www.resistenze.org - materiali resistenti in linea - iper-classici - 19-01-13 - n. 437

In occasione del 122mo anniversario dalla nascita di Antonio Gramsci (22 gennaio 1891), pubblichiamo un brano tratto da "Guida allo studio del marxismo", Supplementoal n. 3 di "Rinascita", Marzo 1947.
  
  
Note di Gramsci sul modo di studiare il marxismo
 
Di questi quattro estratti dei «Quaderni» di Gramsci che qui pubblichiamo, il primo e il terzo possono sembrare non attuali e non conformi all'indole e agli scopi della nostra «Guida» in quanto prospettano una impostazione dello studio teorico del marxismo che potrebbe interessare soltanto pochissimi specialisti e che, d'altra parte, non troverebbe in Italia la necessaria base organizzativa e i materiali indispensabili (libri, documenti, ecc.). L'obiezione non è infondata, senonché molti dei criteri di ricerca indicati da Gramsci sono validi anche per uno studio contenuto in limiti più modesti e molte delle sue osservazioni possono servire di orientamento per ogni studioso. L'interesse degli spunti offerti dagli altri due estratti non ha bisogno di essere sottolineato.
 
Quistioni di metodo
 
Se si vuole studiare la nascita di una concezione del mondo che dal suo fondatore non è stata mai esposta sistematicamente (e la cui coerenza essenziale è da ricercare non in ogni singolo scritto o serie di scritti ma nell'intero sviluppo del lavoro intellettuale vario in cui gli elementi della concezione sono impliciti) occorre fare preliminarmente un lavoro filologico minuzioso e condotto col massimo scrupolo di esattezza, di onestà scientifica, di lealtà intellettuale, di assenza di ogni preconcetto ed apriorismo o partito preso. Occorre prima di tutto ricostruire il processo di sviluppo intellettuale del pensatore dato per identificare gli elementi divenuti stabili e «permanenti», cioè che sono stati assunti come pensiero proprio, diverso e superiore al «materiale» precedentemente studiato e che ha servito di stimolo; solo questi elementi sono momenti essenziali del processo di sviluppo. Questa selezione può essere fatta per periodi più o meno lunghi, come risulta dall'intrinseco e non da notizie esterne (che pure possono essere utilizzate) e dà luogo a una serie di «scarti», cioè di dottrine e teorie parziali per le quali quel pensatore può aver avuto, in certi momenti, una simpatia, fino ad averle accettate provvisoriamente ed essersene servito per il suo lavoro critico o di creazione storica e scientifica.
 
E' osservazione comune di ogni studioso, come esperienza personale, che ogni nuova teoria studiata con «eroico furore» (cioè quando non si studia per mera curiosità esteriore ma per un profondo interesse) per un certo tempo, specialmente se si è giovani, attira di per se stessa, si impadronisce di tutta la personalità e viene limitata dalla teoria successivamente studiata finché non si stabilisce un equilibrio critico e si studia con profondità senza però arrendersi subito al fascino del sistema e dell'autore studiato. Questa serie di osservazioni valgono tanto più quanto più il pensatore dato è piuttosto irruento, di carattere polemico e manca dello spirito di sistema, quando si tratta di una personalità nella quale l'attività teorica e quella pratica sono indissolubilmente intrecciate, di un intelletto in continua creazione e in perpetuo movimento, che sente vigorosamente l'autocritica nel modo più spietato e conseguente.
 
Date queste premesse, il lavoro deve seguire queste linee: 1° la ricostruzione della biografia non solo per ciò che riguarda l'attività pratica ma specialmente per l'attività intellettuale; 2° il registro di tutte le opere, anche le più trascurabili, in ordine cronologico, divise secondo motivi intrinseci, di formazione intellettuale, di maturità, di possesso e applicazione del nuovo modo di pensare e di concepire la vita e il mondo. La ricerca del leit-motiv, del ritorno del pensiero in isviluppo, deve essere più importante delle singole affermazioni e degli aforismi staccati. Questo lavoro preliminare rende possibile ogni ulteriore ricerca. Tra leopere del pensatore dato, inoltre, occorre distinguere tra quelle che egli ha condotto a termine e pubblicate e quelle rimaste inedite, perché non compiute, e pubblicate da qualche amico o discepolo, non senza revisione, rifacimenti, tagli, ecc., ossia non senza un intervento attivo dell'editore. E' evidente che il contenuto di queste opere postume deve essere assunto con molta discrezione e cautela, perché non può essere definitivo, ma solo materiale ancora in elaborazione, ancora provvisorio; non può escludersi che queste opere, specialmente se da lungo tempo in elaborazione e che l'autore non si decideva mai a compiere, in tutto o in parte fossero ripudiate dall'autore e non ritenute soddisfacenti.
 
Nel caso specifico di Marx l'opera letteraria può essere distinta in queste sezioni: 1° lavori pubblicati sotto la responsabilità diretta dell'autore: tra questi devono essere considerati, in linea generale, non solo quelli materialmente dati alle stampe, ma quelli «pubblicati» o messi in circolazione in qualsiasi modo dall'autore, come le lettere, le circolari, ecc. (un esempio tipico sono le Glosse al programma di Gotha e l'epistolario); 2° le opere non stampate sotto la responsabilità diretta dell'autore, ma da altri, postume; intanto di queste sarebbe bene avere il testo diplomatico, ciò che è già in via di essere fatto, o per lo meno una minuziosa descrizione del testo originale fatta con criteri scientifici.
 
