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- materiali resistenti in linea - iper-classici - 29-10-09 - n. 293
da Stalin, Opere Complete, vol. 4, Edizioni Rinascita, Roma, 1955, pp.. 173-185
trascrizione a cura del CCDP nel 92° anniversario della rivoluzione d’ottobre
La Rivoluzione d'Ottobre e la questione nazionale
La questione nazionale non può essere considerata come un problema a sè stante, posto una volta per sempre. Essendo soltanto una parte della questione generale della trasformazione dell'ordine esistente, la questione nazionale è interamente determinata dalle condizioni dell'ambiente sociale, dal carattere del potere nel paese e, in generale, da tutto il processo di sviluppo della società. Ciò appare in maniera particolarmente evidente nel periodo della rivoluzione in Russia, quando la questione nazionale e il movimento nazionale nelle regioni periferiche della Russia mutano rapidamente e manifestamente il loro contenuto in rapporto con l'andamento e l'esito della rivoluzione.
I
La rivoluzione di febbraio e la questione nazionale
Nell'epoca della rivoluzione borghese in Russia (febbraio 1917) il movimento nazionale nelle regioni periferiche aveva il carattere di un movimento di liberazione borghese. Le nazionalità della Russia, da secoli oppresse e sfruttate dall'«antico regime», per la prima volta ebbero la sensazione della loro forza e si lanciarono nella lotta contro gli oppressori. «Liquidazione dell'oppressione nazionale» era la parola d'ordine del movimento. In un baleno nelle regioni periferiche della Russia si moltiplicarono le istituzioni «nazionali». Alla testa del movimento si posero gli intellettuali democratici borghesi delle varie nazioni. I «soviet nazionali» nella Lettonia, nella regione estone, nella Lituania, in Georgia, in Armenia, nell'Azerbaigian, nel Caucaso settentrionale, nella Kirghisia e nel medio Volga; la «Rada» in Ucraina ed in Bielorussia; lo «Statul-zarii» in Bessarabia; il «Kurultai» in Crimea e in Basckiria; il «governo autonomo» nel Turkestan, queste erano le istituzioni «nazionali» attorno alle quali la borghesia nazionale raccoglieva le forze. Si trattava di liberarsi dallo zarismo, «causa fondamentale» dell'oppressione nazionale, e di formare degli stati nazionali borghesi. Il diritto delle nazioni all'autodecisione veniva interpretato come il diritto della borghesia nazionale delle regioni periferiche a prendere il potere sulle sue mani e ad utilizzare la rivoluzione di febbraio per formare un «proprio» stato nazionale. L'ulteriore sviluppo della rivoluzione non entrava, non poteva entrare nei calcoli delle istituzioni borghesi sopra citate. Si perdeva inoltre di vista che allo zarismo si andava sostituendo l'imperialismo nudo e crudo, privo della maschera e che proprio questo imperialismo era il nemico più forte e più pericoloso delle nazionalità, e costituiva la base di una nuova oppressione nazionale.
L'abbattimento dello zarismo e l'ascesa al potere della borghesia non portarono tuttavia alla distruzione dell'oppressione nazionale. La vecchia, brutale forma di oppressione nazionale si mutò in una forma nuova, più raffinata, ma non perciò meno pericolosa. Il governo di Lvov, Miliukov e Kerenski non solo non abbandonò la politica dell'oppressione nazionale, ma organizzò nuovi attacchi contro la Finlandia (scioglimento della Dieta nell'estate del 1917) e contro l'Ucraina (scioglimento delle istituzioni culturali). Inoltre questo governo, per sua natura imperialista, invitò la popolazione a proseguire la guerra, mirando alla conquista di nuovi territori, di nuove colonie e nazionalità. A ciò lo spingeva non soltanto l'intima natura dell'imperialismo, ma anche la presenza in Occidente di vecchi stati imperialistici, che tendevano irresistibilmente a sottomettere nuovi territori e nuove nazionalità, e minacciavano di restringere la sua sfera di influenza. La lotta degli stati imperialisti per la sottomissione delle piccole nazionalità, condizione per l'esistenza di questi stati: questo fu il quadro che apparve nel corso della guerra imperialista. L'abbattimento dello zarismo e l'entrata in scena del governo Miliukov-Kerenski non apportarono proprio alcun miglioramento a questo brutto quadro. Naturalmente nella misura in cui le istituzioni «nazionali» delle regioni periferiche mostravano tendenze all'autonomia statale, esse urtavano contro l'insormontabile resistenza del governo imperialista della Russia. Invece, nella misura in cui esse, sanzionando il potere della borghesia nazionale, rimasero sorde agli interessi fondamentali dei «loro» operai e dei contadini, suscitarono in questi ultimi lamentele e malcontenti. I cosiddetti «reggimenti nazionali» non fecero altro che versare olio sul fuoco: contro la minaccia che veniva dall'alto, essi erano impotenti, mentre non facevano che accentuare e aggravare la minaccia che veniva dal basso. Le istituzioni «nazionali» rimasero senza difesa sia contro i colpi dall'esterno, che contro le esplosioni dall'interno. Gli stati borghesi nazionali allora sorti, non riuscendo a consolidarsi, cominciarono a dissolversi.
