi commerciale. Le fabbriche
dovettero fermare le macchine, i fabbricanti fallirono e gli operai vennero a
trovarsi senza pane. Dappertutto si ebbe la più grande miseria. Dopo qualche
tempo i prodotti eccedenti furono venduti, le fabbriche ricominciarono a
lavorare, il salario salì, e a poco a poco gli affari andarono di nuovo meglio
che mai. Ma non passò molto tempo che si riebbe una produzione eccessiva di
merci e sopravvenne una nuova crisi, che tornò a seguire lo stesso preciso
corso della prima. Così, dall'inizio di questo secolo, la condizione dell'industria
ha oscillato continuamente fra epoche di prosperità e epoche di crisi, e tali
crisi sono sopravvenute quasi regolarmente ogni cinque o sette anni (4) accompagnate ogni volta da una grandissima miseria degli
operai, da una agitazione rivoluzionaria generale e dal più grande pericolo per
l'intera situazione esistente.
13. Domanda: Che cosa consegue da queste crisi commerciali che si ripetono
regolarmente?
Risposta: In primo luogo, che la grande industria, sebbene abbia essa
stessa generato, durante il suo primo periodo di sviluppo, la libera
concorrenza, tuttavia ora è troppo cresciuta per la libera concorrenza; che la
concorrenza e in generale l'esercizio della produzione industriale da parte di
singoli individui sono diventati per essa .un vincolo che essa deve spezzare e
spezzerà; che la grande industria, finché sarà gestita sulla base attuale, può
reggersi solo tornando a ricadere periodicamente di sette in sette anni in una
confusione generale che ogni volta mette in pericolo la civiltà intera e non solo
precipita nella miseria i proletari, ma manda anche in rovina un gran numero di
borghesi; dunque, o bisogna rinunciare del tutto alla grande industria, il che
è assolutamente impossibile, o la grande industria rende assolutamente
necessaria una organizzazione del tutto nuova della società, nella quale la
produzione industriale sia guidata non più da singoli fabbricanti in reciproca
concorrenza, ma da tutta la società secondo un piano determinato e secondo i
bisogni di tutti.
In secondo luogo, che la grande industria e l'illimitata espansione
della produzione che essa permette rendono possibile una condizione della
società in cui di tutte le cose necessarie alla vita si produca tanto da porre
ogni membro della società in grado di sviluppare e di impiegare tutte le sue
forze e le sue attitudini in perfetta libertà. Cosicché, insomma, proprio quel
carattere della grande industria che nella società odierna genera miseria e
crisi sarà quello che in una diversa organizzazione della società distruggerà
quella miseria e quelle oscillazioni apportatrici di sciagura. È dimostrato
quindi con la maggior evidenza possibile:
1) che d'ora in poi tutti questi mali sono da ascriversi soltanto
all'ordinamento della società, che non è più adatto alla situazione;
2) che ci sono i mezzi per eliminare completamente questi mali mediante un
nuovo ordinamento della società.
14. Domanda: Di che tipo dovrà essere questo nuovo ordinamento della società?
Risposta: Prima di tutto dovrà toglier di mano ai singoli individui in
concorrenza tra di loro l'esercizio dell'industria e di tutti i rami della
produzione in generale, e dovrà invece far gestire tutti quei rami della
produzione dall'intera società, cioè in conto comune, secondo un piano comune,
e con la partecipazione di tutti i membri della società. Dunque, abolirà la
concorrenza e le sostituirà l'associazione. Ma, poiché l'esercizio
dell'industria da parte dei singoli aveva per conseguenza necessaria la
proprietà privata — e la concorrenza non è altro che la forma di gestione dell'industria
da parte di singoli proprietari privati — ne consegue che la proprietà privata
non può essere separata dalla gestione singola e individuale dell'industria e
dalla concorrenza. Quindi anche la proprietà privata dovrà essere abolita, e ad
essa subentrerà l'utilizzazione in comune di tutti gli strumenti di produzione
e la distribuzione di tutti i prodotti in base a un comune accordo, cioè la
cosiddetta comunanza dei beni. Anzi, l'abolizione della proprietà privata è la
sintesi più concisa e più caratteristica della trasformazione dell'ordinamento
complessivo della società che deriva necessariamente dallo sviluppo
dell'industria, e a ragione quindi i comunisti l'hanno posta come loro
rivendicazione principale.
