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- materiali resistenti in linea - iper-classici - 06-07-11 - n. 371
da Mao Tse Tung, Scritti scelti Vol. I, Edizioni Rinascita, Roma 1955, pag 363-383
A novanta anni dalla fondazione del Partito Comunista Cinese (01/07/1921) - trascrizione a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
Mao Tse Tung
1937
Sulla pratica
Sul nesso tra scienza e pratica, tra conoscere e fare
Questo articolo fu scritto nel 1937 per smascherare varie tendenze pseudomarxiste che erano sorte (in seno al partito. Inparticolar modo è diretto da un lato contro i seguaci dell'empirismo, che non comprendevano l'importanza della teoria nella pratica rivoluzionaria, e dall'altro contro i seguaci del dogmatismo, che, paludandosi con una fraseologia marxista-leninista, disprezzavano la pratica. Queste due tendenze, soprattutto il dogmatismo, avevano arrecato enorme danno alla causa della rivoluzione tra il 1931 e il 1937.
I concetti sviluppati da Mao Tse Tung in questo scritto erano già stati argomento di una conferenza tenuta all'università politico-militare antigiapponese di Yenan.
Il materialismo premarxista considerava i problemi della conoscenza indipendentemente dalla natura sociale dell'uomo, indipendentemente dal suo sviluppo storico, e per questo non poteva intendere il nesso di interdipendenza fra la conoscenza e la pratica sociale, cioè il nesso di interdipendenza tra la conoscenza, la produzione e la lotta di classe.
I marxisti ritengono, anzitutto, che l'attività produttiva costituisca la fondamentale attività pratica che determina ogni altra forma di attività. Nel processo della conoscenza, l'uomo, basandosi essenzialmente sull'attività produttiva pratica, comprende gradualmente i fenomeni della natura, le proprietà della natura, le leggi della natura e i propri rapporti con la natura; inoltre, attraverso l'attività produttiva conosce, pure gradualmente, certi rapporti reciproci, variamente determinati, degli uomini tra loro. Tutte queste conoscenze non possono essere acquisite indipendentemente dall'attività produttiva. Nella società senza classi ciascun uomo, come membro della società, compie degli sforzi in comune con gli altri membri, entra in determinati rapporti di produzione con essi, e si impegna nell'attività produttiva diretta a risolvere i problemi della vita materiale. Nelle diverse società divise in classi, d'altra parte, i membri delle varie classi entrano, del pari, attraverso differenti forme, in rapporti di produzione determinati, e s'impegnano nell'attività produttiva diretta a risolvere i problemi della vita materiale. Questa è la principale fonte di sviluppo della conoscenza umana.
La pratica sociale degli uomini non si limita alla sola attività produttiva, ma ha anche molte altre forme: lotta di classe, vita politica, attività scientifica e artistica; in breve, gli uomini partecipano a tutti i campi della vita pratica sociale. Perciò l'uomo nel processo della conoscenza, comprende, in vario grado, i diversi rapporti degli uomini tra di loro non soltanto nel processo della vita materiale, ma anche nel processo della vita politica e culturale (strettamente legata alla vita materiale). Un'influenza particolarmente profonda esercitano, sullo sviluppo delle conoscenze umane, le varie forme della lotta di classe. In una società divisa in classi, ogni uomo vive in una determinata situazione di classe, e ogni ideologia porta unmarchio di classe.
I marxisti ritengono che l'attività produttiva, nella società umana, si sviluppi a grado a grado dagli stadi più bassi ai più alti, e che per questa ragione la conoscenza dell'uomo, sia nel campo della natura che in quello della società, si sviluppi, a sua volta, a grado a grado dagli stadi più bassi agli stadi più alti, cioè dal semplice al complesso, dall'unilaterale al multilaterale. Per un lungo periodo storico gli uomini poterono comprendere soltanto unilateralmente la storia della società; ciò da una parte era dovuto alle vedute egoistiche delle classi sfruttatrici, che costantemente hanno falsato la storia della società, dall'altra, alle ridotte proporzioni della produzione, che limitavano l'orizzonte degli uomini. Solo quando, con la comparsa di forze produttive gigantesche (la grande industria) apparve il proletariato moderno, gli uomini poterono giungere alla comprensione multilaterale del processo storico, dello sviluppo storico della società e trasformare in scienza le proprie conoscenze della società. E questa scienza è il marxismo.
I marxisti ritengono che soltanto la pratica sociale degli uomini possa essere il criterio della verità della loro conoscenza del mondo esterno. Poiché, di fatto, soltanto nel processo della pratica sociale (nel processo della produzione materiale, della lotta di classe, degli esperimenti scientifici) le conoscenze umane possono essere confermate dall'acquisizione dei risultati attesi. Se gli uomini tendono ad ottenere successi nel lavoro, cioè ad ottenere i risultati che si attendono, devono assolutamente conformare le loro idee alle leggi del mondo oggettivo esterno, in caso contrario nella pratica fallirebbero. Se falliscono, gli uomini traggono insegnamenti dallo stesso insuccesso, modificano le proprie idee in modo da conformarle alle leggi del mondo esterno, trasformando così la sconfitta in vittoria; le massime : «la sconfitta è la madre del successo» e «sbagliando si impara», esprimono questa verità.