In tal modo la vecchia interpretazione democratica borghese del principio dell'autodecisione si trasformò in una finzione e perse il suo significato rivoluzionario. Era evidente che in queste condizioni non si poteva neppure pensare di distruggere l'oppressione nazionale e dì istituire l'autonomia per i piccoli stati nazionali. Evidentemente la liberazione delle masse lavoratrici delle nazionalità oppresse e la distruzione dell'oppressione nazionale non si potevano concepire senza la rottura con l'imperialismo, l'abbattimento della «propria» borghesia nazionale e l'assunzione del potere da parte delle stesse masse lavoratrici.
Ciò fu particolarmente chiaro dopo la Rivoluzione d'Ottobre.
II
La Rivoluzione d'Ottobre e la questione nazionale
La rivoluzione di febbraio celava nel suo seno delle contraddizioni interne inconciliabili. La rivoluzione era stata compiuta grazie agli sforzi degli operai e dei contadini (soldati), eppure, in conseguenza della rivoluzione, il potere era passato non agli operai e ai contadini, ma alla borghesia. Facendo la rivoluzione, gli operai e i contadini volevano farla finita con la guerra ed ottenere la pace.
Invece la borghesia, dopo esser salita al potere, tentava di sfruttare il fervore rivoluzionario delle masse per prolungare la guerra, contro la pace. Il disordine economico esistente nel paese e la crisi alimentare imponevano l'espropriazione del capitale e delle imprese industriali a vantaggio degli operai, la confisca delle terre dei grandi proprietari a vantaggio dei contadini, mentre il governo borghese di Miliukov e di Kerenski difendeva gli interessi dei grossi proprietari fondiari e dei capitalisti, proteggendo decisamente questi ultimi dagli attacchi degli operai e dei contadini. Questa fu dunque una rivoluzione borghese, fatta dagli operai e dai contadini a vantaggio degli sfruttatori.
Frattanto il paese continuava a gemere sotto il peso della guerra imperialista, del disastro economico e dell'anarchia negli approvvigionamenti. Il fronte si sfasciava e si dissolveva. Le fabbriche e le officine cessavano ogni attività. Nel paese aumentava la fame. La rivoluzione di febbraio, con le sue contraddizioni interne, appariva evidentemente insufficiente per la «salvezza del paese». Il governo Miliukov-Kerenski appariva evidentemente incapace di risolvere le questioni fondamentali della rivoluzione.
Occorreva una nuova rivoluzione, socialista, che facesse uscire il paese dal vicolo cieco della guerra imperialista e del caos economico.
Questa rivoluzione fu la Rivoluzione d'Ottobre.
Abbattendo il potere dei grandi proprietari terrieri e della borghesia e mettendo al suo posto il governo degli operai e dei contadini, la Rivoluzione d'Ottobre con un sol colpo risolse le contraddizioni di quella di febbraio. L'annientamento dell'onnipotenza dei grandi proprietari terrieri e dei kulak e la cessione della terra in godimento alle masse lavoratrici della campagna; l'espropriazione delle fabbriche e delle officine, che venivano affidate alla direzione degli operai; la rottura con l'imperialismo e la liquidazione della guerra di rapina; la pubblicazione degli accordi segreti e lo smascheramento della politica di conquista dei territori altrui; infine la proclamazione dell'autodecisione delle masse lavoratrici dei popoli soggiogati ed il riconoscimento dell'indipendenza della Finlandia, queste furono le misure fondamentali adottate dal potere sovietico all'inizio della rivoluzione sovietica.