15. Domanda: Dunque, prima d'ora l'abolizione della proprietà privata non era
possibile?
Risposta: No. Ogni cambiamento dell'ordinamento sociale, ogni rivoluzione dei
rapporti di proprietà è stato conseguenza necessaria della creazione di nuove
forse produttive che non si volevano più piegare ai vecchi rapporti di
proprietà. La stessa proprietà privata è sorta in questo modo. Infatti la
proprietà privata non è esistita sempre; ma quando, verso la fine del medioevo,
fu creato con la manifattura un nuovo modo di produzione che non si lasciava
subordinare alla proprietà feudale e corporativa di allora, questa manifattura,
troppo cresciuta per i vecchi rapporti di proprietà, generò una nuova forma di
proprietà, la proprietà privata. Ma per la manifattura e per il primo stadio di
sviluppo della grande industria non era possibile alcun'altra forma di
proprietà all'infuori della proprietà privata, né alcun altro ordinamento della
società all'infuori di quello basato sulla proprietà privata. Finché non si può
produrre tanto che non solo ci sia a sufficienza per tutti, ma che rimanga
inoltre un'eccedenza di prodotti per l'aumento del capitale sociale e per
l'ulteriore perfezionamento delle forze produttive, devono sempre esserci una
classe dominante che dispone delle forze produttive della società e una classe
povera ed oppressa. Dal grado di sviluppo della produzione dipenderà la
conformazione di queste classi.
Il medioevo, che dipende dall'agricoltura, ci dà il barone e il servo della
gleba, le città del più tardo medioevo ci mostrano il maestro d'arte e il garzone
e il giornaliero, il secolo decimosettimo ha l'industriale manifatturiero e gli
operai della manifattura, il decimonono il grande fabbricante e il proletario.
È evidente che finora le forze produttive non erano ancora sviluppate tanto che
si potesse produrre a sufficienza per tutti e che per queste forze produttive
la proprietà privata era diventata un vincolo, un limite. Ma ora che, con lo
sviluppo della grande industria, in primo luogo capitali e forze
produttive sono prodotti in misura mai conosciuta prima ed esistono i mezzi per
aumentare in breve tempo all'infinito tali forze produttive; ora che, in
secondo luogo, queste forze produttive sono concentrate nelle mani di pochi
borghesi, mentre la grande massa del popolo si proletarizza sempre più e le sue
condizioni diventano sempre più miserabili e intollerabili a misura che
crescono le ricchezze dei borghesi; ora che, in terzo luogo, queste
forze produttive, così imponenti e facili ad essere aumentate, hanno preso un
tale sopravvento sulla proprietà privata e sui borghesi da provocare ad ogni
momento violentissime perturbazioni nell'ordinamento della società, ora
finalmente l'abolizione della proprietà privata è diventata non solo possibile,
ma addirittura assolutamente necessaria
.
16. Domanda: Sarà possibile l'abolizione della proprietà per via pacifica?
Risposta: Sarebbe desiderabile che ciò potesse avvenire, e i comunisti
sarebbero certo gli ultimi a opporvisi. I comunisti sanno troppo bene che tutte
le cospirazioni sono non soltanto inutili, ma addirittura dannose. Sanno troppo
bene che le rivoluzioni non si fanno deliberatamente e a capriccio, ma che sono
state, sempre e dovunque, la conseguenza necessaria di circostanze
assolutamente indipendenti dalla volontà e dalla direzione di singoli partiti e
di classi intere. Ma vedono anche che lo sviluppo del proletariato viene
represso con la violenza in quasi tutti i paesi civili, e che in questo modo
gli avversari dei comunisti lavorano a tutta forza per provocare una
rivoluzione. Se in questo modo il proletariato oppresso finirà per essere
sospinto a una rivoluzione, noi comunisti difenderemo la causa dei proletari
con l'azione, come adesso la sosteniamo con la parola.
