www.resistenze.org - materiali resistenti in linea - formazione - 08-02-13 - n. 440

1948 - Il Cominform l'URSS e la Jugoslavia
 
I Partiti Comunisti nel secondo dopoguerra fra nazionalismo ed internazionalismo proletario
 
Vincenzo De Robertis
 
Indice
 
Appendice
 
Avvertenze dell'"Editore"
 
Il testo delle sei lettere che seguono, costituenti il carteggio intercorso fra Partito Comunista (Bolscevico) dell'Unione Sovietica ed il Partito Comunista della Jugoslavia, è stato tratto dal volume "Mosca-Belgrado, I documenti della controversia 1948-1958", Schwarz editore, Milano, 1962.
 
Nel volume alcune delle lettere sono riportate per intero, per altre il testo è riportato per estratti. Inoltre, così come segnalato in nota dall'Editore Schwarz, vi sono lettere del carteggio che non furono pubblicate nel volume, forse perché irreperibili.
 
Il settimo documento è, invece, la Risoluzione, adottata il 28 giugno 1948 dagli otto Partiti Comunisti che, insieme a quello Jugoslavo, costituivano il Cominform, a seguito del rapporto inviato dal P.C.(b) dell'URSS.
 
Il testo della Risoluzione del Cominform, pubblicato dall'Editore Schwarz per estratti, è stato qui parzialmente integrato dalla versione spagnola della Risoluzione, pubblicata, pure per estratti, in "Nuestra Bandera", n. 28, 1948, tradotta in italiano da Ferndando Claudin nel testo "La crisi del movimento comunista".
 
Le parti inserite sono riportate con un carattere di stampa differente e segnalate in nota a piè di pagina. Inoltre, sulla base delle parti integrate, è stata data la numerazione ai paragrafi 6-7 e 8, che nel testo pubblicato dall'Editore Schwarz non era sequenziale.
 
Le note dell'Editore Schwarz , che precedono, sia ogni lettera, che il testo della Risoluzione, hanno un'inequivocabile e preconcetto orientamento filo-jugoslavo ed anti-stalinista, ma non sono state soppresse. Sono state poste, invece, in calce alla prima pagina di ogni lettera, precedute dal segno "*".
 
Nel trasferimento dal supporto cartaceo a quello digitale non sono state apportate correzioni, tranne che per la punteggiatura e per alcuni errori evidenti di ortografia, contenuti nel testo cartaceo. Il linguaggio dei vari testi, anche se intriso di modi di dire "inusuali", dovuti, forse, alla traduzione dal testo originale, risulta nel complesso comprensibile.
 
Il lettore vorrà perdonare altri errori contenuti nel testo e sfuggiti alla rilettura di chi scrive la presente nota.
 

n.1
Lettera del Comitato Centrale del Partito Comunista di Jugoslavia al Comitato Centrale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, 20 marzo 1948. (Testo integrale) *
 
Il 18 marzo, il Generale Barskov ci comunicò di aver ricevuto un telegramma dal Maresciallo Bulganin, Ministro della Difesa Popolare nell'URSS cori cui ci informava che il governo dell'URSS aveva deciso di richiamare immediatamente tutti i consulenti militari ed istruttori perché «sono attorniati da ostilità», cioè non sono trattati amichevolmente in Jugoslavia.
 
Naturalmente il governo dell'URSS può, se lo desidera, richiamare i propri esperti militari, ma noi siamo stati spiacevolmente sorpresi dalla ragione che il governo sovietico adduceva a questa decisione. Nelle investigazioni compiute in base a questa accusa, le relazioni dei giovani dirigenti del nostro paese verso i consiglieri ed istruttori militari sovietici, siamo fermamente convinti che questa ragione del loro ritiro non ha base, e che durante tutta la loro permanenza in Jugoslavia essi vennero trattati in maniera, non solo ottima, ma veramente fraterna e molto ospitale, com'è consuetudine nei rapporti verso i cittadini sovietici nella nuova Jugoslavia. Siamo quindi esterrefatti, incapaci a capire, e profondamente offesi per non esser stati informati della vera ragione di questa decisione del governo dell'URSS.
 
