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da Pietro Secchia, Le armi del fascismo 1921-1971, Feltrinelli, 1973
trascrizione a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Pietro Secchia
Le armi del fascismo 1921-1971 - indice
 
Le "spedizioni punitive"
 
Il 1921 è l'anno in cui agli eccidi della polizia in occasione di manifestazioni, scioperi, proteste, si aggiungono prevalenti quelli consumati dagli squadristi fascisti appoggiati spesso dalla polizia, dai carabinieri e da ufficiali dell'esercito che apertamente, in divisa, capeggiano le bande fasciste, contro le sedi delle organizzazioni dei lavoratori, giornali, cooperative, leghe, sezioni socialiste e comuniste. Spedizioni "punitive" sono altresì effettuate contro singoli esponenti del movimento socialista e comunista. Impossibile elencare ogni singolo conflitto, ogni delitto, centinaia furono gli antifascisti assassinati; di quanto avveniva nell'Italia meridionale e nelle Isole i quotidiani non davano neppure notizia.
 
Ci limitiamo a ricordare con brevi accenni i più gravi.
 
L'8 febbraio a Trieste i fascisti assaltano e distruggono la sede dell'"Edinost," il quotidiano sloveno, e all'indomani attaccano la sede della redazione e della tipografia de "Il Lavoratore," il quotidiano comunista.
"Fu un'operazione," ricorda Vittorio Vidali, "meticolosamente preparata nel palazzo del governo. La battaglia fu aspra perché gli assalitori si trovarono innanzi una difesa organizzata dall'interno e dall'esterno. Sin dall'inizio i fascisti preferirono ritirarsi e lasciar fare alle forze di polizia che assediarono, intimarono la resa e dopo aver occupato l'edificio, arrestati e bastonati a sangue i difensori, permisero ai fascisti di penetrare, distruggere e incendiare."
 
"Il Lavoratore" era stato difeso come una piccola fortezza, ma non bastava. I giovani comunisti capeggiati da Vidali volevano dare una lezione a coloro che finanziavano i fascisti, mantenevano la loro stampa e incitavano l'autorità di occupazione a "fare presto". A Torino in quei giorni gli operai avevano approvato nelle Officine Fiat una risoluzione che minacciava di rappresaglie gli industriali per il loro appoggio sfacciato ai fascisti. Il 29 febbraio i fascisti ritornarono all'attacco ed incendiarono la Camera del Lavoro che fu difesa dai lavoratori triestini. All'indomani fu dichiarato lo sciopero generale e gli operai occuparono il Cantiere San Marco. La forza pubblica e reparti dell'esercito lo assediarono, la battaglia si prolungò per alcune ore, e alla fine alcuni reparti del cantiere erano in fiamme. I più coraggiosi difensori, rimasti sul posto sino all'ultimo, riescono a sbarcare a Muggia su di un rimorchiatore.
A sera, mentre i fascisti sfilano manifestando il loro giubilo, all'uscita della galleria di Montuzza, cadono sul corteo due bombe di tipo austriaco che provocano una quindicina di feriti.
 
Gli industriali proclamano la serrata perché pretendono che gli operai paghino i danni dell'incendio del cantiere. La lotta termina il 14 aprile con la sconfitta degli industriali.
All'indomani dell'incendio del cantiere la polizia procedette a numerosi arresti; fu arrestato, ma poi rilasciato, anche Vittorio Vidali. Ma dopo il successo elettorale dei comunisti nelle elezioni politiche del maggio, numerosi giovani comunisti, tra i quali Vidali, che ne era l'esponente, furono arrestati, torturati e denunciati per "associazione a delinquere, detenzione di armi e di esplosivi, omicidi, ferimenti, ecc." Vidali e i suoi riuscirono ad arginare gli arresti sostenendo che i loro gruppi erano autonomi dal Partito comunista e rivendicando il diritto di difendersi con le armi contro la violenza e l'illegalità.
 
