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- materiali resistenti in linea - iper-classici - 02-05-11 - n. 362
da Karl Marx – Friedrich Engels, Opere Complete, vol. 11, pag 369-375, Editori Riuniti, Roma, 1982
Trascrizione a cura del CCDP per l'anniversario della nascita di Marx (05/05/1818
Pauperismo e libero scambio - La crisi commerciale incombente
di Karl Marx (1852)
New-York Daily Tribune, n. 3601, 1° novembre 1852
Londra, venerdì, 15 ottobre 1852
II signor Henley, ministro del commercio, ha spiegato recentemente ai suoi amici agricoltori riuniti in una distilleria a Banburv che il pauperismo è diminuito, ma per motivi che nulla hanno a che fare con il libero scambio; anzi soprattutto a causa della carestia in Manda, della scoperta dell'oro oltre oceano, dell'esodo dall'Irlanda e, di conseguenza, della grande richiesta di navi inglesi, ecc. ecc. Dobbiamo confessare che «la carestia» è un rimedio contro il pauperismo tanto radicale quanto lo è l'arsenico contro i topi.
«Almeno», osserva «The London Economist», «i tories devono riconoscere la prosperità attuale e il suo risultato naturale, lo svuotamento dei ricoveri di mendicità.»
E l'«Economist» (110) continua, cercando di dimostrare a quest'incredulo ministro del commercio che i ricoveri di mendicità si sono vuotati grazie al libero scambio e che, se si permetterà al libero scambio di svilupparsi appieno, i ricoveri di mendicità presumibilmente scompariranno del tutto dal suolo britannico. È un vero peccato che le statistiche dell'«Economist» non provino quello che vorrebbero provare.
Tutti sanno che l'industria e il commercio moderni percorrono cicli periodici di 5-7 anni, durante i quali in successione regolare passano attraverso diversi stadi: calma, seguita da animazione, fiducia crescente, attività, prosperità, parossismo, sovrapproduzione, crollo, restrizione, stagnazione, marasma per ritornare infine allo stato di calma.
Tenendo a mente questo fatto, torniamo alle statistiche dell'«Economist».
La somma spesa per l'assistenza ai poveri che nel 1834 ammontava a Lst. 6.317.255, nel 1837 scese a un minimo di Lst. 4.044.741. Da allora riprese ad aumentare di anno in anno fino a raggiungere la somma di Lst. 5.208.027. Negli anni 1844, '45, '46 diminuì di nuovo a Lst. 4.954.204, per salire ancora nel 1847 e '48, quando raggiunse la somma di Lst. 6.180.764, toccando quasi la punta del 1834, prima dell'introduzione della nuova legge dei poveri (272). Negli anni 1849, '50 e '51 scese ancora una volta a Lst. 4.724.619. Ma il periodo 1834-37 fu un periodo di prosperità; quello 1838-42 un periodo di crisi e stagnazione; il 1843-46 fu un periodo di prosperità, gli anni 1847 e '48 un periodo di crisi e stagnazione e il 1849-52 fu di nuovo un periodo di prosperità.
Che cosa provano dunque queste statistiche? Nel migliore dei casi, la banale tautologia che il pauperismo britannico, indipendentemente dal libero scambio o dal protezionismo, aumenta o diminuisce con i periodi alterni di stagnazione e prosperità. Ora, nel 1852, anno di libero scambio, si trova che le spese per l'assistenza ai poveri superano di Lst. 679.878 quelle del 1837, anno di protezionismo, a dispetto della carestia irlandese, delle «pepite d'oro» australiane e del flusso costante dell'emigrazione.
Un altro giornale inglese liberoscambista cerca di dimostrare che aumentano col libero scambio le esportazioni e la prosperità con le esportazioni e che con la prosperità il pauperismo deve diminuire per scomparire infine del tutto; e le cifre seguenti dovrebbero dimostrarlo. Il numero di esseri umani validi condannati a vivere di carità pubblica era il seguente:
- 1° gennaio 1849 in 590 circoscrizioni assistenziali 201.644
- 1° gennaio 1850 in 606 circoscrizioni assistenziali 181.159
- 1° gennaio 1851 in 606 circoscrizioni assistenziali 154.525
Se si mettono a confronto i listini delle esportazioni si trovano, per esempio, per i manufatti britannici e irlandesi le seguenti cifre:
- 1848 - Lst. 48.946.395
- 1849 - Lst. 58.910.833
- 1850 - Lst. 65.756.035
E che cosa dimostra questa tabella? Un aumento delle esportazioni di Lst. 9.964.438 nel 1849 riscattò oltre 20.000 individui dal sussidio di povertà; un ulteriore aumento di Lst. 6.845.202 ne riscattò altri 26.634 nel 1850. Ora, anche supponendo che il libero scambio faccia piazza pulita dei cicli industriali e delle loro vicissitudini, l'affrancamento del numero totale di poveri validi, nel sistema attuale, richiederebbe un aumento addizionale del commercio estero di Lst. 50.000.000 annue, cioè un aumento di circa il cento per cento. E questi prudenti professori di statistica borghesi hanno il coraggio di parlare di «utopisti»! In verità, i più grandi utopisti esistenti sono proprio questi borghesi ottimisti.
