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Friedrich Engels, La guerra dei contadini in Germania, Edizioni Rinascita, Roma, 1949 - Traduzione di Giovanni De Caria
Friedrich Engels: La guerra dei contadini in Germania – [Indice]
Capitolo III
Circa cinquant’anni dopo la repressione dei movimento hussita apparvero i primi sintomi dello spirito rivoluzionario che andava germogliando tra i contadini tedeschi.
Nel vescovato di Würzburg, regione già precedentemente impoverita dalla guerra degli hussiti, dal cattivo governo, dalle molteplici imposte, dai tanti balzelli, dalla discordia, dalla guerra, dagli incendi, dalle stragi, dagli imprigionamenti e simili, e continuamente sfruttata in modo vergognoso da vescovi, preti e nobili, sorse nel 1476 la prima cospirazione di contadini. Un giovane pastore e musicista, Giovanni Böheim di Niklashausen, detto anche il Timpanista o Giannetto dal Piffero, fece improvvisamente la sua comparsa a Taubergrund in veste di profeta. Egli raccontava che gli era apparsa la vergine Maria e gli aveva ordinato di bruciare il suo timpano, di non adoperarsi più per i balli e per gli altri piaceri colpevoli, e di chiamare il popolo alla penitenza. E perciò tutti dovevano allontanarsi dai propri peccati e dalle vane gioie di questo mondo, rinunziare a tutte le pompe e gli ornamenti e recarsi in pellegrinaggio alla madre di Dio di Niklashausen, per implorare il perdono dei propri peccati.
Già qui, in questo primo precursore del movimento, troviamo quell’ascetismo che incontriamo, con colorazione religiosa in tutte le insurrezioni medievali e, nell’età moderna, negli inizi di ogni movimento proletario. Questa ascetica rigidità di costumi, questa esigenza dell’abbandono di ogni godimento e di ogni piacere della vita, da una parte mette di fronte alle classi dominanti il principio della spartana eguaglianza e, dall’altra, rappresenta un grado intermedio necessario, senza il quale mai lo strato inferiore della società si potrebbe mettere in movimento. Infatti, per sviluppare la propria energia rivoluzionaria, per chiarire a se stesso la propria posizione di ostilità di fronte a tutti gli altri elementi della società, per concentrarsi come classe, esso deve cominciare a rigettare lontano da sé tutto ciò che possa riconciliarlo con l’ordinamento sociale vigente, e rinunciare a tutti quei piccoli piaceri che, sia pure momentaneamente, gli rendono sopportabile la sua vita di oppressione e che non possono essergli strappati neppure dalla più dura oppressione. Questo ascetismo plebeo e proletario si distingue radicalmente sia per la sua forma fieramente fanatica che per il suo contenuto, dall’ascetismo borghese quale è predicato dalla borghese morale luterana e dai puritani inglesi (in modo diversissimo degli indipendenti e delle sette più avanzate) il cui segreto consiste nello spirito borghese di risparmio. Del resto si intende che questo ascetismo plebeo-proletario perde il suo carattere rivoluzionario nella misura in cui, da una parte, lo sviluppo delle moderne forze produttive aumenta all’infinito gli oggetti di cui si può fruire e rende perciò superflua l’eguaglianza spartana e, dall’altra, la posizione del proletariato e, con ciò, il proletariato stesso diventa sempre più rivoluzionario. Questo ascetismo scompare allora man mano dalla massa e si rifugia tra i settari che si ostinano a praticarlo, o direttamente, nella forma dalla tirchieria borghese, o indirettamente, nella forma di un moralismo pomposo, che in pratica si riduce di nuovo ad una spilorceria piccolo-borghese o artigianesca. La massa del proletariato ha tanto poco bisogno che le si predichi la rinunzia, in quanto non ha quasi niente a cui ancora possa rinunziare.
La predicazione di penitenza di Giannetto dal Piffero ebbe grande risonanza. Tutti i profeti dell’insurrezione sono sempre partiti da qui, e infatti solo uno sforzo violento, solo una improvvisa rinunzia a tutto quanto l’abituale tenore della sua vita, poteva mettere in movimento questa stirpe di contadini, sparpagliata, disseminata, cresciuta nella più cieca sottomissione. I pellegrinaggi a Niklashausen ebbero inizio e subito si propagarono e quanto più in massa il popolo vi affluiva, tanto più apertamente il giovane ribelle manifestava il suo piano. La Madre di Dio di Niklashausen gli aveva rivelato — egli predicava — che da ora in avanti non ci dovevano essere né imperatori, né principi, né papa, e neppure autorità ecclesiastica o laica: ognuno doveva essere fratello dell’altro, guadagnarsi il pane col lavoro delle sue mani e nessuno doveva possedere più degli altri. Tutti i censi, le tasse, le gabelle, le imposte e gli altri tributi e prestazioni dovevano essere abolite in perpetuo, e boschi, acque e pascoli dappertutto dovevano essere liberi.