Dopo due mesi, a tutti gli arrestati fu concessa la libertà provvisoria. Soltanto alla fine dell'anno il processo verrà celebrato in Corte d'Assise e a porte chiuse. Malgrado l'accusa avesse chiesto pene pesanti, 19 anni di carcere per Vidali quale "capo del complotto e dei bombardieri," le condanne furono lievi e tutte con la condizionale. I giurati e i giudici erano rimasti colpiti dal coraggioso atteggiamento degli imputati e dalle torture cui erano stati sottoposti.
In agosto, mentre si trovavano in libertà provvisoria, in risposta all'assassinio dell'antifascista De Marchi, avevano dato l'assalto alle sedi rionali fasciste di S. Giacomo e di S. Vito. Sino alla marcia su Roma a Trieste fu un susseguirsi di colpi fascisti nessuno dei quali restava senza immediata e decisa risposta. Una lotta dura e difficile condotta da un'avanguardia ardimentosa sul terreno politico e su quello della guerriglia.
 
Ma frattanto la violenza fascista si estendeva a tante altre località del paese. Il 25 febbraio, a Terranova di Calabria, la popolazione insorge manifestando davanti al Comune, imprecisato il numero dei morti e dei feriti. Il 28, a Firenze, i fascisti assaltano e distruggono sedi di giornali e di circoli socialisti, assassinano Spartaco Lavagnini direttore dell'"Azione Comunista," Gino Mugnai e Antonio Petrucci, a Certaldo l'anarchico Ferruccio Scarselli, a La Spezia l'anarchico Uliviero. Il 7 marzo ad Andria (Bari) conflitto tra fascisti e operai, cade il lavoratore Antonio Franzoso. A Casale Monferrato i fascisti aggrediscono operai socialisti e comunisti, numerosi feriti dalle due parti, cadono Costantino Broglio e Luigi Scaroglio. Il 9 marzo, a Pieve di Cento (Bologna), conflitto tra fascisti e lavoratori: un morto, Angiolina Toni, e tre feriti. Il 21 marzo, a Milano, gli squadristi, appoggiati dalle guardie regie, sparano sui dimostranti che celebrano le 5 giornate, morti e feriti dalle due parti. Ad Arcole (La Spezia), i carabinieri uccidono l'anarchico Dante Carnesecchi. Il 28 marzo, ad Alessandria, i fascisti appoggiati dai carabinieri aggrediscono un gruppo di operai, cadono Ernesto Coscia, Giuseppe Pessino e Vittorio Martini. Il 29 marzo, a Carmignano (Firenze), i lavoratori manifestanti per la vittoria nelle elezioni comunali sono aggrediti dai fascisti, due morti: Bertini e Bucci.
 
Il 4 aprile, a Ferrara, conflitto tra giovani socialisti e fascisti, cade il giovane Zechi. Il 13 aprile, a Pisa, i fascisti uccidono il maestro socialista Carlo Cammeo, il 14 aprile a Ragusa sparano sulla folla radunata a comizio, provocando tre morti e cinquanta feriti. Il 18 aprile, a Firenze, conflitto tra lavoratori e fascisti, nove morti e numerosi feriti dalle due parti. Il 19 aprile, ad Arezzo, i fascisti uccidono due operai, Milani e Martini. Il 20 aprile in un conflitto tra operai e fascisti cade Paolo Strina; il 22 aprile, a Pavia, i fascisti aggrediscono un gruppo di lavoratori e uccidono lo studente comunista Ferruccio Ghinaglia. Il 1° maggio, a Cavriago (Reggio Emilia), in un conflitto con i carabinieri sono uccisi gli anarchici Andrea Borrilli e Primo Franceschetti; l'8 maggio, a Castelvetrano (Palermo), dieci morti e cinquanta feriti. Il 13 maggio, a Torino, conflitto tra fascisti e socialisti: un morto e alcuni feriti. Nello stesso giorno è ucciso dai fascisti, in casa sua al Favaro (Biella), il consigliere provinciale socialista Ramella Germanin Eriberto. Lo sciopero generale di protesta viene proclamato in tutto il biellese.
 
