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Il militarismo militante e la tattica antimilitaristica della socialdemocrazia

V. I. Lenin | Lenin, Opere complete, vol. 15, pag. 186, Editori Riuniti, Roma, 1966
Trascrizione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

Proletari, n. 33, 5 agosto (23 luglio) 1908

I

I diplomatici sono in agitazione. Le «note», i «rapporti», le «dichiarazioni» piovono come grandine; i ministri bisbigliano alle spalle dei fantocci coronati, che, con le coppe di champagne in mano, «consolidano la pace». Ma i «sudditi» sanno molto bene che, se i corvi accorrono, vuol dire che c'è lezzo di cadavere. Anche il conservatore lord Cromer ha dichiarato alla Camera inglese che «viviamo in tempi difficili, nei quali gli interessi nazionali [?] sono in giuoco, le passioni divampano e sorge il pericolo e la possibilità di un conflitto, benché le intenzioni dei governanti siano pacifiche [!]».

Negli ultimi tempi si sono accumulate a sufficienza delle sostanze infiammabili, che aumentano sempre più. La rivoluzione in Persia minaccia di sconvolgere tutte le suddivisioni, le «sfere d'influenza», fissate laggiù dalle potenze europee. Il movimento costituzionale in Turchia minaccia di strappare questo patrimonio dagli artigli dei predoni capitalistici d'Europa. Inoltre, le vecchie «questioni» - macedone, dell'Asia centrale, dell'Estremo oriente, ecc., ecc. - si sono aggravate c diventano minacciose.

D'altra parte, con l'attuale rete di trattati aperti e segreti, accordi, ecc., basta pestare un callo a una qualsiasi «potenza» perché «dalla scintilla divampi la fiamma».

E, quanto più i governi fanno risonare minacciosamente le armi, l'uno contro l'altro, tanto più implacabilmente essi perseguitano il movimento antimilitaristico nei propri paesi. Le persecuzioni contro gli antimilitaristi crescono in estensione e intensità. Il ministero «radicalsocialista» di Clemenceau-Briand usa la violenza non peggio del ministero junker-conservatore di Bulow. Lo scioglimento delle «organizzazioni giovanili» in tutta la Germania, seguito alla promulgazione della nuova legge sulle associazioni e assemblee, che proibisce a chi non abbia compiuto vent'anni di prendere parte alle riunioni politiche, ha reso oltremodo difficile l'agitazione antimilitaristica in Germania.

Ne è risultato che la polemica sulla tattica antimilitaristica dei socialisti, assopitasi dopo il congresso di Stoccarda (76), si è riaccesa sulla stampa del partito.

A tutta prima si ricava una strana impressione: nonostante la palese importanza del problema, nonostante i danni evidenti e tangibili del militarismo per il proletariato, è difficile trovare un'altra questione in cui vi siano tante esitazioni e tanti dissensi tra i socialisti occidentali come nel dibattito sulla tattica antimilitaristica.

Le premesse di principio per la giusta soluzione del problema sono state fissate già da un pezzo, in modo assai preciso, e non suscitano disaccordi. Il militarismo moderno è un prodotto del capitalismo. In entrambe le sue forme esso è una «manifestazione vitale» del capitalismo: come forza militare impiegata dagli Stati capitalistici nei loro conflitti esterni («Militarismus nach aussen», come dicono i tedeschi) e come arma di cui le classi dominanti si servono per reprimere ogni specie di movimento (economico e politico) del proletariato («Militarismus nach innen») Numerosi congressi internazionali (di Parigi, nel 1889, di Bruxelles, nel 1891, di Zurigo, nel 1893, infine, di Stoccarda, nel 1907) hanno dato a quest'opinione una formulazione definitiva nelle loro risoluzioni. La connessione tra il militarismo e il capitalismo è definita nel modo più preciso dalla risoluzione di Stoccarda, sebbene il congresso, attenendosi all'ordine del giorno (Sui conflitti internazionali), si sia interessato soprattutto di quel lato del militarismo che i tedeschi chiamano «Militarismus nach aussen» («esterno»). Ecco un passo della risoluzione che si riferisce a questo punto:

«Le guerre tra gli Stati capitalistici sono in genere un effetto della loro concorrenza sul mercato mondiale, poiché ogni Stato tenta non soltanto di assicurarsi certi sbocchi, ma di conquistare nuove regioni, e qui l'asservimento di popoli e paesi stranieri è di capitale importanza. Queste guerre sono inoltre generate dai continui riarmi militari, provocati dal militarismo, che è l'arma principale del dominio di classe della borghesia e della sottomissione politica della classe operaia.