Il popolo accolse con gioia questo nuovo evangelo. Rapidamente la fama del profeta «del messaggio di Nostra Signora» si diffuse sino nelle più lontane contrade: dall’Odenwald, dal Meno, dal Kocher, dal Jaxt, dalla Baviera, dalla Svevia e dal Reno grandi folle di pellegrini accorrevano a lui. Si raccontavano i miracoli che avrebbe fatto, si inginocchiavano davanti a lui come davanti a un santo, e lo si venerava come un santo, si dividevano i brandelli della sua cappa come se fossero reliquie o amuleti. Invano i preti intervennero contro di lui, presentarono le sue visioni come inganni diabolici, i suoi miracoli come trufferie infernali. La massa dei suoi fedeli crebbe spaventosamente, la setta rivoluzionaria si organizzò, le prediche domenicali del pastore ribelle richiamarono a Niklashausen raccolte di 40.000 persone e oltre.
Per vari mesi Giannetto predicò alle masse; ma non aveva l’intenzione di fermarsi alla predicazione, e si teneva in segreto contatto col parroco di Niklashausen e con due cavalieri, Kunz di Thunfeld e suo figlio che seguivano la nuova dottrina, che dovevano esser i capi militari della progettata insurrezione. Finalmente, la domenica prima di San Ciliano, la sua forza gli sembrò sufficiente e diede il segnale. «E ora» egli disse a conclusione della sua predica, «andate e ponderate che cosa vi ha annunziato la santissima Madre di Dio. Sabato prossimo lasciate a casa le donne, i fanciulli e i vecchi e ritornate a Niklashausen, voi uomini, il giorno di Santa Margherita, che è sabato prossimo. E portate con voi fratelli ed amici quanti più potete. Ma non venite col vostro bastone di pellegrini. Venite armati. In una mano il cero, nell’altra la spada o la picca o l’alabarda. E la santa vergine vi annunzierà che cosa vuole che voi facciate».
Ma prima che i contadini arrivassero in massa, i cavalieri del vescovo avevano, nottetempo, rapito il profeta dell’insurrezione e lo avevano rinchiuso nel castello di Würzburg. Il giorno stabilito convennero circa 34.000 contadini armati, ma questa notizia ebbe su loro un effetto demoralizzante. La maggior parte si disperse; quelli che più erano legati a lui raggrupparono circa 16.000 uomini e, sotto la guida di Kunz di Thunfeld e di suo figlio Michele, mossero al castello. Il vescovo, con promesse, li persuase a ritirarsi, ma avevano appena cominciato a disperdersi, quando furono attaccati dai cavalieri del vescovo e parecchi furono fatti prigionieri. Due di essi furono decapitati e Giannetto dal Piffero fu bruciato vivo. Kunz di Thunfeld fuggì e non poté rientrare che con la rinunzia a tutti i suoi beni a favore del vescovado. I pellegrinaggi a Niklashausen durarono ancora per qualche tempo, ma poi furono interdetti.
Dopo questo primo tentativo, la Germania rimase tranquilla per lungo tempo. Solo dopo il 1490 cominciarono nuove insurrezioni e congiure dei contadini.
Tralasciamo la rivolta dei contadini olandesi del 1491 e 1492, che fu repressa dal duca Alberto di Sassonia nella battaglia di Heemskerk, la sollevazione dei contadini dell’abbazia di Kempten avvenuta nello stesso anno e la rivolta avvenuta nella Frisia nel 1497 sotto la guida di Syaard Aylva e repressa anch’essa dal duca Alberto di Sassonia. Queste sollevazioni da una parte sono troppo lontane dal teatro della guerra dei contadini vera e propria, dall’altra sono lotte di contadini sino allora liberi contro il tentativo di sottometterli al feudalesimo. E passiamo subito alle due grandi congiure che la guerra dei contadini preparò: quella del Bundschuh e quella del Povero Corrado.