17. Domanda: Sarà possibile abolire la proprietà privata d'un sol tratto?
Risposta: No, proprio come le forze produttive già esistenti non si possono
moltiplicare d'un sol tratto nella misura necessaria alla istituzione della
comunanza dei beni. Dunque, la rivoluzione del proletariato, che con ogni
probabilità sta per avverarsi, potrà trasformare la società attuale solo a poco
a poco, e potrà abolire la proprietà privata solo quando sarà creata la massa
dei mezzi di produzione a ciò necessaria.
18. Domanda: Quale sarà lo svolgimento di questa rivoluzione?
Risposta: Prima di tutto la rivoluzione del proletariato instaurerà una costituzione
democratica, e con ciò il dominio politico, diretto o indiretto, del
proletariato. Diretto, in Inghilterra, dove i proletari costituiscono già la
maggioranza del popolo. Indiretto, in Francia e in Germania, dove la
maggioranza del popolo è costituita non soltanto di proletari, ma anche di
piccoli contadini e di piccoli borghesi, che solo ora per l'appunto si trovano
nello stadio di transizione al proletariato e diventano sempre più dipendenti
dal proletariato in tutti i loro interessi politici, e quindi dovranno presto
adeguarsi alle rivendicazioni del proletariato. Ciò costerà forse una seconda
battaglia, che però può finire soltanto con la vittoria del proletariato.
La democrazia sarebbe del tutto inutile al proletariato, se non venisse subito
usata quale mezzo per ottenere ulteriori misure che intacchino direttamente la
proprietà privata e garantiscano l'esistenza al proletariato. Principali tra
queste misure, come risultano fin d'ora quali conseguenze necessarie della
situazione esistente, sono le seguenti:
1) Limitazione della proprietà privata mediante imposte progressive, forti
imposte di successione, abolizione della successione per via collaterale
(fratelli, figli di fratelli, ecc. ), prestiti forzosi, ecc.
2) Espropriazione graduale dei proprietari fondiari, dei fabbricanti, dei
proprietari di ferrovie e degli armatori navali, in parte mediante la
concorrenza dell'industria di Stato, in parte direttamente, contro indennizzo
in assegnati.
3) Confisca dei beni di tutti gli emigrati e ribelli contro la maggioranza del
popolo.
4) Organizzazione del lavoro, cioè impiego dei proletari nelle terre nazionali,
nelle fabbriche e nelle officine, col che verrà eliminata la reciproca
concorrenza fra gli operai, e i fabbricanti, finché esisteranno, saranno
costretti a pagare lo stesso salario più elevato che è pagato dallo Stato.
5) Uguale obbligo di lavoro per tutti i membri della società, fino
all'abolizione completa della proprietà privata. Formazione di eserciti
industriali, specialmente per l'agricoltura.
6) Accentramento del sistema creditizio e della finanza nelle mani dello Stato
mediante una banca nazionale con capitale dello Stato e soppressione di tutte
le banche private e dei banchieri privati.
7) Aumento delle fabbriche nazionali, delle officine, delle ferrovie e delle
navi, dissodamento di tutti i terreni incolti e miglioramento di quelli già
dissodati, nella stessa proporzione con la quale aumentano i capitali e gli
operai a disposizione della nazione.
8) Educazione di tutti i fanciulli, a cominciare dal momento in cui possono
fare a meno delle prime cure materne, in istituti nazionali e a spese della
nazione. Educazione e lavoro di fabbrica insieme.