In secondo luogo, il giorno 19 Marzo 1948, venni visitato dall'Incaricato d'Affari Armaninov ed informato del contenuto di un telegramma in cui il governo dell'URSS ordina anche il ritiro di tutti gli esperti civili in Jugoslavia. Non possiamo comprendere la ragione di questa decisione che ci stupisce. È vero che l'aiuto del Ministro Kidric[1], Srentic, riferì al nostro rappresentante commerciale, Lebedev, che secondo una decisione del RPFY egli non ha il diritto di dare importanti informazioni economiche a nessuno, e che, per simili informazioni, i Sovietici devono rivolgersi più in alto, cioè al CC del PCY ed al governo. Al tempo stesso, Srentic disse a Lebedev di avvicinare il ministro Kidric per le informazioni che lo interessavano. I vostri cittadini vennero informati da lungo tempo che i rappresentanti ufficiali del governo Sovietico potevano ottenere qualsiasi informazione importante e necessaria, direttamente dai governanti del nostro paese.
 
Questa decisione venne presa da parte nostra perché tutti i funzionari dei nostri ministeri davano informazioni a chiunque, fosse o no necessario. Questo significa che trasmettevano a diverse persone segreti di stato commerciali che potevano, come in certi casi avvenne, cadere nelle mani di nemici comuni.
 
Non esiste alcun speciale accordo, quale è menzionato nel telegramma, per cui i nostri abbiano il diritto di dare informazioni commerciali, senza l'approvazione del nostro governo o Comitato Centrale, a funzionari economici sovietici, se non quelle informazioni che siano necessarie per il loro lavoro. Quando l'Ambasciatore Sovietico compagno Lavrentiev, mi chiese personalmente informazioni necessarie, gliele fornii senza riserva e questo venne anche fatto dai nostri altri governanti responsabili. Saremmo infinitamente sorpresi se il Governo Sovietico non fosse d'accordo in questo nostro atteggiamento da un punto di vista statale.
 
Allo stesso tempo, riguardo questo caso, siamo costretti a respingere la protesta su una «certa mancanza di ospitalità e mancanza di confidenza verso esperti sovietici e rappresentanti in Jugoslavia». Fino ad oggi nessuno di essi si è lamentato di qualcosa del genere, benché tutti avessero modo di farlo con me personalmente, perché non mi sono mai rifiutato di ricevere gli inviati sovietici. Questo vale anche per tutti i nostri dirigenti responsabili.
 
Da tutto questo si può vedere che le ragioni suaccennate non sono la causa delle misure prese dal governo dell'URSS e che è nostro desiderio che l'URSS ci informi apertamente sulla ragione, che ci indichi tutto quanto gli sembri incompatibile per i buoni rapporti tra i nostri due paesi. Noi pensiamo che l'andamento presente delle cose è di pregiudizio ad ambedue i paesi e che, prima o poi, tutto quel che possa interferire con i buoni rapporti tra i nostri paesi debba venir eliminato.
 
Quando il governo dell'URSS ottiene informazioni da fonti svariate pensiamo che debba usarle con cautela, in quanto queste informazioni non sono sempre oggettive, accurate e fornite con buone intenzioni.
 
Una volta ancora accetti l'espressione del mio ossequio
 
20 marzo 1948
Presidente del Consiglio Ministeriale
J. B. Tito
 
* “Questo documento è qui ristampato nella sua integrità quale primo documento ottenibile sulla controversia e perché solleva apertamente tutti i problemi che furono la pubblica causa dei malintesi tra Sovietici e Jugoslavi — lo stato degli esperti civili e militari Sovietici inJugoslavia e la consuetudine sovietica di ottenere informazioni direttamente piuttosto che per tramite dei governi e dei partiti. Di più introduce il motivo dominante dei comunicati jugoslavi; l’insistenza che la loro posizione era male interpretata dall’Unione Sovietica”. (Nota riprodotta da "Mosca-Belgrado, I documenti della controversia 1948-1958", Schwarz editore, Milano, 1962.)

n.2
Lettera dei Comitato Centrale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica a Tito et al., 27 marzo 1948. (Testo integrale)*
 
Diamo ricevuta delle vostre risposte del 18 e 20 marzo.
 
Consideriamo scorrette e quindi completamente insoddisfacenti le vostre risposte.
 
1) La questione di Gagarinov[2] può venir considerata chiusa in quanto avete ritirato le accuse che gli avevate rivolto, che pur consideriamo da parte nostra calunniose.
L'asserzione attribuita al compagno Krutikov[3] che il governo Sovietico ha deliberatamente rifiutato quest'anno di intraprendere negoziati di affari, non può come si constata, corrispondere a dei fatti in quanto Krutikov lo ha categoricamente smentito.
 