La medesima carestia che aveva provocato la sollevazione dei contadini nei Paesi Bassi fece sorgere in Alsazia, nel 1493, una lega segreta di contadini e di plebei cui aderirono anche elementi appartenenti alla semplice opposizione borghese con la quale simpatizzò anche una parte della piccola nobiltà. Le sedi della lega erano nelle regioni di Schlettstadt, di Sulz, di Dambach, di Rossheim, di Scherweiler ecc. I cospiratori domandavano la spoliazione e lo sterminio degli ebrei, i cui usurai, allora come ora, spogliavano i contadini alsaziani; la proclamazione di un anno giubilare nel quale tutti i debiti dovessero cadere in prescrizione; la soppressione delle dogane e degli altri carichi fiscali; l’abolizione del foro ecclesiastico e di Rottweil (imperiale); il diritto di votare le imposte; la riduzione delle prebende dei preti a non più di 50 o 60 fiorini; l’abolizione della confessione auricolare e il diritto per ogni comunità ad un proprio tribunale elettivo. Il piano dei cospiratori era, non appena fossero abbastanza forti, di irrompere nella cittadella di Schlettstadt, di confiscare le casse conventuali e cittadine, e da qui fare insorgere tutta l’Alsazia. Il vessillo della lega che doveva essere spiegato nel momento dell’insurrezione, recava una scarpa da contadino con delle lunghe stringhe, il cosiddetto Bundschuh che da allora diede il nome e il simbolo alle cospirazioni dei contadini nei 20 anni che seguirono.
I congiurati erano soliti riunirsi di notte sul solitario monte Hungerberg. L’ammissione nella lega avveniva con un cerimoniale misteriosissimo e con terribili minacce di castighi contro i traditori. Ma tuttavia la cosa si riseppe e proprio quando doveva essere condotto l’attacco contro Schlettstadt nella settimana santa del 1493. Le autorità intervennero prontamente, molti cospiratori furono catturati e torturati, e, in parte, furono squartati o decapitati, in parte mutilati delle dita o delle mani e banditi dal paese. Un gran numero fuggì in Svizzera.
Ma il Bundschuh non fu affatto annientato da questi primi colpi. Al contrario, continuò ad esistere clandestinamente, e i molti che, dispersi, si rifugiarono in Svizzera e nella Germania meridionale divennero altrettanti emissari, che incontrando dappertutto la medesima oppressione e la medesima propensione alla rivolta, diffusero la lega in tutto il territorio dell’odierno Baden. La tenacia e la fermezza con cui i contadini della Germania meridionale dal 1493 cospirarono per trent’anni, con cui superarono tutti gli ostacoli che la loro maniera di vivere sparpagliati per la campagna frapponeva ad una grande unione centralizzata e, dopo innumerevoli colpi, sconfitte, supplizi di capi, ritornarono ancora a cospirare, sino a che alla fine si presentò l’occasione per una sollevazione in massa; tutto questo è degno della più grande ammirazione.
Nel 1502, nel vescovato di Spira, che allora abbracciava anche il territorio di Bruchsal, apparvero i primi segni di un movimento clandestino tra i contadini. Il Bundschuh si era qui riorganizzato efficientemente e con grande successo. Circa 7.000 uomini facevano parte della lega il cui centro era a Untergrombach tra Bruchsal e Weingarten, e le cui ramificazioni si estendevano a sud del Reno sino al Meno e a nord del Reno sino al margraviato di Baden. Ecco il contenuto dei suoi articoli: non devono più essere pagati balzelli, decime, imposte o dogane, né ai principi, né alla nobiltà, né ai preti. La servitù della gleba deve essere abolita. I beni conventuali e gli altri beni ecclesiastici devono essere incamerati e distribuiti al popolo. Non può più essere riconosciuta altra sovranità all’infuori di quella dell’imperatore.
Qui per la prima volta troviamo espresse dai contadini le due esigenze, della secolarizzazione dei beni ecclesiastici a vantaggio del popolo e dell’unità e indivisibilità della monarchia tedesca. Queste due esigenze da questo momento si presenteranno regolarmente nella frazione più avanzata dei contadini e dei plebei, sino a che Tommaso Münzer convertirà la divisione dei beni ecclesiastici nella loro confisca a vantaggio della proprietà comune dei beni e l’impero uno e indivisibile nella repubblica.
Il rinnovato Bundschuh ebbe, come il vecchio, il suo luogo clandestino di riunione, il suo giuramento di segretezza, le sue cerimonie di iniziazione, e la sua bandiera con la scritta: «Nient’altro che la giustizia di Dio». Il piano di azione era simile a quello alsaziano: doveva farsi irruzione a Bruchsal, dove la maggioranza degli abitanti era nella lega, organizzarvi un esercito della lega, ed inviarlo, come centro mobile di raccolta, nei principati circostanti.