Il 16 maggio, a Cerignola (Bari), i fascisti invadono i seggi elettorali, danno la caccia agli elettori: nove socialisti uccisi e numerosi feriti. Il 17 maggio a La Spezia i carabinieri sparano sui lavoratori: due morti e tredici feriti; nella stessa giornata, a Milano, nel corso di una manifestazione, l'operaio Sebastiano Pistillo è ucciso da una guardia regia. A Vicenza, i fascisti aggrediscono un corteo di lavoratori: due morti e altri gravemente feriti. A Firenze, dopo la vittoria elettorale socialista, i fascisti aggrediscono i manifestanti, uccidono Adamo Porri e Giuseppe Morosini, ne feriscono altri gravemente. Il 20 maggio gli squadristi assaltano e tentano di incendiare la Camera del Lavoro di Civitavecchia, i lavoratori si difendono, due morti: Umberto Urbani e Pietro Tartaglia, numerosi feriti dalle due parti. Nello stesso giorno, a Chiusi, tre lavoratori cadono in un conflitto con i fascisti. Il 21 maggio, a Foligno, i fascisti uccidono Augusto Belletta; nello stesso giorno, a Parma, aggrediscono un gruppo di operai, uccidendo Angela Martegani e ferendo gravemente Luigi Galliani. A Perugia, di notte, uccidono Guglielmo Rotini e feriscono altre elettori socialisti. A Parma, il 25 maggio, uccidono l'operaio Antonio Masseri e feriscono gravemente il giovane Aldo Ghiretti. Il 27 maggio, a Barletta, invadono le case di alcuni esponenti socialisti e comunisti e le saccheggiano, numerosi i feriti. Il 31 maggio, a Trevignano (Treviso), feriscono gravemente molte persone.
 
A Modica (Ragusa), in un conflitto seguito alle violenze fasciste, vi sono cinque morti e alcuni feriti. Il 3 giugno uccidono a Carrara il mutilato di guerra Renato Lazzeri. Il 7 giugno, a Firenzuola d'Arda (Piacenza), aggrediscono all'interno di un'osteria un gruppo di lavoratori, uccidendo il socialista Carlo Molinari. L'11 giugno, ad Arezzo, uccidono Guido Ciccaglini, Bruciamacchia e Tosti, feriscono gravemente Giorgi e Grifoni. Il 10 giugno, a Milano, uccidono il socialista Luigi Gadda e il 12 giugno Romeo Cozzi, feriscono gravemente Ettore Crotti; il 13 giugno invadono un circolo socialista a Venezia, uccidono l'operaio Vanini e ne feriscono gravemente altri. Il 14 giugno, "spedizione punitiva" a Sarzana (La Spezia): uccidono Luigi Gastardelli; il 15, a Minervino Murge (Bari), aggrediscono alcuni lavoratori, uccidendone uno e ferendone altri. Il 19 uccidono a Crema Ettore Sale e feriscono altri lavoratori. Il 22 giugno uccidono a Sermide (Mantova) Mario Bertelli, il 27 a Roma, Pietro Confetti, a Grosseto, Giuseppe Savelli, a Scicli (Ragusa) Angelo Ficili. Il 28, a Ossaglio (Milano), fascisti e forza pubblica aggrediscono un gruppo di scioperanti, uccidendo Attilio Achinti e ferendone gravemente altri sei.
 
