a
110 anni dalla scomparsa di Friedrich Engels
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Engels: L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato – [ Indice ]
Abbiamo seguito ora il dissolvimento della costituzione gentilizia nei tre
grandi esempi singoli dei Greci, dei Romani e dei Tedeschi. Indaghiamo ora, per
concludere, le condizioni economiche generali che minarono l'organizzazione
gentilizia della società già nello stadio superiore della barbarie, e la
eliminarono completamente con l'ingresso della civiltà. Per tale ricerca il Capitale
di Marx ci sarà tanto necessario quanto il libro di Morgan.
Nata nello stadio medio, sviluppatasi ulteriormente in quello superiore dello
stato selvaggio, la gens, per quanto possiamo giudicare dalle fonti in nostro
possesso, raggiunge il suo rigoglio nello stadio inferiore della barbarie.
Cominciamo dunque da questo stadio di sviluppo.
Qui, dove devono servirci di esempio i Pellirosse d'America, troviamo la
costituzione gentilizia completamente formata. Una tribù si è articolata in più
gentes, per lo più in due: queste gentes originarie, crescendo il numero della
loro popolazione, si dividono ciascuna in più gentes figlie di fronte alle
quali la gens madre si presenta come fratria; la stessa tribù si scinde in più
tribù, in ognuna delle quali ritroviamo, in gran parte, le antiche gentes; una
federazione riunisce, per lo meno in singoli casi, le tribù affini. Questa
semplice organizzazione è del tutto sufficiente per le condizioni sociali da
cui è nata. Essa non è altro che il loro proprio e naturale raggruppamento,
essa è in grado di appianare tutti i conflitti che sorgano all'interno della
società così organizzata. All'esterno la guerra accomoda ogni cosa; essa può
finire con l'annientamento di una tribù, mai però col suo soggiogamento. La
grandiosità, ma anche il limite della costituzione gentilizia consiste nel
fatto che non vi è posto, in essa, per il dominio e per il servaggio.
All'interno non vi è ancora alcuna distinzione tra diritti e doveri; per gli
Indiani il problema se prendere parte alle pubbliche faccende, se la vendetta
di sangue e il guidrigildo siano un diritto o un dovere, non esiste. Un tale
problema sembrerebbe loro altrettanto assurdo quanto il domandarsi se mangiare,
dormire, andare a caccia siano un diritto o un dovere. Tanto meno vi può essere
divisione della tribù e della gens in classi distinte. E questo fatto ci spinge
all'indagine della base economica di un tale stato di cose.
La popolazione è straordinariamente rada: si fa più densa solo nel luogo di
residenza della tribù, intorno al quale si estende anzitutto in largo cerchio
il territorio adibito alla caccia, poi la foresta neutrale di protezione che la
divide da altre tribù. La divisione del lavoro è del tutto naturale, essa
sussiste solo tra i due sessi. L'uomo fa la guerra, va a cacciare e a pescare,
procura la materia prima per gli alimenti e gli strumenti necessari per
procacciarseli. La donna ha cura della casa, della preparazione degli alimenti
e delle vesti, cucina, tesse e cuce. Ognuno dei due è padrone nel suo campo:
l'uomo nella foresta, la donna nella casa. Ognuno è proprietario degli
strumenti che ha fabbricato e adopera: l'uomo delle armi, degli strumenti di
caccia e di pesca, la donna delle suppellettili domestiche. L'amministrazione
domestica è comunistica per alcune e, spesso, molte famiglie (1).
Ciò che viene fatto o utilizzato in comune è proprietà comune: la casa, l'orto,
il lungo battello. Ma qui e soltanto qui è valido ciò che giuristi ed
economisti hanno farneticato per la società civile: la «proprietà creata con il
proprio lavoro», ultimo menzognero pretesto giuridico su cui ancora si sorregge
l'odierna proprietà capitalistica.
Ma gli uomini non rimasero dappertutto a questo stadio. In Asia trovarono
animali che si lasciavano addomesticare e una volta addomesticati si lasciavano
allevare. La bufala selvaggia doveva essere cacciata, quella domestica forniva
ogni anno un vitello e inoltre latte. Un certo numero di tribù più progredite,
gli Ariani, i Semiti, e forse anche i Turani (2),
praticarono, come loro ramo principale di lavoro, dapprima l'addomesticamento
del bestiame, più tardi anche l'allevamento e la cura di esso, Tribù di pastori
si separarono dalla restante massa dei barbari; prima grande divisione
sociale del lavoro. Le tribù di pastori producevano viveri non solo in
maggiore quantità rispetto agli altri barbari, ma anche di diversa qualità.
Queste tribù avevano, rispetto alle altre, non solo assai più latte, latticini
e carne, ma anche pelli, lana, pelo caprino e filati e tessuti che aumentavano
con l'aumento della quantità della materia prima. Con ciò divenne, per la prima
volta, possibile un regolare scambio.
Negli stadi anteriori potevano aver luogo solo scambi occasionali; un'abilità
particolare nell'approntamento di armi e strumenti di lavoro può portare ad una
temporanea divisione del lavoro. Così in molti luoghi sono stati trovati resti
inequivocabili di officine della tarda età della pietra per la fabbricazione di
strumenti di pietra; gli artefici che in questi lavori perfezionavano la loro
abilità, verosimilmente lavoravano per conto della collettività, come ancora
lavorano gli artigiani stabili di comunità gentilizie indiane. In nessun caso,
in questo stadio di sviluppo poteva sorgere uno scambio diverso da quello che
si verificava all'interno della tribù, e anche questo rimase un avvenimento
eccezionale. Ma ora, dopo la separazione delle tribù di pastori, troviamo già
esistenti tutte le condizioni per lo scambio tra i membri di tribù differenti e
per il perfezionamento e il consolidamento di esso come istituzione regolare.
Originariamente lo scambio avveniva fra tribù e tribù per mezzo dei rispettivi
capi delle gentes; ma quando gli armenti cominciarono a passare in proprietà
speciale (3), lo scambio individuale prevalse sempre
maggiormente per divenire infine l'unica forma. Il principale articolo che le
tribù di pastori offrivano in cambio ai loro vicini era il bestiame; esso
divenne la merce in base alla quale venivano valutate tutte le altre, e che
dovunque veniva accettata volentieri nello scambio con quelle; in breve il
bestiame assunse la funzione di danaro e già in questo stadio veniva usato come
danaro. Tale era la necessità e la rapidità con cui si sviluppò, già all'inizio
dello scambio di merci, il bisogno di una merce-danaro.
L'orticoltura, verosimilmente estranea ai barbari asiatici dello stadio
inferiore, apparve tra loro al più tardi nello stadio medio, come precorritrice
dell'agricoltura. Il clima dell'altopiano turanico non permette pastorizia
senza riserve di foraggio per il lungo e rigido inverno; la coltura prativa e
la cerealicoltura qui erano dunque condizione indispensabile per la pastorizia.
