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- materiali resistenti in linea - iper-classici - 08-03-12 - n. 400
da Karl Marx - Friedrich Engels, Opere Complete, vol. 12, pag 97-104, Editori Riuniti, Roma, 1982
in occasione dell'anniversario della scomparsa di Marx (14/03/1883)
Karl Marx
Rivoluzione in Cina e in Europa
14/06/1853 - «New-York Daily Tribune», n. 3794 - editoriale
Un indagatore molto profondo, anche se fantastico, dei principi che governano i movimenti dell'umanità (1) soleva indicare come uno dei misteri dominanti della natura quella che egli chiamava la legge dell'incontro degli estremi. Il detto corrente che «gli estremi si toccano» era, ai suoi occhi, una verità grande e possente in ogni sfera della vita, un assioma dal quale il filosofo non può prescindere, come l'astronomo non può non tener conto delle leggi di Keplero o della grande scoperta di Newton.
Se «l'incontro degli estremi»sia o no un principio così universale, se ne può vedere una illustrazione convincente negli effetti che la rivoluzione cinese [94] sembra destinata ad avere sul mondo civile. Può sembrare un'affermazione molto bizzarra e molto paradossale che la prossima insurrezione dei popoli europei e il loro prossimo moto per le libertà repubblicane e per un sistema di governo a buon mercato dipendano molto probabilmente da ciò che sta oggi avvenendo nel Celeste Impero - proprio agli antipodi dell'Europa - più che da qualsiasi altra causa politica oggi esistente, persino più che dalle minacce della Russia e dalla conseguente probabilità di un conflitto europeo generale [95]. Eppure non è un paradosso, come si può capire quando si considerino attentamente tutte le circostanze del caso.
Quali che siano le cause sociali che hanno provocato lo stato endemico di ribellione esistente in Cina da almeno una decina di anni ed ora sommatesi tutte in una formidabile rivoluzione e quale che sia la forma religiosa, dinastica o nazionale da esse assunta, l'occasione di questa esplosione è stata indubbiamente offerta dai cannoni inglesi che hanno imposto alla Cina lo stupefacente chiamato oppio. Davanti alle armi inglesi l'autorità della dinastia Manciù andò in frantumi, la fede superstiziosa nell'eternità del Celeste Impero si spezzò: il barbaro ed ermetico isolamento dal mondo civile si incrinò e si apri un varco per quei contatti che da allora si sono sviluppati con tanta rapidità grazie alle dorate attrattive della California e dell'Australia [96]. Al tempo stesso le monete d'argento dell'impero, sua linfa vitale, cominciarono a fluire verso le Indie orientali britanniche.
Fino al 1830, poiché la bilancia commerciale continuava ad essere favorevole ai cinesi, vi fu un'importazione ininterrotta di argento dall'India, dall'Inghilterra e dagli Stati Uniti in Cina. Dopo il 1833, e particolarmente a partire dal 1840, l'esportazione dell'argento alla Cina dall'India ha pressoché dissanguato il Celeste Impero. Di qui i drastici decreti dell'imperatore contro il commercio dell'oppio, ai quali rispondevano resistenze ancora più drastiche. Oltre a queste conseguenze economiche immediate, la corruzione che s'accompagna al contrabbando dell'oppio ha degradato completamente nelle province meridionali i funzionari statali cinesi. Allo stesso modo in cui l'imperatore era generalmente considerato il padre di tutta la Cina, i suoi funzionari erano guardati come garanti dei diritti paterni nei rispettivi distretti. Ma questa autorità patriarcale, unico legame morale che abbracciava l'immenso meccanismo dello Stato, è stata gradualmente corrosa dalla degradazione dei funzionari che hanno fatto grossi guadagni rendendosi complici del contrabbando dell'oppio. Ciò è accaduto soprattutto nelle stesse province meridionali dove ha avuto inizio la ribellione. È superfluo osservare che nella stessa misura in cui l'oppio ha conquistato il dominio sui cinesi, l'imperatore e la sua corte di mandarini pedanti sono stati spogliati della loro sovranità. Si direbbe che la storia dovesse intossicare tutto questo popolo prima di farlo uscire dal suo stato di ottusità ereditaria.