Ho davanti a me i documenti pubblicati dalla commissione della legge dei poveri. Essi attestano infatti che, in confronto agli anni 1848 e 1851, il numero degli assistiti è diminuito. Ma da questi documenti si deduce al tempo stesso: fra il 1841 e il 1844 furono assistiti in media 1.431.571 poveri; tra il 1845 e il 1848, 1.600.257. Nel 1850 i poveri che ricevettero assistenza nei ricoveri e fuori furono 1.809.308, e nel 1851, 1.600.329, cioè una media superiore a quella degli anni 1845-48. Ora, se si paragonano queste cifre con i dati sulla popolazione dell'ultimo censimento, si vede che, su ogni mille abitanti, si contavano negli anni 1841-48 89 poveri e 90 nel 1851. Così in realtà il pauperismo ha superato la media del periodo 1841-48, e ciò nonostante il libero scambio, la carestia, la prosperità, nonostante le pepite d'oro australiane e il flusso migratorio.
Colgo l'occasione per sottolineare che è anche aumentato il numero dei criminali, e un'occhiata alla rivista di medicina «The Lancet» prova che le adulterazioni e gli avvelenamenti dei generi alimentari sono andati di pari passo con il libero scambio. Ogni settimana, con la rivelazione di nuovi misteri «The Lancet» solleva a Londra nuove ondate di panico. Questo giornale ha costituito una commissione d'inchiesta composta di medici, chimici, ecc. per l'analisi dei generi alimentari che si vendono a Londra. Caffè avvelenato, té avvelenato, aceto avvelenato, pepe avvelenato, sottaceti avvelenati: ogni cosa è mescolata con veleno; questo il regolare responso delle relazioni di questa commissione.
L'una o l'altra tendenza della politica commerciale borghese - libero scambio o protezionismo - sono, naturalmente, incapaci egualmente di cancellare dei dati di fatto che sono i risultati del tutto inevitabili e naturali della base economica della società inglese. E la presenza di un milione di poveri nelle case di lavoro britanniche è altrettanto inseparabile dalla prosperità britannica quanto l'esistenza di 18-20 milioni di valuta aurea nella Banca d'Inghilterra.
Stabilito questo una volta per tutte, come risposta ai fantasticoni borghesi, che da una parte sostengono essere un risultato del libero scambio ciò che è una concomitanza necessaria di ogni periodo di prosperità nei cicli commerciali, o che, d'altra parte, s'attendono dalla prosperità borghese cose che essa non può realizzare. Stabilito questo, non c'è dubbio che il 1852 è stato uno degli anni di maggiore prosperità che l'Inghilterra abbia mai avuto. Il reddito pubblico, nonostante l'abolizione dell'imposta sulle finestre, i profitti del commercio marittimo, i listini dell'esportazione, le quotazioni del mercato monetario e soprattutto l'attività senza precedenti dei distretti industriali provano irrefutabilmente questo fatto.
Ma la conoscenza anche superficiale della storia del commercio a partire dall'inizio del diciannovesimo secolo basta a convincere chiunque che si sta avvicinando il momento in cui il ciclo commerciale entrerà nella fase del parossismo, per poi passare a quelle della speculazione sfrenata e del crollo. «Niente affatto!», gridano gli ottimisti borghesi. «In nessun periodo del passato c'è mai stata cosi poca speculazione come oggi! La prosperità attuale si fonda sulla produzione di articoli di utilità immediata, che vengono consumati quasi con la stessa rapidità con cui è possibile immetterli nel mercato; il che lascia al produttore un profitto adeguato e stimola una produzione sempre più nuova e larga.»
In altre parole, ciò che distingue la prosperità attuale è il fatto che il capitale eccedente in circolazione è stato gettato e viene immesso tuttora direttamente nella produzione industriale. Secondo il recente rapporto del signor Leonard Horner, ispettore generale delle fabbriche, nel 1851 si è avuto nella sola industria cotoniera un aumento di 3.717 cavalli-vapore. L'elenco che egli compila delle fabbriche in corso di costruzione è quasi senza fine. Qui una filanda di 150 cavalli-vapore, là un'industria tessile di 600 telai per tessuti colorati, un'altra filanda con 60.000 fusi e 620 cavalli-vapore, un'altra fabbrica di filatura e tessitura di 200 cavalli-vapore, un'altra di 300, ecc. Supera tutte però l'azienda in costruzione nei pressi di Bradford (Yorkshire) per la manifattura di tessuti d'alpaca e di altro tipo.