Lo stesso vale per le steppe a nord del Mar Nero. Se, però, dapprima i cereali
furono prodotti per il bestiame, presto divennero anche alimento per gli
uomini. La terra coltivata rimase ancora proprietà tribale, all'inizio
assegnata in godimento alla gens, più tardi da questa alle comunità domestiche,
infine agli individui; questi potevano accamparvi certi diritti di possesso, ma
nulla di più.
Fra le conquiste industriali di questo stadio, due hanno particolare
importanza. La prima è il telaio , la seconda è la fusione dei minerali
metallici e la lavorazione dei metalli. Il rame e lo zinco [stagno ndr] e la
lega da essi risultante, il bronzo, furono di gran lunga i più importanti: iI
bronzo fornì strumenti utili ed armi, senza poter però soppiantare gli
strumenti di pietra; ciò fu possibile solo al ferro, ed estrarre il ferro era
cosa che ancora non si sapeva fare. Oro e Argento cominciarono a venire
adoperati per gioie e ornamenti ed erano già pregiati molto più del rame e del
bronzo.
L'aumento della produzione in tutti i rami - allevamento del bestiame,
agricoltura, artigianato domestico - diede alla forza-lavoro umana la capacità
di creare un prodotto maggiore di quanto fosse necessario al suo mantenimento.
L'aumento della produzione fece aumentare contemporaneamente la quantità di
lavoro quotidiano che toccava ad ogni membro della gens, della comunità
domestica e della famiglia singola. Si sentiva ora il bisogno di introdurre
nuove forze-lavoro. La guerra le fornì; i prigionieri di guerra furono mutati
in schiavi. La prima grande divisione sociale del lavoro, con l'aumento della
produttività del lavoro e quindi della ricchezza e con l'ampliamento del campo
di produzione che aveva determinato, dato l'insieme delle condizioni storiche
esistenti, portò necessariamente dietro di sé la schiavitù. Dalla prima grande
divisione sociale del lavoro, nacque la prima grande scissione della società in
due classi: padroni e schiavi, sfruttatori e sfruttati.
Come e quando gli armenti passarono da possesso comune della tribù o della gens
a proprietà dei singoli capi di famiglia, non lo sappiamo ancora. Ma questo
fatto deve essere accaduto essenzialmente in questo stadio. Con gli armenti e
le altre nuove ricchezze si effettuò nella famiglia una rivoluzione. La
produzione era sempre stata affare dell'uomo, ed erano stati di sua proprietà i
mezzi di produzione che egli aveva costruito. Gli armenti erano il nuovo mezzo
di produzione, perciò prima addomesticarli e in seguito custodirli era lavoro
che spettava all'uomo. A lui dunque apparteneva il bestiame, a lui le merci e
gli schiavi avuti in cambio di bestiame. Ogni eccedenza che ora la produzione
forniva spettava all'uomo: la donna partecipava all'usufrutto, ma non alla
proprietà. Il guerriero e il cacciatore «selvaggio» si erano accontentati di
avere il secondo posto nella casa, dopo la donna; il pastore «più mite»,
facendosi forte della sua ricchezza, si spinse al primo posto, e respinse la
moglie al secondo. Ed essa non poteva lamentarsi. La divisione del lavoro nella
famiglia aveva regolato la ripartizione tra marito e moglie; essa era rimasta
la stessa e tuttavia ora rovesciava i rapporti domestici fino allora esistenti,
semplicemente perché la divisione del lavoro all'esterno della famiglia era
mutata. La stessa causa che assicurava alla donna il suo precedente dominio
nella casa, il fatto, cioè, che il suo lavoro fosse limitato alla casa,
assicurava adesso il dominio dell'uomo nella casa; il lavoro domestico della
donna scomparve ora al cospetto del lavoro produttivo dell'uomo: questo era
tutto, quello, invece, un'aggiunta insignificante.
Appare fin da ora chiaro che l'emancipazione della donna e la sua equiparazione
all'uomo è e resta impossibile finché la donna sarà esclusa dal lavoro sociale
produttivo e rimarrà limitata al lavoro domestico privato. L'emancipazione
della donna diviene possibile solo quando essa può partecipare su vasta scala
sociale alla produzione, e il lavoro domestico non la impegna ancora che in
misura insignificante. E ciò è divenuto possibile solo con la grande industria
moderna la quale non soltanto permette il lavoro della donna su vasta scala, ma
lo esige formalmente e tende sempre più a trasformare lo stesso lavoro
domestico privato in una industria pubblica.
Con l'effettivo dominio dell'uomo nella casa era caduta l'ultima barriera alla
sua autocrazia. La quale fu confermata ed eternata dalla caduta del diritto
matriarcale, dall'introduzione del diritto patriarcale, dal trapasso graduale
del matrimonio di coppia nella monogamia. Però questo fatto produsse uno
strappo dell'antica costituzione gentilizia: la famiglia singola divenne una
potenza e si drizzò minacciosa di fronte alla gens.
Il prossimo passo avanti ci conduce allo stadio superiore della barbarie, al
periodo nel quale tutti i popoli civili vivono la loro età eroica: l'età della
spada di ferro, ma anche del vomere e dell'ascia di ferro. Il ferro era
diventato soggetto all'uomo e fu l'ultima e la più importante di tutte le
materie prime che ebbero nella storia una parte rivoluzionaria; l'ultima...
fino alla patata (4). Il ferro portò alla coltivazione di
superfici più vaste, al dissodamento di estese zone boscose, fornì
all'artigiano strumenti di una durezza e di un taglio a cui né la pietra né
alcun altro metallo noto poteva resistere. E tutto ciò gradualmente; il primo,
ferro era spesso ancora più debole del bronzo. L'arme di pietra sparì solo
lentamente, e non solo nel Canto di Ildebrando, ma anche nella battaglia
di Hastings (5) del 1066, comparvero ancora le asce di
pietra in battaglia. Ma il progresso ora fu incessante, meno interrotto e più
rapido. La città, con le sue case di pietra o di mattoni, cinta di mura di
pietra, di torri e di bastioni, divenne la sede centrale della tribù o della
federazione di tribù: notevole passo avanti questo nell'edilizia, ma anche
segno di aumentato pericolo e aumentato bisogno di difesa. La ricchezza crebbe
rapidamente, ma come ricchezza di individui; la tessitura, la lavorazione dei
metalli e gli altri mestieri artigiani che sempre più si differenziavano l'uno
dall'altro, spiegarono una varietà e un'abilità sempre maggiori nella
produzione; la coltivazione della terra forniva, oltre ai cereali, legumi e
frutta, anche olio e vino, di cui si era appresa la preparazione. Attività così
svariate non potevano più essere esercitate da uno stesso individuo; apparve la
seconda grande divisione del lavoro: l'artigianato si separò
dall'agricoltura. L'aumento continuo della produzione e quindi della
produttività del lavoro elevò il valore della forza-lavoro umana; la schiavitù
ancora nascente e sporadica nello stadio precedente, diventa ora un elemento
essenziale del sistema sociale; gli schiavi cessano di essere semplici
ausiliari e vengono spinti a dozzine al lavoro, nei campi e nelle officine. Con
la divisione della produzione nei due grandi rami principali, agricoltura e
artigianato, nasce la produzione direttamente per lo scambio, la produzione di
merci e con essa il commercio non soltanto all'interno ed entro i limiti della
tribù, ma anche sul mare. Tutto ciò però era ancora assai poco sviluppato; i
metalli nobili cominciavano a diventare merce-danaro prevalente e universale,
ma non erano ancora coniati e venivano scambiati ancora in base al loro peso
grezzo.