Benché quasi inesistente in precedenza, l'importazione dei manufatti di cotone inglesi, e in piccola misura delle lane inglesi, è cresciuta rapidamente a partire dal 1833, epoca in cui il monopolio del commercio con la Cina fu trasferito dalla Compagnia delle Indie orientali al commercio privato, e su scala assai maggiore a partire dal 1840, epoca in cui altre nazioni, e particolarmente la nostra (2), ottennero anch'esse una fetta del commercio cinese. L'introduzione di manufatti stranieri ha avuto sull'industria indigena un effetto analogo a quello che aveva avuto in precedenza in Asia minore, in Persia e in India. In Cina filatori e tessitori hanno sofferto molto a causa di questa concorrenza straniera e la vita del paese ne è stata in pari misura sconvolta.
Il tributo che la Cina ha dovuto versare all'Inghilterra dopo la sfortunata guerra del 1840 [97], il grande consumo improduttivo di oppio, il salasso di metalli preziosi causato da questo commercio, l'influenza deleteria della concorrenza straniera sulle industrie locali, lo stato di degradazione della pubblica amministrazione, hanno avuto una duplice conseguenza: il vecchio sistema tributario è divenuto più gravoso e vessatorio, e nuove tasse si sono aggiunte alle vecchie. Cosi in un decreto dell'imperatore, datato Pechino 5 gennaio 1853, s'impartisce ai viceré ed ai governatori delle province meridionali di Wuchang e di Hanyang l'ordine di condonare e di differire il pagamento delle imposte e comunque, in particolare, di non esigere in nessun caso più di quanto dovuto; perché altrimenti, dice il decreto, «come potrebbero sopportarlo i poveri?».
«E così forse», continua l'imperatore, «in un periodo di difficoltà e miseria generale al mio popolo sarà risparmiata la sventura di essere perseguitato e tormentato dagli esattori delie imposte.»
Un simile linguaggio e concessioni simili ricordiamo di averli uditi enunciare dall'Austria, la Cina della Germania, nel 1848.
Tutti questi fattori di disgregazione che agivano contemporaneamente sulle finanze, sui costumi, sull'industria e sulla struttura politica della Cina raggiunsero il loro pieno sviluppo nel 1840 sotto i colpi dei cannoni inglesi che mandarono a pezzi l'autorità dell'imperatore e costrinsero il Celeste Impero a venire a contatto col mondo terreno. L'isolamento completo era la condizione primaria della conservazione della vecchia Cina. Ora che questo isolamento è giunto a fine violenta, ad opera dell'Inghilterra, deve seguire ineluttabilmente la disgregazione, proprio come accade a una mummia accuratamente conservata in un sarcofago ermeticamente suggellato non appena viene messa a contatto dell'aria. Ora che l'Inghilterra ha provocato la rivoluzione in Cina, si pone il problema di come quella rivoluzione col passare del tempo reagirà sull'Inghilterra e attraverso l'Inghilterra sull'Europa. Problema di non difficile soluzione.
L'attenzione dei nostri lettori è stata spesso richiamata sull'incomparabile crescita dell'industria britannica a partire dal 1850. Nel mezzo della prosperità più sorprendente non è stato difficile individuare i chiari sintomi di un'imminente crisi industriale. Nonostante la California e l'Australia, nonostante l'emigrazione, immensa e senza precedenti, dovrà pure, senza alcun incidente particolare, arrivare il momento in cui l'espansione dei mercati non potrà tenere il passo con l'espansione delle manifatture inglesi e questa sfasatura dovrà provocare inevitabilmente una nuova crisi, come già è accaduto in passato. Ma se uno dei grandi mercati si contrae d'improvviso, l'avvento della crisi viene necessariamente accelerato. Al momento presente, la ribellione cinese avrà precisamente quest'effetto sull'Inghilterra. La necessità di aprire nuovi mercati, o di espandere i vecchi, è stata una delle cause principali della riduzione del dazio britannico sul té, dato che, in seguito a un'accresciuta importazione di té, ci si attendeva un'accresciuta esportazione di manufatti verso la Cina. Le esportazioni annuali dal Regno Unito in Cina ammontavano, prima dell'abrogazione nel 1833 del monopolio commerciale della Compagnia delle Indie orientali, a sole Lst. 600.000; nel 1836 raggiunsero la somma di Lst. 1.326.388; nel 1845 aumentarono fino a Lst. 2.394.827; nel 1852 ammontavano a circa Lst. 3.000.000. La quantità di té importata dalla Cina nel 1793 non superava le 16.167.331 libbre; ma nel 1845 ammontava a 50.714.657 libbre, nel 1846 a 57.584.561 libbre ed oggi supera i 60.000.000 di libbre.
