Tratto da Lenin - Opere scelte - Editori Riuniti, 1976
Trascrizione e conversione in html a cura del CCDP
Lenin
Sulla parola d'ordine degli Stati Uniti d'Europa (1)
Abbiamo scritto nel n. 40 del Sozial-Demokrat
che la Conferenza delle sezioni del nostro partito all'estero (2) aveva deliberato di soprassedere alla questione
della parola d'ordine: "Stati Uniti d'Europa", finché non se ne fosse
discusso sulla stampa il lato economico.
La discussione di tale problema aveva preso, nella nostra conferenza, un
carattere politico unilaterale. In parte, ciò è forse dovuto al fatto che, nel
manifesto del Comitato Centrale, questa parola d'ordine era stata espressamente
formulata come parola d'ordine politica ("la prossima parola d'ordine politica...", è detto nel
manifesto), e non solo si preconizzavano gli Stati Uniti repubblicani d'Europa,
ma si sottolineava specialmente che questa parola d'ordine è assurda e bugiarda
"senza l'abbattimento rivoluzionario delle monarchie tedesca, austriaca e
russa".
Opporsi, entro i limiti
degli apprezzamenti politici di questa parola d'ordine, a tale impostazione
della questione mettendosi, per esempio, dal punto di vista che essa offusca o
indebolisce, ecc. la parola d'ordine della rivoluzione socialista, sarebbe
assolutamente errato. Le trasformazioni politiche con tendenze effettivamente
democratiche e ancor più le rivoluzioni politiche, non possono in nessun caso, mai,
e a nessuna condizione, né offuscare né indebolire la parola d'ordine della
rivoluzione socialista. Al contrario, esse avvicinano sempre più questa
rivoluzione, ne allargano la base, attirano alla lotta socialista nuovi strati
della piccola borghesia e delle masse semiproletarie. D'altra parte, le
rivoluzioni politiche sono inevitabili durante lo sviluppo della rivoluzione
socialista, la quale non deve essere considerata come un atto singolo, bensì
come un periodo di tempestose scosse politiche ed economiche, della più acuta
lotta di classe, di guerra civile, di rivoluzioni e di controrivoluzioni.
Ma se la parola d'ordine degli Stati Uniti repubblicani d'Europa, collegata
all'abbattimento rivoluzionario delle tre monarchie europee più reazionarie,
con la monarchia russa alla testa, è assolutamente inattaccabile come parola
d'ordine politica, rimane pur sempre da risolvere l'importantissima questione
del suo contenuto e significato economico. Dal punto di vista delle condizioni
economiche dell'imperialismo, ossia dell'esportazione del capitale e della
spartizione del mondo da parte delle potenze coloniali "progredite" e
"civili", gli Stati Uniti d'Europa in regime capitalistico sarebbero
o impossibili o reazionari.
Il capitale è divenuto internazionale e monopolistico. Il mondo è diviso fra un
piccolo numero di grandi potenze, vale a dire fra le potenze che sono meglio
riuscite a spogliare e ad asservire su grande scala altre nazioni. Quattro
grandi potenze europee: Inghilterra, Francia, Russia e Germania, con una
popolazione fra i 250 e i 300 milioni d'abitanti e con una superficie di circa
7 milioni di chilometri quadrati, posseggono colonie con circa mezzo miliardo (494,5
milioni) di abitanti e una superficie di 64,6 milioni di chilometri quadrati,
cioè circa la metà del globo terrestre (133 milioni di chilometri quadrati,
senza le regioni polari). Aggiungete a questo i tre Stati asiatici, la Cina, la
Turchia e la Persia, i quali sono ora fatti a pezzi dai briganti che conducono
la guerra "liberatrice", e cioè dal Giappone, dalla Russia,
dall'Inghilterra e dalla Francia. Quei tre Stati asiatici, i quali potrebbero
essere definiti semicolonie (in realtà oggi sono colonie per 9/10), hanno una
popolazione di 360 milioni e una superficie di 14,5 milioni di chilometri
quadrati (cioè circa una volta e mezza la superficie di tutta l'Europa).
Inoltre, l'Inghilterra, la Francia e la Germania hanno investito all'estero non
meno di 70 miliardi di rubli di capitale. Per ricevere un profitto
"legale" da questa bella somma - un profitto di più di 3 miliardi di
rubli all'anno - esistono dei comitati nazionali di milionari, chiamati
governi, provvisti di eserciti e di flotte da guerra, i quali
"installano" nelle colonie e semicolonie i figli ed i fratelli del "signor
miliardo", in qualità di viceré, consoli, ambasciatori, funzionari di ogni
sorta, preti e simili sanguisughe.
Così è organizzata, nel periodo del più alto sviluppo del capitalismo, la
spoliazione di circa un miliardo di uomini da parte di un gruppetto di grandi
potenze. E nessun'altra forma di organizzazione è possibile in regime
capitalistico. Rinunciare alle colonie, alle "sfere di influenza",
all'esportazione di capitali? Pensare questo, significherebbe mettersi al
livello del pretonzolo che ogni domenica predica ai ricchi la grandezza del
cristianesimo e consiglia di fare dono ai poveri...se non di qualche miliardo,
almeno di qualche centinaio di rubli all'anno.