Accanto alla differenza tra liberi e schiavi appare quella tra ricchi e poveri;
con la nuova divisione del lavoro appare una nuova scissione della società in
classi. Le differenze dei possessi tra i singoli capifamiglia spezzano l'antica
comunità familiare comunistica, dovunque si era mantenuta fino allora, e con
essa la coltivazione comune del suolo a pro e per conto di questa comunità. La
terra coltivabile è assegnata per lo sfruttamento a famiglie singole, dapprima
per un periodo di tempo, più tardi una volta per sempre. Il passaggio alla
piena proprietà privata si compie gradualmente e parallelamente a quello dal
matrimonio di coppia alla monogamia. La famiglia singola comincia a divenire
l'unità economica della società.
La maggiore densità della popolazione costringe a stabilire legami più stretti
all'interno come all'esterno. La federazione di tribù affini diviene
dappertutto necessaria e presto lo diviene anche la loro fusione e
conseguentemente la fusione dei territori separati delle tribù in un territorio
comune del popolo. Il capo militare del popolo - rex, basilèus, thiudans
- diviene un funzionario permanente indispensabile. Dove non c'era già, compare
l'assemblea popolare. Capo militare, consiglio, assemblea popolare, formano gli
organi della società gentilizia che si sviluppa progressivamente in una
democrazia militare. Militare, poiché la guerra e l'organizzazione per la
guerra sono ora divenute funzioni regolari della vita del popolo. Le ricchezze
dei vicini eccitano l'avidità di popoli che già vedono nella conquista della
ricchezza uno dei primi scopi della loro esistenza. Essi sono barbari: reputano
più facile ed anche più onorevole diventare ricchi con la rapina che con il
lavoro. La guerra, che una volta era fatta solo per vendicare soprusi o per
estendere il territorio divenuto insufficiente, viene ora condotta a fine di
semplice rapina, diventa ramo permanente di produzione. Non invano le mura si
ergono minacciose intorno alle nuove città fortificate. Nei loro fossati sta
spalancata la tomba della costituzione gentilizia e le loro torri si proiettano
già nella civiltà. Non diversamente vanno le cose nell'interno. Le guerre di
rapina accrescono la potenza sia dei supremi capi militari che dei sottocapi;
l'elezione consuetudinaria dei loro successori nella stessa famiglia, specie
dopo l'introduzione del diritto patriarcale, passa a poco a poco in eredità,
dapprima tollerata, poi reclamata e infine usurpata; si pongono le fondamenta
della monarchia e della nobiltà ereditarie.
Così gli organi della costituzione gentilizia recidono le radici che avevano
nel popolo, nella gens, nella fratria, nella tribù e l'intera costituzione
gentilizia si capovolge nel suo opposto: da organizzazione di tribù avente per
scopo il libero ordinamento dei propri affari diventa organizzazione per il
saccheggio e l'oppressione dei vicini e, corrispondentemente, i suoi organi, da
strumenti della volontà popolare, si trasformano in organi autonomi per
dominare ed opprimere il proprio popolo. Ma ciò non sarebbe mai stato possibile
se la cupidigia di ricchezze non avesse diviso i membri di una stessa gens in
ricchi e poveri, se «la differenza di ricchezze all'interno della stessa gens
non avesse trasformato l'unità degli interessi in antagonismo tra i membri
della stessa gens» (Marx) e se l'estendersi della schiavitù non avesse già
cominciato a far considerare il lavoro, che produce il necessario per la vita,
come degno solo di uno schiavo e come più disonorevole della rapina.
Con ciò siamo giunti alle soglie della civiltà. Essa si apre con un nuovo
progresso della divisione dei lavoro. Nello stadio più basso gli uomini
producevano solo direttamente per il fabbisogno proprio. Gli atti di scambio
casuali erano isolati, riguardavano solo il superfluo che si produceva
accidentalmente. Nello stadio medio della barbarie, tra popoli pastori, troviamo
già un possesso di bestiame che, data una certa entità dell'armento, produce
regolarmente una eccedenza sul fabbisogno umano proprio e, ad un tempo, una
divisione del lavoro tra popoli pastori e tribù più arretrate, prive d'armenti
e, conseguentemente, due diversi stadi di produzione esistenti l'uno accanto
all'altro e conseguentemente le condizioni per uno scambio regolare. Lo stadio
superiore della barbarie ci fornisce l'ulteriore divisione del lavoro tra
agricoltura e artigianato e conseguentemente la produzione di una parte sempre
crescente di prodotti di lavoro al diretto fine dello scambio, conseguentemente
lo scambio tra produttori individuali si innalza al rango di necessità di vita
per la società. La civiltà consolida ed, accresce tutte queste precedenti
divisioni del lavoro, specie acuendo l'antagonismo tra città e campagna (per
cui la città può dominare economicamente la campagna, come nell'antichità, o
anche la campagna la città, come nel Medioevo) ed aggiunge una terza divisione
del lavoro che le è peculiare e di importanza decisiva: genera una classe che
non si occupa della produzione, ma solo dello scambio dei prodotti, i mercanti.
Fin qui ogni inizio di formazione di classi si era avuto esclusivamente nel
campo della produzione; le persone che vi partecipavano si dividevano in
dirigenti ed esecutori, oppure anche in produttori su grande e su piccola
scala. A questo punto si presenta, per la prima volta, una classe che, senza
prendere una parte qualsiasi alla produzione, se ne appropria la direzione nel
suo complesso, assoggettandosi economicamente i produttori; classe che si fa
mediatrice indispensabile tra due produttori e li sfrutta entrambi. Col
pretesto di liberare i produttori dalla fatica e dal rischio dello scambio e di
estendere lo smercio dei loro prodotti verso mercati lontani, e quindi di
diventare la classe più utile della popolazione, si forma una classe di
parassiti, di veri e propri scrocconi sociali che, in compenso di prestazioni
effettive di pochissimo conto, si porta via il meglio della produzione sia
indigena che straniera, acquista rapidamente ricchezze enormi e l'influenza
sociale corrispondente, ed appunto perciò nell'epoca della civiltà è chiamata
ad onori sempre nuovi e a un controllo sempre maggiore della produzione, finché
alla fine genera perfino un prodotto che le è proprio: le crisi commerciali
periodiche.
