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Engels: L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato – [ Indice ]
I Greci, come i Pelasgi (1) ed altri popoli di stirpe
affine, erano ordinati già da epoca preistorica secondo la stessa serie
organica degli Americani : gens, fratria, tribù federazione di tribù. Talvolta
manca la fratria, come tra i Dori; la federazione di tribù non era ancora
necessariamente sviluppata dovunque, ma in tutti i casi la gens era l'unità. I
Greci, quando fanno il loro ingresso nella storia, sono alle soglie della
civiltà; tra loro e le tribù americane di cui abbiamo parlato sopra, si
estendono quasi due interi grandi periodi di sviluppo, dei quali i Greci
dell'età eroica sopravanzano gli Irochesi. La gens dei Greci perciò non è più
affatto quella arcaica degli Irochesi. L'impronta del matrimonio di gruppo
comincia a essere notevolmente confusa. Il diritto matriarcale ha ceduto il
passo al diritto patriarcale: con ciò la nascente ricchezza privata aperse la
sua prima breccia nella costituzione gentilizia. Una seconda breccia fu la
conseguenza naturale della prima: poiché il patrimonio d'una ricca ereditiera,
dopo l'introduzione del diritto patriarcale, sarebbe, col suo matrimonio,
passato al marito, cioè ad un'altra gens, si infransero le basi di tutto il
diritto gentilizio e non soltanto venne permesso, ma, in questo caso, venne imposto
che la ragazza sposasse all'interno della sua gens, per conservare a questa il
patrimonio.
Secondo la Storia della Grecia del Grote (2), la gens
ateniese era tenuta unita specialmente da:
1. Comuni solennità religiose e diritto esclusivo di sacerdozio in onore di un
determinato dio, che era il presunto capostipite della gens e in tale qualità
era indicato con un attributo particolare.
2. Luogo di sepoltura comune (cfr. l'Eubulides di Demostene (3)).
3. Diritto di ereditare l'uno dall'altro.
4. Reciproco obbligo d'aiuto, difesa ed assistenza in caso di aggressione.
5. Reciproco diritto e dovere di sposarsi entro la gens, in certi casi
specialmente se si trattava di un'orfana o di una ereditiera.
6. Possesso, per lo meno in taluni casi, di proprietà comune, amministrata da
un arconte (capo) e da un tesoriere.
Inoltre, la riunione nella fratria legava insieme più gentes, se pure in
maniera meno stretta; in ogni modo, anche qui troviamo diritti e doveri
reciproci di natura analoga, e particolarmente comunanza di determinate
pratiche religiose ed il diritto di vendicare l'uccisione di un membro della
fratria. La totalità delle fratrie di una tribù aveva, d'altra parte, comuni
solennità sacre ricorrenti a intervalli regolari, presiedute da un phylobasiléus
(capo tribù) eletto fra i nobili (eupatridi).
Fin qui Grote. E Marx
aggiunge: «Ma dietro alla gens greca fa capolino, e in maniera inequivocabile,
il selvaggio (l'Irochese, per esempio)». Il quale diventa ancora più evidente
tosto che ci inoltriamo ulteriormente nell'indagine.
Sono inoltre caratteristiche della gens greca, precisamente:
7. Discendenza secondo il diritto patriarcale.
8. Divieto del matrimonio nella gens salvo il caso in cui si tratti di
ereditiere. Questa eccezione, e la sua formulazione come comando, testimoniano
la validità dell'antica regola. Questa consegue ugualmente dal principio
generalmente valido che la donna, col matrimonio, rinunciava ai riti religiosi
della sua gens, e passava in quella del marito nella cui fratria veniva
iscritta. Il matrimonio al di fuori della gens era perciò la regola, anche
secondo un celebre passo di Dicearco (4), e Becker nel suo
Charikles (5) suppone addirittura che nessuno poteva
sposarsi nell'interno della sua gens.
9. II diritto di adozione nella gens: esso avveniva mediante adozione in una
famiglia, ma con formalità pubbliche e solo eccezionalmente.
10. Il diritto di eleggere e deporre i capi. Che ogni gens avesse il proprio
arconte lo sappiamo, ma che questo ufficio fosse ereditario in determinate
famiglie non è detto in nessun luogo. Fino alla fine della barbarie, la
supposizione è sempre contraria all'ereditarietà rigorosa (6)
la quale è del tutto incompatibile con condizioni in cui ricchi e poveri
all'interno della gens avevano diritti del tutto eguali.