2) Riguardo al ritiro dei consulenti militari, le sorgenti delle nostre informazioni sono le asserzioni dei rappresentanti del Ministero delle Forze Armate e dei consulenti stessi. Come è risaputo, i nostri consulenti militari vennero inviati in Jugoslavia in seguito a replicate richieste del governo jugoslavo, e ne vennero inviati in numero minore a quello che era stato sollecitato. È in conseguenza evidente che il governo Sovietico non ha alcun desiderio di imporre i suoi consulenti alla Jugoslavia.
 
In seguito comunque i capi militari jugoslavi, e tra questi Koca Popovic[4], credettero di poter annunciare che era necessario ridurre il numero dei consulenti del 60 per cento. Per questo dettero varie spiegazioni; alcuni asserirono che i consulenti sovietici costituivano una spesa troppo forte per la Jugoslavia, altri che l'esercito jugoslavo non necessitava dell'esperienza dell'esercito sovietico; altri ancora dissero che le regole dell'esercito sovietico erano di ristrette vedute, stereotipate, e senza valore per l'esercito jugoslavo e che non se ne poteva trarre alcun vantaggio.
 
Alla luce di questi fatti possiamo capire l'asserzione notoria e offensiva tenuta da Djilas sull'esercito sovietico ad una seduta del CC del PCY, che cioè gli ufficiali sovietici erano da un punto di vista morale inferiori a quelli dell'esercito britannico. Come è risaputo questa asserzione antisovietica non venne accolta da nessuna opposizione da parte degli altri membri del CC del PCY.
 
Quindi, invece di cercare un accordo amichevole con il governo Sovietico sulla questione dei consulenti militari sovietici i capi militari jugoslavi cominciarono ad insultare i consulenti militari sovietici ed a gettare discredito sull'esercito sovietico.
 
È chiaro che questa situazione doveva portare un'atmosfera ostile intorno ai consulenti militari sovietici. Sarebbe ridicolo pensare che il governo sovietico consenta a lasciare in queste condizioni in Jugoslavia i suoi consulenti militari. Poiché il governo jugoslavo non prese alcun provvedimento per controbattere questi tentativi di screditare l'esercito sovietico, è sua la responsabilità della situazione che si è venuta creando.
 
3) Le fonti delle nostre informazioni, che hanno portato al ritiro degli esperti civili sovietici, sono, per la maggior parte, le dichiarazioni dell'ambasciatore sovietico a Belgrado, Lavrentiev, ed anche le dichiarazioni degli esperti medesimi. La vostra dichiarazione, che Srentic abbia formalmente detto all'inviato d'affari Lebedev, che gli esperti sovietici che desiderassero informazioni dovevano rivolgere le loro richieste a maggiori gerarchie, cioè al CC del PCY ed al governo jugoslavo, non corrisponde a verità. Questo è il rapporto inviato da Lavrentiev il 9 marzo:
 
Srentic, assistente di Kidric al Consiglio dell'Economia ha informato l'inviato d'affari Lebedev, di un decreto governativo che proibiva agli organi di stato di fornire a chiunque informazioni economiche. In conseguenza, in opposizione a precedenti promesse, egli non fu in grado di dare a Lebedev i particolari richiesti. Era uno dei doveri degli organi di sicurezza statale di esercitare controllo in questo settore. Srentic disse anche che Kidric stesso desiderava parlare su questo argomento con Lebedev.
 
Dal rapporto di Lavrentiev si può vedere, in primo luogo che Srentic non alluse neppure alla possibilità di ottenere informazioni economiche dal CC del PCY o dal Governo jugoslavo. In ogni caso sarebbe assurdo pensare di dover rivolgersi al CC del PCY per qualsiasi informazione economica, quando tuttora esistevano i ministeri competenti da cui gli esperti sovietici avevano in passato ottenuto direttamente le informazioni economiche necessarie.
 
In secondo luogo, è chiaro dal rapporto di Lavrentiev che è vero il contrario di quanto scrivete, cioè che gli organi di sicurezza jugoslavi controllavano e sorvegliavano i rappresentanti sovietici in Jugoslavia.
 
È opportuno rilevare che in alcuni stati borghesi, benché non in tutti, ci siamo trovati di fronte ad una simile procedura di sorveglianza segreta dei rappresentanti sovietici. Occorre anche sottolineare il fatto che gli agenti della polizia jugoslava non soltanto seguono i rappresentanti del governo sovietico, ma anche il rappresentante del PCUS nel Cominform, compagno Yudin. Sarebbe assurdo pensare che il governo Sovietico si adatti a lasciare in queste circostanze in Jugoslavia i suoi esperti civili. Come si può vedere, anche in questo caso, la responsabilità di questo stato di cose risale al governo jugoslavo.
 