In regime capitalistico, gli Stati Uniti d'Europa equivalgono ad un accordo per
la spartizione delle colonie. Ma in regime capitalistico non è possibile altra
base, altro principio di spartizione che la forza. Il miliardario non può
dividere con altri il "reddito nazionale" di un paese capitalista se
non secondo una determinata proporzione: "secondo il capitale" (e con
un supplemento, affinché il grande capitale riceva più di quel che gli spetta).
Il capitalismo è la proprietà privata dei mezzi di produzione e l'anarchia
della produzione. Predicare una "giusta" divisione del reddito su
tale base è proudhonismo, ignoranza piccolo-borghese, filisteismo. Non si può
dividere se non "secondo la forza". È la forza che cambia nel corso
dello sviluppo economico. Dopo il 1871 la Germania si è rafforzata tre o
quattro volte più dell'Inghilterra e della Francia, e il Giappone dieci volte
più rapidamente della Russia. Per mettere a prova la forza reale di uno Stato
capitalista, non c'è e non può esservi altro mezzo che la guerra. La guerra non
è in contraddizione con le basi della proprietà privata, ma è il risultato
diretto e inevitabile dello sviluppo di queste basi. In regime capitalistico
non è possibile un ritmo uniforme dello sviluppo economico, né delle singole
aziende, né dei singoli Stati. In regime capitalistico non sono possibili altri
mezzi per ristabilire di tanto in tanto l'equilibrio spezzato, all'infuori
della crisi nell'industria e della guerra nella politica.
Certo, fra i capitalisti e fra le potenze sono possibili degli accordi temporanei. In tal senso sono anche
possibili gli Stati Uniti d'Europa, come accordo fra i capitalisti europei... Ma a qual fine? Soltanto
al fine di schiacciare tutti insieme il socialismo in Europa e per conservare
tutti insieme le colonie accaparrate contro
il Giappone e l'America, che sono molto lesi dall'attuale spartizione delle
colonie e che, nell'ultimo cinquantennio, si sono rafforzati con rapidità
incomparabilmente maggiore dell'Europa arretrata, monarchica, la quale
incomincia a putrefarsi per senilità. In confronto agli Stati Uniti d'America,
l'Europa, nel suo insieme, rappresenta la stasi economica. Sulla base economica
attuale, ossia in regime capitalistico, gli Stati Uniti d'Europa
significherebbero l'organizzazione della reazione per frenare lo sviluppo più
rapido dell'America. Il tempo in cui la causa della democrazia e del socialismo
concerneva soltanto l'Europa, è passato senza ritorno.
Gli Stati Uniti del mondo (e non d'Europa) rappresentano la forma statale di
unione e di libertà delle nazioni, che per noi è legata al socialismo, fino a
che la completa vittoria del comunismo non porterà alla sparizione definitiva
di qualsiasi Stato, compresi quelli democratici. La parola d'ordine degli Stati
Uniti del mondo, come parola d'ordine indipendente, non sarebbe forse giusta,
innanzitutto perché essa coincide con il socialismo; in secondo luogo, perché
potrebbe ingenerare l'opinione errata dell'impossibilità della vittoria del
socialismo in un solo paese e una concezione errata dei rapporti di tale paese
con gli altri.
L'ineguaglianza dello sviluppo economico e politico è una legge assoluta del
capitalismo. Ne risulta che è possibile il trionfo del socialismo all'inizio in
alcuni paesi o anche in un solo paese capitalistico, preso separatamente. Il
proletariato vittorioso di questo paese, espropriati i capitalisti e
organizzata nel proprio paese la produzione socialista, si solleverebbe contro il resto del mondo
capitalista, attirando a sé le classi oppresse degli altri paesi, spingendole
ad insorgere contro i capitalisti, intervenendo, in caso di necessità, anche con
la forza armata contro le classi sfruttatrici ed i loro Stati. La forma
politica della società nella quale il proletariato vince abbattendo la
borghesia, sarà la repubblica democratica che centralizzerà sempre più la forza
del proletariato di una nazione, o di più nazioni, per la lotta contro gli
Stati non ancora passati al socialismo. Impossibile è la soppressione delle
classi senza la dittatura della classe oppressa, del proletariato. Impossibile
la libera unione delle nazioni nel socialismo senza una lotta ostinata, più o
meno lunga, fra repubbliche socialiste e Stati arretrati.
Ecco in forza di quali considerazioni, che sono il risultato di ripetuti esami
della questione nella Conferenza delle sezioni all'estero del POSDR e dopo la
conferenza, la redazione dell'Organo centrale è giunta alla conclusione che la
parola d'ordine degli Stati Uniti d'Europa è sbagliata.
Note
1) Pubblicato sul Sozial-Demokrat,
n. 44, 23 agosto 1915.
2) Questa conferenza si svolse a Berna dal 27 febbraio al 4
marzo 1915. Lenin vi intervenne come rappresentante del Comitato centrale e
dell'organo centrale del partito, il Sozial-Demokrat;
vi tenne la relazione sul punto principale all'ordine del giorno: la guerra e i
compiti del partito.