L'una e l'altra sezione dovrebbero essere ricostruite per periodi cronologico-critici, in modo da poter stabilire confronti validi e non puramente meccanici ed arbitrari.
 
Dovrebbe essere minutamente studiato e analizzato il lavoro di elaborazione compiuto dall'autore sul materiale delle opere poi da lui stesso stampate: questo studio darebbe per lo meno degli indizi e dei criteri per valutare criticamente l'attendibilità delle redazioni compilate da altri delle opere postume. Quanto più il materiale preparatorio delle opere edite dall'autore si allontana dal testo definitivo redatto dallo stesso autore, e tanto meno è attendibile la redazione di altro scrittore di un materiale dello stesso tipo. Un'opera non può mai essere identificata col materiale bruto raccolto per la sua compilazione: la scelta definitiva, la disposizione degli elementi componenti, il peso maggiore e minore dato a questo o a quello degli elementi raccolti nel periodo preparatorio, sono appunto ciò che costituisce l'opera effettiva.
 
Anche lo studio dell'epistolario deve essere fatto con certe cautele: un'affermazione recisa fatta in una lettera non sarebbe forse ripetuta in un libro. La vivacità stilistica delle lettere, se spesso è artisticamente più efficace dello stile più misurato e ponderato di unlibro, talvolta porta a deficienza di argomentazione: nelle lettere, come nei discorsi, come nelle conversazioni, si verificano più spesso errori logici; la rapidità maggiore del pensiero è spesso a scapito della sua solidità.
 
Solo in seconda linea, nello studio di unpensiero originale e innovatore, viene il contributo di altre persone alla sua documentazione. Così, almeno in linea di principio, come metodo, deve essere impostata la quistione dei rapporti di omogeneità tra i due fondatori della filosofia della praxis. L'affermazione dell'uno e dell'altro sull'accordo reciproco vale solo per l'argomento dato. Anche il fatto che uno ha scritto qualche capitolo per un libro scritto dall'altro, non è una ragione perentoria perché tutto il libro sia considerato come risultato di un perfetto accordo. Non bisogna sottovalutare il contributo di Engels, ma non bisogna neanche identificare Engels eMarx, né bisogna pensare che tutto ciò che il primo ha attribuito al secondo sia assolutamente autentico e senza infiltrazioni. E' certo che Engels ha dato la prova di un disinteresse e di una assenza di vanità personale unici nella storia della letteratura, ma non di ciò si tratta, né di porre in dubbio l'assoluta onestà scientifica di Engels. Si tratta che Engels non è Marx e che se si vuole conoscere Marx occorre cercarlo specialmente nelle sue opere autentiche, pubblicate sotto la sua diretta responsabilità. Da queste osservazioni conseguono parecchie avvertenze di metodo e alcune indicazioni per ricerche collaterali. Per esempio che valore ha il libro di Rodolfo Mondolfo sul «Materialismo storico di Federico Engels» edito dal Formiggini nel 1912? Il Sorel (in una lettera al Croce) pone in dubbio che si possa studiare un argomento di tal fatta, data la scarsa capacita di pensiero originale dell'Engels, e spesso ripete che bisogna non confondere tra i due fondatori della filosofia della praxis. A parte la quistione posta dal Sorel, pare che per il fatto stesso che si suppone una scarsa capacita teoretica in Engels (per lo meno una sua posizione subalterna rispetto a Marx) sia indispensabile ricercare a chi spetti il pensiero originale, ecc. In realtà una ricerca sistematica di questo genere (eccetto il libro del Mondolfo) nel mondo della cultura non è mai stata fatta, anzi le esposizioni di Engels, alcune relativamente sistematiche, sono ormai assunte in primo piano, come fonte autentica e anzi sola fonte autentica.
 
Le parti costitutive della filosofia della praxis
 
Una concezione molto diffusa è che la filosofia della praxis è una pura filosofia, la scienza della dialettica, e che le altre parti sono l'economia e la politica, per cui si dice che la dottrina è formata di tre parti costitutive, che sono nello stesso tempo il coronamento e il superamento del grado più alto che verso il ‘48 aveva raggiunto la scienza delle nazioni più progredite d'Europa: la filosofia classica tedesca, l'economia classica inglese e fattività e scienza politica francese. Questa concezione che è più una generica ricerca delle fonti storiche che non una classificazione che nasca dall'intimo della dottrina, non può contrapporsi come schema definitivo, a ogni altra organizzazione della dottrina che sia più aderente alla realtà. Si domanderà se la filosofia della praxis non sia appunto specificatamente una teoria della storia e si risponde che ciò è vero, ma perciò dalla storia non possono staccarsi la politica e l'economia, anche nelle fasi specializzate, di scienza e arte della politica e di scienza e politica economica. Cioè: dopo avere nella parte filosofica generale, - che è la filosofia della praxis vera e propria, la scienza della dialettica o gnoseologia, in cui i concetti generali di storia, di politica, di economia si annodano in unità organica - svolto il compito principale, è utile, in un saggio popolare, dare le nozioni generali di ogni momento o parte costitutiva, anche in quanto scienza indipendente e distinta.
 