4) Nella vostra lettera esprimete il desiderio di venir informati degli altri fatti che hanno prodotto il malcontento sovietico e la tensione delle relazioni tra l'URSS e la Jugoslavia. Questi fatti esistono positivamente, benché non siano in relazione con il ritiro degli esperti civili e militari. Consideriamo necessario tenervene informati.
 
a) Sappiamo che ci sono in circolazione tra i compagni autorevoli in Jugoslavia umori antisovietici, p.e. che il «PCUS è degenerato», che lo « sciovinismo imperialista imperversa nell'URSS», che «l'URSS cerca di dominare economicamente la Jugoslavia» e «il Cominform è un mezzo per controllare gli altri partiti attraverso il PCUS», ecc. ecc. Queste voci antisovietiche sono abitualmente mascherate da frasi fatte come « il Socialismo nell'Unione Sovietica ha smesso di essere rivoluzionario», e che la sola Jugoslavia è l'esponente del «Socialismo rivoluzionario». Fa naturalmente ridere udire simili argomenti sul PCUS da parte di Marxisti ambigui, come sarebbero Djilas, Vukmanovic[5]Rimane comunque il fatto che simili voci circolano oramai da lungo tempo tra molti alti ufficiali jugoslavi e che naturalmente sono andate creando un'atmosfera antisovietica che mette in pericolo i rapporti tra il PCUS ed il PCY. , Kidric, Rankovic[6] ed altri.
 
Ammettiamo con facilità che qualsiasi Partito Comunista tra cui quello Jugoslavo ha il diritto di criticare il PCUS, quanto il PCUS ha diritto di criticare qualsiasi altro Partito Comunista. Ma il Marxismo esige che le critiche siano aperte e non fatte subdolamente e calunniose, non permettendo chi è criticato di replicare agli appunti. Comunque le critiche da parte degli ufficiali non sono né aperte, né oneste; sono subdole e calunniose e ipocrite, perché mentre cercano di screditare il PCUS, dietro alle spalle, in pubblico lo portano ipocritamente ai sette cieli. A questo modo le critiche si trasformano in calunnie e in un tentativo di gettare il discredito sul PCUS e di infamare il sistema sovietico.
 
Non mettiamo in dubbio che le masse del Partito Jugoslavo non accetterebbero le critiche antisovietiche e le considererebbero, conoscendole, lontane dal loro pensiero ed ostili. Pensiamo sia questa la ragione per cui gli ufficiali jugoslavi fanno queste critiche in segreto dietro alle spalle delle masse.
E oltre a ciò si potrebbe ricordare che quando Trosky decise di dichiarar guerra al PCUS, cominciò ad accusarlo di degenerazione e di risentire limitazioni conseguenti al gretto nazionalismo delle grandi potenze. Naturalmente camuffò tutto questo con ambigue frasi fatte sulla rivoluzione mondiale. È universalmente conosciuto comunque, che fu Trosky stesso a divenire degenerato e che, quando fu scoperto, passò al campo dei nemici giurati del PCUS e dell'Unione Sovietica. Pensiamo che la carriera politica di Trosky sia sommamente istruttiva.
 
b) Siamo disturbati dallo stato attuale del PCY. Siamo altamente meravigliati dal fatto che il PCY che è il partito dominante non sia ancora completamente legalizzato ed abbia sempre una posizione semilegale. Le decisioni degli organi del Partito non vengono mai pubblicate sulla stampa, né i rapporti delle assemblee del Partito.
 
La democrazia non è evidente nell'interno stesso del PCY. Il Comitato Centrale nella sua maggioranza non è stato eletto, ma cooptato. Le critiche e le autocritiche nel seno del Partito non esistono o quasi. È un fatto caratteristico che il Segretario del personale del Partito sia anche Ministro della Sicurezza dello Stato. In altre parole, i quadri del Partito sono sotto alla supervisione del Ministero della Sicurezza statale. Secondo la teoria marxista, il Partito dovrebbe controllare tutti gli organi statali del paese compreso il Ministero della Sicurezza, mentre in Jugoslavia avviene precisamente il contrario: perché il Ministero della Sicurezza controlla effettivamente il Partito. Questo spiega probabilmente il fatto che la iniziativa tra le masse del Partito in Jugoslavia non è ad un livello adeguato.
 
È comprensibile che non possiamo considerare rispondente ad un bolscevismo marxista leninista una simile organizzazione di partito.
 
