www.resistenze.org - materiali resistenti in linea - formazione - 31-01-13 - n. 439

1948 - Il Cominform l'URSS e la Jugoslavia
 
I Partiti Comunisti nel secondo dopoguerra fra nazionalismo ed internazionalismo proletario
 
Vincenzo De Robertis
 
Indice
 
Capitolo V
 
In conclusione, alcune note di riflessione a margine di tutta la vicenda sono d'obbligo:
I.
Le questioni sollevate sia nel carteggio, che nella Risoluzione, sono trattate alla stregua di questioni di principio, attinenti la politica internazionale ed interna di un Partito Comunista, come era considerato quello Jugoslavo. Tale viene considerata la questione del giudizio sull'URSS, equiparata dagli jugoslavi ad una qualsiasi potenza imperialista; tale è la questione del rapporto Partito-Fronte Popolare; tale è la questione della democrazia interna al Partito Comunista Jugoslavo; tale è, anche, la questione dell'acuirsi della lotta di classe nel socialismo, in particolare nelle campagne.
 
Il taglio "di principio" dato sin dall'inizio alle questioni rende impraticabile la strada conciliatoria proposta dagli jugoslavi: discutere ed appianare fra i due Partiti le controversie e le divergenze, nate da informazioni false o errate. S'impone, invece, l'aut-aut di una scelta fra le due posizioni ed il passaggio obbligato attraverso il Cominform, unico organo collegiale dei Partiti Comunisti all'epoca esistente, abilitato, in tal modo, ad emettere una "condanna" ed irrogare la conseguente sanzione: l'espulsione dal consesso comunista mondiale.
 
I "patteggiamenti", che dalla prosa degli jugoslavi sembrano essere evocati in contrapposizione al taglio ideologico dato, invece, dai sovietici alla controversia, inducono a pensare che gli jugoslavi, resisi conto della piega assunta dalla vicenda, abbiano tentato fino all'ultimo di evitare che una condanna del Cominform portasse, come nei fatti, però, avvenne, forse volutamente, ad un isolamento, soprattutto politico, ma anche economico, dal campo socialista, screditando così i massimi dirigenti all'interno del Partito e rendendo una Jugoslavia bisognosa di aiuti economici contrattualmente meno forte anche nei confronti del campo capitalistico.
 
Infine, il taglio "di principio" delle questioni affrontate rende inevitabile l'adozione, da parte sovietica, di misure economiche e militari, come il ritiro dei consiglieri, che, invece, si sarebbero potute evitare se il taglio di tutta la vicenda fosse stato diverso, con il rischio, però, che la permanenza e magari un potenziamento in Jugoslavia del numero di tali consiglieri avrebbe avallato e giustificato le accuse di "coltivare mire egemoniche", che gli jugoslavi ugualmente rivolsero successivamente ai sovietici.[1]
 
II
Due diverse concezioni del rapporto fra Partiti Comunisti e, di conseguenza, del ruolo del Cominform emergono, a mio avviso, e si confrontano nel carteggio:
 
Da un lato i sovietici, sulla base del materialismo dialettico che presuppone una sola realtà ed una sola scienza, si adoperano per fornire nel carteggio gli elementi di riflessione, perché si arrivi ad un giudizio finale di condanna ed esclusione dal consesso dei Partiti Comunisti, coerentemente con quanto sicuramente sarebbe successo se fosse rimasto in vita il Comintern.
 
Dall'altro lato gli jugoslavi, che più "pragmaticamente" si preoccupano di mantenere i rapporti con tutti e due i campi, cercando di ottenere il massimo possibile di utilità per lo sviluppo interno, il cui percorso viene immaginato e riaffermato in più occasioni come autonomo e differenziato rispetto al percorso di sviluppo affermatosi in URSS.
 
Di conseguenza lo stesso Cominform assume ruoli diversi nelle due ottiche: nel primo caso diventa un Tribunale "di ultima istanza", le cui decisioni sono vincolanti per i suoi componenti, mentre nell'altra ipotesi limita le sue funzioni alla mera consultazione, lasciando gli attori indipendenti e liberi di muoversi anche in maniera contraddittoria fra loro.
 
III
Il metodo staliniano di risoluzione della controversia insorta fra PC(b)dell'URSS e PCJ non contempla forme di pressione extra-politiche, come pure potevano attuarsi, ad esempio, attraverso la presenza militare sovietica in Jugoslavia, ma si fonda esclusivamente sullo scontro politico-ideologico, ancorché aspro e condotto senza "peli sulla lingua", che si snocciola nelle tre missive, rese quasi subito "pubbliche" con il chiaro intento di costringere gli jugoslavi al confronto e si conclude con il coinvolgimento del Cominform, unico organo collegiale all'epoca esistente, sufficientemente autorevole da poter comminare la condanna di espulsione del Partito Jugoslavo, non dello Stato, dalla compagine comunista mondiale.
 
IV
Gli stessi rapporti fra Stati e rapporti fra Partiti, gravitanti su piani paralleli, sono tenuti ben distinti e la rottura dei rapporti fra partiti non sembra aver condizionato immediatamente i rapporti fra Stati (fatta eccezione per il ritiro dei Consiglieri sovietici). I rapporti economici con l'URSS ed il Comecon si romperanno alla fine del '48, dopo che Tito chiederà esplicitamente aiuto alle potenze occidentali.
 