Il piano fu svelato da un ecclesiastico al quale lo aveva confessato un congiurato. Subito i governi presero le contromisure. Quanto fossero estese le ramificazioni della lega, si vede dal terrore che colpì i vari stati imperiali dell’Alsazia e la lega sveva. Si raccolsero truppe e si fecero degli arresti in massa. L’imperatore Massimiliano, «l’ultimo cavaliere», pubblicò le più sanguinarie ordinanze per la punizione dell’inaudita intraprendenza dei contadini. Qua e là ci furono ammassamenti di bande di contadini e resistenze armate, ma le schiere smembrate dei contadini non tennero a lungo. Alcuni dei cospiratori furono giustiziati, altri fuggirono; ma pure, il segreto fu mantenuto così rigidamente che i più, e perfino il capo, poterono restare completamente indisturbati sia nei loro posti sia nei paesi dei signori vicini.
Dopo questa nuova disfatta le lotte delle classi ebbero un lungo periodo di tregua apparente. Ma sottomano si continuava a lavorare. Già nei primi anni del secolo decimosesto si costituì in aperto collegamento con i membri del Bundschuh che erano stati sbaragliati, il Povero Corrado e nella Selva Nera il Bundschuh continuò ad esistere in piccoli circoli, sino a che, dieci anni dopo, un energico capo dei contadini riuscì a riannodare in una grande cospirazione le singole fila. Entrambe queste cospirazioni vennero alla luce del giorno a breve intervallo l’una dall’altra negli anni 1513-1515, anni agitati, nei quali, contemporaneamente, i contadini svizzeri, ungheresi e sloveni, fecero una serie di notevoli insurrezioni.
Il riorganizzatore del Bundschuh dell’alta Renania fu Joss Fritz di Untergrombach, esule della congiura del 1502, vecchio soldato e carattere eminente da ogni punto di vista. Dopo la sua fuga egli aveva dimorato in varie località, tra il lago di Costanza e la Selva Nera, e finalmente si era stabilito a Lehen, nei pressi di Friburgo in Brisgovia, dove era anche diventato guardia forestale.
Gli atti dell’istruttoria contengono interessanti dettagli sul modo con cui egli riorganizzò i collegamenti e seppe penetrare tra la gente più diversa. Col suo talento diplomatico, con la sua costanza instancabile, questo prototipo di cospiratore riuscì a fare entrare nella lega gente appartenente alle classi più diverse: cavalieri, preti, borghesi, plebei e contadini, e sembra quasi certo che riuscì ad organizzare gradi diversi della cospirazione più o meno nettamente distinti. Tutti gli elementi che potevano essere impiegati furono da lui utilizzati con la maggiore circospezione e la maggiore abilità. Oltre gli emissari sperimentali che percorrevano il paese nei più vari travestimenti, furono impiegati, per missioni di minor conto, i vagabondi e gli accattoni. Joss era in diretto contatto con i re dei mendicanti e, per loro mezzo, aveva tra le mani tutta la numerosa popolazione dei mendicanti. Questi re dei mendicanti ebbero un ruolo importante nella sua congiura. C’erano tra loro figure originalissime: uno andava in giro con una fanciulla e, prendendo a pretesto i piedi piagati, chiedeva l’elemosina. Portava sul cappello più di otto insegne: i quattordici salvatori, S. Ottilia, la Madonna e così via, e aggiungeva a questo una lunga barba rossa e un bastone nodoso con un pugnale e un pungiglione. Un altro, che questuava in nome di S. Valentino, andava vendendo droghe e semi vermifughi, portava un vestito color ferro, un berretto rosso con, attaccatovi, il bambino di Trento, una daga al fianco e molti coltelli, oltre ad un pugnale nella cintura. Altri avevano delle ferite tenute aperte ad arte e, similmente, stravaganti costumi. Ce n’erano almeno dieci. Per il compenso di 2.000 fiorini essi dovevano attizzare il fuoco contemporaneamente in Alsazia, nel margraviato di Baden e nel Breisgau, e, con almeno 2.000 dei loro uomini, nel giorno della sagra di Saverna a Rosen, mettersi sotto il comando di Giorgio Schneider, ex capitano dei lanzichenecchi, e impadronirsi della città. Tra i membri ordinari della lega fu stabilito un servizio di staffette; Joss Fritz e il suo emissario in capo, Stoffel di Friburgo, cavalcavano continuamente da una località ad un’altra e di notte passavano in rivista le nuove reclute. Gli atti dell’istruttoria ci danno testimonianze sufficienti sulla diffusione della lega nell’Alta Renania e nella Selva Nera; essi contengono un numero infinito di nomi di membri della lega delle località più diverse della regione, oltre ai contrassegni di essi.