Lo spirito della politica di lotta di classe non è sentita nel PCY. È in pieno sviluppo un aumento degli elementi capitalisti nei villaggi e nelle città, e la direzione del Partito non prende alcuna misura per controbattere questi elementi capitalisti. Il PCY è accecato dalla teoria degenerata e opportunista dell'assorbimento pacifico di elementi capitalisti in un sistema socialista, presa in prestito da Bernstein, Vollmar e Bukharin[7].
 
Secondo la teoria del Marxismo leninista il Partito è la forza che deve governare il paese ed ha un suo peso specifico senza potersi confondere con le masse al di fuori del Partito. In Jugoslavia al contrario il Fronte del popolo è considerato la forza dominante principale e vi è stato un tentativo di lasciar sommergere il Partito dal fronte. Nel suo discorso al Secondo Congresso del Fronte del Popolo, il compagno Tito disse: «Il PCY ha forse un programma che sia diverso da quello del Fronte del Popolo? No, il PCY non ha un altro programma. Il programma del Fronte del Popolo è anche il suo».
 
Risulta così che in Jugoslavia questa sorprendente teoria di organizzazione di partito è considerata una teoria nuova. In realtà è ben lungi dall'esser nuova. In Russia quaranta anni fa una parte dei menscevichi propose che il Partito Comunista venisse sciolto in un'organizzazione di massa di lavoratori non appartenenti al Partito e che questa seconda soppiantasse la prima; l'altra parte dei menscevichi propose che il Partito Marxista venisse sciolto in un'organizzazione di operai e contadini non appartenenti al Partito e che ne prendesse il posto. Come è risaputo Lenin descrisse questi menscevichi come opportunisti maliziosi e liquidatori del Partito.
 
c) Non possiamo comprendere perché la spia britannica Velebit[8] sia tuttora al Ministero degli Affari Esteri della Jugoslavia come primo ministro assistente. I compagni jugoslavi sanno che Velebit è una spia britannica. Sanno anche che i rappresentanti del Governo Sovietico considerano Velebit una spia. Ciò non di meno Velebit rimane nella posizione di Primo Ministro assistente di Jugoslavia. È possibile che il Governo jugoslavo intenda usare Velebit, precisamente come spia dell'Inghilterra. Come è risaputo, i governi borghesi considerano lecito avere tra il loro personale spie delle grandi potenze imperialiste con il proposito di attirare la loro benevolenza e sarebbero anche disposti di collocare a questo scopo loro dipendenti sotto il patronato di questi stati. Noi consideriamo questa pratica assolutamente vietata ai Marxisti. Ma, comunque stiano le cose, il governo dei Soviet non può aver le sue relazioni con il governo jugoslavo poste sotto il controllo di una spia britannica. È quindi pacifico che, fintanto che Velebit rimane al Ministero degli Esteri Jugoslavo, il governo dei Soviet si considera in una situazione difficile e privato della possibilità di mantenersi in una corrispondenza aperta con il governo jugoslavo attraverso il Ministero Jugoslavo degli esteri.
 
Questi sono i fatti che determinano il malcontento del governo dei Soviet e del Comitato Centrale del PCUS e che mettono in pericolo le relazioni tra l'URSS e la Jugoslavia.
 
Questi fatti, come è già stato detto, non hanno relazione con il ritiro degli esperti civili e militari, Comunque sono un fatto importante nel peggioramento dei rapporti tra i nostri paesi.
 
Mosca, 27 marzo 1948
 
CC del PCUS
 
* “Questa comunicazione sovietica si riferisce ad una lettera del 18 marzo 1948 che non è mai stata pubblicata, nonché a quella del 20 marzo ed a una successione di incidenti di cui non si possono avere prove ulteriori. La lettera ci dà una preziosa visione della reale natura dei problemi discussi e stabilisce il tono degli scambi seguenti.
La lettera contiene la prima allusione alla sorveglianza dei funzionari sovietici da parte della polizia segreta jugoslava e documenta quel che Mosca considerava la maggior colpa jugoslava: un atteggiamento antisovietico, una mancanza di adesione all’ortodossia politica ed ideologica, tolleranza a elementi notoriamente filoborghesi nel governo jugoslavo. Queste accuse sono l’equivalente ad una dichiarazione che la Jugoslavia sta deliberatamente perseguendo una politica antisovietica, e quindi anticomunista, che in realtà commette tradimento. L’allusione a Trotsky e Bukharin non lascia dubbi sulle intenzioni sovietiche, né, tanto meno, l’accusa che viene fatta a Velebit di essere un agente britannico. La nota sovietica dando rilievo a queste accuse, portò deliberatamente la controversia al di là di ogni possibile riconciliazione, a meno di una resa umiliante di Tito e del Partito Jugoslavo.
C’è una nota ironica nel fatto che la maggior violenza dell’attacco è diretta contro Milovan Djilas, allora capo della sezione di agitazione e propaganda del Partito Comunista iugoslavo, in seguito Presidente della Assemblea Federale e imprigionato in seguito da Tito. Il documento è riprodotto nella sua integrità. ”. (Nota riprodotta da "Mosca-Belgrado, I documenti della controversia 1948-1958", Schwarz editore, Milano, 1962.)
 