Diverso, mi sembra, il percorso che qualche anno più tardi si snocciolerà con Krusciov nell'ambito delle controversie insorte fra PCUS, da un lato, e Partito Comunista Cinese ed Albanese, dall'altro, laddove la rottura dei rapporti commerciali fra stati precedette e non seguì qualsiasi apertura all'Occidente dei due Partiti bollati come "eretici".
 
Infine, giova evidenziare, a mio avviso, alcuni elementi, utili a meglio spiegarsi la vicenda.
E cioè:
 
- che il P.C. Jugoslavo, e insieme quello Albanese, furono gli unici partiti in Europa in grado di condurre vittoriosamente in porto la guerra di liberazione nazionale dall'occupazione nazi-fascista, sfruttando, certo, l'aiuto dell'Esercito Sovietico, ma contando essenzialmente sulle proprie forze. E questa circostanza può aver influenzato un comportamento scevro da qualsiasi "complesso di inferiorità" da parte dei dirigenti del Partito Comunista Jugoslavo e favorito le sue prese di posizione, sia in politica interna, che internazionale, in contrasto con quelle dell'URSS e del PCUS;
 
- che durante la guerra, per ragioni obbiettive di alleanza militare, i dirigenti jugoslavi furono a stretto contatto con alti esponenti dell'Esercito e dei Servizi segreti anglo-americani, i quali nel dopoguerra, per ragioni di strategia anticomunista, hanno avuto tutto l'interesse a distaccare la nascente Jugoslavia dal blocco socialista, solleticandone le ambizioni nazionalistiche;
 
- che l'economia jugoslava, disastrata dalla guerra come lo era quella di molti altri Paesi balcanici e dell'Europa Centrale, aveva schematicamente di fronte a sé due strade da seguire, per giungere all'obbiettivo dell'industrializzazione: o quella a suo tempo seguita in totale ed eroica solitudine dall'URSS di Stalin, e che dopo la guerra poteva più comodamente contare almeno sull'aiuto di un campo di Paesi socialisti, oppure quella che veniva offerta dagli USA alle nazioni occidentali con il Piano Marshall, fatto di investimenti a suon di milioni di dollari, che, nella più onesta delle ipotesi, potevano accelerare vertiginosamente il ritmo dello sviluppo economico, in cambio di una posizione "più neutrale".
 
Appare più o meno chiaro che la politica jugoslava si mantenne ben lontana dalle questioni "di principio" ed invece si mostrò più attenta a cercare la maggiore utilità possibile dal rapporto fra i due blocchi.
 
Occorrerebbe, a mio avviso, indagare e discutere sulle ragioni di natura politica ed ideologica che spinsero Stalin e tutto il P.C.(b) dell'URSS a fare la scelta di intraprendere pubblicamente nel 1948 una lotta di principio con i dirigenti jugoslavi, con l'inevitabile conclusione della loro pubblica condanna ed esclusione dal consesso comunista, piuttosto che seguire la real politik di una strada di "basso profilo", suggerita dagli stessi jugoslavi, che volevano far prevalere, anche con sfumature velatamente ricattatorie, le ragioni di "convenienza reciproca".
 
Krusciov e gli uomini del XX Congresso sceglieranno questa seconda strada: sconfesseranno la presa di posizione del Cominform, fatta rientrare fra gli "errori di Stalin", di conseguenza sconfesseranno le questioni "di principio" che erano state poste alla base della condanna del Cominform e riabiliteranno la politica di Belgrado, così come riabiliteranno una serie di soggetti espulsi dai Partiti Comunisti dei Paesi dell'Est Europa fra il '46 e gli inizi degli anni '50, anche per le loro simpatie filo-jugoslave.
 
I fatti accaduti nel 1956, prima in Polonia e poi in Ungheria, testimoniano la tragedia provocata da queste scelte fallimentari, operate da Krusciov e dagli uomini del XX Congresso, i quali, invece di prevenire la contro-rivoluzione, come apprendisti stregoni la fomentarono con scelte conciliatorie, salvo, poi, a vedersi costretti ad intervenire militarmente, come avvenne in Ungheria (1956) o in Cecoslovacchia (1968), per evitare di perdere la propria influenza su quei Paesi.
 
La sconfessione delle decisioni assunte dal Cominform verso il Partito Comunista Jugoslavo non fu ininfluente nella determinazioni dei principi che avrebbero dovuto regolare i rapporti fra Partiti Comunisti dopo il XX Congresso ed il giudizio sulla Jugoslavia finì per essere, come la questione del giudizio su Stalin, una cartina di tornasole per valutare la posizione di ogni Partito Comunista.
 
Lo scioglimento del Cominform, avvenuto nel 1956 dopo il XX Congresso, invece del suo potenziamento con l'immissione di nuovi Partiti Comunisti, come quello cinese, giunti nel frattempo al potere (1949), non contribuì sicuramente al mantenimento di quell'unità fra Partiti Comunisti, che avrebbe potuto costituire un'arma in più nella lotta all'imperialismo mondiale.
 
Le riunioni fra i Partiti Comunisti che si tennero a Mosca il 1957 ed il 1960 furono gli ultimi tentativi di attrezzare il Movimento Comunista Internazionale di una strategia comune, quando, però, le crepe cominciavano ormai a diventare evidenti.


[1]   Vedi a riguardo il libro di M.Gilas “Conversazioni con Stalin” Feltrinelli, 1962
 

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