La teoria della conoscenza del materialismo dialettico pone al primo posto la pratica, ritenendo che le conoscenze umane non si possono assolutamente separare dalla pratica, e lottando contro tutte le erronee teorie che negano l'importanza della pratica e ammettono un distacco tra la conoscenza e la pratica. Lenin diceva che «la pratica è superiore alla conoscenza (teorica), perché possiede non soltanto il pregio dell'universalità, ma anche quello dell'immediata realtà» (1).
La filosofia marxista, il materialismo dialettico, ha due caratteristiche principali: la prima è il suo carattere di classe, l'aperto riconoscimento che il materialismo dialettico serve il proletariato; la seconda è il suo carattere pratico, l'affermazione della interdipendenza tra teoria e pratica, l'affermazione che alla base della teoria sta la pratica, e che a sua volta la teoria serve la pratica. La verità della conoscenza, ossia della teoria, è determinata non dal giudizio soggettivo, ma dai risultati della pratica sociale oggettiva. Criterio della verità può essere soltanto la pratica sociale. Il punto di vista della pratica deve essere il punto di vista primo e fondamentale della teoria della conoscenza del materialismo dialettico (2).
Ma, in qual modo le conoscenze umane sorgono dalla pratica per servir nuovamente la pratica? Per comprenderlo basta esaminare il processo di sviluppo della conoscenza.
In un primo tempo, nel processo dell'attività pratica, gli uomini vedono soltanto l'aspetto fenomenico delle varie cose, vedono i loro lati singoli, i loro nessi esterni. Per esempio, le persone che vennero a Yenan in veste di osservatori nei primi giorni videro la località, le strade, le case, avvicinarono diverse persone, presero parte a ricevimenti, serate, riunioni, sentirono molti discorsi, lessero parecchi documenti: tutto ciò rappresenta l'aspetto fenomenico delle cose, i loro lati singoli, i loro nessi esterni. Questa fase del processo conoscitivo è chiamata fase della percezione, cioè fase delle percezioni e delle impressioni. Cioè, le varie cose di Yenan, agendo sugli organi dei sensi degli osservatori, provocarono in loro determinate percezioni, lasciarono nella loro coscienza una serie di impressioni collegate da un nesso generale esteriore. Questa è la prima fase della conoscenza. In questa fase gli uomini non possono ancora formarsi profondi concetti e trarre conclusioni logiche.
Il continuarsi della pratica sociale provoca la continua ripetizione dei fenomeni che producono sugli uomini percezioni e impressioni. E allora nella coscienza umana avviene un salto nel processo della conoscenza, sorge il concetto. Il concetto non riflette più solamente l'aspetto fenomenico delle cose, i loro singoli aspetti, il loro nesso esterno, ma comprende le cose nella loro essenza, nella loro totalità, nel loro nesso interno. Fra concetto e percezione esiste non soltanto una differenza quantitativa, ma anche una differenza qualitativa. Il successivo sviluppo in questa direzione, l'adozione dei metodi del giudizio e della deduzione, potrà condurre a conclusioni logiche. Quando nel Racconto dei tre regni (3) si dice : «Quando si aggrottano le ciglia, si pensa a uno stratagemma» o come noi diciamo più comunemente : «Lasciatemici pensare», ci si riferisce precisamente al momento in cui l'uomo opera nella sua mente con i concetti per formare il giudizio e le deduzioni. E questa è la seconda fase della conoscenza.
Gli osservatori venuti da noi, dopo aver raccolto parecchi materiali ed averci «pensatosu », avrebbero potuto formulare questo giudizio. «La politica del fronte unico nazionale antigiapponese condotta dal partito comunista è una politica conseguente, sincera e leale». Se altrettanto lealmente essi fossero per l'unità, per la salvezza della nazione, nel formulare questo giudizio, avrebbero potuto fare un altro passo e trarre la seguente conclusione : «È possibile riuscire a creare il fronte unico nazionale antigiapponese». Nel processo generale della conoscenza di un qualsiasi fenomeno, questo stadio del concetto, del giudizio e della deduzione è la fase più importante, la fase della conoscenza razionale.
Il vero compito della conoscenza è quello di arrivare, attraverso la percezione, al pensiero, di arrivare alla graduale spiegazione delle contraddizioni interne delle cose obiettivamente esistenti, alla spiegazione delle leggi che le regolano, alla spiegazione del nesso interno tra i vari processi, arrivare cioè alla conoscenza logica. Ripetiamo: la conoscenza logica si differenzia dalla conoscenza percettiva perché la conoscenza percettiva abbraccia gli aspetti singoli, fenomenici delle cose, il loro nesso esterno, mentre la conoscenza logica fa un enorme passo avanti e abbraccia la cosa nel suo insieme, la sua essenza e i suoi nessi interni, porta alla comprensione delle contraddizioni interne del mondo circostante, e può così afferrarne lo sviluppo in tutto il suo insieme, con tutti i suoi nessi interni.