Il raccolto del té della scorsa stagione, come si può già dedurre dai listini delle esportazioni provenienti da Shanghai, supererà di almeno 2.000.000 di libbre quello dell'anno passato. Questa eccedenza va addebitata a due circostanze. Da una parte, alla fine del 1851 il mercato era molto depresso e grosse giacenze invendute sono state scaricate nelle esportazioni del 1852. D'altra parte le notizie giunte di recente in Cina sulle modifiche apportate alla legislazione britannica sulle importazioni di té hanno fatto affluire tutto il té disponibile, a prezzi grandemente maggiorati, su un mercato disposto ad assorbirlo. Ma riguardo al prossimo raccolto la faccenda è assai diversa, come provano i passi seguenti estratti dalla corrispondenza di una grossa ditta di té londinese:
«A Shanghai regna una grande paura. Il valore dell'oro, che è avidamente cercato per tesaurizzarlo, è salito del 25 per cento; l'argento è scomparso a tal punto che non si è potuto trovarne per pagare i diritti cinesi sulle navi britainniche che chiedevano di salpare dai porti; e in conseguenza di ciò il console Alcock ha consentito ad assumersi la responsabilità di fronte alle autorità cinesi per il pagamento di questi diritti dietro consegna di cambiali della Compagnia delle Indie orientali o di altri titoli riconosciuti. In considerazione del futuro immediato del commercio, la scarsezza di metalli preziosi è uno degli aspetti più negativi, giacché questa scomparsa si verifica esattamente nel momento in cui tali metalli sono necessari al massimo al fine di permettere agli acquirenti di té e di seta di recarsi nell'interno del paese per effettuare i loro acquisti che vengono in gran parte pagati anticipatamente in oro e argento per permettere ai produttori di portare a termine le loro operazioni... È questo il momento dell'anno in cui è d'uso cominciare a prendere accordi per i nuovi raccolti di té, mentre invece oggi non si parla d'altro che dei mezzi per proteggere le persone e le proprietà, e tutte le contrattazioni sono ferme... Se non si prendono provvedimenti opportuni per assicurarsi le foglie in aprile e maggio, il primo raccolto - che include tutte le qualità più pregiate di té, sia nero che verde - andrà perduto, come a Natale è perduto il grano non mietuto»,
Ora, i mezzi per assicurare il raccolto del té non saranno certamente forniti dalle squadre navali inglese, americana e francese che incrociano nelle acque cinesi; con la loro interferenza, esse possono facilmente provocare complicazioni, e interrompere ogni rapporto commerciale tra il retroterra produttore di té e i porti marittimi che lo esportano. Per il raccolto attuale ci si deve quindi attendere un aumento dei prezzi - a Londra la speculazione è già cominciata - e per il prossimo raccolto un grosso deficit è praticamente sicuro. Ma non è tutto. Per quanto i cinesi, come tutti i popoli nei periodi di sconvolgimenti rivoluzionari, siano disposti a svendere agli stranieri tutti i prodotti disponibili in grandi quantità, si metteranno anche a tesaurizzare, come usano fare gli orientali quando temono cambiamenti radicali, accettando soltanto moneta sonante in cambio del loro té e della loro seta. Di conseguenza l'Inghilterra deve aspettarsi un aumento del prezzo di uno dei suoi principali beni di consumo, un salasso di oro e d'argento, e la forte contrazione di un mercato importante per i suoi tessuti di cotone e di lana. Persine l'«Economist», l'ottimistico esorcizzatore di tutto quel che minaccia -la tranquillità della comunità mercantile, è costretto ad esprimersi in questi termini:
«Non dobbiamo illuderci di trovare in Cina per le nostre esportazioni un mercato così esteso come era in passato... E più probabile che le nostre esportazioni in Cina ne soffriranno e che ci sarà una minore domanda dei prodotti di Manchester e di Giasgow».