Non solo Grote, ma anche Niebuhr, Mommsen (7) e tutti gli
altri storiografi dell'antichità classica hanno cozzato contro lo scoglio della
gens. Per quanto abbiano giustamente rilevato molte delle sue caratteristiche,
essi hanno sempre visto nella gens un gruppo di famiglie, precludendosi,
in questo modo, ogni possibilità di intendere la natura e l'origine della gens.
La famiglia, nella costituzione gentilizia, non è stata mai un'unità
organizzativa, né poteva esserlo, poiché marito e moglie appartenevano
necessariamente a due gentes diverse. La gens rientrava per intero nella
fratria, la fratria nella tribù; la famiglia, per metà rientrava nella gens del
marito, e per metà in quella della moglie. Anche lo Stato non riconosce la
famiglia nel diritto pubblico; essa esiste soltanto, fino ad oggi, nel diritto
privato. E tuttavia, tutta la nostra storiografia fino ai nostri giorni parte
dall'assurdo presupposto, divenuto specialmente nel secolo XVIII intangibile,
che la famiglia singola monogamica, che è appena più antica della civiltà, sia
il nucleo intorno a cui sono venuti cristallizzandosi poco per volta società e
Stato.
C'è da far notare inoltre al sig. Grote — aggiunge Marx — che sebbene i Greci
facessero derivare le loro gentes dalla mitologia, quelle gentes sono più
antiche della mitologia che esse stesse hanno creata, con i suoi dèi e
semidei.
Grote viene di preferenza citato da Morgan che lo considera un testimone
autorevole e al tempo stesso del tutto attendibile. Grote racconta inoltre che
ogni gens ateniese aveva un nome derivato da un presunto capostipite e che, in
generale, prima di Solone e anche dopo Solone, nel caso in cui il testamento
mancasse, i membri della gens (gennètes) del defunto ne ereditavano il patrimonio,
e in caso di omicidio, prima i parenti, poi i membri della gens, ed in
ultimo quelli della fratria dell'ucciso, avevano il diritto e il dovere di
perseguire in giudizio l'uccisore: «tutto quanto noi apprendiamo dalle più
antiche leggi ateniesi è fondato sulla divisione in gentes e fratrie».
La discendenza delle gentes da progenitori comuni è stata per i «pedanti
filistei» (Marx) un complicato rompicapo. Poiché essi spacciano la gens per
istituzione puramente mitica, non possono assolutamente spiegarsi la genesi di
una gens da famiglie in origine non imparentate e viventi l'una accanto
all'altra, e tuttavia essi devono risolvere questo punto oscuro per spiegarsi
anche soltanto l'esistenza delle gentes. Allora ci si perde in interminabili
giri di parole, che però non vanno oltre la seguente enunciazione: l'albero
genealogico è, certo, una favola, ma la gens è una realtà; ed infine in Grote
si legge quanto segue (con interpolazioni di Marx):
«Noi sentiamo parlare di questo albero genealogico solo di rado, poiché esso
viene portato in pubblico soltanto in certi casi di particolare solennità. Ma
le gentes minori avevano in comune le loro pratiche religiose (questo si che è
strano, sig. Grote!), un capostipite sovrumano comune ed un comune albero
genealogico, proprio come le gentes più famose (cosa assai strana questa, sig.
Grote, trattandosi di gentes minori): il piano fondamentale e la base ideale
(egregio signore, non ideale, ma carnale, germanische fleischlich (8)) erano per tutte gli stessi.»
Marx riassume come segue la risposta che a ciò dà Morgan:
«Il sistema di consanguineità corrispondente alla gens nella sua forma
originaria (e i Greci, come gli altri mortali, l'avevano una volta posseduta)
manteneva viva la nozione dei reciproci legami di parentela di tutti i membri
delle gentes. Essi imparavano questo, che per loro era di importanza decisiva,
dalla prassi fin dalla più tenera età. Con la famiglia monogamica, ciò fu
dimenticato. Il nome gentilizio creò un albero genealogico, accanto al quale
quello della famiglia singola appariva insignificante. Era ormai questo nome
che aveva il compito di mantenere il fatto della discendenza comune di coloro
che lo portavano, ma l'albero genealogico della gens risaliva così lontano che
i membri di essa non potevano più provare la loro effettiva vicendevole
parentela, tranne che in un limitato numero di casi riguardanti gli antenati
comuni più recenti. Il nome stesso era prova d'una discendenza comune e, salvo
nei casi di adozione, prova definitiva. Al contrario, l'effettiva negazione di
ogni parentela tra i membri della gens alla maniera del Grote e del Niebuhr, i
quali hanno trasformato la gens in una creazione puramente immaginaria e
fantastica, degna di esegeti "ideali" cioè di topi di biblioteca.