Il 1° luglio, a Selvalizza (Parma), un morto e quindici feriti gravi in un conflitto tra scioperanti e forza pubblica. Nello stesso giorno i fascisti attaccano la sede della Camera del Lavoro di Sestri Ponente difesa dagli operai, vi sono oltre trenta feriti dalle due parti. L'11 luglio i fascisti uccidono a Viterbo il contadino Tommaso Pesci e ne feriscono gravemente altri. Il 12 luglio a Pallanza uccidono due lavoratori: Giulio Barietti e Amedeo Bottini. Il 13 luglio a Torino aggrediscono all'interno di un circolo operaio alcuni comunisti e uccidono Giuseppe Migliaretti e Isidoro Provera, riducono in fin di vita Attilio Abbo. Il 18 luglio a Lodi invadono un circolo socialista uccidendo un operaio e ferendone altri.
 
Il 18 luglio, "spedizioni punitive" a Sarzana e al Monzone di Carrara, dieci morti e venticinque feriti; gli "Arditi del popolo" si difesero efficacemente e i fascisti ebbero la peggio. Le autorità procedettero a numerosi arresti tra i quali quelli di Renato Ricci e di altri gerarchi fascisti responsabili delle stragi che insanguinavano le valli del Lucido e della Magra. Il 21 luglio oltre un migliaio di fascisti provenienti da diverse località della provincia di Carrara puntarono su Sarzana nell'intento di liberare dalle carceri il Ricci e gli altri caporioni fascisti. Quando si stavano concentrando sul piazzale della stazione di Sarzana si scontrarono con robusti cordoni di carabinieri decisi ad impedire loro l'ingresso in città. I fascisti tentarono di spezzare lo schieramento dei carabinieri muovendo all'assalto, ma furono accolti dalle scariche della mitraglia. Ebbe cosi inizio una vera e propria battaglia alla quale partecipò la popolazione in appoggio ai carabinieri. Vi furono numerosi morti tra i quali 20 fascisti e decine di feriti. Fu uno dei pochi casi in cui le forze armate fecero il loro dovere respingendo con le armi l'attacco dei fascisti.
 
Il 23 luglio un morto a Cesena: Pietro Casadei, uno ad Acqui: Guido Cordara e l'operaio Zanelli di Imola, nelle tre località numerosi i feriti. Il 25 luglio "spedizione punitiva" dei fascisti a Roccastrada (Grosseto); qui, a differenza che a Sarzana, le autorità e i carabinieri lasciarono che i fascisti penetrassero in città, invadessero di notte le case incendiandole e assassinassero i loro abitanti: dodici contadini uccisi e decine di altri feriti gravi.
 
In una interrogazione svolta alla Camera dei deputati il 27 luglio, l'on. Giacomo Matteotti denunciava una lunga serie di violenze consumate dai fascisti in provincia di Rovigo allo scopo di ottenere le dimissioni dei capi lega e dei consigli comunali. Concludeva il suo discorso dicendo: "Tutte le notti le case dei nostri, e noi abbiamo per sfortuna i paesi dispersi in mezzo alla campagna, dove la gente vive lontano dai centri che possono costituire un ostacolo ed una remora alla delinquenza, tutte le notti queste piccole case vengono assalite da bande mascherate che con facilità ne abbattono le porte e commettono i più orrendi e i più vili delitti. Lo stato di schiavitù e di delinquenza in cui vive oggi questa provincia italiana e quelle che le sono vicino è tale che dev'essere denunziato. Colà non vi è più possibilità di vita. Abbiamo centinaia di persone che non vivono e non dormono più nelle loro case."
 