Prima del marxismo nessuno aveva mai enunciato una teoria dialettico-materialistica del processo di sviluppo della conoscenza come questa, basata sulla pratica e procedente dal semplice al complesso. Il materialismo marxista per primo ha risolto giustamente questo problema, ha materialisticamente e dialetticamente indicato il processo di sviluppo della conoscenza, il processo attraverso cui la conoscenza percettiva diviene conoscenza logica, attraverso la pratica, complessa e costantemente riproducentesi, della produzione e della lotta di classe degli uomini, nella società. Lenin ha detto : «Le astrazioni come materia, legge naturale, valore, ecc, in breve, tutte le astrazioni scientifiche (giuste, serie, non arbitrarie) riflettono la natura più profondamente, più veracemente, più completamente » (4). Il marxismo-leninismo ritiene che la caratteristica specifica dei due stadi del processo della conoscenza consista nel fatto che nello stadio inferiore la conoscenza è percettiva, mentre nello stadio superiore è logica; però ciascuno di questi stadi è uno stadio dell'unico processo della conoscenza. La percezione e la razionalità sono diverse per il loro carattere, ma sono reciprocamente inseparabili e si unificano sulla base della pratica.
La nostra pratica dimostra che le cose percepite non possono essere da noi immediatamente comprese, e che soltanto le cose comprese possono essere percepite più a fondo. La percezione può risolvere soltanto il problema dell'aspetto fenomenico della cosa, mentre il problema della sua essenza è risolto soltanto dalla ragione. Questi problemi non possono in nessun modo essere risolti prescindendo dalla pratica. La conoscenza di una qualsiasi cosa non è possibile senza venire a contatto con questa cosa, cioè senza vivere (aver pratica) nel suo ambiente.
Non era possibile conoscere in antecedenza le leggi della società capitalistica mentre esisteva ancora la società feudale, in quanto, non essendo ancora apparso il capitalismo, non esisteva la pratica corrispettiva. Il marxismo poteva essere soltanto un prodotto della società capitalistica. Marx non poteva all'epoca del capitalismo premonopolistico conoscere in antecedenza e concretamente certe leggi specificamente proprie dell'epoca dell'imperialismo, in quanto l'imperialismo, come stadio supremo del capitalismo, non era ancora apparso e non c'era ancora la pratica corrispettiva; solo Lenin e Stalin poterono assumersi questo compito.
Marx, Engels, Lenin e Stalin hanno potuto formulare la loro teoria, a parte la loro genialità, fondamentalmente perché hanno partecipato personalmente alla pratica della lotta di classe e degli esperimenti scientifici dei loro tempi; senza quest'ultima condizione nessun genio, per quanto grande potesse essere, avrebbe avuto successo. L'espressione «il dotto non varca la soglia di casa, eppure sa tutto ciò che avviene sotto il sole era una frase vuota nei tempi antichi, tecnicamente poco o nulla sviluppati; ma anche se oggi, nel nostro secolo tecnicamente molto sviluppato, ciò è ben realizzabile, coloro che effettivamente conoscono le cose del mondo sono, in realtà, gli uomini legati alla pratica, e solo quando questi uomini con la loro pratica acquisiscono il «sapere», e attraverso gli scritti e la tecnica questo sapere arriva anche al nostro dotto, solo allora egli potrà conoscere indirettamente «tutto ciò che avviene sotto il sole».
Per la conoscenza diretta delle cose o di certi tipi di cose è necessaria la partecipazione personale alla lotta pratica volta a modificare la realtà, a modificare quelle cose o quei tipi di cose; soltanto la partecipazione personale a questa lotta pratica può portare al contatto con l'aspetto fenomenico di quelle cose o di quei tipi di cose, e soltanto ciò da la possibilità di scoprire la loro essenza e di comprenderle. Questo è il cammino della conoscenza che in realtà ogni uomo percorre; e solo poche persone, falsificando intenzionalmente i fatti, sostengono l'opinione contraria.
I più ridicoli a questo proposito sono i cosidetti «sapientoni», i quali con una infarinatura superficiale di cognizioni frammentarie, casuali, si spacciano per i «primi del mondo», dimostrando con ciò soltanto di non conoscere esattamente i propri limiti. Il sapere è una scienza, e la scienza non tollera la più piccola falsificazione né la più piccola presunzione. Essa esige proprio il contrario: l'onestà e la modestia. Se vuoi acquistare delle conoscenze, devi partecipare alla pratica che modifica la realtà. Se vuoi conoscere il gusto di una pera, devi mutarla mangiandola. Se vuoi conoscere la struttura e le proprietà dell'atomo, devi fare esperienze fisiche e chimiche, devi modificare lo stato dell'atomo. Se vuoi conoscere la teoria e i metodi della rivoluzione, devi prendere parte alla rivoluzione. Tutte le vere conoscenze provengono dall'esperienza diretta. Tuttavia l'uomo non può sperimentare direttamente tutte le cose e, in realtà, la maggior parte delle nostre conoscenze è frutto di un'esperienza indiretta, sono cioè conoscenze tramandateci dai secoli passati, conoscenze che gli uomini hanno acquisito in altri paesi. Queste conoscenze sono il prodotto dell'esperienza diretta di uomini che ci hanno preceduto o che vivono in altri paesi. Se le conoscenze acquisite dall'esperienza diretta dei nostri precedessori o degli stranieri rispondono alla condizione di quell'«astrazione scientifica» di cui parlava Lenin e sono il riflesso scientifico di cose obiettivamente esistenti, tali conoscenze sono attendibili; in caso contrario non lo sono. Perciò le conoscenze dell'uomo provengono solo da due fonti: dall'esperienza diretta e dall'esperienza indiretta. Inoltre ciò che per me è esperienza indiretta è per gli altri esperienza diretta. Di conseguenza, preso il sapere nel suo complesso, si può dire che nessuna conoscenza può esistere avulsa dall'esperienza diretta.