n.3
Lettera del Comitato Centrale del Partito Comunista di Jugoslavia al Comitato Centrale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, 13 aprile 1948. (Estratti)*
 
In risposta alla vostra lettera del 27 marzo 1948dobbiamo anzi tutto sottolineare che siamo stati terribilmente sorpresi dal suo tono, nonché dal contenuto. Ci sembra che la ragione per il suo contenuto, cioè per le accuse e il modo di vedere questioni individuali proviene da un'insufficiente conoscenza della situazione di qui. Non possiamo in altro modo spiegare le vostre conclusioni se non con il fatto che il governo dell'URSS riceve informazioni poco accurate e tendenziose dai suoi rappresentanti che, per la loro mancanza di conoscenza, devono ricevere queste informazioni da svariate persone o appartenenti a elementi ostili al Partito o da diverse persone malcontente... Non possiamo comprendere perché i rappresentanti dell'URSS non hanno insistito per aver conferma di queste informazioni da persone responsabili in questo paese, sarebbe a dire, verificando queste informazioni col CC del PCY o il governo. Consideriamo il fine di queste informazioni un'attività contro il partito e lo stato, perché danneggia le relazioni tra i nostri due paesi.
 
Per quanto ciascuno di noi ami il paese del socialismo, l'URSS, non può, in nessun caso, amar meno il proprio paese, che è anch'esso fautore di socialismo — ed in questo caso particolare il FPRY — per cui caddero tante migliaia dei suoi cittadini più progressisti. Sappiamo molto bene che nell'URSS si pensa allo stesso modo.
 
Ci sorprende in maniera speciale che niente di tutto questo sia stato detto, quando Kardelj, Djilas e Bakaric [9] erano a Mosca quali delegati del nostro partito e governo. Come si può vedere nella vostra lettera, il vostro governo era in possesso delle informazioni in questione e di informazioni simili, prima dell'arrivo a Mosca della nostra delegazione. Ci sembra che a quei tempi la questione dei rapporti con gli esperti civili e militari avrebbe potuto, quanto altre questioni, venir presentata alla nostra delegazione.
 
Asseriamo che era necessario informare il nostro governo attraverso questa delegazione, se non ancora prima, che il governo dei Soviet non era soddisfatto del contegno della nostra popolazione verso gli esperti del Soviet e che così la situazione si sarebbe, in un modo o nell'altro, risolta. Quel che avvenne, fu che il governo dell'URSS, con la sua decisione di richiamare gli esperti militari senza alcuna notifica ufficiale, ci pose di fronte ad un fait accompli, creando così per noi difficoltà non necessarie.
 
In quanto al ritiro di esperti militari sovietici non vediamo a questo nessun'altra ragione se non che decidemmo di ridurne il numero al minimo necessario a causa di difficoltà finanziarie. Nel 1946 il Capo del Governo Federale Tito informò l'ambasciatore dei Soviet, compagno Lavrentiev, che per molte ragioni, era a noi quasi impossibile pagare così alte retribuzioni agli esperti militari e lo pregò di informare di questo l'URSS, nonché del nostro desiderio di moderare le condizioni di pagamento degli esperti. L'ambasciatore Lavrentiev ricevette dall'URSS una risposta che diceva che le retribuzioni non potevano venir diminuite e che facessimo a nostro beneplacito. Tito immediatamente disse a Lavrentiev che per questa ragione saremmo stati costretti a limitare il numero degli esperti, appena fosse stato possibile farlo, senza creare difficoltà alla creazione del nostro esercito. La retribuzione degli esperti sovietici era di quattro volte maggiore delle retribuzioni dei comandanti del nostro esercito e tre volte maggiore di quelle dei nostri ministri federali. Il comandante di una delle nostre armate, tenente generale o generale colonnello, aveva allora da 9,000 a 11,000 dinari mensili, ed un esperto militare sovietico, tenente colonnello, colonnello o generale prendevano da 30,000 a 40,000 dinari. Nello stesso periodo i nostri ministri federali avevano un onorario di 12,000 dinari mensili. È comprensibile che consideravamo questo, non solo un peso finanziario, ma una scorrettezza politica perché portava a malintesi tra i nostri uomini. Quindi la nostra decisione di diminuire il numero degli esperti militari sovietici venne presa per le ragioni summenzionate e non per altre. D'altra parte, non escludiamo che qualcuno dei nostri uomini abbia fatto osservazioni inopportune. In questi casi è necessario presentarci un'informazione circostanziata, con le necessarie pezze d'appoggio, e senza alcun dubbio avremmo provveduto perché la cosa non succedesse più. Dobbiamo qui ricordare che qualcuno degli esperti sovietici non aveva sempre un contegno quale avrebbe dovuto e questo provocava malcontento, il cui risultato, contro la nostra volontà, fu che vennero fatte varie osservazioni più tardi deformate e che questa versione deformata arrivò al comando dell'esercito sovietico. Comunque, noi consideriamo questioni di troppa poca importanza perché si permetta che abbiano qualche influenza nel rendere tese le relazioni tra i nostri governi.
 