Ma l'interrogazione non ebbe alcun effetto. A Casalmaggiore (Cremona), il 5 agosto, due morti, a Crema un morto, a Castelfranco Emilia due lavoratori uccisi e alcuni feriti; a Firenze i fascisti assaltano una Cooperativa mentre è riunito il consiglio di amministrazione, uccidono Adamo Sottani e feriscono gravemente Gino e Anita Petroni. Il 17 agosto a Marzabotto (Bologna), gli squadristi aggrediscono alcuni lavoratori durante una processione: un morto, Adolfo Comani e un ferito grave: Gelso Ravagli. Le spedizioni si susseguono quotidianamente: il 18 agosto cadono a Gavorrano (Grosseto) Giovanni Parmasio, il 20 a Rovigo Sante Caroti, il 22 a Noceto (Parma) G. Pettiraso, nello stesso giorno altri due morti a Parma, il 24 ad Acquanegra sul Chiesa (Mantova) è assassinato Beniamino Brunelli, a Casale Monferrato un altro lavoratore, a Dolo (Venezia) è ucciso l'ardito del popolo Romeo Semenzato, il 29 agosto a Forlimpopoli (Forlì) sono assassinati Pietro Calvoli e Adolfo Tassinari, altri lavoratori feriti; il 6 settembre due morti a Messina, il 10 un morto a Bagnara di Romagna (Ravenna), il 18 a Pontedera (Pisa) il socialista Paride Profet e l'anarchico Corrado Bellucci, il 21 a Montopoli (Pisa) Mario Susini e Artebano Gronchi, il 22 a Pont'Ercole (Grosseto) è ucciso Nello Fasci, il 23 a Firenze Virgilio Rovai, altri due lavoratori a San Romano (Lucca). Il 24, a Reggio Emilia, cadono Luigi Medici e Paolo Mantovani, il 26 a Bari viene assassinato dai fascisti il deputato socialista Giuseppe Di Vagno. Il 27, centinaia di fascisti, capeggiati dall'on. Vicini, tentano di invadere Modena, la forza pubblica lo impedisce sparando sugli squadristi, sette dei quali sono uccisi e altri feriti.
 
Il 2 ottobre, spedizione fascista a Fossoli (Carpi): un morto e alcuni feriti. Il 3 ottobre i fascisti uccidono ad Arezzo Galleano Braschi, il 5 ottobre, a Pola, Luigi Scallié, l'8 ottobre due operai a Monfalcone, il 17 ottobre a Pandino (Cremona) Angelo Lupi, a Vinci (Firenze) Giuseppe Corsani e L. Pacini e a Sannicandro Garganico (Foggia) un operaio, il 20 ottobre a Empoli Ettore Gasparri, il 14 a Sala Braganza (Parma) Carlo Fava, il 31 a Lugo di Ravenna Domenico Veronesi e a Ortanova (Foggia) Pietro Montefiori e Angelo Pietra.
 
L'8 novembre, a Roma, i fascisti uccidono due ferrovieri in sciopero, il macchinista Farnetti e Francesco Baldini e ne feriscono altri; viene proclamato lo sciopero generale, scoppiano conflitti tra fascisti e lavoratori in diversi rioni della città, centocinquanta feriti e tre morti: Romolo Barbieri, Rosario Pugliese e Camillo Manni. Il 26 novembre, in conflitti con i fascisti, cadono a Trieste Giuseppe Giraldi e Giorgio Muller, il 29 a Bologna sono aggrediti e gravemente feriti tre giovani che vendevano il giornale comunista "l'Avanguardia"; il 10 dicembre i fascisti aggrediscono, in un'osteria della periferia di Rovigo, alcuni lavoratori e uccidono Stefano Ravegnani e G. Zanella; il 12, a Rosate (Milano), uccidono Carlo Cantoni e Luigi Mangiarotti, e a Cremona assassinano il vicepresidente della deputazione provinciale, il socialista Attilio Boldori; il 20 dicembre danno l'assalto alla Casa del popolo di Dolo (Venezia), uccidono Severino Allegri e feriscono altri lavoratori.
 
A metà dell'anno Antonio Gramsci aveva tracciato un tragico bilancio delle violenze fasciste e poliziesche.
 