La fonte di tutte le conoscenze è nelle percezioni che gli organi dei sensi dell'uomo ricevono dal mondo esterno obiettivamente esistente; chi nega questa percezione, chi nega l'esperienza diretta, chi non ammette la partecipazione personale alla pratica che modifica la realtà, non è un materialista. Ecco perché sono tanto ridicoli i «sapientoni». Vi è un vecchio proverbio cinese che dice : «Come puoi prendere i tigrotti, se non entri nella tana della tigre?». Questo proverbio è vero sia per la pratica degli uomini che per la teoria della conoscenza. Non ci può essere conoscenza senza la pratica.
Citeremo ancora alcuni esempi concreti al fine di chiarire il processo della conoscenza dal punto di vista del materialismo dialettico, processo che sorge sulla base della pratica della modificazione della realtà; il processo cioè del graduale approfondimento della conoscenza.
Nel periodo iniziale della sua pratica, nel periodo della distruzione delle macchine e della lotta spontanea, il proletariato nella sua conoscenza della società capitalistica si trovava appena allo stadio della conoscenza percettiva e conosceva soltanto gli aspetti singoli e i nessi esterni tra i diversi fenomeni del capitalismo. Allora il proletariato era ancora una cosiddetta «classe in sé». Ma quando questa classe giunse al secondo periodo della sua pratica (il periodo della lotta economica e politica cosciente, organizzata) quando, attraverso la sua pratica, attraverso le esperienze accumulate durante lunghe lotte, e attraverso la sua educazione alla teoria marxista, che rappresenta un compendio di queste esperienze, fatto con metodo scientifico da Marx e da Engels, giunse alla comprensione dell'essenza della società capitalistica, alla comprensione dei rapporti di sfruttamento esistenti fra le classi sociali, alla comprensione dei propri compiti storici, allora il proletariato divenne una «classe per sé».
Sulla stessa via procedette la conoscenza dell'imperialismo da parte del popolo cinese. Il primo stadio fu lo stadio della conoscenza percettiva superficiale, lo stadio delle lotte indiscriminate contro gli stranieri ai tempi del movimento dei taiping, del movimento dei boxer, ecc. Solo il secondo stadio fu lo stadio della conoscenza razionale, quando il popolo cinese scoprì le varie contraddizioni interne ed esterne dell'imperialismo, quando scoprì l'essenza dell'oppressione e dello sfruttamento delle vaste masse popolari cinesi da parte dell'imperialismo, alleato dei compradores e della classe dei grandi proprietari fondiari. Questa conoscenza ebbe inizio soltanto intorno al periodo del «movimento del 4 maggio» nel 1919.
Passiamo ora alla guerra. Se chi dirige una guerra non ha sufficiente esperienza militare, nello stadio iniziale non può comprendere le profonde leggi che presiedono alla nostra direzione di una data guerra concreta (ad esempio, la nostra guerra contadina rivoluzionaria negli scorsi dieci anni). Nello stadio iniziale della guerra potrebbe acquistare soltanto l'esperienza che deriva dall'aver preso parte a molte battaglie e dall'essere stato ripetutamente sconfitto. Tuttavia questa esperienza (l'esperienza delle vittorie e, in particolare, delle sconfitte) gli darebbe la possibilità di comprendere gli elementi di ordine interno, presenti nella guerra nel suo complesso, cioè le leggi di quella data guerra, di comprenderne la strategia e la tattica, e di conseguenza gli darebbe la possibilità di dirigerla con sicurezza. Se a questo punto l'incarico di dirigere la guerra passa a una persona priva di esperienza, questa, a sua volta, potrà essere in grado di comprendere le leggi effettive della guerra solo dopo aver subito una serie di sconfitte (cioè dopo aver acquistato esperienza).