Al grado di sviluppo che ci sta davanti la giovane classe dei mercanti non ha
certamente ancora nessun presentimento delle grandi cose che l'aspettano. Si
forma e si rende indispensabile e ciò basta. Ma con questa classe si forma il danaro
metallico, la moneta di conio e, con il danaro metallico, un nuovo
strumento di dominio dei non produttori sui produttori e sulla loro produzione.
La merce delle merci che contiene in sé occultamente tutte le altre era stata
scoperta, il mezzo magico che può mutarsi a piacere in ogni cosa desiderabile e
desiderata. Chi l'aveva dominava il mondo della produzione; e chi ne aveva più
di tutti? Il mercante. Il culto del danaro era sicuro nelle sue mani. Egli si
preoccupò che fosse ben chiaro come tutte le merci, e quindi tutti i produttori
di merci, dovessero prostrarsi in atto d'adorazione davanti al danaro. Egli
dimostrò praticamente come tutte le altre forme di ricchezza diventino solo
pura parvenza di fronte a questa incarnazione della ricchezza in quanto tale.
Mai più la potenza del danaro si è presentata con tale brutalità e violenza
primitive come in questo suo periodo di gioventù. Dopo la compra di merci
mediante danaro, venne l'anticipazione di danaro e con essa l'interesse e
l'usura. E nessuna legislazione posteriore getta, senza riguardo e rimedio, il
debitore ai piedi del creditore usuraio, come quella dell'antica Atene e quella
dell'antica Roma, che nacquero entrambe spontaneamente come diritti
consuetudinari, senza altra costrizione che quella economica.
Accanto alla ricchezza in merci e schiavi, accanto alla ricchezza in danaro
sorse anche quella in possesso fondiario. Il diritto di possesso degli
individui su quegli appezzamenti di terra ceduti loro originariamente dalla
gens e dalla tribù, si era a tal punto consolidato che questi appezzamenti
finirono con l'appartenere loro in proprietà ereditaria. Negli ultimi tempi
essi avevano soprattutto cercato di affrancare gli appezzamenti dal diritto che
su questi aveva l'unione gentilizia e che costituiva una pastoia. La pastoia fu
sciolta, ma insieme, poco dopo, fu sciolta anche la nuova proprietà fondiaria.
Proprietà piena e libera del suolo significava non solo possibilità di
possedere il suolo senza limiti e restrizioni, ma anche possibilità di
alienarlo. Finché il suolo era appartenuto alla gens questa possibilità non era
esistita. Ma il nuovo possessore di terra, quando tolse definitivamente la
pastoia costituita dalla proprietà suprema della gens e della tribù, spezzò
anche il vincolo che fino ad allora lo aveva legato indissolubilmente al suolo.
Che cosa volesse dire ciò, glielo mostrò chiaramente il danaro, inventato
contemporaneamente alla proprietà terriera privata. Il suolo poteva ora
diventare merce che si vendeva ed ipotecava. La proprietà fondiaria era stata
appena introdotta che fu inventata l'ipoteca (cfr. Atene). Come l'eterismo e la
prostituzione si attaccano alle calcagna della monogamia, così l'ipoteca si
attacca da questo momento alle calcagna della proprietà terriera. Voi avete
voluto avere la piena, libera ed alienabile proprietà della terra: orbene,
tenetevela - tu l'as voulu, Gorge Dandin (6).
Così, con l'espansione commerciale, col danaro e l'usura, con la proprietà
fondiaria e l'ipoteca, la concentrazione e l'accentramento della ricchezza
nelle mani di una classe poco numerosa progredirono rapidamente e insieme
progredì l'impoverimento crescente delle masse e la massa crescente dei poveri.
La nuova aristocrazia della ricchezza, in quanto non era coincisa già dall'inizio
con l'antica nobiltà ereditaria, spinse quest'ultima definitivamente in una
posizione secondaria (ad Atene, a Roma e tra i Tedeschi). E accanto a questa
divisione dei liberi in classi, secondo la ricchezza, si verificò, specie in
Grecia, un enorme aumento del numero degli schiavi (7), il
cui lavoro forzato formò la base su cui si elevò la sovrastruttura di tutta la
società.
Vediamo ora dunque che cosa era accaduto della costituzione gentilizia durante
questo rivolgimento sociale. Di fronte ai nuovi elementi che erano maturati ed
emersi senza la sua partecipazione, essa rimaneva impotente. Il suo presupposto
era che i membri di una gens ovvero di una tribù risiedessero, riuniti, in uno
stesso territorio e lo abitassero esclusivamente. Ciò era scomparso da lungo
tempo. Dovunque gentes e tribù si erano mescolate tra loro, dovunque schiavi,
protetti e stranieri abitavano in mezzo ai cittadini. La stabilità acquistata
verso la fine dello stadio medio della barbarie, fu di nuovo infranta dalla
mobilità e mutabilità della residenza prodotte dal commercio, dal cambiamento
di attività, dal variare del possesso terriero. I membri degli enti gentilizi
non potevano più riunirsi per la tutela dei propri affari comuni; venivano
ancora curate a mala pena soltanto cose senza importanza, come le feste
religiose. Dalla rivoluzione dei rapporti di produzione e dal mutamento
conseguente dell'organizzazione sociale erano nati, accanto ai bisogni e agli
interesse alla cui tutela erano chiamati e qualificati gli enti gentilizi,
nuovi bisogni e nuovi interessi che non solo erano estranei all'antico
ordinamento gentilizio, ma lo ostacolavano in ogni modo. Gli interessi dei
gruppi artigiani sorti dalla divisione del lavoro, i bisogni particolari della
città in antagonismo con quelli della campagna, esigevano nuovi organi; ognuno
di questi gruppi, però, era composto di persone appartenenti alla gentes,
fratrie e tribù più disparate, esso comprendeva perfino stranieri; questi
organi dovettero formarsi dunque al di fuori della costituzione gentilizia,
accanto ad essa e quindi contro di essa. E, d'altra parte, in ogni ente
gentilizio questo conflitto degli interessi si affermava e raggiungeva il suo
culmine poiché ricchi e poveri, usurai e debitori erano riuniti nella stessa
gens e nella stessa tribù. Si aggiungeva a ciò la massa della nuova popolazione
estranea alle unioni gentilizie, la quale, come a Roma, era suscettibile di
divenire una potenza nel paese e che d'altronde era troppo numerosa per essere
gradatamente assorbita nei gruppi e nelle tribù consanguinee.