9) Costruzione di grandi palazzi sui terreni nazionali per abitazioni in comune
per comunità di cittadini le quali esercitino tanto l'industria quanto
l'agricoltura, riunendo così i vantaggi tanto della vita cittadina che di
quella rurale, senza condividere la unilateralità e gli svantaggi dell'una e dell'altra
maniera di vivere.
10) Demolizione di tutte le abitazioni e di tutti i quartieri malsani e
malcostruiti.
11) Uguali diritti di successione tanto per i figli legittimi che per i figli
illegittimi.
12) Accentramento di tutti i trasporti nelle mani della nazione.
Tutte queste misure non possono naturalmente essere messe in atto d'un sol
colpo. Ma una di esse trascinerà sempre con sé l'altra. Una volta compiuto il
primo assalto radicale contro la proprietà privata, il proletariato sarà
costretto ad andare sempre più avanti, a concentrare sempre più nelle mani
dello Stato tutto il capitale, tutta l'agricoltura, tutta l'industria, tutti i
trasporti, tutti gli scambi. In questo senso operano tutte queste misure; ed
esse diverranno attuabili e svilupperanno le loro conseguenze accentratrici
nella stessa proporzione in cui il lavoro del proletariato moltiplicherà le
forze produttive del paese. Infine, quando tutto il capitale, tutta la
produzione, tutti gli scambi saranno concentrati nelle mani della nazione,
allora la proprietà privata sarà scomparsa da sola, il denaro sarà divenuto
superfluo e la produzione sarà tanto aumentata e gli uomini saranno tanto
cambiati che anche le ultime forme dei rapporti della vecchia società potranno
cadere.
19. Domanda: Potrà questa rivoluzione avvenire soltanto in un singolo paese?
Risposta: No. La grande industria, creando il mercato mondiale, ha già
collegato tutti i popoli della terra, e specialmente quelli civili, a tal punto
che ogni popolo dipende da quello che accade presso un altro. Inoltre, essa ha
livellato lo sviluppo sociale in tutti i paesi civili, al punto che in tutti
questi paesi borghesia e proletariato sono diventati le due classi decisive
della società e la lotta fra queste due classi è diventata la lotta principale
dei nostri giorni. La rivoluzione comunista non sarà quindi una rivoluzione
soltanto nazionale, sarà una rivoluzione che avverrà contemporaneamente in
tutti i paesi civili, cioè per lo meno in Inghilterra, America, Francia e
Germania. Si svilupperà più rapidamente o più lentamente in ognuno di questi
paesi, secondo che l'uno o l'altro di essi possieda una industria più o meno
perfezionata, una ricchezza maggiore o minore, una massa più o meno importante
di forze produttive. In Germania quindi l'attuazione della rivoluzione è
lentissima e difficilissima, in Inghilterra rapidissima e facilissima.
Essa avrà una grande ripercussione sugli altri paesi del mondo, e modificherà
radicalmente ed accelererà notevolmente l'attuale modo di sviluppo. E' una rivoluzione
universale e avrà perciò una portata universale (5)
20. Domanda: Quali saranno le conseguenze della eliminazione finale della
proprietà privata?
Risposta: Anzitutto — per il fatto che la società toglie di mano ai capitalisti
privati l'uso di tutte le forze produttive e di tutti i mezzi di scambio, come
pure lo scambio e la distribuzione dei prodotti, e li amministra secondo un
piano risultante dai mezzi che si hanno a disposizione e dai bisogni della
società intera — vengono eliminate le cattive conseguenze che oggi sono ancora
connesse all'esercizio della grande industria. Le crisi scompaiono; l'aumentata
produzione, che per l'ordinamento attuale della società è sovrapproduzione e
causa tanto potente di miseria, non potrà neppure raggiungere la sufficienza, e
dovrà essere aumentata ancora di molto. Invece di essere apportatrice di
miseria, la sovrapproduzione garantirà, ben più che il fabbisogno immediato
della società, la soddisfazione dei bisogni di tutti, e genererà nuovi bisogni
e insieme i mezzi per soddisfarli. Essa sarà condizione e occasione di nuovi
progressi, ed attuerà questi progressi senza che perciò, come è accaduto ogni
volta finora, l'ordinamento della società sia messo in scompiglio. La grande
industria, liberata dalla pressione della proprietà privata, si svilupperà in
dimensioni di fronte alle quali il suo perfezionamento attuale apparirà tanto
meschino quanto la manifattura nei confronti della grande industria dei nostri
giorni.