Spesso capita di sentir dire da qualche compagno che non ha il coraggio di accettare un lavoro : «Temo di non esserne capace». E, perché questo compagno teme di non essere capace? Perché non ha un'idea precisa del carattere e delle condizioni di quel lavoro: perché non ci si è mai provato, oppure lo ha fatto di rado; e pertanto egli non ha alcuna conoscenza delle leggi che presiedono a quel genere di lavoro. Però, dopo averne analizzato nei dettagli l'ambiente e le condizioni, questo compagno sente nascere in sé una maggiore fiducia nelle proprie capacità e si dichiara pronto a intraprenderlo. Se poi si dedica a questo lavoro per un certo tempo, acquisterà esperienza e se, ancora, egli vorrà guardare la realtà con animo aperto e non considererà le cose soggettivamente, unilateralmente, superficialmente, allora potrà trarre da solo le conclusioni sul modo di lavorare e lavorerà con ancora maggiore sicurezza. Fallirà inevitabilmente soltanto chi considera le cose soggettivamente, unilateralmente e superficialmente, chi appena arrivato in un posto nuovo, senza interessarsi della situazione, senza andare a fondo nelle cose considerandole nel loro insieme (storia, situazione attuale) si mette subito con presunzione a dare ordini e disposizioni.Di conseguenza, primo passo nel processo della conoscenza è il contatto con i fenomeni del mondo esterno: lo stadio della percezione. Il secondo passo è la sintesi dei dati forniti dalla percezione, la loro sistemazione e la loro elaborazione; questo è lo stadio del concetto, del giudizio e della deduzione. Soltanto quando i dati della percezione sono eccezionalmente ricchi (e non frammentari e incompleti), e solo nel caso in cui essi corrispondano alla realtà (non siano cioè frutto di un inganno dei sensi) è possibile, sulla base di questi dati, elaborare concetti validi e fare un ragionamento giusto.
Vi sono qui due importanti momenti che è necessario mettere particolarmente in rilievo. Il primo, come abbiamo già detto sopra, e come riteniamo necessario ripetere qui ancora una volta, è il problema della dipendenza della conoscenza razionale dalla conoscenza percettiva. Chi ritiene che la conoscenza razionale non deriva dalla conoscenza percettiva è un idealista. Nella storia della filosofia vi è la cosiddetta scuola «razionalistica», che ammette soltanto la realtà della ragione, nega la realtà dell'esperienza e ritiene che soltanto la ragione è certa, mentre incerta è l'esperienza data dalla percezione. L'errore di questa scuola consiste nel capovolgere i fatti. La certezza dei dati della conoscenza razionale promana proprio dal fatto che questi dati hanno la loro fonte nei dati della percezione; in caso contrario i dati della conoscenza razionale sarebbero come un fiume senza sorgenti, un albero senza radici, sarebbero qualcosa di soggettivo, spontaneo, inattendibile. Nel processo della conoscenza l'esperienza data dalla percezione sta al primo posto, e noi sottolineiamo l'importanza della pratica sociale in questo processo, proprio perché solo la pratica sociale può dare origine alla conoscenza umana, può dare origine all'esperienza della percezione del mondo esterno obiettivamente esistente. Per un uomo che abbia gli occhi chiusi e le orecchie tappate, che sia completamente isolato dal mondo esterno obiettivamente esistente, non si può nemmeno parlare di conoscenza. La conoscenza ha inizio dall'esperienza: questo è il punto di vista del materialismo nella teoria della conoscenza.
Il secondo momento, dato dalla necessità di approfondire la conoscenza, dalla necessità di passare dallo stadio della conoscenza percettiva a quello della conoscenza razionale, è la dialettica della teoria della conoscenza (5). Ritenere che la conoscenza possa fermarsi allo stadio inferiore, allo stadio della percezione, ritenere che sia certa soltanto la conoscenza percettiva e che la conoscenza razionale non lo sia, significa ricadere nell'errore dell'«empirismo». L'errore di questa teoria consiste nel non ammettere che, sebbene i dati della percezione siano il riflesso di certe realtà del mondo oggettivo (e non voglio qui trattare dell'empirismo idealistico, il quale riduce la esperienza alla cosiddetta introspezione), tuttavia questi dati sono solamente unilaterali e superficiali e riflettono le cose solo in modo incompleto, invece di rifletterne l'essenza. Per riflettere una cosa completamente, nella sua totalità, per riflettere la sua essenza e le sue leggi interne è necessario creare, col pensiero, un sistema di concetti e di posizioni teoriche, rielaborando il ricco materiale della percezione, eliminando la pula e scegliendo il grano, eliminando il falso e conservando il vero, passando da un aspetto ad un altro, dall'esterno all'interno, è necessario il salto dalla conoscenza percettiva alla conoscenza razionale.
Dopo questa rielaborazione la nostra conoscenza non diviene meno completa, meno certa. Al contrario, tutto ciò che, nato nel processo della conoscenza basato sulla pratica, viene scientificamente rielaborato, riflette, come dice Lenin, in modo più profondo, più verace, più perfetto, il mondo obiettivo. Ed è proprio questo che non comprendono i fautori del praticismo volgare: essi si inchinano davanti all'esperienza e disprezzano la teoria, e di conseguenza non possono abbracciare il processo obiettivo nel suo insieme, sono privi di un chiaro orientamento, sono privi di vaste prospettive e, compiaciuti, si rallegrano dei loro successi casuali e delle loro nozioni superficiali. Se costoro dirigessero la rivoluzione, la trascinerebbero in un vicolo cieco.