Un repertorio della filosofia della praxis
 
Sarebbe utilissimo un inventario critico di tutte le quistioni che sono state sollevate e discusse intorno alla filosofia della praxis, con ampie bibliografie critiche. Il materiale per una simile opera enciclopedica specializzata è talmente esteso, disparato, di diversissimo valore, in tante lingue, che solo un comitato di redazione potrebbe elaborarlo in un tempo non breve. Ma l'utilità che una compilazione di tal genere avrebbe, sarebbe di una imponenza immensa sia nel campo scientifico sia nel campo scolastico e tra i liberi studiosi. Diverrebbe uno strumento di primo ordine per la diffusione degli studi sulla filosofia della praxis, e per il loro consolidamento in disciplina scientifica staccando nettamente due epoche: quella moderna da quella precedente di imparaticci, di pappagallismi e di dilettantismi giornalistici.
 
Per costruire il progetto sarebbe da studiare tutto il materiale dello stesso tipo pubblicato dai cattolici dei vari paesi a proposito della Bibbia, degli Evangeli, della patrologia, della liturgia, dell'apologetica, grosse enciclopedie specializzate di vario valore ma che si pubblicano continuamente e mantengono l'unita ideologica delle centinaia di migliaia di preti e altri dirigenti che formano la impalcatura e la forza della Chiesa Cattolica. (Per la bibliografia della filosofia della praxis in Germania sono de vedere le compilazioni di Ernest Drahn, citate dallo stesso Drahn nell'introduzione ai numeri 6068-6069 della Reklams Universal Bibliotek).
 
2° Occorrerebbe fare per la filosofia della praxis un lavoro come quello che il Bernheim ha fatto per il metodo storico (1 a7).
 
Il libro del Bernheim non è un trattato della filosofia dello storicismo, tuttavia implicitamente le è legato. La cosidetta «sociologia della filosofia della praxis» dovrebbe stare a quella filosofia come il libro del Bernheim sta allo storicismo in generale cioè una esposizione sistematica di canoni pratici di ricerca e di interpretazione per la storia e la politica; una raccolta di criteri immediati, di cautele critiche, ecc., una filologia della storia e della politica, come sono concepite dalla filosofia della praxis. Per alcuni rispetti occorrerebbe fare di alcune tendenze della filosofia della praxis (e, per avventura, le più diffuse per la loro grossolanità) la stessa critica o tipo di critica, che lo storicismo moderno ha fatto del vecchio metodo storico e della vecchia filologia, che avevano portato a forme ingenue di dogmatismo e sostituivano l'interpretazione e la costruzione storica con la descrizione esteriore e l'elencazione delle fonti grezze spesso accumulate disordinatamente ed incoerentemente. La forza maggiore di queste pubblicazioni consisteva in quella specie di misticismo dogmatico che si era venuto creando e popolarizzando e che si esprimeva nell'affermazione non giustificata di essere seguaci del metodo storico e della scienza.
 
I fondatori della filosofia della prassi e l'Italia
 
Una raccolta sistematica di tutti gli scritti (anche dell'epistolario) che riguardano l'Italia o considerano problemi italiani. Ma una raccolta che si limitasse a questa scelta non sarebbe organica e compiuta. Esistono scritti dei due autori che pure non riguardando specificatamente l'Italia, hanno un significato per l'Italia e un significato non generico, s'intende, perché altrimenti tutte le opere dei due scrittori si può dire che riguardino l'Italia. Il piano della raccolta potrebbe essere costruito secondo questi criteri: scritti che specificatamente si riferiscono all'Italia; scritti che riguardano argomenti «specifici» di critica storica e politica, che pur non riferendosi all'Italia hanno attinenza con problemi italiani. Esempi: l'articolo sulla costituzione spagnola del 1812 ha attinenza con l'Italia, per la funzione politica che tale costituzione ha avuto nei movimenti italiani fino al ‘48. Così ha attinenza con l'Italia la critica della Miseria della filosofia contro la falsificazione della dialettica hegeliana fatta dal Proudhon, che ha riflessi in corrispondenti moti intellettuali italiani (Gioberti - lo hegelismo dei moderati - concetto di rivoluzione passiva - dialettica di rivoluzione-restaurazione). Lo stesso si dica dello scritto di Engels sui moti libertari spagnoli del 1873 (dopo l'abdicazione di Amedeo di Savoia), che ha attinenza con l'Italia, ecc.
 
Di questa seconda serie di scritti non bisogna forse fare la raccolta, ma è sufficiente un'esposizione critico-analitica. Forse il piano più organico potrebbe essere quello in tre parti: 1) introduzione storico-critica; 2) scritti sull'Italia; 3) analisi degli scritti attinenti indirettamente all'Italia, cioè che si propongono di risolvere quistioni che sono essenziali anche per l'Italia.
 

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