Poiché la concatenazione delle stirpi, specie col sorgere della monogamia, si
perde nella lontananza dei tempi e la realtà passata appare rispecchiata nelle
fantasie mitologiche, i probi filistei hanno concluso e concludono che questo
fantastico albero genealogico ha creato gentes reali!»
La fratria era, come tra gli Americani, una gens madre, divisa in molte gentes
figlie che essa unificava e anche faceva spesso discendere tutte dal
capostipite comune. Così, secondo Grote, «tutti i membri contemporanei della
fratria di Ecateo (9)» avevano a come progenitore di
sedicesimo grado un medesimo dio»; tutte le gentes di questa fratria erano
dunque letteralmente gentes-sorelle. La fratria ricorre ancora in Omero come
unità militare, nel passo famoso in cui Nestore dà questo consiglio ad
Agamennone: «Ordina gli uomini in tribù e in fratrie: che la fratria stia
accanto alla fratria e la tribù alla tribù (10)».
La fratria ha inoltre il diritto e il dovere di perseguire un delitto di
sangue commesso contro un suo membro, e quindi, in età più remota, anche
l'obbligo della vendetta di sangue. Ha santuari e feste comuni; infatti lo
sviluppo di tutta la mitologia greca dall'antico culto ariano della natura era
essenzialmente condizionato dalle gentes e dalle fratrie, ed avveniva
all'interno di esse. E ancora essa aveva un capo (phratriarchos) e,
secondo De Coulanges (11), anche assemblee, poteva prendere
decisioni impegnative e possedeva anche giurisdizione ed amministrazione.
Perfino lo Stato, che è venuto dopo, e che ignorava la gens, lasciò alla
fratria certe funzioni ufficiali di carattere pubblico.
La tribù consta di più fratrie imparentate. In Attica vi erano quattro tribù di
tre fratrie ognuna, ed ogni fratria contava trenta gentes. Tale divisione
simmetrica dei gruppi presuppone un intervento sempre cosciente e metodico
nell'ordine sorto naturalmente. Come, quando, e perché ciò sia accaduto, non lo
dice la storia greca di cui i Greci stessi hanno conservato il ricordo solo
fino nell'età eroica.
Le differenze dialettali tra i Greci condensati in un territorio relativamente
piccolo, erano meno sviluppate che nelle vaste foreste americane; tuttavia
anche qui troviamo solo le tribù che parlano lo stesso dialetto principale
riunite in un complesso più grande, e persino la piccola Attica aveva un
dialetto suo proprio che più tardi diventò, come linguaggio generale in prosa,
il dialetto dominante.
Nei poemi omerici troviamo le tribù greche già riunite, per lo più, in piccoli
popoli, all'interno dei quali tuttavia gentes, fratrie e tribù conservavano
ancora completamente la loro autonomia. Abitavano già in città fortificate con
mura e il numero della popolazione cresceva con l'estendersi degli armenti,
dell'agricoltura e con gli inizi dell'artigianato; conseguentemente cresceva la
disparità di ricchezze, e con essa l'elemento aristocratico entro l'antica
democrazia naturale. I singoli piccoli popoli erano in guerra incessantemente
per il possesso dei territori migliori, ed anche probabilmente per ricavarne un
bottino. La schiavitù dei prigionieri di guerra era una istituzione già
riconosciuta.
La costituzione di queste tribù e di questi piccoli popoli era allora la
seguente:
1. Autorità permanente era il consiglio (bulè) composto originariamente,
con ogni probabilità, dai capi delle gentes; e più tardi, quando il loro numero
divenne troppo grande, da una selezione che offriva la possibilità di formare e
rafforzare l'elemento aristocratico: e così infatti Dionisio (12)
afferma addirittura che il consiglio dell'età eroica era composto da nobili (kràtistoi).
Le deliberazioni del consiglio, negli affari importanti, erano definitive. Così
il consiglio di Tebe, in Eschilo, prende la deliberazione, decisiva in quelle
circostanze, di seppellire onorevolmente Eteocle, ma di gettare il cadavere di
Polinice in pasto ai cani (13).
Con l'istituzione dello Stato questo consiglio si trasformò nel senato
dell'epoca successiva.