La maggior parte erano garzoni, e c’erano poi contadini e pastori, alcuni nobili, preti (lo stesso prete di Lehen) e lanzichenecchi licenziati dal servizio. Si vede già da questa composizione il carattere di maggiore ampiezza che il Bundschuh aveva assunto sotto Joss Fritz; l’elemento plebeo della città cominciò a farsi sentire sempre più. Le ramificazioni della congiura si estendevano per tutta l’Alsazia, l’odierno Baden, sino al Württemberg e al Meno.
Di tempo in tempo si tenevano delle assemblee più larghe su montagne fuori di mano, sul Kniebis ecc. e vi si trattavano questioni riguardanti il Bundschuh. I convegni dei capi, ai quali assistevano spesso sia i membri del luogo che i delegati delle località più lontane, avvenivano sulla Hartmatte presso Lehen; e qui furono anche approvati i quattordici articoli della lega. Nessun signore oltre l’imperatore e (secondo alcuni) il papa; soppressione del tribunale imperiale di Rottweil; limitazione della competenza del tribunale ecclesiastico agli affari ecclesiastici; abolizione di tutti gli interessi che siano stati pagati sino alla concorrenza col capitale; tasso di interesse non superiore al 5 %; libertà di caccia, di pesca, di pascolo e di legnatico; limitazione delle prebende dei preti ad una sola; confisca dei beni ecclesiastici e dei preziosi dei conventi a vantaggio della cassa della lega per le spese di guerra; soppressione di tutti i balzelli e le dogane non votate; pace perpetua in tutta la cristianità; energico intervento contro tutti gli avversari della lega; imposta per la lega; occupazione di una cittadella — Friburgo — quale centro della lega; apertura di trattative con l’imperatore non appena si fossero riunite le schiere della lega, e con la Svizzera, nel caso che l’imperatore ricusasse. Questi furono i punti convenuti. Si vede da essi come da una parte le aspirazioni dei contadini e dei plebei prendessero una forma sempre più precisa e consistente e, dall’altra, dovessero farsi delle concessioni, nella stessa misura, ai moderati e ai pavidi.
L’insurrezione doveva aver luogo verso l’autunno del 1513. Mancava solo la bandiera della lega, e per farla dipingere Joss andò a Heilbronn. Essa recava, oltre ad emblemi ed immagini di ogni genere, la scarpa dal legaccio e la scritta: «Signore, sostieni la tua divina giustizia». Ma mentre egli era in viaggio, fu fatto un tentativo prematuro di prendere di sorpresa Friburgo e fu scoperto prima dell’azione. Alcune indiscrezioni della propaganda misero sulle tracce il consiglio di Strasburgo e il margravio del Baden, inoltre il tradimento di due congiurati completò la serie delle rivelazioni. Subito il margravio, il consiglio di Friburgo e il governo imperiale mandarono ad Ensisheim i loro birri e i loro soldati. Un certo numero di membri della lega furono presi, torturati e giustiziati, ma anche questa volta la maggior parte, e segnatamente Joss Fritz, fuggirono. I governi svizzeri perseguirono questa volta i fuggiaschi con maggiore severità e perfino ne giustiziarono molti. Ma essi non poterono, precisamente come i loro vicini, impedire che la massima parte dei fuggiaschi rimanesse nelle vicinanze delle località dove avevano vissuto sino allora e perfino che vi facesse ritorno a poco a poco. Più di tutti infierì il governo alsaziano ad Ensisheim: per suo ordine moltissimi furono decapitati, arrotati e squartati. Joss Fritz si tenne per lo più sulla riva svizzera del Reno, ma si recò spesso nella Selva Nera senza che mai potessero catturano.
Perché questa volta gli svizzeri si unissero ai governi dei loro vicini contro i leghisti, è spiegato dall’insurrezione dei contadini, che l’anno dopo (1514), scoppiò a Berna, Solothurn e Lucerna ed ebbe, come conseguenza, l’epurazione dei governi aristocratici e del patriziato in genere; inoltre, i contadini acquisirono alcuni privilegi. Se queste sollevazioni locali svizzere riuscirono, ciò si dovette semplicemente al fatto che in Svizzera l’accentramento era molto minore che in Germania. Con i loro signori locali i contadini se la sbrigarono da per tutto anche nel 1525, ma soggiacquero alla massa organizzata degli eserciti dei principi, e proprio questa in Svizzera non esisteva.