«L'imponenza di questo complesso che sorge per conto del signor Titus Salt, può essere dedotta dal fatto che coprirà una superficie di sei acri. L'edificio principale è costituito da un massiccio palazzo di pietra architettonicamente alquanto pretenzioso, avendo all'interno un unico salone lungo 540 piedi; i macchinari, di valore inestimabile, saranno quanto di più moderno esiste. Le macchine che metteranno in movimento questo immenso complesso sono state costruite dalla ditta Fairhairn di Manchester e si calcola che il loro rendimento sarà di 1200 cavalli-vapore. Il solo impianto a gas, grande come quello necessario .per una piccola crttà, sarà costruito secondo il sistema White a idrocarbone e costerà Lst. 4000. Si calcola che saranno necessari 5000 becchi a gas che consumeranno 10.000 piedi cubici di gas al giorno. Oltre a questa gigantesca officina il signor Salt sta costruendo nelle immediate vicinanze 700 case per i suoi operai.» (273)
Che cosa si deduce dunque da questo colossale investimento di capitale, destinato alla produzione industriale immediata? Che non ci sarà una crisi? Niente affatto, ma, al contrario, che la crisi assumerà un carattere assai più pericoloso che nel 1847, quando ha avuto un carattere commerciale e finanziario più che non industriale. Questa volta essa colpirà in pieno i distretti industriali. Non dimentichiamo la stagnazione senza precedenti degli anni 1838-42, che fu anch'essa il risultato d'una sovrapproduzione industriale. Quanto più il capitale eccedente si concentra nella produzione industriale invece di dividersi in molti rivoli tra i molteplici canali della speculazione, tanto più massiccia sarà la crisi e tanto più a lungo ricadrà sulle masse lavoratrici e sull'elite della borghesia. E se nel momento del cambiamento di rotta tutta l'enorme massa di merci che si trova sul mercato diventa di colpo zavorra ingombrante, che cosa non potrà accadere, nel momento in cui numerose fabbriche ampliate di recente o di nuova costruzione dovrebbero incominciare a funzionare e per le quali è di vitale importanza mettersi subito al lavoro? Se, ogniqualvolta il capitale abbandona i suoi abituali canali commerciali di circolazione, si crea una situazione di panico che tocca persino il centro operante della Banca d'Inghilterra, tanto più grande sarà il contraccolpo di un simile sauve qui peut, nel momento in cui un'enorme massa di denaro viene trasformata in capitale fisso sotto forma di officine, macchine, ecc., che cominceranno a lavorare proprio quando esploderà la crisi o che richiederanno ancora altre somme di capitale circolante, prima di poter essere in condizione di funzionare.
Dal «Friend of India» cito un altro fatto illuminante sul caratiere della crisi incombente. Il giornale riporta una statistica sul commercio di Calcutta nel 1852, dalla quale risulta che il valore dei cotonami, filato e ritorto, importati a Calcutta nel 1851, ammontava a Lst. 4.074.000, equivalente a circa due terzi di tutto il commercio. Quest'anno il volume complessivo di queste importazioni sarà ancora maggiore. E in esso non sono neanche comprese le importazioni a Bombay, Madras e Suigapore. Ma la crisi del 1847 ha fatto tali rivelazioni sul commercio indiano, che non si possono menomamente nutrire dubbi sui risultati finali di una prosperità industriale, nella quale le importazioni del «nostro impero indiano» assommano a due terzi del totale.
Sin qui per quanto concerne il carattere del crollo che seguirà sulla scia dell'attuale stato di prosperità. Che questo crollo si verificherà nel 1853, lo preannunciano vari sintomi, e particolarmente la pletora d'oro depositato presso la Banca d'Inghilterra e le circostanze particolari che accompagnano questo grande afflusso di riserva aurea (138).
Nel momento attuale è depositata nelle volte della Banca d'Inghilterra una riserva aurea di Lst. 21.353.000. Si è cercato di spiegare questo afflusso con la sovrapproduzione d'oro in Australia e in California. Una semplice occhiata ai fatti dimostra l'infondatezza di questa opinione.
L'aumento della riserva aurea depositata nella Banca d'Inghilterra è una conseguenza, in realtà, della diminuzione delle importazioni di altri beni di consumo: in altre parole, le esportazioni superano di gran lunga le importazioni. Gli ultimi listini commerciali (274) mostrano infatti una considerevole diminuzione delle importazioni di canapa, zucchero, té, tabacco, vini, lana, cereali, oli, cacao, farina, indaco, pelli, patate, lardo, carne di maiale, burro, formaggio, prosciutto, sugna, riso e di quasi tutti i prodotti del continente europeo e dell'India britannica. Nel 1850 e nel 1851 c'è stato un evidente eccesso di importazioni e ciò, insieme con l'aumento dei prezzi della farina e delle granaglie sul continente, conseguenza del cattivo raccolto, tende a tener basse le importazioni. Soltanto le importazioni di cotone e di lino sono in aumento.