2. L'assemblea popolare (agorà). Tra gli Irochesi abbiamo visto che il
popolo, uomini e donne, presenziava all'assemblea consiliare, interveniva in
maniera ordinata nelle discussioni, e così influiva sulle decisioni
dell'assemblea consiliare. Tra i Greci d'Omero questa «presenza», per usare
un'espressione giudiziaria dell'antico tedesco, s'è già sviluppata fino a
diventare una completa assemblea popolare, cosa che accadeva, del resto, anche
tra i Tedeschi dei primi tempi. Essa era convocata dal consiglio per decidere
su affari importanti; ogni uomo poteva prendere la parola. Si decideva per
alzata di mano (cfr. Eschilo nelle Supplici (14)) o
per acclamazione. L'assemblea era, in ultima istanza, sovrana, poiché, osserva
Schoemann (Griechische Alterthümer (15)), «se si
tratta di una cosa per la cui esecuzione è necessaria la cooperazione del
popolo, Omero non ci rivela nessun mezzo con cui il popolo potesse esservi
costretto, contro la sua volontà». In quest'epoca, in cui ogni membro adulto
della tribù, di sesso maschile, era un guerriero, non esisteva ancora un potere
pubblico separato dal popolo e che gli potesse essere contrapposto. La
democrazia naturale era ancora nel suo pieno fiorire, e questo fatto deve
rimanere come punto di partenza per un giudizio sulla potenza e sulla posizione
sia del consiglio che del basilèus.
3. Il capo militare (basilèus). Su questo argomento osserva Marx:
«I dotti europei, per lo più servi nati dei principi, fanno del basilèus un
monarca nel senso moderno. Contro questa interpretazione polemizza lo yankee
repubblicano, Morgan. Egli dice con molta ironia, ma con verità, dell'untuoso
Gladstone e della sua Juventus Mundi (16): il sig.
Gladstone ci presenta i capi greci dell'età eroica come re e principi, con la
aggiunta che essi sarebbero anche dei gentlemen. Egli stesso però deve
fare questa ammissione: nel complesso ci pare di trovare il costume o legge
della primogenitura determinato sufficientemente, ma non con assoluta
precisione.»
Ma sembrerà inoltre allo stesso signor Gladstone che una primogenitura con
clausole che la determinano sufficientemente, ma non con assoluta precisione,
vale proprio come se non ci fosse.
Come stiano le cose circa l'ereditarietà delle cariche di capo presso gli
Irochesi ed altri Indiani, lo abbiamo visto. Tutti gli uffici erano per lo più
elettivi all'interno d'una gens e, per questo fatto, ereditari in essa. In caso
di vacanza, veniva successivamente preferito il parente gentilizio più
prossimo: un fratello o un figlio di una sorella; a meno che non si
presentassero motivi per scavalcarlo. Il fatto che tra i Greci, sotto il
dominio del diritto patriarcale, l'ufficio di basilèus passasse di regola al
figlio o a uno dei figli, non prova altro se non che qui per i figli c'era la
probabilità della successione per elezione popolare, ma non dà affatto la prova
di una successione ereditaria in forza di legge, senza elezione popolare (17). Si tratta qui, tra gli Irochesi e i Greci, del primo
germe di particolari famiglie nobili all'interno delle gentes, e tra i Greci,
inoltre, anche del primo germe d'un futuro comando ereditario o monarchia. È
perciò probabile che, tra i Greci, il basilèus dovesse essere eletto dal
popolo, oppure confermato da un organo riconosciuto dal popolo, consiglio o
agorà, la qual cosa vigeva per il «re» (rex) dei Romani.
Nell'Iliade il dominatore di uomini, Agamennone, non appare come re
supremo dei Greci, ma come comandante supremo di un esercito federato davanti
ad una città cinta d'assedio. E Ulisse accenna a questa sua qualità quando
scoppia un dissenso tra i Greci, nel passo famoso: «non è buona cosa quando
sono troppi a comandare: uno solo sia il comandante (18),
ecc.» (dove inoltre c'è l'aggiunta posteriore del ben noto verso con lo
scettro).