«Le guerre sono agevolate dai pregiudizi nazionalistici, sistematicamente coltivati nei paesi capitalistici nell'interesse delle classi dominanti, allo scopo di distogliere le masse proletarie dai loro compiti di classe e di indurle a dimenticare il dovere della solidarietà internazionale di classe.

«In tal modo, le guerre hanno le loro radici nella sostanza stessa del capitalismo e cesseranno soltanto quando cesserà di esistere il regime capitalistico o quando l'entità dei sacrifici umani e finanziari, richiesti dallo sviluppo della tecnica bellica, e la collera popolare, suscitata dagli armamenti, porteranno all'eliminazione di questo sistema.

«Soprattutto la classe operaia, che fornisce la maggior parte dei soldati e su cui ricade la maggior parte dei sacrifici materiali, è il nemico naturale delle guerre, che si oppongono agli scopi da essa perseguiti: la creazione di un sistema economico fondato sul principio socialista, che realizza di fatto la solidarietà dei popoli...».

II

E quindi la connessione di principio tra il militarismo e il capitalismo è saldamente definita dai socialisti, e su questo punto non vi sono dissensi. Ma il riconoscimento di questa connessione non determina ancora concretamente la tattica antimilitaristica dei socialisti, non risolve la questione pratica del modo come lottare contro gli oneri del militarismo e come opporsi alle guerre. Ebbene, nella soluzione di questi problemi, si registra una notevole divergenza nelle opinioni dei socialisti. Al congresso di Stoccarda si son potuti constatare questi disaccordi in modo particolarmente tangibile.

A un polo si trovano i socialdemocratici tedeschi del tipo di Vollmar. Essi ritengono che, se il militarismo è figlio del capitalismo, se le guerre sono l'inevitabile compagno di strada dello sviluppo capitalistico, allora non è necessaria alcuna specifica attività antimilitaristica. Proprio cosi si è espresso Vollmar al congresso di Essen. Sul problema della condotta dei socialdemocratici in caso di guerra, la maggioranza dei socialdemocratici tedeschi, con Bebel e Vollmar alla testa, si attiene con energia alla tesi che i socialdemocratici devono difendere la propria patria dall'attacco e prendere parte a una guerra «difensiva». Questa posizione ha spinto Vollmar a dichiarare a Stoccarda che «tutto l'amore per l'umanità non ci può impedire di essere dei buoni tedeschi» e ha indotto il deputato socialdemocratico Noske a proclamare al Reichstag che, in caso di guerra contro la Germania, «i socialdemocratici tedeschi non saranno alla coda dei partiti borghesi e impugneranno il fucile». Dopo di che a Noske è bastato fare un solo passo per dichiarare: «Noi vogliamo che la Germania sia armata quanto più è possibile».

All'altro polo c'è il gruppo, poco numeroso, dei seguaci di Hervé. Il proletariato non ha patria, pensano gli hervéisti. E quindi ogni e qualsiasi guerra è fatta nell'interesse dei capitalisti, e quindi il proletariato deve battersi contro ogni guerra. A qualsiasi dichiarazione di guerra il proletariato deve replicare con lo sciopero militare e con l'insurrezione. La propaganda antimilitaristica deve in special modo consistere in questo. Pertanto Hervé ha proposto a Stoccarda il seguente progetto di risoluzione: «...Il congresso incita a replicare a qualsiasi dichiarazione di guerra, da qualunque parte provenga, con lo sciopero militare e l'insurrezione».

Sono queste, nelle file dei socialisti occidentali, le due posizioni «estreme». In esse si riflettono, «come il sole in una goccia», le due malattie che danneggiano tuttora l'azione del proletariato socialista in Occidente: le tendenze opportunistiche, da un lato, e il verbalismo anarchico, dall'altro lato.