"Nei 365 giorni dell'anno 1920, 2500 italiani (uomini, donne, bambini e vecchi) hanno trovato la morte nelle vie e nelle piazze, sotto il piombo della pubblica sicurezza e del fascismo. Nei trascorsi 200 giorni di questo barbarico 1921, circa 1500 italiani sono stati uccisi dal piombo, dal pugnale, dalla mazza ferrata fascista, circa 40.000 liberi cittadini della democratica Italia sono stati bastonati, storpiati, feriti; circa 20.000 altri liberissimi cittadini della democraticissima Italia sono stati esiliati con bandi regolari, o costretti a fuggire con le minacce dalle loro sedi di lavoro e vagolano per il territorio nazionale, senza difesa, senza impiego, senza famiglia; circa 300 amministrazioni comunali sono state costrette a dimettersi; una ventina di giornali socialisti, comunisti, repubblicani, popolari sono stati distrutti; centinaia e centinaia di Camere del lavoro, di case del popolo, di cooperative, di sezioni socialiste e comuniste sono state saccheggiate ed incendiate; 15 milioni di popolazione italiana dell'Emilia, del Polesine, delle Romagne, della Toscana, del-l'Umbria, del Veneto, della Lombardia sono stati tenuti permanentemente sotto il dominio di bande armate che hanno incendiato, hanno saccheggiato, hanno bastonato impunemente, hanno violato i domicili, hanno insultato le donne e i vecchi, hanno ridotto alla fame e alla disperazione centinaia di famiglie, hanno calpestato tutti i sentimenti popolari, dalla religione alla famiglia, hanno fatto impazzire per il terrore e morire dei bambini e dei vecchi. Tutto questo è stato permesso dalle autorità ufficiali, è stato o taciuto o esaltato dai giornali.
 
[…] Tredici fascisti vengono uccisi dalla forza pubblica [i fascisti uccisi a Sarzana, N.d.R.], 13 componenti di una banda armata di 600 persone, diretta contro una città: lutti, pianti, desolazione. Duemilacinquecento italiani sono stati uccisi nel 1920; 1500 italiani sono stati uccisi nei primi sei mesi del 1921; ma erano di bassa casta, erano del bestiame popolare che è troppo numeroso, che è troppo ingombrante per la disponibilità in viveri, che è esuberante per la possibilità produttiva dell'apparecchio capitalistico industriale e agricolo; perciò nessuna protesta per la loro uccisione, nessun lutto, non lacrime, non desolazione per la loro fine violenta. I 13 valgono più dei 4000, la morte di 13 fa dimenticare la morte dei 4000, fa dimenticare i dolori, le sofferenze dei milioni e milioni di popolazione sottoposta al regime dell'invasione fascista." (1)
 
Alcuni avvenimenti succedutisi nel corso del 1921 meritano di essere ricordati: la discussione alla Camera sulle violenze fasciste e sugli "opposti estremismi," la costituzione degli "Arditi del popolo" e il patto di pacificazione tra socialisti e fascisti.
 
Il 31 gennaio 1921 si apriva alla Camera una vivace discussione sulle violenze, sui delitti del fascismo e sulla complicità degli organi dello Stato: governo, polizia, forze armate e magistratura. La documentata denuncia da parte dei socialisti e dei comunisti era stata fatta tra gli altri da Graziadei, Treves, e in particolare da Giacomo Matteotti con quella precisione che gli era caratteristica. Egli così aveva concluso:
 
"Il fatto nella sua precisione è questo: oggi in Italia esiste una organizzazione pubblicamente riconosciuta e nota nei suoi aderenti, nei suoi capi, nella sua composizione, nelle sue sedi, di bande armate, le quali dichiarano apertamente che si prefiggono atti di violenza, atti di rappresaglia, minacce, violenze, incendi, e li eseguono, non appena avvenga o si pretesti che avvenga alcun fatto commesso dai lavoratori a danno dei padroni o della classe borghese. È una perfetta organizzazione della giustizia privata, ciò è incontrovertibile.
Se sui singoli fatti, quelli che ho esposto e quelli che non ho esposti, quelli che la Camera conosce e quelli che non conosce; si può dubitare, questa esistenza di una organizzazione di bande armate, con simili, precisi scopi dentro lo Stato italiano, è un fatto sul quale nessuno può opporre contestazioni" (2)
 