Questa eccedenza delle esportazioni sulle importazioni spiega perché il cambio è favorevole all'Inghilterra. D'altra parte, poiché l'eccedenza di esportazioni è pagata in oro, una larga parte del capitale britannico resta inutilizzata e va ad accrescere le riserve nelle banche. Le banche, come anche i privati, danno la caccia a qualsiasi mezzo di investimento di questo capitale inutilizzato. Di qui la grande disponibilità di capitale finanziario e il basso tasso di interesse. Il tasso di sconto per il cambio di prima classe va da 1, 3/4 al due per cento. Ora, se si consulta qualsiasi storia del commercio, per esempio la «History of Prices» di Tooke, si nota che la coincidenza di questi sintomi - accumulazione eccezionale di riserve auree nelle casse della Banca d'Inghilterra, eccedenza delle esportazioni sulle importazioni, tasso di cambio favorevole, abbondanza di capitale disponibile e basso tasso d'interesse - inaugura regolarmente nel ciclo commerciale la fase in cui la prosperità si trasforma in parossismo, la fase in cui immancabilmente da una parte si ha una massa eccessiva di capitali destinata all'importazione e dall'altra parte folli speculazioni su ogni sorta di seducenti bolle di sapone. Ma questo stadio parossistico non è altro che il prodromo della catastrofe. Il parossismo rappresenta l'acme della prosperità; non produce la crisi ma ne provoca lo scoppio.
So molto bene che gli stregoni ufficiali dell'economia inglese considereranno questa opinione come eccessivamente eterodossa. Ma, quando mai, sin dai tempi di «Prosperity Robinson» *, di quel famoso cancelliere dello scacchiere che nel 1825, alla vigilia dell'esplosione della crisi, inaugurò il parlamento profetizzando un'era di immensa e incrollabile prosperità, quando mai questi ottimisti borghesi hanno previsto o preconizzato una crisi? Non c'è stato periodo di prosperità in cui essi non abbiano approfittato dell'occasione per dimostrare che questa volta la medaglia non aveva rovescio, che questa volta il fato era vinto. E il giorno in cui la crisi scoppiava, si atteggiavano a innocenti e si sfogavano contro il mondo commerciale ed industriale con banalità moralistiche, accusandolo di mancanza di previdenza e di prudenza.
La particolare situazione politica creata da questa passeggera prosperità commerciale e industriale formerà l'argomento della mia prossima corrispondenza.
Karl Marx
Note:
* Nomignolo di FrederikJon Robinson: «Robinson prosperità».
110) «The Economist», settimanale inglese economico e politico, pubblicato a Londra dal 1843 come organo della grande borghesia industriale
138) Nel 1892 Engels scrisse nella prefazione all'edizione tedesca della «Si
tuazione della classe operaia in Inghilterra», a proposito della durata del ciclo delle crisi industriali all'inizio del secolo XIX: «Nel testo si afferma che
il periodo ciclico delle grandi crisi industriali è di cinque anni. Era questo l'intervallo che sembrava risultare dal corso degli avvenimenti dal 1825 al 1842. Ma la storia dell'industria dal 1842 al 1868 ha dimostrato che il periodo in effetti è decennale, che le crisi intermedie erano di natura secondaria e, a partire dal 1842, sono andate via via scomparendo». Nel 1883 Engels aveva fatto questa osservazione: «II ciclo decennale si è in genere sviluppato con chiarezza solo a partire dal 1847 (a causa della produzione dell'oro californiano e australiano e della conseguente ripresa totale del mercato mondiale)» (Engels, lettera a Bebel, 10-11 maggio 1883).
272) La legge sui poveri, deliberata nel 1834 dal parlamento inglese, ammetteva una sola forma di aiuto per i poveri: il loro ricovero in case di lavoro, rette da un regime carcerario e da lavori forzati. Il popolo chiamava le case di lavoro bastiglie della legge sui poveri. Cfr. in particolare su questo argomento il voi. IV della nostra edizione, pp. 504-509.
273) ««The Economist», 25 settembre 1852, p. 1067.
274) Gli ultimi listini commerciali sono costituiti dalle relazioni ufficiali del commercio estero, «Accounts Relating to Trade and Navigation, Customs Duties and Tonnage of Vessels» (Relazioni circa il commercio e la navigazione, dogane e tonnellaggio delle navi), che venivano pubblicate regolarmente per estratti nell'«Economist» (cfr. nota 110): cosi ad esempio nell'«Economist», 9 ottobre 1852, pp. 1135 sgg., la relazione sugli otto mesi che si concludevano con il 5 settembre 1852.
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