La conoscenza razionale dipende dalla conoscenza percettiva, ma la conoscenza percettiva deve svilupparsi e trasformarsi in conoscenza razionale. Questa è la teoria della conoscenza del materialismo dialettico. Il «razionalismo» e l'«empirismo» non comprendono il carattere storico o dialettico della conoscenza e, sebbene ciascuna di queste correnti contenga parziali verità (parliamo dell'empirismo e del razionalismo materialistico e non del razionalismo idealistico), tuttavia la loro teoria della conoscenza, nel suo complesso, è erronea. Il processo conoscitivo, secondo il materialismo dialettico, dalla conoscenza percettiva a quella razionale, ha luogo sia nel processo della conoscenza del piccolo (ad esempio la conoscenza di un qualsiasi oggetto o di un qualsiasi lavoro) sia nel processo della conoscenza del grande (ad esempio la conoscenza di una intera società o di una rivoluzione).
Ma con ciò il processo della conoscenza non è ancora concluso. L'affermazione che il processo della conoscenza secondo il materialismo dialettico si ferma alla conoscenza razionale, riguarda soltanto una metà del problema. E inoltre, dal punto di vista della filosofia marxista, non riguarda nemmeno la metà più importante. La filosofia marxista ritiene che il problema più importante non sia quello di spiegare il mondo oggettivo, dopo averne compreso le leggi, ma di valersi della conoscenza di tali leggi obiettive per una attiva trasformazione del mondo. Ilmarxismo riconosce l'importanza della teoria, come è perfettamente espresso nella seguente tesi di Lenin : «Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario» (6). Ma il marxismo attribuisce un grande valore alla teoria, precisamente e solo perché essa può guidare l'azione. Se si possiede una teoria giusta, ma ci si limita soltanto a vuote dissertazioni, la si tiene nel cassetto e non la si applica nella pratica, questa teoria, per buona che sia, non servirà a nulla.
La conoscenza comincia con la pratica, raggiunge attraverso la pratica il piano teoretico, e deve poi ritornare nuovamente alla pratica. La funzione attiva della conoscenza non si esprime soltanto nel salto attivo della conoscenza percettiva alla conoscenza razionale; ma anche - e questa è la cosa importante - nel salto dalla conoscenza razionale alla pratica rivoluzionaria. La conoscenza che ci mette in condizione di comprendere le leggi del mondo deve essere nuovamente diretta verso la pratica della trasformazione del mondo, deve essere cioè applicata nuovamente, nella pratica della produzione, nella pratica della lotta rivoluzionaria di classe e della lotta rivoluzionaria nazionale, nonché nella pratica degli esperimenti scientifici. Questo è il processo di verifica e di sviluppo della teoria, e questo processo rappresenta la continuazione dell'intero processo della conoscenza.
Il problema se la teoria corrisponda o meno alla realtà obiettiva non si risolve completamente nel processo conoscitivo, dalla fase della percezione a quella razionale, nel modo che abbiamo prima descritto, né può risolversi in questo modo. L'unica maniera di risolvere questo problema consiste nel dirigere nuovamente la conoscenza razionale verso la pratica sociale, applicare la teoria alla pratica e vedere se ciò può portarci ai risultati previsti. Molte teorie scientifiche sono riconosciute come vere appunto perché esse non soltanto sono state enunciate da scienziati, ma sono state anche confermate dalla successiva pratica scientifica. E ugualmente il marxismo-leninismo è riconosciuto come vero, non soltanto perché fu ritenuto tale quando fu elaborato scientificamente da Marx, Engels, Lenin e Stalin, ma anche perché è stato confermato dalla susseguente pratica della lotta rivoluzionaria di classe e della lotta rivoluzionaria nazionale. Il materialismo dialettico è una verità universale perché è impossibile, nella pratica, non tener conto di esso. La storia della conoscenza umana ci dice che la verità di molte teorie era incompleta, ma che in seguito alla verifica della pratica questa incompletezza è stata eliminata. Molte teorie sono erronee, ma in seguito alla prova della pratica i loro errori saranno corretti. Per questo la pratica è detta il criterio della verità; «il punto di vista della vita, della pratica deve essere il punto di vista primo e fondamentale della teoria della conoscenza» (7). Stalin ha detto giustamente: «...la teoria diventa priva di oggetto se non viene collegata con la pratica rivoluzionaria, esattamente allo stesso modo che la pratica diventa cieca se non si rischiara la strada con la teoria rivoluzionaria» (8).