Prima di tutto, qualche osservazione sul patriottismo. Nel Manifesto del partito comunista si dice in realtà che «gli operai non hanno patria»; è inoltre vero che la posizione di Vollmar, Noske e soci è sfacciatamente in contrasto con questa tesi fondamentale del socialismo internazionale. Ma da ciò non consegue tuttavia che sia giusta l'affermazione di Hervé e degli hervéisti che per il proletariato è indifferente vivere nell'una patria o nell'altra, nella Germania monarchica, nella Francia repubblicana o nella dispotica Turchia. La patria, cioè l'ambiente politico, culturale e sociale, è il fattore più possente nella lotta di classe del proletariato; e, se ha torto Vollmar, che delinea un atteggiamento «puramente tedesco» del proletariato verso la «patria», non ha poi ragione Hervé, che tratta con una così imperdonabile assenza di spirito critico un fattore tanto importante della lotta di emancipazione del proletariato. Il proletariato non può essere indifferente e apatico dinanzi alle condizioni politiche, sociali e culturali della sua lotta, e quindi non possono essergli indifferenti le sorti del suo paese Ma le sorti del suo paese gli interessano solo nella misura in cui riguardano la lotta di classe, e non in virtù d'un «patriottismo» borghese, assolutamente sconveniente sulle labbra d'un socialdemocratico

L'altra questione, quella del militarismo e della guerra, è più complessa. È subito evidente che Hervé fa un'imperdonabile confusione tra i due problemi e dimentica il nesso causale tra il capitalismo e la guerra. Se il proletariato accettasse la tattica hervéista, si dedicherebbe a un lavoro infruttuoso, impiegando tutto il suo potenziale di lotta (giacché si parla di insurrezione) per battersi contro gli effetti (la guerra), lasciando sussistere le cause (il capitalismo).

Il modo di ragionare anarchico si manifesta qui in piena misura La fede cieca nella forza miracolosa di ogni action direct e; la separazione di questa «azione diretta» dalla congiuntura sociale e politica generale, senza la minima analisi; in breve, l'«interpretazione arbitraria e meccanica dei fenomeni sociali» (come dice K. Liebknecht) è evidente.

Il piano di Hervé è «molto semplice»: all'atto della dichiarazione di guerra i soldati socialisti disertano, mentre i riservisti proclamano lo sciopero e restano a casa. Ma «lo sciopero dei riservisti non è una forma di resistenza passiva: la classe operaia passerebbe rapidamente alla resistenza aperta, all'insurrezione, e quest'ultima avrebbe maggiori probabilità di concludersi con la vittoria, proprio perché l'esercito operante sarebbe alla frontiera del paese» (G. Hervé, Leur patrie (77)).

Ecco un «piano concreto, diretto, pratico», e Hervé, convinto del suo successo, propone di rispondere con lo sciopero militare e con l'insurrezione a qualsiasi dichiarazione di guerra.

Come si vede qui con chiarezza, non si tratta di sapere se il proletariato può rispondere, quando lo stimi adatto allo scopo, con lo sciopero e l'insurrezione alla dichiarazione di guerra. Si tratta di sapere se si debba vincolare il proletariato all'impegno di rispondere con l'insurrezione a qualsiasi guerra. Risolvere la questione nell'ultimo senso significa togliere al proletariato la scelta del momento in cui scatenare la lotta decisiva, per lasciare tale scelta ai medici: non è il proletariato a scegliere il momento della lotta secondo i suoi interessi, quando cioè la sua coscienza socialista è alta, la sua organizzazione forte, le circostanze favorevoli, ecc.; no, i governi borghesi potrebbero provocare il proletariato all'insurrezione anche in una situazione per esso sfavorevole; per esempio, dichiarando una guerra particolarmente adatta a suscitare sentimenti patriottici e sciovinistici in vasti strati della popolazione e a isolare cosi il proletariato insorto. Bisogna poi ricordare che la borghesia, la quale dalla Germania monarchica alla Francia repubblicana e alla Svizzera democratica già perseguita con tanta ferocia l'attività antimilitaristica in tempo di pace, si avventerebbe con raddoppiato furore contro ogni tentativo di sciopero militare in caso di guerra, nel momento in cui vigono le leggi di guerra e lo stato di guerra, le corti marziali, ecc.