Questo sviluppo dell'industria metterà a disposizione della società una massa
di prodotti sufficiente a soddisfare i bisogni di tutti. Ugualmente
l'agricoltura, che per la pressione della proprietà privata e del frazionamento
della terra non può far propri i miglioramenti già ottenuti e gli sviluppi scientifici,
prenderà uno slancio assolutamente nuovo, e metterà a disposizione della
società una quantità di prodotti del tutto sufficiente. A questo modo la
società darà prodotti sufficienti perché si possa organizzare la distribuzione
in modo che siano soddisfatti i bisogni di tutti i suoi membri. Così diventa
superflua la divisione della società in differenti classi contrapposte le une
alle altre. E non solo diventa superflua, ma è addirittura incompatibile con il
nuovo ordinamento sociale. L'esistenza delle classi ha origine dalla divisione
del lavoro, e nella nuova società la divisione del lavoro, quale s'è avuta
finora, scomparirà totalmente. Infatti, per portare la produzione industriale
ed agricola al livello descritto sopra, non bastano da soli i processi
meccanici e chimici; debbono essere sviluppate in misura corrispondente anche
le capacità degli uomini che applicano questi processi.
Come i contadini e gli operai manifatturieri del secolo passato, quando sono
stati trascinati nella grande industria, hanno mutato tutto il loro tipo di
vita e sono diventati essi stessi uomini del tutto nuovi, così l'esercizio
comune della produzione da parte dell'intera società e il conseguente nuovo
sviluppo della produzione abbisognerà di uomini del tutto nuovi, e anche li
genererà. L'esercizio comune della produzione non può essere attuato da uomini
come quelli di oggi, ognuno del quali è subordinato a un unico ramo della
produzione, incatenato ad esso, sfruttato da esso, ognuno dei quali ha
sviluppato una sola delle sue attitudini a spese di tutte le altre, e conosce
soltanto un ramo, o soltanto un ramo di un ramo della produzione complessiva.
Già l'industria attuale può sempre meno utilizzare tali uomini. L'industria
esercitata in comune e secondo un piano da tutta la società presuppone
assolutamente uomini le cui attitudini siano sviluppate in tutti i sensi, che
siano in grado di abbracciare tutto il sistema della produzione.
La divisione del lavoro, già ora minata dalle macchine, la quale fa di uno un
contadino, dell'altro un calzolaio, d'un terzo un operaio di fabbrica, d'un
quarto uno speculatore di borsa, scomparirà dunque del tutto. L'educazione
potrà far seguire rapidamente ai giovani l'intero sistema della produzione, li
metterà in grado di passare a turno dall'uno all'altro ramo della produzione,
secondo che lo richiedano i bisogni della società o le loro inclinazioni.
Toglierà ai giovani il carattere unilaterale impresso ad ogni individuo
dall'attuale divisione del lavoro. A questo modo la società organizzata comunisticamente
offrirà ai suoi membri l'occasione di applicare in tutti i sensi le loro
attitudini sviluppate in tutti i sensi.
Ma con ciò scompaiono necessariamente anche le differenti classi. Cosicché, da
una parte la società organizzata comunisticamente è incompatibile con
l'esistenza delle classi, e, dall'altra parte, l'instaurazione di questa
società offre essa stessa i mezzi per abolire queste differenze tra le classi.