A questo punto, è concluso il processo conoscitivo? Rispondiamo: sì, è concluso, ma tuttavia non lo è. Quando nella società l'uomo si dedica alla pratica di mutare un certo processo obiettivo ad un certo stadio del suo sviluppo (si tratti di modificare un processo naturale o un processo sociale), egli può in conseguenza del riflesso del processo obiettivo nel suo pensiero e della sua attività soggettiva, passare dalla conoscenza percettiva alla conoscenza razionale e creare idee, teorie, piani e progetti, che in generale corrispondono alle leggi del processo obiettivo indicato. Se poi nella successiva applicazione di queste idee, teorie, piani o progetti alla pratica della modificazione di quello stesso processo obiettivo, si riesce a raggiungere il fine atteso, cioè a trasformare, nella pratica del processo indicato, le idee, le teorie, i piani o progetti in realtà o ad attuarli nelle loro linee generali, allora il movimento della conoscenza di questo processo concreto può considerarsi concluso. Per esempio, la realizzazione di un qualsiasi piano costruttivo, la conferma di una qualsiasi ipotesi scientifica, la creazione di un qualsiasi meccanismo, il raccolto di un qualsiasi prodotto agricolo, nel processo di trasformazione della natura; o il successo di un qualsiasi sciopero, la vittoria di una guerra qualsiasi, il compimento di un qualsiasi piano d'istruzione, nel processo di trasformazione della società, tutto questo è ritenuto raggiungimento degli obiettivi previsti. Parlando in generale, però, nella pratica della trasformazione della natura ovvero della società, accade di rado che le idee, le teorie, i piani e i progetti prestabiliti dagli uomini si realizzino senza la più piccola modificazione. Ciò avviene perché gli uomini che effettuano una modificazione della realtà sono spesso vincolati da numerose limitazioni; essi non sono legati soltanto a condizioni scientifiche e tecniche, ma anche al grado di sviluppo e manifestazione del processo obiettivo (i vari aspetti e l'essenza del processo obiettivo non sono ancora del tutto scoperti). Data una tale situazione, in conseguenza del manifestarsi nella pratica di circostanze che non erano state previste, spesso si verificano casi di modificazione parziale delle idee, delle teorie, dei piani e dei progetti, e si presentano anche casi di una loro modificazione completa. Ciò significa che vi sono casi in cui idee, teorie, piani e progetti prestabiliti non corrispondono parzialmente o totalmente alla realtà effettiva, sono parzialmente o totalmente errati. In molti casi solo dopo i ripetuti insuccessi si riesce ad eliminare gli errori, si riesce a raggiungere la corrispondenza con le leggi del processo obiettivo in modo che il subiettivo si trasformi in obiettivo, cioè che nella pratica si possano ottenere i risultati previsti. Ad ogni modo, a questo punto, il processo della conoscenza da parte dell'uomo di un determinato processo obiettivo, a un determinato stadio del suo sviluppo, può ritenersi concluso.
Tuttavia il processo conoscitivo dell'uomo non ha mai fine. Come ogni processo, sia che si verifichi nella natura che nella società, si muove e si sviluppa attraverso la lotta e le contraddizioni interne, anche il processo della conoscenza umana deve muoversi e svilupparsi in conseguenza. Se si tratta del movimento sociale, i dirigenti veramente rivoluzionari non soltanto devono saper correggere gli errori nelle loro idee, teorie, piani e progetti, quando siano errati, come si è detto sopra, ma anche, durante il passaggio di un determinato processo da un grado di sviluppo ad un altro, devono, insieme a tutti coloro che partecipano alla rivoluzione, seguire questo passaggio e rivedere conscguentemente le proprie idee soggettive, cioè proporre nuovi compiti rivoluzionari e nuovi programmi di lavoro che corrispondano ai nuovi cambiamenti della situazione. In un periodo rivoluzionario la situazione cambia molto rapidamente e, se la conoscenza dei rivoluzionari non terrà dietro a questi cambiamenti, sarà impossibile portare la rivoluzione alla vittoria.
Accade spesso che le idee ritardino sulla realtà; ciò avviene perché le conoscenze umane sono limitate da numerose circostanze sociali. Noi combattiamo contro i conservatori che ci sono nelle nostre file rivoluzionarie, perché le loro idee non possono svilupparsi di pari passo con la situazione obiettiva che si modifica, e storicamente si manifestano sotto forma di opportunismo di destra. Queste persone non vedono che le lotte, conseguenza delle contraddizioni, hanno già fatto progredire il processo obiettivo, mentre la loro conoscenza resta come prima, al vecchio stadio. Questo fatto caratterizza le idee di tutti i conservatori. Le loro idee sono staccate dalla pratica sociale; essi non sono capaci di marciare alla testa del movimento della società e di guidarne il carro, ma si trascinano alla coda di questo carro, brontolando perché corre troppo, tentando di trascinarlo indietro, di farlo andare nella direzione opposta.
Ma noi combattiamo anche contro la fraseologia di «sinistra». Le idee dei suoi rappresentanti sono in anticipo, nei confronti di un determinato stadio dello sviluppo del processo obiettivo; alcuni di essi prendono i loro atteggiamenti per verità, mentre altri, sforzandosi di realizzare nel presente ideali che sono realizzabili solo nel futuro, si staccano dalla pratica attuale della maggioranza degli uomini, dalla realtà quotidiana, e si dimostrano, nell'azione, degli avventurieri. Caratteristiche dell'idealismo e del materialismo meccanicistico, dell'opportunismo e dell'avventurismo sono la frattura fra l'elemento subiettivo e l'obiettivo, la frattura fra la conoscenza e la pratica. La teoria marxista-leninista della conoscenza, il cui tratto caratteristico è il riconoscimento della pratica sociale come criterio della verità, non può non combattere recisamente contro queste ideologie erronee. I marxisti riconoscono che nel processo assoluto, totale, di sviluppo dell'universo, lo sviluppo di ogni singolo processo concreto è relativo. Perciò, nel grande fiume della verità assoluta, la conoscenza umana del processo concreto in ciascun determinato stadio di sviluppo, attinge soltanto verità relative. Dalla somma delle innumerevoli verità relative risulta la verità assoluta (9).