Contemporaneamente al Bundschuh nel Baden, e evidentemente in collegamento con esso, era sorta nel Württemberg una seconda cospirazione. La sua esistenza è documentata già dal 1503, ma poiché il nome del Bundschuh dopo la dispersione dei congiurati di Untergrombach era diventato pericoloso, essa prese il nome di Povero Corrado. La sua sede centrale era la valle del Rems ai piedi del monte Hohenstaufen. La spietata oppressione del governo di Ulrico e una serie di anni di fame, che potentemente contribuirono allo scoppio delle insurrezioni degli anni 1513-1514, avevano accresciuto il numero degli aderenti alla lega. Le nuove imposte sul vino, la carne e il pane e un’imposta sul capitale di un centesimo all’anno per ogni fiorino provocarono l’esplosione del movimento. Ci si doveva impadronire subito della città di Schorndorf, dove i capi del complotto convenivano in casa del coltellinaio Gasparre Pregizer. L’insurrezione scoppiò nella primavera del 1514. In 3.000, secondo altri in 5.000, i contadini si presentarono davanti alla città, ma furono indotti a ritirarsi dalle lusinghiere promesse degli ufficiali ducali. Il duca Ulrico accorse con ottanta cavalieri, dopo aver promesso la revoca della nuova imposta e, in seguito a questa promessa, trovò tutto tranquillo. Egli promise anche di convocare una dieta per fare esaminare le loro lagnanze. Ma i capi della lega sapevano bene che Ulrico non aveva altro progetto che tenere il popolo tranquillo sino a che avesse radunate a sua disposizione truppe sufficienti per poter mancare alla sua parola e ristabilire con la forza le imposte. Perciò, dalla casa di Gasparre Pregizer, la «cancelleria del Povero Corrado», essi lanciarono il progetto di un congresso della lega che fu popolarizzato da emissari partiti in tutte le direzioni. Il successo della prima sollevazione nella valle del Rems aveva dato incremento dappertutto al movimento tra il popolo; e perciò le lettere e gli emissari trovarono in ogni dove il terreno favorevole e da ogni parte del Württemberg furono mandati delegati al congresso che si tenne ad Untertürkheim il 28 di maggio. Fu stabilito di continuare l’agitazione senza tregua, alla prima occasione iniziare l’agitazione nella valle del Rems, per diffonderla da lì in tutto il paese.
Mentre Bantelhans di Dettingen, vecchio soldato, e Singerhans di Würtingen, ragguardevole contadino, inducevano l’alta Svevia ad aderire alla lega, da tutte le parti scoppiava l’insurrezione.
E’ vero che Singerhans fu assalito e fatto prigioniero, ma le città di Backnang, di Winnenden, di Markgrönningen caddero nelle mani dei contadini uniti ai plebei, e tutta la regione da Weinsberg sino a Blaubeuren e da lì sino ai confini del Baden fu in piena insurrezione. Ulrico dovette cedere. Ma, mentre convocava la dieta per il 25 giugno, scriveva, contemporaneamente, ai principi e alle città libere delle vicinanze per chiedere aiuti contro l’insurrezione che, a suo dire, metteva in pericolo tutti i principi, le autorità e le notabilità dell’impero e «aveva un’aria singolare da Bundschuh».
Frattanto già il 18 giugno si riuniva a Stoccarda la dieta, cioè i deputati delle città e molti delegati dei contadini che chiedevano di sedervi. I prelati non c’erano, i cavalieri non erano stati invitati. L’opposizione cittadina di Stoccarda, e due schiere di contadini che accampavano minacciose nelle vicinanze, a Leonberg e nella valle del Rems, appoggiavano le aspirazioni dei contadini. I loro delegati furono ammessi e fu deciso di destituire e punire i tre odiati consiglieri del duca, Lamparter, Thumb e Lorcher, di aggregare al duca un consiglio composto di quattro cavalieri, quattro borghesi e quattro contadini, di approvare per lui una lista civile e di confiscare a profitto del tesoro dello stato i beni dei conventi e dei capitoli.