Questa fu una rivoluzione effettivamente socialista.
La rivoluzione, iniziata nel centro, non poteva restare a lungo limitata entro l'ambito del suo ristretto territorio. Avendo vinto nel centro, essa doveva inevitabilmente diffondersi nelle zone periferiche. Ed effettivamente l'ondata rivoluzionaria che proveniva dal nord, fin dai primi giorni della rivoluzione si riversò in tutta la Russia, invadendo le regioni una dopo l'altra. Ma qui essa urtò contro un argine rappresentato dai «soviet nazionali» e dai «governi» regionali che si erano formati già prima dell'Ottobre (Don, Kuban, Siberia). Questi «governi nazionali» non volevano neppur sentir parlare di rivoluzione socialista. Borghesi per loro natura, essi non volevano affatto distruggere il vecchio regime borghese; al contrario stimavano loro dovere conservarlo e consolidarlo con tutte le loro forze. Imperialisti nella loro essenza, essi non volevano affatto rompere con l'imperialismo; al contrario non furono mai alieni dall'invadere e soggiogare pezzi e pezzetti di territori di nazionalità «straniere» ogni volta che se ne presentò la possibilità. Non c'è niente di strano nel fatto che i «governi nazionali» delle regioni periferiche dichiarassero guerra al governo socialista del centro. Una volta dichiarata la guerra, essi naturalmente divennero focolai della reazione, e raccolsero attorno a sé tutte le forze controrivoluzionarie della Russia. Per nessuno è un segreto che là, in quei focolai, si rifugiarono tutti i controrivoluzionari scappati dalla Russia, che là, attorno a quei focolai, essi costituirono i reggimenti «nazionali» delle guardie bianche.
Ma oltre ai governi «nazionali», nelle regioni periferiche esistono anche operai e contadini. Organizzati nei loro soviet dei deputati rivoluzionari secondo il modello dei soviet dei deputati del centro della Russia già prima della Rivoluzione di Ottobre, essi non ruppero mai i legami con i loro fratelli del nord. Anch'essi lottarono per vincere la borghesia, anch'essi si batterono per il trionfo del socialismo. Non c'è da meravigliarsi se il loro conflitto con i «loro» governi nazionali si acuiva di giorno in giorno. La Rivoluzione d'Ottobre non fece altro che consolidare l'unione degli operai e dei contadini delle zone periferiche con gli operai e i contadini della Russia, infondendo in loro la fede nel trionfo del socialismo. La guerra dei «governi nazionali» contro il potere sovietico provocò un conflitto delle masse nazionali con questi «governi», conflitto che arrivò fino alla completa rottura con essi, fino alla rivolta aperta.
In tal modo si formò l'unione socialista degli operai e dei contadini di tutta la Russia contro l'unione controrivoluzionaria dei «governi» nazionali borghesi delle regioni periferiche della Russia.
Certe persone presentano la lotta dei «governi» periferici come una lotta per la liberazione nazionale contro lo «spietato centralismo» del potere sovietico. Ma questo non è affatto vero. Nessun potere al mondo ha mai ammesso una decentralizzazione così ampia, nessun governo al mondo ha mai concesso ai popoli una libertà nazionale così piena come il potere sovietico in Russia. La lotta dei «governi» periferici è stata e rimane una lotta della controrivoluzione borghese contro il socialismo. Soltanto per trarre in inganno le masse viene adoperata la bandiera nazionale come bandiera di popolo atta a coprire i propositi controrivoluzionari della borghesia nazionale.