Lo sviluppo del processo obiettivo è uno sviluppo pieno di contraddizioni e di lotta. Lo sviluppo del processo della conoscenza umana è, anche, uno sviluppo pieno di contraddizioni e di lotta. Ogni movimento dialettico del mondo obiettivo, prima o poi, troverà il suo riflesso nella conoscenza umana. Il processo di genesi, sviluppo e decadenza, nella pratica sociale, è infinito, e infinito è anche il processo di genesi, sviluppo e decadenza nella conoscenza umana. Come la pratica, diretta alla modificazione della realtà obiettiva e fondata su idee, teorie, piani e progetti predeterminati, si muove costantemente in avanti, così la conoscenza umana della realtà obiettiva costantemente si approfondisce. Il processo di mutamento del mondo reale obiettivo non ha mai fine, come mai fine ha per gli uomini la conoscenza della verità nel processo della pratica. Il marxismo-leninismo non pone termine alla scoperta della verità, al contrario, apre continuamente nuove vie alla conoscenza della verità nel processo della pratica. La nostra conclusione è che noi sosteniamo l'unità storica, concreta di elemento subiettivo e elemento obiettivo, di teoria e pratica, di conoscere e fare, e siamo contro tutte le erronee ideologie di «sinistra» e di destra, staccate dalla storia concreta. Nell'epoca attuale dello sviluppo sociale la storia ha affidato la responsabilità della giusta conoscenza e della trasformazione del mondo al proletariato e al suo partito politico. In tutto il mondo e in Cina il processo della pratica della trasformazione del mondo, determinato sulla base della conoscenza scientifica, ha già raggiunto un momento storico, un momento di grandissima importanza e senza precedenti, un momento in cui si dissolvono le tenebre in tutto il mondo e in Cina, un momento in cui sorge un mondo luminoso quale finora non si era mai visto.
La lotta del proletariato e delle masse popolari rivoluzionarie per la trasformazione del mondo comporta la realizzazione dei seguenti compiti: trasformazione del mondo obiettivo e ad un tempo trasformazione del proprio mondo subiettivo, trasformazione delle proprie capacità conoscitive, trasformazione dei nessi tra il mondo subiettivo e il mondo obiettivo. In una parte del globo terrestre, nell'Unione Sovietica, questa trasformazione è già in atto e il popolo sovietico, nel momento attuale, ne accelera il processo. Il popolo cinese e i popoli di tutto il mondo, da parte loro, attraversano nell'età presente o attraverseranno nel prossimo avvenire questo processo di trasformazione.
Il mondo obiettivo che deve essere trasformato include anche avversari della trasformazione; la loro trasformazione dovrà passare attraverso lo stadio della trasformazione forzata per giungere alla stadio della trasformazione cosciente. Quando gli uomini di tutto il mondo arriveranno alla cosciente trasformazione di se stessi e del mondo allora avrà inizio l'epoca del comunismo mondiale.
Scoprire la verità mediante la pratica, e mediante la pratica confermare e sviluppare la verità. Dalla conoscenza percettiva passare attivamente alla conoscenza razionale, dalla conoscenza razionale alla direzione attiva della pratica rivoluzionaria, alla trasformazione del mondo subiettivo e obiettivo. Pratica, conoscenza, più pratica e più conoscenza. Questa formula nella sua ciclica ripetizione, è infinita: ma ad ogni nuovo ciclo il contenuto della pratica e della conoscenza si eleva a uno stadio sempre più alto. Questa nel suo complesso è la teoria della conoscenza del materialismo dialettico, questa è la concezione dell'unità di conoscere e fare propria del materialismo dialettico.
Note
1) Schema del libro di Hegel «Scienza della logica», in Lenin, Quaderni filosofici, Mosca, 1947, p. 185. - P. 366.
2) Cfr. K. Marx, Tesi su Feuerbach, in F. Engels, Ludovico Feuebach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, Edizioni Rinascita, Roma, 1950, pp. 77-78; e Lenìn, Materialismo ed empiriocriticismo, Edizioni Rinascita, Roma, p. 130. - P. 366.
3) Romanzo storico popolare inquadrato nel periodo della guerra dei tre regni: Wei, Wu e Sciu (III secolo d.C). - P. 367.
4) Schema del libro di Hegel «Scienza della logica», in Quaderni filosofici, cit, p. 146. - P. 368.
5) Lenin dice: «Per comprendere occorre incominciare a comprendere, a sapere, empiricamente, ed elevarsi dall'esperienza alla generalizzazione». Schema del libro di Hegel «Scienza della logica», in Quaderni filosofici cit., p. 178. - P. 375.
6) Che fare?, in Lenin, Opere scelte, Edizioni in lingue estere, Mosca, vol. I, p. 156. - P. 377.
7) Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo cit., p. 130. - P. 378.
8) Stalin, Questioni del leninismo, Edizioni Rinascita, Roma, 1952,p. 23. - P. 378.
9) Vedi Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo cit., p. 122. - P. 381.
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