Di fronte a questa massa, le unioni gentilizie erano come enti chiusi,
privilegiati; l'originaria democrazia naturale si era mutata in un'aristocrazia
odiosa. Infine la costituzione gentilizia era venuta fuori da una società che
non conosceva antagonismi interni ed era anche adeguata solo ad una tale
società. Essa non aveva altro mezzo di coercizione al di fuori dell'opinione
pubblica. Ma ora era sorta una società che, in forza di tutte le sue condizioni
economiche di vita, aveva dovuto dividersi in liberi e schiavi, in ricchi
sfruttatori e poveri sfruttati, una società che non solo non poteva
riconciliare questi antagonismi, ma doveva sempre più spingerli al loro
culmine. Una tale società poteva sussistere solo o nella lotta aperta continua
di queste classi tra loro, oppure sotto il dominio di una terza potenza che,
stando apparentemente al di sopra delle classi in conflitto, ne comprimesse il
conflitto aperto, e permettesse che la lotta delle classi si combattesse,
tutt'al più nel campo economico, in forma cosiddetta legale. La costituzione
gentilizia aveva fatto il suo tempo. Essa era stata distrutta dalla divisione
del lavoro e dal suo risultato: la divisione della società in classi. Essa fu
sostituita dallo Stato.
Abbiamo esaminato sopra nei loro particolari le tre forme principali nelle
quali lo Stato si eleva sulle rovine della costituzione gentilizia. Atene offre
la forma più pura e più classica; qui lo Stato nasce direttamente e in
prevalenza dai conflitti di classe che si sviluppano all'interno della stessa
società gentilizia. A Roma la società gentilizia diventa un'aristocrazia chiusa
in mezzo ad una plebe numerosa che sta al di fuori di essa, priva di diritti,
ma piena di doveri; la vittoria della plebe distrugge l'antica costituzione
gentilizia ed innalza sulle sue rovine lo Stato, nel quale aristocrazia
gentilizia e plebe ben presto si dissolvono entrambe. Presso i Tedeschi
vincitori dell'impero romano, infine, lo Stato sorge direttamente dalla conquista
di grandi territori stranieri, per il cui dominio la costituzione gentilizia
non offriva alcun mezzo. Poiché, però, a questa conquista non sono legate né
una seria lotta con la popolazione preesistente, né una progressiva divisione
del lavoro; poiché il grado di sviluppo economico dei conquistati è quasi
identico a quello dei conquistatori e la base economica della società rimane
dunque l'antica, la costituzione gentilizia può continuare a mantenersi per
secoli sotto forma mutata, territoriale, come costituzione di marca, e perfino
nelle posteriori famiglie nobiliari e patrizie e, anzi, perfino rifiorire, in
forma attenuata e per un certo tempo, in famiglie contadine, come nel
Dithmarschen (8).
Lo Stato dunque non è affatto una potenza imposta alla società dall'esterno e
nemmeno «la realtà dell'idea etica», «l'immagine e la realtà della ragione»,
come afferma Hegel (9). Esso è piuttosto un prodotto della
società giunta a un determinato stadio di sviluppo, è la confessione che questa
società si è avvolta in una contraddizione insolubile con se stessa, che si è
scissa in antagonismi inconciliabili che è impotente a eliminare. Ma perché
questi antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto non
distruggano se stessi e la società in una sterile lotta, sorge la necessità di
una potenza che sia in apparenza al di sopra della società, che attenui il
conflitto, lo mantenga nei limiti dell'«ordine»; e questa potenza che emana
dalla società, ma che si pone al di sopra di essa e che si estranea sempre più
da essa, è lo Stato.
Nei confronti dell'antica organizzazione gentilizia il primo segno distintivo
dello Stato è la divisione dei cittadini secondo il territorio. Le
antiche unioni gentilizie, formate e tenute insieme da vincoli di sangue, come
abbiamo visto, erano diventate inadeguate, in gran parte perché presupponevano
un legame dei loro membri a un determinato territorio e questo legame aveva da
gran tempo cessato di esistere. Il territorio era rimasto, ma gli uomini erano
divenuti mobili. Si prese quindi come punto di partenza la divisione
territoriale e si lasciò che i cittadini esercitassero i loro doveri e i loro
diritti pubblici là dove si stabilivano, senza tener conto né della gens né della
tribù. Questa organizzazione di cittadini sulla base del domicilio, è comune a
tutti gli Stati, perciò ci appare naturale; ma abbiamo visto come ci siano
volute dure e lunghe lotte prima che essa potesse sostituire, ad Atene e a
Roma, l'antica organizzazione per stirpi.
Il secondo punto è l'istituzione di una forza pubblica che non coincide
più direttamente con la popolazione che organizza se stessa come potere armato.
Questa forza pubblica particolare è necessaria perché un'organizzazione armata
autonoma della popolazione è divenuta impossibile dopo la divisione in classi.
Gli schiavi fanno anch'essi parte della popolazione; i 90.000 cittadini
ateniesi formano, di fronte ai 365.000 schiavi, solo una classe privilegiata.
L'esercito popolare della democrazia ateniese era una forza pubblica
aristocratica di fronte agli schiavi e li teneva a freno; ma anche per tenere a
freno i cittadini si rese necessaria una gendarmeria, come abbiamo detto sopra.
Questa forza pubblica esiste in ogni Stato e non consta semplicemente di uomini
armati, ma anche di appendici reali, prigioni e istituti di pena di ogni
genere, di cui nulla sapeva la società gentilizia. Essa può essere assai
insignificante e pressoché inesistente in società con antagonismi di classe
ancora poco sviluppati e su territori remoti come talvolta e in qualche luogo
negli Stati Uniti d'America. Essa però si rafforza nella misura in cui gli
antagonismi di classe all'interno dello Stato si acuiscono e gli Stati tra loro
confinanti diventano più grandi e popolosi. Basta guardare la nostra Europa di
oggi, in cui la lotta di classe e la concorrenza nelle conquiste ha portato il
potere pubblico a un'altezza da cui minaccia di inghiottire l'intera società e
perfino lo Stato.
Per mantenere questo potere pubblico sono necessari i contributi dei cittadini:
le imposte. Esse erano completamente ignote alla società gentilizia. Ma
noi oggi le conosciamo fin troppo bene. Col progredire della civiltà, anche le
imposte non bastano più; lo Stato firma cambiali per il futuro, ricorre a
prestiti, a debiti pubblici. E anche di questo la vecchia Europa ne sa
qualcosa.