Ulisse non tiene qui una conferenza su una forma di governo, ma esige
obbedienza al comandante supremo in guerra. Per i Greci, che davanti a Troia
appaiono solo come esercito, nell'agorà le cose si svolgono abbastanza
democraticamente. Achille, quando parla di doni, cioè di distribuzione del
bottino, non chiama mai a fare le parti né Agamennone né un altro re, ma «i
figli degli Achei», cioè il popolo. Gli appellativi: generato da Zeus, nutrito
da Zeus, non provano nulla, poiché ogni gens discende da un dio, e quella del
capo tribù da un dio «più nobile», in questo caso Zeus. Anche coloro che non
sono liberi personalmente, come il guardiano dei porci Eumeo ed altri, sono
«divini» (dioi e thèioi) nell'Odissea, cioè in un'epoca assai posteriore a
quella dell'Iliade. Nella stessa Odissea il nome di eroe viene anche dato
all'araldo Mulio e al cantore cieco Demodoco. In breve, la parola basilèia che
gli scrittori greci adoperano per la cosiddetta monarchia omerica (poiché il
comando degli eserciti era il suo segno distintivo principale), insieme al
consiglio e all'assemblea popolare significa solo: democrazia militare. (Marx).
Il basilèus aveva, oltre le competenze militari, anche quelle sacerdotali e
giudiziarie: le ultime non erano meglio determinate, le prime gli erano
conferite nella sua qualità di supremo rappresentante della tribù o della
federazione di tribù. Di competenze civili o amministrative non si parla mai;
sembra tuttavia che egli, per l'ufficio che ricopriva, fosse membro del
consiglio. Tradurre basilèus con könig è dunque etimologicamente
del tutto esatto, poiché könig (kuning) deriva da kuni, künne e significa capo
d'una gens. Ma il significato odierno della parola re non corrisponde affatto
al greco antico basilèus. Tucidide chiama espressamente patriké, cioè
derivata da gentes, l'antica basilèia, e dice che essa aveva attribuzioni ben
determinate, e quindi limitate (19). E Aristotele (20) dice che la basilèia dell'età eroica era stata un comando
su uomini liberi, e che il basilèus era un capo militare, giudice e sommo
sacerdote, e che quindi non aveva un potere di governo nel senso in cui questa
parola sarà adoperata più tardi (21).
Vediamo dunque nella costituzione greca dell'età eroica l'antica organizzazione
gentilizia ancora in pieno vigore, ma già anche all'inizio della sua fine:
diritto patriarcale con eredità del patrimonio da parte dei figli, per cui
venne favorita l'accumulazione di ricchezza nella famiglia e la famiglia
diventò, rispetto alla gens, una potenza; ripercussione della differenza di
ricchezza sulla costituzione, mediante la formazione dei primi germi di una
nobiltà ereditaria e di una monarchia; schiavitù, limitata all'inizio ancora
soltanto ai prigionieri di guerra, ma che apre la via all'assoggettamento di
veri e propri compagni di tribù e persino di gens; l'antica guerra di tribù
contro tribù, guerra che già degenera in sistematica rapina per terra e per
mare, per conquistare bestiame, schiavi, tesori, quale regolare fonte di
guadagno; in breve, la ricchezza lodata e apprezzata come bene supremo, e abuso
degli antichi ordinamenti gentilizi per giustificare la violenta rapina di
ricchezze. Mancava ancora solo una cosa: un'istituzione che non solo
assicurasse le ricchezze degli individui recentemente acquistate contro le
tradizioni comunistiche dell'ordinamento gentilizio, che non solo consacrasse
la proprietà privata, così poco stimata in passato, e dichiarasse questa
consacrazione lo scopo più elevato di ogni comunità umana, ma che imprimesse
anche il marchio del generale riconoscimento sociale alle nuove forme
d'acquisto di proprietà, sviluppantisi l'una accanto all'altra, e quindi
all'aumento continuamente accelerato della ricchezza. Mancava una istituzione
che rendesse eterni non solo la nascente divisione della società in classi, ma
anche il diritto della classe dominante allo sfruttamento della classe non
abbiente e il dominio di quella classe su questa.
E questa istituzione venne. Fu inventato lo Stato.
Note:
1) Col nome di Pelasgi i Greci designavano le popolazioni che
avevano trovato già attestate nei territori da essi occupati al tempo
dell'immigrazione.
2) George Grote (1794-1871), banchiere e uomo politico inglese,
oltre che storico; scrisse una History of Greece (1846-56) ispirata
dall'ammirazione per la democrazia ateniese del V secolo a.C., nella quale egli
vedeva un sistema singolarmente favorevole alla libertà di pensiero. Esercitò
meritatamente una larga influenza sulla storiografia posteriore.
3) L'orazione Contro Eubulide, paragrafo 28,
dell'ateniese Demostene (384-322 a.C.).
4) Storico e filosofo greco del IV secolo a. C.; Engels si
riferisce a un passo dell'opera perduta Vita dell'Ellade (un primo
tentativo di storia universale della civiltà) che ci conservato nella voce Patra
del lessico di Stefano Di Bisanzio (circa VI secolo d.C.).