Ha ragione Kautsky quando, a proposito dell'idea di Hervé, dice che «l'idea dello sciopero militare è nata da "buoni" motivi, è nobile e piena di eroismo, ma è un'eroica stoltezza».

Il proletariato può replicare con lo sciopero militare alla dichiarazione di guerra quando ciò gli sembri opportuno e conveniente; può, tra gli altri mezzi per giungere alla rivoluzione sociale, ricorrere anche allo sciopero militare. Ma non è nell'interesse del proletariato vincolarsi a questa «ricetta tattica».

Proprio cosi ha risolto la questione controversa il congresso internazionale di Stoccarda.

III

Se le opinioni degli hervéisti sono un'«eroica stoltezza», la posizione di Vollmar, di Noske e degli elementi dell'«ala destra» che la pensano come loro è viltà opportunistica. Se il militarismo è figlio del capitale e scompare con il capitale, come essi hanno sentenziato a Stoccarda e in special modo a Essen, non è neppure necessaria una specifica agitazione antimilitaristica, che non ha ragion d'essere. Ma - si è obiettato a Stoccarda - anche la soluzione radicale della questione operaia o della questione della donna, per esempio, è impossibile fino a che sussiste il regime capitalistico, e tuttavia noi lottiamo per la legislazione operaia, per estendere i diritti civili alle donne, ecc. La propaganda specificamente antimilitaristica dev'essere svolta con tanta più energia quanto più frequenti si fanno i casi di ingerenza delle forze armate nella lotta tra capitale e lavoro e quanto più evidente diviene l'importanza del militarismo non soltanto nella lotta odierna del proletariato, ma anche nella sua lotta futura, al momento della rivoluzione sociale.

La propaganda specificamente antimilitaristica ha dalla sua non solo ragioni di principio ma anche un'importante esperienza storica. In questo campo il Belgio precede tutti i paesi. Il Partito operaio belga, oltre alla propaganda generale dell'idea dell'antimilitarismo, ha organizzato alcuni gruppi di giovani socialisti con il nome di «Giovane guardia» («Jeunes gardes»). I gruppi di uno stesso distretto fanno parte della federazione distrettuale; a loro volta, le federazioni distrettuali sono unite nella federazione nazionale guidata dal «Consiglio direttivo». Gli organi delle «giovani guardie» (La jeunesse c'est l'ave-nir, De Kazerne, De Loteling, ecc.) sono venduti in decine di migliaia di copie! La federazione più forte è quella vallone, che riunisce 62 gruppi locali con 10.000 aderenti. In complesso, la «Giovane guardia» è composta attualmente di 121 gruppi locali.

Oltre all'agitazione con la stampa si conduce un'intensa agitazione orale: in gennaio e in settembre (mesi della chiamata di leva) nelle principali città belghe si svolgono comizi popolari e cortei; dinanzi alle porte dei municipi, all'aria aperta, gli oratori socialisti spiegano alle reclute il significato del militarismo. Presso il Consiglio direttivo della «Giovane guardia» è stato istituito un «comitato per i reclami» che raccoglie notizie su tutte le ingiustizie commesse nelle caserme. Queste notizie vengono pubblicate quotidianamente dall'organo centrale del partito, Le peuple, in una rubrica speciale intitolata: Dall'esercito. La propaganda antimilitaristica non si arresta sulla soglia della caserma, perché i soldati socialisti costituiscono dei gruppi incaricati di svolgere propaganda nell'esercito. Attualmente si contano circa quindici di questi gruppi («unioni dei soldati»).

Secondo l'esempio belga, ma variando di intensità e sotto l'aspetto organizzativo, viene condotta la propaganda antimilitaristica in Francia (*), in Svizzera, in Austria e in altri paesi.