In possesso della forza pubblica e del diritto di riscuotere imposte, i
funzionari appaiono ora come organi della società al di sopra della
società. La libera, volontaria stima che veniva tributata agli organi della
costituzione gentilizia non basta loro, anche se potessero riscuoterla;
depositari di un potere che li estrania dalla società, essi devono farsi
rispettare con leggi eccezionali in forza delle quali godono di uno speciale
carattere sacro e inviolabile. Il più misero poliziotto dello Stato dell'epoca
civile ha più «autorità» di tutti gli organi della società gentilizia presi
insieme, ma il principe più potente, e il maggiore statista o generale dell'età
civile possono invidiare all'ultimo capo gentilizio la stima spontanea e
incontestata che gli viene tributata. L'uno sta proprio in mezzo alla società,
l'altro è costretto a voler rappresentare qualcosa al di fuori e al di sopra di
essa.
Lo Stato, poiché è nato dal bisogno di tenere a freno gli antagonismi di
classe, ma contemporaneamente è nato in mezzo al conflitto di queste classi, è,
per regola, lo Stato della classe più potente, economicamente dominante che,
per mezzo suo, diventa anche politicamente dominante e così acquista un nuovo
strumento per tener sottomessa e per sfruttare la classe oppressa. Come lo
Stato antico fu anzitutto lo Stato dei possessori di schiavi al fine di
mantener sottomessi gli schiavi, così lo Stato feudale fu l'organo della nobiltà
per mantenere sottomessi i contadini, servi o vincolati, e lo Stato
rappresentativo moderno è lo strumento per lo sfruttamento del lavoro salariato
da parte del capitale. Eccezionalmente tuttavia, vi sono dei periodi in cui le
classi in lotta hanno forze pressoché eguali, cosicché il potere statale, in
qualità di apparente mediatore, momentaneamente acquista una certa autonomia di
fronte ad entrambe. Così la monarchia assoluta dei secoli XVII e XVIII che
mantenne l'equilibrio tra nobiltà e borghesia; così il bonapartismo del primo e
specialmente del seconde impero francese che si valse del proletariato contro
la borghesia e della borghesia contro il proletariato. L'ultimo prodotto del
genere, in cui dominatori e dominati appaiono egualmente comici, è il nuovo
impero tedesco di nazione bismarckiana: qui si mantiene l'equilibrio tra
capitalisti e operai truffandoli entrambi a tutto vantaggio dei signorotti
terrieri della Prussia.
Nella maggior parte degli Stati. storici i diritti spettanti ai cittadini sono,
inoltre, graduati secondo il censo, e con ciò viene espresso direttamente il
fatto che lo Stato è un'organizzazione della classe possidente per proteggersi
dalla classe non possidente. Così fu già nelle classi censitarie ateniesi e
romane. Così fu nello Stato feudale del Medioevo, dove il potere politico era
commisurato al possesso fondiario. Così nel censo elettorale degli Stati
rappresentativi moderni. Questo riconoscimento politico della differenza di
possesso non è tuttavia per nulla essenziale. Al contrario, esso indica un
grado basso dello sviluppo statale. La più alta forma di Stato, la repubblica
democratica, che nelle condizioni della nostra società moderna diventa sempre
più una necessità inevitabile, ed è la forma di Stato in cui, soltanto, può
essere combattuta l'ultima lotta decisiva tra borghesia e proletariato, la
repubblica democratica non conosce più affatto ufficialmente le differenze di
possesso. In essa la ricchezza esercita il suo potere indirettamente, ma in
maniera tanto più sicura. Da una parte nella forma della corruzione diretta dei
funzionari, della quale l'America è il modello classico, dall'altra nella forma
dell'alleanza tra governo e Borsa, alleanza che tanto più facilmente si compie
quanto maggiormente salgono i debiti pubblici, e quanto più le società per
azioni concentrano nelle loro mani, non solo i trasporti, ma anche la stessa
produzione e trovano a loro volta il loro centro nella Borsa.
Oltre l'America un esempio evidente di ciò è l'attuale repubblica francese, ed
anche l'onesta Svizzera ha dato in questo campo un bel contributo. Che però a
questa alleanza fraterna tra governo e Borsa non sia necessaria una repubblica
democratica lo dimostra oltre l'Inghilterra, il nuovo impero tedesco dove non
si può dire chi il suffragio universale abbia elevato più in alto, se Bismarck
o Bleichröder(10). E infine la classe possidente domina
direttamente per mezzo del suffragio universale. Finché la classe oppressa,
dunque nel nostro caso il proletariato, non sarà matura per la, propria
auto-emancipazione, sino allora, nella sua maggioranza, essa riconoscerà
l'ordinamento sociale esistente come il solo possibile e, dal punto di vista
politico, sarà la coda della classe capitalistica, la sua estrema ala sinistra.
Ma, nella misura in cui essa matura verso la propria auto-emancipazione, nella
stessa misura essa si costituisce in partito particolare ed elegge i propri
rappresentanti e non quelli dei capitalisti. I1 suffragio universale è dunque
la misura della maturità della classe operaia. Più non può né potrà mai essere
nello Stato odierno; ma ciò è sufficiente. Il giorno in cui il termometro del
suffragio universale segnerà per gli operai il punto di ebollizione, essi
sapranno, e lo sapranno anche i capitalisti, quel che dovranno fare.
Lo Stato non esiste dunque dall'eternità. Vi sono state società che ne hanno
fatto a meno e che non avevano alcuna idea di Stato e dì potere statale. In un
determinato grado dello sviluppo economico, necessariamente legato alla divisione
della società in classi, proprio a causa di questa divisione lo Stato è
diventato una necessità. Ci avviciniamo ora, a rapidi passi, ad uno stadio di
sviluppo della produzione nel quale l'esistenza di queste classi non solo ha
cessato di essere una necessità ma diventa un ostacolo effettivo alla
produzione. Perciò esse cadranno così ineluttabilmente come sono sorte. Con
esse cadrà ineluttabilmente lo Stato. La società che riorganizza la produzione
in base a una libera ed eguale associazione di produttori, relega l'intera
macchina statale nel posto che da quel momento le spetta, cioè nel museo delle
antichità accanto alla rocca per filare e all'ascia di bronzo.
La civiltà è dunque, secondo quanto abbiamo detto precedentemente, lo stadio di
sviluppo della società, nel quale la divisione del lavoro, lo scambio tra
individui da essa generato e la produzione che li abbraccia entrambi, giungono
al completo dispiegamento e rivoluzionano tutta quanta la precedente società.
La produzione in tutti i precedenti stadi della società era essenzialmente una
produzione comune, così come anche il consumo avveniva con la diretta
distribuzione dei prodotti all'interno di comunità comunistiche più o meno
grandi. Questa comunanza della produzione aveva luogo entro i limiti più
angusti; ma portava con sé il dominio dei produttori sul loro processo di
produzione e sul loro prodotto. Essi sanno che cosa avverrà del loro prodotto e
lo consumano senza che esso lasci le loro mani, e la produzione, finché viene
condotta su questa base, non può soverchiare i produttori né produrre, di
fronte a loro, lo spettro di potenze estranee; il che accade regolarmente ed
inevitabilmente nella civiltà.