Ma la lotta dei «governi» «nazionali» e regionali apparve una lotta impari. Attaccati da due parti, dal di fuori dal potere sovietico della Russia, e dal di dentro dai «loro» operai e contadini, i «governi nazionali» dovettero ritirarsi dopo i primi combattimenti. La rivolta degli operai e dei torpari (1) finnici e la fuga del «Senato» borghese; la rivolta degli operai e dei contadini ucraini e la fuga della «Rada» borghese; la rivolta degli operai e dei contadini sul Don, nel Kuban, in Siberia ed il fallimento di Kaledin, di Kornilov e del «governo» siberiano; la rivolta dei poveri del Turkestan e la fuga del «governo autonomo»; la rivolta agraria nel Caucaso e la completa impotenza dei «soviet nazionali» della Georgia, dell'Armenia e dell'Azerbaigian, sono fatti noti a tutti, che hanno mostrato l'assoluta mancanza di legame dei «governi» regionali con le «loro» masse lavoratrici. I «governi nazionali», sbaragliati, furono «costretti» a chiedere aiuto contro i «loro» operai e contadini agli imperialisti dell'Occidente, ai secolari oppressori e sfruttatori delle nazionalità di tutto il mondo.
Solo allora divenne per tutti evidente che la borghesia nazionale non aspira a liberare il «suo popolo» dal giogo nazionale, ma mira a trarre da esso profitti, a conservare i propri privilegi ed i propri capitali.
Solo allora fu chiaro che la liberazione delle nazionalità oppresse non è pensabile senza la rottura con l'imperialismo, senza l'abbattimento della borghesia delle nazionalità soggiogate, senza il passaggio del potere nelle mani delle masse lavoratrici di queste nazionalità.
In tal modo la vecchia concezione borghese del principio dell'autodecisione insieme alla parola d'ordine «Tutto il potere alla borghesia nazionale», venne smascherata ed eliminata dal corso stesso della rivoluzione. La concezione socialista del principio dell'autodecisione, secondo la parola d'ordine «Tutto il potere alle masse lavoratrici delle nazionalità oppresse», ricevette tutti i diritti e le possibilità di essere applicata.
In tal modo la Rivoluzione d'Ottobre, ponendo termine all'antico movimento di liberazione nazionale borghese, aprì l'era del nuovo movimento socialista degli operai e dei contadini delle nazionalità oppresse, diretto contro qualsiasi oppressione, anche contro quella nazionale, contro il potere della borghesia «propria» ed altrui, contro l'imperialismo in generale.
III
Il significato mondiale della Rivoluzione d'Ottobre
Avendo vinto nel centro della Russia ed essendo penetrata in una serie di regioni periferiche, la Rivoluzione d'Ottobre non poteva rimanere entro i confini territoriali della Russia. Nell'atmosfera della guerra imperialista mondiale e del generale malcontento dei ceti inferiori essa non poteva non diffondersi nei paesi vicini. La rottura con l'imperialismo e la liberazione della Russia dalla guerra di rapina; la pubblicazione degli accordi segreti e la solenne rinuncia alla politica di conquista dei territori stranieri; la proclamazione della libertà nazionale ed il riconoscimento dell'indipendenza della Finlandia; la proclamazione della Russia «Federazione delle repubbliche nazionali sovietiche» e l'appello lanciato dal potere sovietico al mondo per una decisa lotta contro l'imperialismo, tutto ciò non poteva non avere una notevole influenza sull'Oriente soggiogato e sull'Occidente sanguinante.
E, effettivamente, la Rivoluzione d'Ottobre è stata la prima rivoluzione al mondo che abbia rotto il secolare letargo delle masse lavoratrici dei popoli oppressi dell'Oriente e le abbia spinte alla lotta contro l'imperialismo mondiale. La formazione dei soviet degli operai e dei contadini nella Persia, nella Cina e nell'India sul modello di quelli della Russia ne è una prova abbastanza convincente.
La Rivoluzione d'Ottobre è la prima rivoluzione al mondo che abbia servito di vivo esempio di salvezza per gli operai ed i soldati dell'Occidente e li abbia indirizzati sul cammino della effettiva liberazione dal giogo della guerra e dell'imperialismo. L'insurrezione degli operai e dei soldati nell'Austria-Ungheria e nella Germania, la formazione dei consigli dei deputati operai e soldati, la lotta rivoluzionaria contro l'oppressione nazionale condotta dai popoli privi di pieni diritti dell'Austria-Ungheria lo provano in modo abbastanza evidente.