Non si deve dimenticare che l'aumento di prezzo di una derrata tanto indispensabile come il té e la contrazione di un mercato così importante come la Cina coincideranno con un cattivo raccolto nell'Europa occidentale, e quindi con un aumento dei prezzi della carne, dei cereali e di tutti gli altri prodotti agricoli. Quindi, contrazione dei mercati per i prodotti industriali, giacché ad ogni aumento dei prezzi dei generi di prima necessità, all'interno e all'estero, si accompagna una corrispondente riduzione della domanda di prodotti manifatturati. Da ogni parte della Gran Bretagna giungono lamentele sul ritardo della maggior parte dei raccolti. A questo proposito l'«Economist» scrive:
«Nell'Inghilterra meridionale non solo molta tema rimarrà incolta finché sarà troppo tardi per qualsiasi coltura, ma gran parte del terreno seminato sarà fradicio o comunque in cattivo stato per la cerealicoltura. Vi sono indizi evidenti che su terreni umidi o poveri destinati a frumento il malanno si aggrava. Il momento di piantare la barbabietola da foraggio è ormai passato e ne è stata piantata pochissima, mentre il tempo per preparare il terreno per le rape trascorre rapidamente senza che sia stata fatta una preparazione adeguata per questo prodotto importante... Neve e pioggia hanno danneggiato molto la semina dell'avena. La semina precoce dell'avena è stata scarsa e la semina tardiva raramente da un buon raccolto... In molti distretti ci sono state perdite considerevoli tra il bestiame da allevamento».
A parte i cereali, il prezzo degli altri prodotti agricoli ha subito aumenti del 20, del 30 e persino del 50 per cento rispetto all'anno scorso. Sul continente i cereali sono rincarati relativamente più che in Inghilterra. In Belgio e in Olanda la segala è aumentata del 100 per cento. Frumento e altri cereali le tengono dietro.
In questa situazione, poiché il commercio inglese ha già quasi percorso il regolare ciclo economico, si può tranquillamente prevedere che la rivoluzione cinese farà scoccare la scintilla nella polveriera satura dell'attuale sistema industriale, provocando l'esplosione della crisi generale lungamente preparata, che si propagherà all'estero e sarà seguita a breve distanza da rivoluzioni politiche .sul continente. Sarebbe un curioso spettacolo quello della Cina che esporta disordine nel mondo occidentale mentre le potenze occidentali, per mezzo delle navi da guerra inglesi, francesi ed americane portano «ordine» a Shanghai, a Nanchino e alle foci del Gran Canale. Dimenticano forse queste potenze spacciatrici d'ordine, che vorrebbero tentare di puntellare la vacillante dinastia Manciù, che l'odio per gli stranieri e la loro esclusione dall'impero, che un tempo erano soltanto conseguenza della posizione geografica ed etnografica della Cina, sono diventati un principio politico soltanto dopo la conquista del paese da parte dei tatari manciù? [98] Non c'è dubbio che le burrascose rivalità tra le nazioni europee che, verso la fine del XVII secolo, si disputavano il commercio con la Cina, diedero un potente impulso alla politica isolazionistica seguita dai Manciù. Ma ancora da più vi contribuì il timore della nuova dinastia che gli stranieri potessero fomentare il malcontento che covava in larghi strati cinesi durante la prima metà del secolo, più o meno, di soggezione ai tatari. In base a queste considerazioni si proibì agli strainieri qualsiasi contatto con i cinesi, tranne che attraverso Canton, città molto distante da Pechino e dai distretti produttori di té, e il commercio degli stranieri fu limitato a scambi con i mercanti Hong [99], espressamente autorizzati dal governo ad esercitare il commercio estero, al fine di escludere i loro sudditi da qualsiasi rapporto con gli odiati stranieri. In ogni caso un'ingerenza dei governi occidentali, in questo momento, può soltanto rendere più violenta l'esplosione rivoluzionaria e protrarre la stagnazione del commercio.