Risulta da ciò che scomparirà anche l'antagonismo fra città e campagna. L'esercizio
dell'agricoltura e dell'industria per opera dei medesimi uomini, invece che per
opera di due classi differenti, è, già per cause del tutto materiali,
condizione necessaria dell'associazione comunista. La dispersione nelle
campagne della popolazione dedita alla agricoltura, accanto all'agglomeramento
della popolazione industriale nelle grandi città, è una situazione che
corrisponde solo a uno stadio ancora poco sviluppato dell'agricoltura e
dell'industria, un ostacolo, già ora molto sensibile, ad ogni ulteriore
sviluppo.
L'associazione generale dei membri della società per lo sfruttamento comune e
pianificato delle forze produttive, l'espansione della produzione a un grado
tale che essa soddisfi i bisogni di tutti, la cessazione di una situazione
nella quale i bisogni dell'uno vengono soddisfatti a spese dell'altro, la
distruzione completa delle classi e dei loro antagonismi, lo sviluppo
universale delle capacità di tutti i membri della società mediante
l'eliminazione della divisione del lavoro esistita finora, mediante
l'educazione industriale, mediante l'alternarsi delle attività, mediante la
partecipazione di tutti ai godimenti prodotti da tutti, mediante la fusione di
città e campagna: ecco i risultati principali dell'abolizione della proprietà
privata.
21. Domanda: Che influenza eserciterà sulla famiglia l'ordinamento comunistico?
Risposta: L'ordinamento comunistico della società farà del rapporto fra i due
sessi un semplice rapporto privato, che riguarderà solo le persone che vi
partecipano e in cui la società non ha da ingerirsi. Potrà farlo perché esso
elimina la proprietà privata ed educa in comune i bambini, distruggendo così le
due fondamenta tradizionali del matrimonio: la dipendenza della donna dall'uomo
e dei figli dai genitori, dovuta alla proprietà privata. Qui sta anche la
risposta alle strida dei filistei moralisti contro la comunanza comunistica
delle donne. La comunanza delle donne è una situazione legata totalmente alla
società borghese e che oggigiorno esiste in pieno nella prostituzione. Ma la
prostituzione poggia sulla proprietà privata e cade con essa. Dunque
l'organizzazione comunistica, anziché introdurre la comunanza delle donne, la
abolisce invece.
22. Domanda: Come si comporterà l'organizzazione comunista nei riguardi delle
nazionalità esistenti?
- rimane (6)
23. Domanda: Come si comporterà nei riguardi delle religioni esistenti?
- rimane.
24. Domanda: Come si distinguono i comunisti dai socialisti?
Risposta: I cosiddetti socialisti si dividono in tre categorie.
La prima categoria consiste di seguaci della società feudale e patriarcale, che
è stata distrutta e continua ancora ad essere distrutta giorno per giorno dalla
grande industria, dal commercio mondiale e dalla società borghese creata
dall'una e dall'altro. Questa categoria trae dai mali della società attuale la
conseguenza che si dovrebbe restaurare la società feudale e patriarcale, perché
questa era immune da quei mali. Tutte le sue proposte conducono, per vie
diritte o traverse, a questa meta. Questa categoria di socialisti reazionari
sarà sempre attaccata energicamente dai comunisti, nonostante la sua pretesa
simpatia e le sue calde lacrime per la miseria del proletariato, perché:
1) tende a qualcosa di semplicemente impossibile;
2) cerca di instaurare il dominio dell'aristocrazia, dei maestri d'arte e dei
manifatturieri col loro seguito di re assoluti o feudali, di funzionari, di
soldati e di preti, — società che, certo, era immune dagli inconvenienti della
società attuale, ma in cambio portava con sé per lo meno altrettanti mali e non
offriva neppure la prospettiva della liberazione degli operai oppressi mediante
una organizzazione comunistica;
3) manifesta le sue vere intenzioni ogni volta che il proletariato diventa
rivoluzionario e comunista, nel quale caso essa si allea immediatamente con la
borghesia contro i proletari.