Siamo specialmente sorpresi da quella parte della lettera che contiene vecchie questioni riguardanti Djilas. La lettera riporta: «Alla luce di questi fatti possiamo comprendere l'ingiuriosa opinione espressa da Djilas sull'esercito sovietico ad una seduta del CC del PCY, che cioè gli ufficiali sovietici, da un punto di vista morale erano inferiori a quelli dell'esercito britannico». Djilas non tenne mai un discorso in questa forma. Tito spiegò questo, oralmente e per iscritto, nel 1945. Il compagno Stalin e gli altri membri del Politburo del CC del PCUS furono allora soddisfatti di questa spiegazione. Non possiamo comprendere perché di nuovo ripetiate, come argomento, un'accusa che risultò esser deformata e inesatta. Sottolineiamo di nuovo il fatto che né Djilas, nè alcun altro dei nostri governanti ha una simile opinione degli ufficiali sovietici. Solo una persona che sia, non solo nemica dell'URSS, ma anche nemica della Jugoslavia, può averla.
 
Le accuse nella vostra lettera che l'UDBa[10] pedina esperti sovietici e altri cittadini sovietici non è vera. Nessuno ha mai preso una decisione del genere e non è vero che i cittadini sovietici vengano seguiti. Questa informazione è un'invenzione di qualcuno. E ancor meno esatto è che i rappresentanti del governo sovietico e il compagno Yudin del Cominform siano stati seguiti.
 
Non possiamo capire a chi sia necessaria questa calunnia che mise in errore il governo dell'URSS. Anche in questo caso ci farebbe piacere ricevere prove concrete.
 
La vostra lettera del 27 marzo afferma che facciamo critiche contro i Soviet e contro il PCUS. Afferma che queste critiche vengono fatte tra i dirigenti del PCY. In più, afferma che queste critiche vengono fatte dietro alle spalle delle masse dai membri del Partito e che queste critiche sono disonoranti, subdole, ipocrite ecc. ecc. I nomi di Djilas, Vukmanovic, Kidric e Rankovic vi sono citati e si dice che vi erano anche altri. Così la lettera ricorda i nomi dei governanti più popolari e più noti della nuova Jugoslavia che hanno dato le loro prove in molte difficili situazioni fronteggiate dal nostro Partito.
 
Per noi è molto difficile capire come possano esser rivolte delle accuse così gravi senza ricordarne la fonte. Ed è ancora più stupefacente che si confrontino dichiarazioni dei nostri capi con quelle passate di Trosky. La lettera cita parti di affermazioni, per esempio: «il PCUS è degenerato», «l'URSS cerca di dominare economicamente la Jugoslavia», «un sciovinismo imperialista domina nell'URSS», «il Cominform è un mezzo per poter controllare attraverso il PCUS gli altri partiti». Più avanti « queste accuse antisovietiche sono abitualmente mascherate con frasi fatte come il ‘Socialismo nell'URSS ha cessato di esser rivoluzionario' e che solo la Jugoslavia è un autentico esponente del ‘Socialismo rivoluzionario‘».
 