A queste decisioni rivoluzionarie il duca Ulrico oppose un colpo di stato. Il 21 di giugno si recò a cavallo, insieme ai suoi cavalieri e ai suoi consiglieri, a Tubinga, dove lo seguirono anche i prelati, ordinò parimenti alla borghesia di seguirlo colà, cosa che essa fece, e lì continuò la dieta senza i contadini. I borghesi tradirono, spinti dal terrorismo militare, i loro alleati, i contadini. L’8 luglio fu concluso l’accordo di Tubinga, il quale imponeva al paese circa un milione di debiti del duca, al duca alcune restrizioni, che egli, del resto, non osservò mai, e pasceva i contadini di poche frasi prolisse generiche e di una legge penale molto positiva contro la sollevazione e le leghe. Di rappresentanza dei contadini nella dieta, naturalmente non si parlò più. Le popolazioni delle campagne gridarono al tradimento, ma poiché il duca, dopo che i suoi debiti furono assunti dagli stati, aveva di nuovo credito, levò subito truppe, e anche i suoi vicini, particolarmente l’elettore del Palatinato, mandarono di rincalzo le loro. Così sin dalla fine di luglio l’accordo di Tubinga fu accettato da tutto il paese e fu prestato il nuovo giuramento di vassallaggio. Solo nella valle del Rems, il Povero Corrado opponeva resistenza. Il duca che vi si recò personalmente, per poco non fu ucciso. I contadini organizzarono un accampamento sul monte Kappel. Ma poiché la cosa andava per le lunghe, la maggior parte degli insorti tornarono a disperdersi a causa della mancanza di mezzi di sussistenza, e il resto se ne tornò a casa in seguito ad un ambiguo accordo concluso con alcuni deputati della dieta. Ulrico, il cui esercito si era frattanto rafforzato con le truppe fornite volontariamente dalle città, le quali, dopo il conseguimento delle loro aspirazioni, si volsero fanaticamente contro i contadini piombò ora nella valle del Rems e ne saccheggiò le città e i villaggi. Mille e seicento contadini furono catturati, di essi sedici furono decapitati sull’istante, e gli altri condannati a gravi pene pecuniarie a favore della cassa di Ulrico. Molti rimasero a lungo in carcere. Contro il pericolo di un rinnovamento della lega, e contro tutte le unioni dei contadini furono emanate delle leggi penali molto severe, e la nobiltà sveva organizzò una lega speciale per la repressione di tutti i tentativi insurrezionali.
I capi del Povero Corrado, fortunatamente, si erano rifugiati in Svizzera, da dove, dopo alcuni anni, la maggior parte fece ritorno a casa alla spicciolata.
Contemporaneamente al movimento del Württemberg apparvero dei sintomi di mene del Bundschuh, in Brisgovia e nel margraviato del Baden. Nel giugno ci fu un tentativo di sollevamento a Buhl, ma fu frustrato subito dal margravio Filippo, e il capo degli insorti, Bastiano Gugel, fu catturata e decapitato a Friburgo.
Nello stesso anno 1514, pure in primavera, in Ungheria scoppiò una guerra di contadini su piano generale. Era stata bandita una crociata contro i turchi e, come al solito, era stata promessa la libertà ai servi della gleba e agli affrancati che si arruolavano. Se ne riunirono circa 60.000 e furono messi sotto il comando dello Székler[1] Giorgio Dòzsa, il quale si era già distinto nella guerra precedente contro i turchi e aveva guadagnato un titolo nobiliare. Ma i cavalieri e i magnati ungheresi vedevano di malocchio questa crociata che minacciava di privarli dei servi che erano loro proprietà. E così inseguirono le schiere dei contadini e riportarono indietro, con la violenza e maltrattandoli, i loro servi. Quando questo fatto si riseppe nell’esercito dei crociati, l’ira dei contadini oppressi esplose. Due dei più zelanti predicatori della crociata, Lorenzo e Barnaba, con i loro discorsi rivoluzionari fomentarono sempre più fortemente nell’esercito l’odio contro la nobiltà. Lo stesso Dòzsa condivise l’odio delle sue truppe contro la nobiltà traditrice. L’esercito crociato divenne un’armata rivoluzionaria e Dòzsa si mise alla testa di questo nuovo movimento.
Con i suoi contadini egli si accampò nella pianura del Ràkos presso Pest. Le ostilità furono aperte con delle contese che sorsero con gente del partito dei nobili nei villaggi circostanti e nei sobborghi di Pest. Ma ben presto si venne a delle scaramucce e si andò a finire ad un vespro siciliano per tutti i nobili che cadevano nelle mani dei contadini e all’incendio dei castelli dei dintorni. La corte minacciò, ma invano. Dopo che sotto le mura della capitale fu compiuto questo primo atto di giustizia popolare sulla nobiltà, Dòzsa passò ad operazioni su più vasta scala. Divise il suo esercito in cinque colonne; due furono mandate sui monti dell’alta Ungheria per provocare un’insurrezione generale e sterminare la nobiltà; la terza, comandata da un borghese di Pest, Szàleresi, rimase nella pianura del Ràkos per tener d’occhio la capitale; la quarta e la quinta furono condotte da Dòzsa e da suo fratello Gregorio contro Szegedin.