5) Charikles,
Bilder AltgriechischerSitte. Zur genaueren Kenntnis des
griechischenPrivatlebens (Lande. Quadri di costume greco
antico. Per una più esatta conoscenza della vita privata greca). 2 voll., Leipzig 1840, vol. II, p. 447, di
Wilhelm Adolph Bicker (1796-1846). storico dell'antichità, professore
all'università di Lipsia.
6) «Rigorosa» è un'aggiunta della quarta edizione.
7) Barthold Georg Niebuhr (1776-1831), autore di una Rómische
Geschichte (Storia romana, 1811-32), instaurò il metodo filologico di
critica delle fonti per la storia di Roma antica. Theodor Mommsen (1817-1903),
autore anche lui di una Rómische Geschichte (1854-56), e di molte altre
opere sul diritto romano e su argomenti speciali dette analisi penetranti della
vita e della storia politica di Roma antica.
8) Carnale, in lingua tedesca.
9) Il geografo e storico greco Ecateo Di Mileto (VI-V secolo
a.C.); egli raccontava che mentre la sua famiglia vantava un capostipite divino
alla sedicesima generazione precedente, i sacerdoti egiziani di Tebe gli
avevano mostrato la serie di 345 statue di sacerdoti che si erano succeduti
nella carica di padre in figlio e gli avevano detto che gli dei avevano
soggiornato in terra solo prima di queste 345 generazioni. Con ciò Ecateo
criticava le tradizioni greche, così ristrette di fronte a quelle egiziane, e
insegnava che si deve rispetto alle memorie degli altri popoli.
10) Omero, Illiade, canto II, versi 362-363.
11) Numa Denys Fustel De Coulanges (1830-1889), storico e
filologo francese, studioso dell'antichità e della Francia medievale. Nella Citè
antique (1864) dette una pregevole interpretazione della storia greca,
ponendo in primo piano le sue basi sociali, sebbene indulgesse alle eccessive
semplificazioni e facesse un uso non troppo critico delle testimonianze
antiche.
12) Dionisio Di Alicarnasso (retore e storico greco del I
secolo d.C.), Storia di Roma primitiva, libro II, cap. 12.
13) Eschilo, I Sette contro Tebe, versi 1005-1025.
14) Eschilo, Le Supplici, versi 605 sgg.
15) Cit., vol.
1, p. 27.
16) William Ewart Gladstone, Juventus Mundi. The Gods
and Men of the Heroic Age (La Giovinezza del mondo. Gli dèi e gli
uomini dell'età eroica), London, 1869. II Gladstone (1809-1898), è lo statista
inglese, prima conservatore e poi capo del partito liberale, che fu primo
ministro negli anni 1868-74, 1880-85, 1886, 1892-94.
17) Per esempio nell'Iliade (canto XX, versi
178-186), Achille dice che è poco probabile che Enea possa succedere al
basilèus Priamo, poiché questi ha figli; a meno che la carica gli sia assegnata
dai Troiani, cioè dall'assemblea. E nell'Odissea (I. 392-398) Telemaco
si lamenta di avere perso la possibilità di succedere al padre Ulisse, dato che
questi è scomparso. Di regola, dunque, la carica passa di padre in figlio, ma
nessuna legge sancisce l'ereditarietà.
18) Omero, Iliade, canto II, verso 204, al quale seguono due
versi che dicono: uno solo sia il basilèus, cui Zeus ha concesso «lo scettro e
le leggi, perché li governi». L'ultimo verso è generalmente considerato una
tarda aggiunta.
19) Tucidide, La Guerra del Peloponneso, libro I, cap.
13.
20) Aristotele, Politica, libro III, cap. 10.
21) Come il basilèus greco così anche il capo militare azteco è
stato presentato come un principe moderno. Morgan sottopone per la prima volta
alla critica storica i resoconti degli Spagnuoli, che prima fraintendevano ed
esageravano, poi deliberatamente mentivano; e prova che i Messicani si
trovavano nel grado medio della barbarie, più progrediti, tuttavia, degli
Indiani Pueblos del Nuovo Messico e che la loro costituzione, per quel che i
resoconti travisati permettono di conoscere, corrispondeva a una federazione di
tre tribù che aveva rese tributarie un certo numero di altre tribù e che era
retta da un consiglio federale e da un capo militare federale, del quale ultimo
gli Spagnuoli fecero un «imperatore» [Nota di Engels].