In quella discussione si possono trovare molte analogie con quelle recentemente avvenute al Senato ed alla Camera dei deputati (febbraio-marzo 1971). L'atteggiamento dei partiti moderati e conservatori esattamente a cinquant'anni di distanza è ancora lo stesso. Invece di colpire il fascismo, attaccano gli "opposti estremismi," e la D.C., partito composito e interclassista come lo era allora il suo progenitore, il Partito popolare, assume gli atteggiamenti più contraddittori e ambivalenti.
 
In questa Camera - disse allora al termine di quel dibattito Claudio Treves - nessun oratore, s'intende fuori di questi banchi, ha fatto una netta, una chiara, una esplicita ripudiazione del fascismo. Anche quelli che ci misero una foglia di fico più per mostrarlo che per nasconderlo, ci tennero a trovare al fascismo delle discriminanti o delle attenuanti quanto meno, che in realtà poi diventarono delle giustificazioni.
[...] Il fascismo è forte, io non lo contesto. La prova, se ne avessi bisogno, me la dà il Partito popolare. Il Partito popolare su questa questione ha un atteggiamento che merita di essere definito illuminante. È lo stesso atteggiamento che ha tenuto durante la guerra e che io già illustrai alla Camera. Le parti sono divise: i germanofili, gli interventisti, i neutralisti. Miracolo di equilibrio, parlano un linguaggio in città e un altro in campagna, uno al monte e uno al piano a seconda dei vari strati sociali. Avete tenuto unito e compatto il vostro partito nelle elezioni.
Ebbene qui succede qualcosa di più sinistro e di più mostruoso. Trovo sinistro e mostruoso che in uno stesso gruppo, che in uno stesso partito si possano mandare avanti i fascisti e i leghisti [organizzatori delle leghe sindacali, N.d.R.], che voi, in uno stesso tempo, siate con i carnefici e siate con le vittime, siate con i contadini e con l'agraria la quale sostiene e arma i fascisti che voi venite qui a sostenere.(3)
 
Antonio Graziadei, da parte sua, dopo aver sottolineato che la forza del fascismo consisteva nella protezione di cui godeva da parte di tutti gli organi dello Stato ("le prefetture, i carabinieri, la guardia regia, la giustizia e la stampa, tutto è al servizio delle imprese del fascismo"), concludeva la sua analisi con un'acuta osservazione e una previsione che doveva esattamente avverarsi poco più di un anno dopo.
 
"Oggi ci troviamo in Italia in questa situazione: che coloro che dispongono della forza armata, non hanno l'autorità di fronte alle classi lavoratrici per tenere il potere, e viceversa coloro che potrebbero avere autorità verso queste masse sono completamente sprovvisti della forza armata.
Ora, questi periodi di crisi che si trascinano per anni, in cui nessuno di fatto governa, e quindi non può non prosperare il colpo di mano, sono i più dannosi per ogni paese, perché sono quelli che inaridiscono le condizioni stesse della produzione."(4)
 
La mozione socialista che condannava la politica del governo ebbe soltanto 79 voti, mentre 226 deputati, su 305 presenti e votanti, accordavano la fiducia al governo, manutengolo e complice del fascismo, sotto l'ipocrita maschera della lotta contro "gli opposti estremismi."
 
Note
 
1) Antonio Gramsci, "L'Ordine Nuovo", 23 luglio 1921, n. 203.
2) Giacomo Matteotti, Discorso alla Camera dei Deputati, 31 gennaio 1921.
3) C. Treves, Discorso alla Camera dei Deputati, 3 febbraio 1921.
 

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