Frattanto a Pest si riuniva la nobiltà e chiamava in aiuto il voivoda di Siebenbürgen, Giovanni Zàpolya. La nobiltà, insieme con i borghesi di Budapest, dopo che Szàleresi fu passato al nemico insieme agli elementi borghesi dell’esercito dei contadini, batté e annientò il corpo che era accampato nella pianura del Ràkos. Una certa quantità di prigionieri fu giustiziata con i più orribili supplizi, gli altri furono rispediti a casa mutilati del naso e delle orecchie.
Dòzsa, subita una sconfitta davanti a Szegedin, mosse contro Csanàd e se ne impadronì, dopo aver battuto un esercito di parte nobiliare comandato da Bàtori Istvan e dal vescovo Ksàky ed aver esercitato sui prigionieri di guerra, tra i quali il vescovo e il tesoriere del re, Teleki, delle sanguinose rappresaglie per gli orrori da loro perpetrati sul Ràkos. A Csanàd, Dòzsa proclamò la repubblica, l’abolizione della nobiltà, l’eguaglianza generale e la sovranità del popolo. Quindi marciò su Temesvàr dove si era rinchiuso Bàtori. Ma durante l’assedio della città, che egli condusse per due mesi rafforzato da un nuovo esercito guidato da Antonio Hosszu, le due schiere dell’alta Ungheria vennero battute dalla nobiltà in varie battaglie e Giovanni Zàpolya con l’armata della Transilvania mosse di nuovo contro di lui. I contadini furono assaliti e sgominati da Zàpolya e lo stesso Dòzsa, fatto prigioniero, fu arrostito su un trono rovente e mangiato dai suoi stessi seguaci, che, solo a questa condizione, poterono avere salva la vita. I contadini che erano stati sgominati furono radunati ancora da Lorenzo e Hosszu, ma furono sconfitti di nuovo a tutti quelli che caddero nelle mani dei nemici furono impalati o impiccati. I cadaveri dei contadini pendevano a migliaia dalle forche lungo le strade o alle porte dei villaggi incendiati. Circa 60.000 caddero o furono massacrati. E la nobiltà, nella dieta che seguì, ebbe cura di far sanzionare ancora una volta la servitù della gleba come una legge del paese.
La sollevazione dei contadini nella «Marca Vindica» cioè nella Carinzia, nella Carnia e nella Stiria, che scoppiò in questo stesso periodo, poggiava su una cospirazione del genere di quella del Bundschuh, che, sorta nel 1503, in questa regione spogliata dalla nobiltà e dai funzionari imperiali, saccheggiata dagli attacchi dei turchi e tormentata dalla fame, aveva già al suo attivo una sollevazione. Tanto i contadini sloveni che i contadini tedeschi di questa regione già nel 1513 avevano inalberato la bandiera di guerra degli stara prava (antichi diritti) e, anche se in quell’anno si lasciarono ammansire ancora una volta, e nel 1514, allorché si raccolsero in maggior numero, furono indotti a sciogliersi dalla promessa esplicita dell’imperatore Massimiliano di ristabilire i loro antichi diritti, tanto più violenta, nella primavera del 1515, scoppiò la guerra di rivendicazione di un popolo continuamente ingannato. Come in Ungheria, furono devastati castelli e conventi, e giustiziati e decapitati i nobili fatti prigionieri. Nella Stiria e nella Carinzia il comandante delle truppe imperiali riuscì rapidamente a domare l’insurrezione; in Carnia essa fu repressa solo con l’attacco di Rain (autunno 1516) e con le innumerevoli atrocità austriache che ne seguirono, degne di reggere al confronto con le infamie della nobiltà ungherese.
Si comprende che, dopo una serie di sconfitte così decisive e dopo queste innumerevoli atrocità della nobiltà, in Germania i contadini restassero tranquilli per lunghissimo tempo. Eppure né le congiure, né le insurrezioni locali ebbero termine. Già nel 1516 la maggior parte dei fuggiaschi del Bundschuh e del Povero Corrado ritornarono nella Svevia e nell’alto Reno, e nel 1517, il Bundschuh era già in piena efficienza nella Selva Nera. Joss Fritz in persona, che ancora recava con sé la vecchia bandiera del Bundschuh del 1513 nascosta in seno, percorreva di nuovo la Selva Nera e svolgeva una grande attività. La cospirazione si riorganizzò. Come quattro anni prima, furono di nuovo indette riunioni sul Kniebis. Ma il segreto non fu mantenuto, i governi riseppero la cosa ed intervennero. Molti furono catturati e giustiziati. I membri più attivi e più intelligenti dovettero fuggire, e tra essi anche Joss Fritz, che non fu preso neanche questa volta, ma che sembra sia morto poco dopo in Svizzera perché da ora in avanti non è più nominato.
Friedrich Engels: La guerra dei contadini in Germania – [Indice]