La seconda categoria consiste di seguaci della società attuale, nei quali i
mali che ne provengono necessariamente hanno destato timori per l'esistenza di
questa società stessa. Essi tendono dunque a conservare la società attuale, ma
ad eliminare i mali ad essa connessi. A questo scopo gli uni propongono pure e
semplici misure di beneficenza, gli altri grandiosi sistemi di riforma, che,
sotto il pretesto di riorganizzare la società, vogliono conservare le basi
della società attuale e con ciò la società attuale. Questi socialisti
borghesi dovranno essere anch'essi continuamente combattuti dai comunisti,
poiché lavorano per i nemici dei comunisti e difendono proprio quella società
che i comunisti vogliono abbattere.
La terza categoria, infine, consiste di socialisti democratici, i quali
vogliono, sulla stessa strada dei comunisti, una parte delle misure indicate
nella domanda là, ma non come mezzi di transizione al comunismo, bensì come
misure sufficienti ad abolire la miseria e a far scomparire i mali della
società attuale. Questi socialisti democratici sono o proletari non
ancora sufficientemente illuminati sulle condizioni della liberazione della
loro classe, oppure sono i rappresentanti dei piccoli borghesi, classe che
sotto molti aspetti ha gli stessi interessi dei proletari, fino al momento in
cui si ottengono la democrazia e le misure socialiste che dalla democrazia
derivano. I comunisti dovranno quindi raggiungere un'intesa con questi
socialisti democratici e dovranno in generale seguire per il momento una
politica il più possibile comune con essi, a meno che questi socialisti non
entrino al servizio della borghesia dominante e non attacchino i comunisti. È
evidente che tale tipo di azione comune non esclude che si discutano con essi
le divergenze
.
25. Domanda: Come si comportano i comunisti di fronte agli altri partiti
politici della nostra epoca?
Risposta: Questo comportamento varia secondo i vari paesi. In Inghilterra,
Francia e Belgio, dove domina la borghesia, i comunisti hanno ancora, per il
momento, un interesse comune coi vari partiti democratici, interesse tanto
maggiore quanto più i democratici, con le misure socialiste da essi attualmente
sostenute dappertutto, si avvicinano al fine dei comunisti, cioè quanto più
chiaramente e decisamente questi partiti sostengono gli interessi del
proletariato, e quanto più al proletariato si appoggiano
In Inghilterra, p.es., il movimento cartista, composto di operai, è
infinitamente più vicino ai comunisti che non i piccoli borghesi democratici o
i cosiddetti radicali.
In America, dove è già stata introdotta una costituzione democratica, i
comunisti staranno col partito che vuole volgere questa costituzione contro la
borghesia e usarla nell'interesse del proletariato.
In Svizzera, i radicali, benché siano ancora un partito assai misto,
sono tuttavia gli unici coi quali i comunisti possano stringere rapporti, e fra
questi radicali, a loro volta, quelli del cantone di Vaud e i ginevrini sono i
più avanzati.
In Germania, infine, la lotta decisiva fra borghesia e monarchia
assoluta deve ancora aver luogo. Ma, siccome i comunisti non possono contare
sulla lotta decisiva fra loro stessi e la borghesia prima che quest'ultima
abbia il potere, è dunque interesse dei comunisti di contribuire a portare al
potere i borghesi al più presto possibile, per riabbatterli al più presto
possibile. I comunisti debbono dunque prender sempre partito per i borghesi
liberali di fronte ai governi e guardarsi soltanto dal condividere le illusioni
dei borghesi o dal prestar fede alle loro seducenti assicurazioni sulle
salutari conseguenze della vittoria della borghesia per il proletariato.
Gli unici vantaggi che la vittoria della borghesia offrirà ai comunisti
consisteranno:
1) in varie concessioni che faciliteranno ai comunisti la difesa, la
discussione e la diffusione dei loro principi, e quindi l'unificazione del
proletariato in una classe strettamente unita, pronta alla lotta e organizzata,
e 2) nella certezza che il giorno stesso che vedrà la caduta dei governi
assoluti incomincerà la lotta fra borghesi e proletari. A partire da quel
giorno la politica del partito dei comunisti sarà la stessa di quella dei paesi
dove già ora domina la borghesia.