Ma in questo processo di produzione si insinua lentamente Ia divisione del
lavoro. Essa mina la comunanza della produzione e dell'appropriazione, innalza
a regola prevalente l'appropriazione individuale e produce con ciò lo scambio
tra individui: cose che abbiamo indagato sopra. Gradatamente, la produzione
delle merci diventa la forma dominante.
Con la produzione delle merci, produzione non più per il consumo proprio, ma
per lo scambio, i prodotti passano necessariamente in altre mani. Il
produttore, nello scambio, dà via il suo prodotto e non sa più che cosa ne
sarà. Appena entra in giuoco il danaro e, col danaro, il mercante in funzione
d'intermediario tra i produttori, il processo di scambio diventa ancora più
intricato e la sorte finale dei prodotti ancora più incerta. I mercanti sono
molti e nessuno di essi sa cosa fa l'altro. Le merci ora non passano
semplicemente di mano in mano, ma anche di mercato in mercato; i produttori
hanno perduto il controllo sulla produzione complessiva della loro cerchia e i
mercanti non sono riusciti ad ottenerla. Prodotto e produzione finiscono in
balìa del caso.
Ma il caso è soltanto uno dei poli di un nesso di cui l'altro polo ci chiama
necessità. Nella natura, in cui sembra a sua volta dominare il caso, abbiamo da
lungo tempo indicato, per ogni singolo campo, l'intera necessità e la
regolarità che si affermano in questo caso. Ma ciò che vale per la natura, vale
anche per la società. Quanto più un'attività sociale, una serie dì avvenimenti
sociali assumono una portata troppo vasta per il controllo consapevole degli
uomini e sfuggono ad essi soverchiandoli, quanto più sembra che questi fatti
siano abbandonati al puro caso, tanto più in questo caso si affermano come per
necessità naturale le leggi peculiari e inerenti ad essa. Tali leggi dominano
anche le casualità della produzione e dello scambio delle merci; di fronte
all'individuo che produce e a quello che scambia, esse stanno come potenze
estranee, da principio perfino sconosciute, e la cui natura deve prima essere
faticosamente indagata e approfondita. Queste leggi economiche della produzione
delle merci si modificano nei diversi stadi di sviluppo di questa forma di
produzione; ma, nel complesso, l'intero periodo della civiltà sta sotto il loro
dominio. E, ancora oggi, il prodotto domina i produttori; ancora oggi la
produzione complessiva della società viene regolata non da un piano elaborato
in comune, ma da leggi cieche che si affermano con forza elementare e in ultima
istanza nelle tempeste delle periodiche crisi commerciali.
Abbiamo visto sopra che, in uno stadio di sviluppo della produzione piuttosto
antico, la forza lavoro umana viene resa capace di generare un prodotto
considerevolmente maggiore di quanto è necessario per il mantenimento dei
produttori e abbiamo anche visto come questo stadio di sviluppo, per
l'essenziale, sia quello stesso nel quale sono nate la divisione del lavoro e
lo scambio tra individui. Non passò molto tempo che fu scoperta la grande
«verità» che anche l'uomo può essere una merce; che l'energia umana è
scambiabile e utilizzabile trasformando l'uomo in uno schiavo. Gli uomini
avevano appena cominciato ad esercitare lo scambio, che divennero già essi
stessi oggetto di scambio. L'attivo si mutò in passivo, sia che gli uomini lo
volessero o meno.
Con la schiavitù, che raggiunse nell'epoca della civiltà il suo sviluppo più
pieno, si presentò la prima grande scissione della società in una classe
sfruttatrice e una sfruttata. Questa scissione è perdurata per tutto il periodo
della civiltà. La schiavitù è la prima forma dello sfruttamento, peculiare al
mondo antico; segue ad essa la servitù della gleba del Medioevo e il lavoro
salariato dei tempi moderni. Sono queste le tre grandi forme del servaggio
caratteristiche delle tre grandi epoche della civiltà; la schiavitù, prima
aperta poi mascherata, le accompagna sempre.
Lo stadio della produzione delle merci con cui comincia la civiltà, viene, in
termini economici, indicato dall'introduzione 1) del danaro metallico e con
esso del capitale monetario, dell'interesse e dell'usura; 2) della classe dei
commercianti come classe intermediaria tra i produttori; 3) della proprietà
fondiaria privata e dell'ipoteca; 4) del lavoro degli schiavi come forma di
produzione dominante. La forma di famiglia che corrisponde alla civiltà e che
con essa arriva a dominare definitivamente è la monogamia, il dominio dell'uomo
sulla donna e la famiglia singola come unità economica della società. La
società civilizzata. si riassume nello Stato che, in tutti i periodi tipici, è
senza eccezione Io Stato della classe dominante ed in ogni caso rimane
essenzialmente una macchina per tenere sottomessa la classe oppressa e
sfruttata. Caratteristico della civiltà è anche: da una parte la
stabilizzazione dell'antagonismo tra città e campagna come base dell'intera
divisione sociale del lavoro, dall'altra l'introduzione del testamento col
quale il proprietario può disporre della sua proprietà anche dopo la sua morte.
Questa istituzione, che colpisce in pieno l'antica costituzione gentilizia, era
sconosciuta ad Atene fino ai tempi di Solone; a Roma fu introdotta presto, ma
non sappiamo quando (11); tra i Tedeschi la introdussero i
preti perché il buon Tedesco potesse lasciare liberamente alla Chiesa la sua
eredità.
Con questa costituzione fondamentale la civiltà ha compiuto cose che l'antica
società gentilizia non era per nulla in grado di compiere, ma le ha compiute
mettendo in moto, e sviluppando a spese di tutte le altre loro disposizioni, le
passioni e gli istinti più sordidi degli uomini. La cupidigia mera e cruda fu
lo spirito motore della civiltà dal suo primo giorno ad oggi; ricchezza, e
sempre ricchezza, poi ancora ricchezza, ma ricchezza non della società, bensì
di questo singolo miserabile individuo, fu l'unico fine che decidesse. Se
tuttavia il progressivo sviluppo della scienza e, in ripetuti periodi, il più
bel fiore dell'arte le son caduti in grembo, ciò è accaduto perché senza arte e
scienza la conquista perfetta della ricchezza, ai nostri tempi, non sarebbe
stata possibile.
Poiché la base della civiltà è lo sfruttamento di una classe da parte di un'altra,
l'intero sviluppo della civiltà si muove in una contraddizione permanente. Ogni
progresso della produzione è contemporaneamente un regresso della situazione
della classe oppressa, cioè della grande maggioranza. Ogni beneficio per gli
uni è necessariamente un danno per gli altri, ogni emancipazione di una classe
è una nuova oppressione per un'altra classe. Ci offre la prova più evidente di
ciò l'introduzione delle macchine, i cui effetti sono oggi noti in tutto il
mondo. E se tra i barbari, come abbiamo visto, la differenza tra diritti e
doveri quasi non esisteva, la civiltà rende chiari la differenza e
l'antagonismo tra gli uni e gli altri anche al cervello più stupido, assegnando
ad una classe quasi tutti i diritti e all'altra quasi tutti i doveri.