Al tempo stesso occorre osservare che in India le entrate del governo britannico dipendono per un buon settimo dalla vendita dell'oppio ai cinesi, mentre una parte considerevole della domanda indiana di manufatti inglesi dipende dalla produzione di quello stesso oppio in India. I cinesi, è pur vero, non sembrano disposti a rinunciate all'uso dell'oppio più di quanto i tedeschi siano disposti a rinunciare al tabacco. Ma poiché si dice che il nuovo imperatore sia favorevole alla coltura del papavero e alla preparazione dell'oppio nella stessa Cina, è evidente che molto probabilmente un colpo mortale verrà inferto alla coltivazione del papavero in India, alle entrate dell'India e alle risorse commerciali dell'Indostan. Anche se questo colpo non avrà immediate ripercussioni su tutte le parti interessate, col passar del tempo produrrebbe gravi contraccolpi e contribuirebbe ad approfondire e prolungare la crisi finanziaria generale che abbiamo poc'anzi pronosticato.
Dall'inizio del XVIII secolo non c'è stata in Europa rivoluzione seria che non sia stata preceduta da una crisi commerciale e finanziaria. Ciò vale per la rivoluzione del 1789 non meno che per quella del 1848. È certo non solo che ogni giorno è dato osservare sintomi sempre più minacciosi di contrasti tra i governanti e i loro sudditi, tra lo Stato e la società, tra le differenti classi, ma anche che gli attriti tra le potenze stanno gradualmente raggiungendo il punto in cui si dovrà brandire la spada e far ricorso all'ultima ratio dei principi. Nelle capitali europee pervengono quotidianamente dispacci forieri di guerra generale, che scompaiono sotto i dispacci del giorno successivo, i quali assicurano che la pace durerà un'altra settimana o poco più, Possiamo essere sicuri, tuttavia, che per quanto acuti possano essere gli attriti tra le potenze europee, per quanto minaccioso possa apparire l'orizzonte diplomatico, qualsiasi moto possa essere tentato da qualche gruppo fanatico in questo o quel paese, l'ira dei principi e la rabbia del popolo saranno in pari misura placate dal soffio della prosperità. Né guerre né rivoluzioni potranno sconvolgere l'Europa, se non come conseguenza di una crisi generale commerciale e industriale, il cui segnale, come al solito, dovrebbe essere dato dall'Inghilterra, che rappresenta l'industria europea sul mercato mondiale.
Non occorre indugiare sulle conseguenze politiche che una tale crisi deve provocare in questi tempi, con l'espansione senza precedenti delle fabbriche in Inghilterra, con la disgregazione estrema dei suoi partiti ufficiali, con l'intera macchina statale della Francia trasformata in un'unica, immensa ditta di truffe e speculazioni di borsa, con l'Austria sull'orlo del fallimento, con torti ovunque accumulati che invocano la vendetta popolare, con gli interessi contrastanti delle stesse potenze reazionarie, e con il sogno russo di conquista rivelato una volta di più al mondo.
Scritto il 20 maggio 1853
Dall'inglese.
Note:
94] Nel 1851 ebbe inizio in Cina un movimento antifeudale che assune rapidamente il carattere di una grande guerra contadina. Il movimento, iniziato nel sud, nella provincia di Kwangsi, raggiunse le province centrali e si estese a quasi tutto il territorio del basso e medio Jangtze-kiang. Nel corso della lotta gli insorti fondarono il «Celeste regno della pace suprema» (T'ai-p'ing t'ien kuo, dal quale tutto il movimento prese il nome di T'ai-p'ing) la cui capitale era Nanchino. Nei territori occupati i T'ai-p'ing liquidarono i feudatari manciù, che dominavano in Cina, abolirono le tasse ed eliminarono la grande proprietà feudale. Dato che l'insurrezione si rivolgeva anche contro il clero buddista e i conventi - sostegno della dinastia manciù - essa ebbe anche un aspetto religioso, tipico di tutti i movimenti contadini in Estremo Oriente. La rivolta dei T'ai-p'ing, che gettò le basi della lotta di larghe masse del popolo cinese contro l'ordine feudale ed i conquistatori stranieri, non fu però in grado di eliminare in Cina il modo di produzione feudale. Nello Stato T'ai-p'ing si costituì una casta feudale che scese a compromessi con le classi dominanti. Questa fu una delle cause della sconfitta della sollevazione. Tuttavia, il colpo decisivo fu inferto alla rivoluzione dall'aperto intervento dell'Inghilterra, degli Stati Uniti e della Francia, le cui forze, insieme alle truppe dei feudatari cinesi, sconfissero nel 1864 l'insurrezione (inizialmente le grandi potenze avevano appoggiato la dinastia manciù fingendosi, però, neutrali).