Non ha alcuna importanza il fatto che la lotta in Oriente ed anche quella in Occidente non siano riuscite ancora a liberarsi da alcune caratteristiche borghesi nazionalistiche, fatto si è che la lotta contro l'imperialismo è iniziata, che essa continua e che necessariamente giungerà alla sua logica conclusione.
L'intervento straniero e la politica di occupazione degli imperialisti «esteri» non fanno altro che acutizzare la crisi rivoluzionaria, spronando alla lotta nuovi popoli ed ampliando la sfera delle lotte rivoluzionarie contro l'imperialismo.
In tal modo la Rivoluzione d'Ottobre, stabilendo un legame tra i popoli dell'Oriente arretrato e quelli dell'Occidente progredito, spinge questi popoli nel comune campo della lotta contro l'imperialismo.
In tal modo la questione nazionale, da questione particolare della lotta contro l'oppressione nazionale, si sviluppa fino a divenire la questione generale della liberazione delle nazioni, delle colonie e delle semicolonie dall'imperialismo.
Il peccato mortale della II Internazionale e del suo capo, Kautsky, consiste, tra l'altro, nel fatto che essi scivolarono sempre nella concezione borghese del problema dell'autodecisione nazionale e, non comprendendone il significato rivoluzionario, non seppero o non vollero porre la questione nazionale sul terreno rivoluzionario della lotta aperta contro l'imperialismo, non seppero o non vollero vedere il legame che esiste tra il problema nazionale e quello della liberazione delle colonie.
L'ottusità dei socialdemocratici austriaci del tipo di Bauer e di Renner consiste in sostanza nel fatto che essi non hanno compreso l'unione indissolubile della questione nazionale con la questione del potere, ed hanno tentato di scindere la questione nazionale dalla politica, relegandola nell'ambito dei problemi culturali, dimenticando l'esistenza di «bagattelle» quali l'imperialismo e le colonie ad esso asservite.
Dicono che i principi dell'autodecisione e della «difesa della patria» sono stati annullati dal corso degli avvenimenti, dal progredire della rivoluzione socialista. In realtà non sono stati annullati i principi dell'autodecisione e della «difesa della patria», ma sono state annullate le loro interpretazioni borghesi. Basta considerare le regioni occupate, che gemono sotto l'oppressione dell'imperialismo ed anelano alla liberazione, basta considerare la Russia, che conduce una guerra rivoluzionaria per la difesa della patria socialista dai predoni dell'imperialismo; basta riflettere sugli avvenimenti che hanno attualmente luogo nell'Austria-Ungheria; basta considerare le colonie e semicolonie soggiogate che hanno già organizzato i soviet (India, Persia, Cina), basta considerare tutto questo per comprendere pienamente il valore rivoluzionario del principio dell'autodecisione nella interpretazione che di esso dà il socialismo.
Il grande significato mondiale della Rivoluzione d'Ottobre consiste principalmente nel fatto che essa:
1) ha allargato i limiti della questione nazionale, trasformandola da questione particolare della lotta contro l'oppressione nazionale in Europa nella questione generale della liberazione dei popoli delle colonie e delle semicolonie oppressi dall'imperialismo;
2) ha aperto ampie possibilità e vie efficaci per giungere a questa liberazione, rendendo notevolmente più facile ai popoli oppressi dell'Occidente e dell'Oriente la loro liberazione, spingendoli nell'alveo generale della lotta vittoriosa contro l'imperialismo;
3) per questo stesso motivo ha gettato un ponte tra l'Occidente socialista e l'Oriente oppresso, costituendo un nuovo fronte della rivoluzione, che dai proletari dell'Occidente, attraverso la rivoluzione della Russia, giunge fino ai popoli oppressi dell'Oriente, contro l'imperialismo mondiale.
Proprio in questo modo si spiega l'indescrivibile entusiasmo con il quale si rivolgono adesso al proletariato della Russia le masse lavoratrici e sfruttate dell'Oriente e dell'Occidente.
In questo modo, soprattutto, si spiega il furore con cui si sono attualmente scagliati contro la Russia sovietica i predoni imperialisti di tutto il mondo.
Pravda, nn. 249 e 250, 6 e 19 novembre 1918. Firmato: G. Stalin.
Note:
1) Torpori: contadini finlandesi senza terra, che prendevano in affitto le terre dei grandi proprietari a condizioni semifeudali