Ma ciò non deve essere. Quello che è bene per la classe dominante deve esserlo
per tutta quanta la società con la quale la classe dominante s'identifica.
Quanto dunque, la civiltà progredisce, tanto più essa deve coprire col manto
della carità i danni che essa stessa, di necessità, ha generato; deve
abbellirli o negarli, in breve deve introdurre un'ipocrisia convenzionale che
era sconosciuta sia alle precedenti forme di società che ai primi stadi della
civiltà, e che culmina nell'asserzione che lo sfruttamento della classe
oppressa viene esercitato dalla classe sfruttatrice unicamente e solamente
nell'interesse della stessa classe sfruttata, e se questa non gliene dà atto e
perfino si ribella, è questa la più vile ingratitudine verso i benefattori, gli
sfruttatori (12).
Ed ora per concludere, ecco il giudizio di Morgan sulla civiltà:
Dall'inizio della civiltà l'aumento della ricchezza è divenuto così enorme, le
sue forme sono diventate cosi svariate, la sua applicazione così estesa, la sua
amministrazione così abile nell'interesse dei proprietari, che questa
ricchezza, nei confronti del popolo, è divenuta una potenza incontrollabile.
Lo spirito umano rimane perplesso e interdetto davanti alla sua stessa
creazione. Ma tuttavia verrà il tempo in cui la ragione umana si rafforzerà
fino a dominare la ricchezza, in cui stabilirà saldamente sia il rapporto dello
Stato verso la proprietà che lo Stato protegge, sia i limiti dei diritti dei
proprietari. Gli interessi della società precedono assolutamente gli interessi
individuali, e gli uni e gli altri devono essere portati a un rapporto giusto
ed armonico. La semplice caccia alla ricchezza non è la meta finale
dell'umanità, se il progresso rimane la legge del futuro come lo è stata del
passato. Il tempo trascorso dall'inizio della civiltà è solo una piccola
frazione dell'esistenza passata dell'umanità, solo una piccola frazione delle
epoche ancor da venire. La dissoluzione della società si drizza minacciosa
dinanzi a noi come conclusione di un corso storico il cui unico scopo finale è
la proprietà, poiché un simile corso contiene sé gli elementi della propria
distruzione. Democrazia nel governo, fraternità nella società, eguaglianza dei
diritti e privilegi, istruzione per tutti, consacreranno il prossimo stadio
superiore della società a cui tendono costantemente esperienza, scienza e
ragione. Sarà una resurrezione, in una forma più elevata, della libertà,
dell'eguaglianza e della fraternità delle antiche gentes (Morgan, Ancient
Society, p. 562).
Note:
1) Specialmente sulla costa nord-ovest dell'America, cfr.
Bancroft. Tra gli Haidah delle isole Regina Carlotta vi sono comunità
domestiche che comprendono fino a 700 persone sotto uno stesso tetto. Tra i
Nootca intere tribù vivevano sotto lo stesso tetto [Nota di Engels].
2) Gli abitanti dei territori che formano il Turkestan; nel
secolo scorso si chiamavano complessivamente Turani i popoli che parlavano
lingue uralo-altaiche (turco, mongolico ecc.).
3) Nella prima edizione: «in proprietà privata».
4) Come è noto, la patata è originaria dell'America meridionale
e in Europa è diventata oggetto di coltivazione sistematica a partire dal XVIII
secolo.
5) La battaglia in cui i Normanni con Guglielmo il
Conquistatore (1027-1087) sconfissero gli Anglosassoni e si assicurarono la
conquista dell'Inghilterra.
6) «L'hai voluto, Georges Dandin» Dalla commedia di Moliére, Georges
Dandin, atto I, scena 9.
7) Per il loro numero ad Atene cfr. sopra. A Corinto ai tempi
del massimo splendore ammontavano a 460.000; in Egina a 470.000. In entrambi i
casi erano il decuplo della popolazione di cittadini liberi [Nota di Engels].
8) ll primo storico che ha avuto per lo meno un'idea
approssimativa della natura della gens fu il Niebuhr e ciò, compresi però anche
gli errori che senz'altro vi ha trasportati, egli lo deve alla sua familiarità
con le stirpi del Dithmarschen [Nota di Engels].
Il Dithmarschen, una regione nella parte sud-occidentale dello
Schleswig-Holstein, si conquistò progressivamente l'autonomia nel XII secolo e
rimase di fatto indipendente fino al 1559, quando fu spartito fra il regno di
Danimarca e il ducato di Holstein. Durante l'indipendenza vi si svilupparono
comunità contadine autonome, che in parte conservarono le loro prerogative
anche dopo la conquista e fino alla seconda metà del secolo XIX.
9) Georg Wilhei.M
Friedrich Hegel. (1770-1831), Grundlinien der Philosophie des Rechts
(Lineamenti di filosofia del diritto), paragrafi 257 e 360
10) Gerson Von Bleichröder (1822-1893), grande banchiere di
Berlino e banchiere personale di Bismarck.
11) Il System der erworbenen Rechte [Sistema dei diritti
acquisiti, Lipsia. 1861] di Lassalle, ha nella sua seconda parte come
principale caposaldo il principio che il testamento romano è antico quanto
Roma, che nella storia romana non c'è stato mai un periodo senza testamento
e che il testamento invece è nato nell'epoca preromana dal culto dei morti.
Lassalle, da fedele vecchio hegeliano, fa derivare le disposizioni del diritto
romano non dalle condizioni sociali dei Romani, ma dal «concetto speculativo»
della volontà e giunge in tal modo a tale asserzione totalmente contraria alla
storia. Non ci si può meravigliare di ciò, in un libro che, in base allo stesso
concetto speculativo, giunge al risultato che nell'eredità romana il
trasferimento del patrimonio sia stato un puro accessorio. Lassalle non solo
presta fede alle illusioni dei giuristi romani, specie dei primi tempi, ma
anche li supera [Nota di Engels].
12) Mi proponevo inizialmente di porre la brillante critica
della civiltà, che si trova qua e là nelle opere di Charles Fourier, accanto a
quella di Morgan e alla mia. Purtroppo me ne manca il tempo. Osservo qui, solo,
che già in Fourier monogamia e proprietà fondiaria sono considerate le
caratteristiche principali della civiltà e che egli chiama la civiltà una
guerra tra i ricchi e i poveri. E allo stesso modo, si trova già nei suoi
scritti la profonda comprensione che in tutte le società difettose, divise da
antagonismi. le famiglie singole (les familles, incohérentes) sono le
unità economiche [Nota di Engels].