95] Marx prevedeva che dal conflitto fra gli interessi economici e politici della Russia e quelli delle potenze occidentali (soprattutto Francia e Inghilterra), si sa rebbe sviluppato un conflitto a livello europeo. La sua previsione fu confermata dalla guerra di Crimea (1853-1856).
96] Nel 1848 in California e nel 1851 in Australia furono scoperti ricchi giacimenti d'oro, che ebbero una grande influenza sullo sviluppo economico dell'Europa e dell'America.
97] La prima guerra dell'oppio (1839-1842) fu una guerra di aggressione dell'Inghilterra contro la Cina allo scopo di aprire il mercato cinese al proprio commercio. Con essa ebbe inizio la trasformazione della Cina in paese semicoloniale. Fin dall'inizio del secolo scorso l'Inghilterra aveva cercato di pareggiare la sua bilancia commerciale in passivo con la Cina, contrabbandando in quel paese l'oppio prodotto in India. II governo cinese si oppose tenacemente a queste manovre e nel 1839 fece sequestrare e bruciare tutte le scorte di oppio che si trovavano a bordo delle navi straniere ancorate a Canton. Questa fu causa della guerra, nella quale la Cina venne sconfitta. Gli inglesi sfruttarono questa sconfitta della Cina arretrata e feudale per imporle il gravissimo trattato di pace di Nanchino (agosto 1842), che stabiliva l'apertura al commercio inglese di cinque porti cinesi (Canton, Arnoy, Fuchou, Ningpo e Shanghai), la cessione «per l'eternità» di Hong-Kong all'Inghilterra e il pagamento di ingenti contributi all'Inghilterra. Secondo il protocollo aggiunto al trattato di Nanchino la Cina fu inoltre costretta a riconoscere agli stranieri il diritto di extraterritorialità.
98] All'inizio del XVII secolo varie tribù confederate della Manciuria iniziarono a minacciare la Cina (anche questi popoli vennero chiamati tartari, come le popolazioni turco-mongole, dal nome di una delle tribù che vivevano nel nord-est della Mongolia e della Manciuria all'epoca di Gengis Khan). L'invasione dei manciù portò al dominio della dinastia Ch'ing in Cina (1644-1912). Il popolo cinese oppose un'aperta resistenza armata alla conquista della Cina da parte dei manciù, ma la crisi dello Stato feudale sotto gli ultimi imperatori della dinastia Ming e il tradimento di una parte dei feudatari cinesi che, spaventati dalle insurrezioni contadine, passarono dalla parte dei conquistatori, facilitarono ai manciù la conquista della Cina.
99] Nel 1720 un commerciante cinese fondò a Canton una corporazione di commercianti chiamata Ko-Hong, che aveva lo scopo di assicurarsi il monopolio sui prezzi. Nel 1760 gli Hong ottennero dal governo una concessione in tal senso, che fu loro revocata nel 1771. Nel 1782 il governo fornì a un gruppo ristretto di commercianti una concessione che assegnava loro il diritto-dovere di esercitare un controllo sulle attività commerciali di importazione ed esportazione. Con l'antico nome di Ko-Hong o semplicemente di Hong essi avevano anche la responsabilità, nei confronti del governo, di impedire il traffico dell'oppio. Dato che l'attività dei commercianti stranieri all'interno della Cina era ostacolata dall'organizzazione Hong, gli inglesi ne pretesero lo scioglimento nel trattato di Nanchino del 1842.
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