Cosi, una specifica attività antimilitaristica non è solo particolarmente necessaria, ma è anche conforme allo scopo e feconda sul piano pratico. E quindi, in quanto Vollmar e insorto contro dì essa, affermando che le condizioni poliziesche la rendono impossibile in Germania e che essa crea il pericolo dello scioglimento delle organizzazioni del partito, la questione si riduceva all'analisi concreta della situazione di questo paese, si poneva cioè come una questione di fatto e non di principio. E suona qui giusta l'osservazione di Jaurès che la socialdemocrazia tedesca, dopo aver sopportato ancora giovane, nei difficili anni delle leggi eccezionali contro i socialisti, la mano di ferro del conte Bismarck, oggi che si è accresciuta e rafforzata come non mai potrebbe non temere le persecuzioni dei governanti attuali. Ma Vollmar ha doppiamente torto quando vuol sostenere che la propaganda specificamente antimilitaristica è inopportuna in linea di principio.

Non meno opportunistico è il convincimento di Vollmar e dei suoi seguaci che i socialdemocratici devono partecipare a una guerra difensiva. La brillante critica di Kautsky non ha lasciato in piedi una sola pietra dell'edificio di queste opinioni. Kautsky ha detto che è assolutamente impossibile capire subito, specie nei momenti di intossicazione patriottica, se la guerra ha scopi aggressivi o difensivi (Kautsky ha fatto un esempio: attaccava o si difendeva il Giappone all'inizio della guerra russo-giapponese?). I socialdemocratici si impiglierebbero nelle reti delle trattative diplomatiche, se pensassero di definire il proprio atteggiamento verso la guerra secondo questo criterio. I socialdemocratici possono persino trovarsi in una situazione in cui devono rivendicare delle guerre offensive. Nel 1848 (non è male ricordarlo anche agli hervéisti) Marx e Engels hanno considerato necessaria la guerra della Germania contro la Russia. E in seguito hanno cercato di influire sull'opinione pubblica inglese per indurre la Gran Bretagna alla guerra contro la Russia. Kautsky ha addotto, fra l'altro, il seguente esempio ipotetico: «Supponiamo - egli ha detto - che in Russia il movimento rivoluzionario riporti la vittoria e che in Francia l'influenza di questa vittoria determini il passaggio del potere nelle mani del proletariato; supponiamo, d'altra parte, che contro la nuova Russia si crei una coalizione di monarchi europei. Protesterà la socialdemocrazia internazionale, se la repubblica francese accorrerà in aiuto della Russia?» (K: Kautsky, La nostra opinione sul patriottismo e sulla guerra (78)).

È evidente che in questa questione (come nella concezione del «patriottismo») l'unico angolo visuale da cui è possibile riguardare e risolvere il problema dell'atteggiamento della socialdemocrazia verso l'uno o l'altro aspetto delle relazioni internazionali non è quello del carattere offensivo o difensivo della guerra, ma quello degli interessi della lotta di classe del proletariato, o, meglio, quello degli interessi del movimento internazionale del proletariato.

Una recente dichiarazione di Jaurès mostra fino a quali colonne d'Ercole sia capace d'arrivare l'opportunismo anche in tali questioni. In un giornalucolo liberale borghese tedesco Jaurès espone le sue opinioni sulla situazione internazionale e difende dall'accusa di propositi antipacifisti l'alleanza della Francia e dell'Inghilterra con la Russia, considera quest'intesa come una «garanzia di pace» e si rallegra del fatto che «oggi siamo arrivati all'alleanza tra Inghilterra e Russia, tra due vecchi nemici».

Un'eccellente critica di quest'opinione e una scottante risposta a Jaurès è la Lettera aperta di R. Luxemburg, pubblicata nell'ultimo fascicolo della Neue Zeit (79).

Rosa Luxemburg osserva anzitutto che parlare dell'intesa tra «Russia» e «Inghilterra» significa «parlare il linguaggio dei politicanti borghesi», perché gli interessi degli Stati capitalistici e gli interessi del proletariato in tema di politica estera sono interessi opposti, e non si può parlare di armonia d'interessi nel campo delle relazioni internazionali. Se il militarismo è figlio del capitalismo, le guerre non possono essere eliminate con gli intrighi dei governanti e dei diplomatici, e il compito dei socialisti non è di far nascere illusioni in proposito, ma, invece, di smascherare senza tregua l'ipocrisia e l'impotenza degli «atti di pace» della diplomazia.