Note
1) Questo testo, che
costituisce un abbozzo di programma per la Lega dei comunisti, fu scritto da
Engels alla fine di ottobre 1847 in sostituzione dell'«Abbozzo della
professione di fede comunista» da lui stesso redatto all'inizio del giugno
precedente. Engels, che considerava i «Principi» un semplice schema provvisorio
di programma, nella sua lettera a Marx del 23-24 novembre 1847 si dichiarava
convinto che fosse meglio abbandonare la vecchia forma di catechismo e stendere
un programma sotto forma di «Manifesto comunista». Il secondo congresso
della Lega dei comunisti (29 novembre - 8 dicembre 1847), al quale Marx ed
Engels esposero i principi scientifici del programma del partito proletario,
dette loro l'incarico di elaborare il manifesto. Nella stesura del «Manifesto
del partito comunista» essi svolsero alcune delle tesi enunciate nei «Principi
del comunismo».
2) Nei loro primi scritti Marx ed Engels parlano ancora della
vendita di lavoro. Più tardi Marx ha dimostrato che l'operaio vende non il suo
lavoro ma la sua forza-lavoro. Si veda in proposito l'introduzione di Engels
alla nuova edizione (1891) di: K. Marx «Lavoro salariato e capitale».
3)Si veda, nel «Manifesto del partito comunista»
(a p. 486 del presente volume), la nota di Engels sulla società senza classi
che ha preceduto la società divisa in classi.
4)Nella prefazione dell'edizione tedesca del
1892 della «Situazione della classe operaia in Inghilterra», a proposito dei
periodi ciclici delle crisi industriali agli inizi del XIX secolo, Engels scrisse:
«Nel testo si afferma che il periodo ciclico delle grandi crisi industriali è di
cinque anni. Era questo l'intervallo che sembrava risultare dal corso degli
avvenimenti dal 1825 al 1842. Ma la storia dell'industria dal 1842 al 1868 ha
dimostrato che il periodo in effetti è decennale, che le crisi intermedie erano
di natura secondaria, e a partire dal 1842 sono andate via via scomparendo»
(nella presente edizione, vol. IV, p. 674).
5)La teoria che la rivoluzione proletaria
sarebbe possibile solo contemporaneamente nei paesi capitalistici più
progrediti, e che quindi non potrebbe essere compiuta in un solo paese, trovò
la sua formulazione definitiva in questo scritto di Engels. In base alla legge,
da lui esposta, dell'ineguaglianza dello sviluppo economico e politico del
capitalismo nell'epoca dell'imperialismo, Lenin arrivò alla nuova conclusione
che la vittoria della rivoluzione socialista è possibile dapprima in alcuni
paesi o anche in un solo paese. Questa conclusione fu formulata per la prima
volta da Lenin nel suo articolo «Sulla parola d'ordine degli Stati Uniti d'Europa»
(1915).
6)La parola «rimane», in luogo delle risposte 22
e 23, rinvia evidentemente a un precedente testo, da conservare inalterato.
L'atteggiamento dei comunisti verso le nazionalità e la religione era stato
definito ai punti 21 e 22 dell'«Abbozzo della professione di fede comunista»
(nel presente volume, pp. 97-103), qui riportate: 21. Le nazionalità dei popoli
che si collegheranno secondo il principio della comunità saranno costrette da
questa unione a mescolarsi e quindi ad abolirsi, proprio come le varie
differenze di stato sociale e di classe cadranno in seguito all'abolizione
della loro base, la proprietà privata. 22. Tutte le religioni finora esistite
erano l'espressione di gradi di sviluppo storico di singoli popoli o di singole
masse popolari. Ma il comunismo è il grado di sviluppo che rende superflue e
abolisce tutte le religioni esistenti.