Ma il punto centrale della Lettera è il giudizio sull'alleanza tanto esaltata da Jaurès dell'Inghilterra e della Francia con la Russia. La borghesia europea ha dato oggi allo zarismo la possibilità di fronteggiare la pressione rivoluzionaria. «Oggi, tentando di rendere definitiva la vittoria temporanea sulla rivoluzione, l'assolutismo ricorre anzitutto a un mezzo sperimentato da tutti i dispotismi vacillanti, ai successi in politica estera.» Tutte le alleanze della Russia sono oggi una «santa alleanza della borghesia europea occidentale con la controrivoluzione russa, con gli strangolatori e i carnefici dei combattenti della libertà russi e polacchi; sono un rafforzamento della reazione più sanguinaria, non solo all'interno della Russia, ma anche nelle relazioni internazionali». «E quindi il compito più elementare dei socialisti e dei proletari di tutti i paesi consiste nell'impedire con tutte le forze l'alleanza con la Russia controrivoluzionaria.»

«Come spiegare il fatto - domanda R. Luxemburg a Jaurès - che cercate "con la massima energia" di rendere il governo dei sanguinari carnefici della rivoluzione russa e dell'insurrezione persiana un fattore determinante della politica europea, di fare delle forche russe le colonne della pace internazionale, proprio voi, che, un tempo, nel parlamento francese, avete pronunciato un brillante discorso contro il prestito alla Russia, proprio voi, che qualche settimana fa avete pubblicato nel vostro giornale, nell'Humanitè, un vibrante appello all'opinione pubblica contro il sanguinoso lavoro delle corti marziali nella Polonia russa? Come si possono conciliare i vostri piani di pace, fondati sull'intesa franco-russa e anglo-russa, con la recente protesta del gruppo parlamentare socialista e della commissione amministrativa del Consiglio nazionale del partito socialista contro il viaggio di Fallières in Russia, con quella protesta che reca la vostra firma e difende con espressioni appassionate gli interessi della rivoluzione russa? Se il presidente della repubblica francese vorrà rifarsi al quadro che voi descrivete della situazione internazionale, risponderà alla vostra protesta che chi giustifica il fine deve giustificare anche i mezzi, chi considera l'alleanza con la Russia zarista come un tributo alla pace internazionale deve poi accettare tutto ciò che rafforza quest'alleanza e favorisce l'amicizia.

«Che cosa avreste detto, se in Germania, in Russia e in Inghilterra si fossero trovati dei socialisti e dei rivoluzionari che, "nell'interesse della pace", avessero raccomandato l'intesa con il governo di Thiers e di Jules Favre e avessero protetto quest'intesa con la propria autorità morale?!!»

Questa lettera parla da sé, e i socialdemocratici russi possono solo ringraziare la compagna Rosa Luxemburg per questa sua protesta e per la sua difesa della rivoluzione russa dinanzi al proletariato internazionale.

Note:

*) Un'interessante particolarità dei francesi è l'organizzazione del cosiddetto «soldo al soldato»: ogni settimana l'operaio versa un soldo al segretario del suo sindacato; le somme cosi raccolte vengono inviate ai soldati «per ricordare loro che anche indossando l'uniforme militare appartengono alla classe degli sfruttati, cosa di cui non devono dimenticarsi in nessuna circostanza».

76) Il congresso internazionale di Stoccarda (settimo congresso internazionale socialista) si tenne dal 18 al 24 agosto 1907, con la partecipazione di 886 delegati. Lenin vi rappresentò il POSDR. Sul congresso cfr., nella presente edizione, v. 13, pp. 68-83.

77) II libro di Gustave Hervé usci a Parigi, «edite par l'auteur», nel 1905.

78) II titolo originale dello scritto di K. Kautsky è Patriotismus, Krieg und Sozialdemokratie. Lenin si riferisce alla traduzione russa edita a Pietroburgo nel 1905.

79) R. Luxemburg, Offener Brief an Jean Jaurès in Die Neue Zeit, Stuttgart, 1908, Bd. 2, n. 43, pp. 588-592.


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