Sulla base di questa e di simili informazioni raccolte in un periodo abbastanza esteso, da varie fonti sospette, tendenziosamente attribuite ai capi della Jugoslavia, come se fossero loro e come tali presentate ai capi dell'URSS, è, senza dubbio, possibile tirarne conclusioni errate e farle passare come dichiarazioni antisovietiche. Comunque pensiamo che è inesatto trarre conclusioni sulla base di testimonianze di persone non identificate e di informazioni sospette, e di fare accuse, come quelle menzionate nella lettera, contro uomini che hanno reso servizi incalcolabili nel popolarizzare l'URSS in Jugoslavia e che si sono conquistate una fama impareggiabile nella guerra di liberazione. È possibile credere che individui che hanno trascorso sei, otto, dieci e più anni in carcere — e tra le altre cose per la loro opera di popolarizzazione dell'URSS — siano come vengono rappresentati nella vostra lettera del 27marzo? No. Ma questa è la maggioranza dei capi più autorevoli della nuova Jugoslavia, che il 27marzo 1941condusse le masse in piazza contro il regime antipopolare di Cvetkovic Macek, che firmò il patto anti Comintern e desiderava aggiogare la Jugoslavia al carro del Fascismo dell'Asse. Sono gli stessi che nel 1941organizzarono l'insurrezione contro l'invasore fascista e che avevano una profonda fede nell'Unione Sovietica. Sono gli stessi che alla testa del popolo jugoslavo insorto, con in mano il moschetto, combatterono nelle più difficili condizioni dalla parte dell'Unione Sovietica, sola loro sincera alleata, credendo nella vittoria dell'URSS nei giorni più cupi, soltanto perché credevano e credono tuttora nel sistema dei Soviet, e nel socialismo.
 
Questa gente non può lavorare «per denigrare il sistema sovietico» perché questo significherebbe rinnegare le loro convinzioni ed il loro passato. Abbiamo il sentimento che tutte queste persone non dovrebbero venir giudicate sulla base di informazioni sospette, ma su quella della loro lunga attività rivoluzionaria.
 
Chiamare ambigue queste persone perché di fronte alle masse lodano il PCUS, «portandolo ai sette cieli», come si legge nella lettera, è veramente terribile ed insultante. La lettera continua: «Non abbiamo alcun dubbio che le masse del Partito Jugoslavo rinnegherebbero questa critica antisovietica, quale estranea ed ostile, se ne fossero a conoscenza». Sì, anche noi lo crediamo, se le cose stessero come sono rappresentate nella lettera. «Noi pensiamo che sia questa la ragione per cui gli ufficiali jugoslavi fanno queste critiche segretamente, dietro alle spalle delle masse». Non ci potrebbe comunque essere segretezza verso le masse per la semplice ragione che non c'era, né poteva esserci, una simile critica dell'Unione Sovietica e del PCUS.
 
Opporre le masse ai capi è scorretto. È scorretto perché i presenti capi della Jugoslavia e le masse sono una cosa sola, in quanto sono indissolubilmente legate dalla loro lotta durante la grande guerra di liberazione, ed oggi, dai grandi sforzi del lavoro per lo sviluppo del paese e la realizzazione del Socialismo.
 
Tra molti cittadini sovietici esiste l'idea errata che la simpatia delle grandi masse in Jugoslavia per l'URSS nacque spontaneamente sulla base di tradizioni che risalgono al tempo della Russia Zarista. Non è così. La simpatia per l'URSS non nacque da sé stessa. Fu ostinatamente inculcata nelle masse per opera del Partito, e nella gente in genere, dai presenti capi della nuova Jugoslavia, tra cui, in primo luogo quelli che la lettera accusa così seriamente. I presenti capi della nuova Jugoslavia sono gli stessi che, molto prima della guerra, non risparmiando né sacrifici, né sforzi, con costanza rivelarono alle masse la verità sull'Unione Sovietica e inculcarono tra le masse jugoslave l'amore per la terra del socialismo.
 
Quale è la base per l'accusa della lettera che nel nostro Partito non esiste democrazia? È un'informazione forse di Lavrentiev? Dove si è procurato una simile informazione? Consideriamo che lui, quale ambasciatore, non ha diritto di rivolgersi a chiunque per informazioni sul lavoro del nostro Partito. Non è questo il suo ufficio. Queste informazioni possono venir ottenute dal CC del PCUS e dal CC del PCY.
 
Il fatto che il segretario dell'organizzazione nel PCY è anche Ministro della Sicurezza Statale non interferisce in nessun caso con l'iniziativa delle organizzazioni di Partito. Il Partito non è sotto il controllo del UDBa; il controllo viene esercitato attraverso il CC del PCY di cui il Ministro della Sicurezza Statale è un membro. Oltre a questo dobbiamo aggiungere che il Capo dell'Amministrazione dei Quadri sotto il CC del PCY è Zokovic e non già Rankovic.
 
Non è vero che non vi è libertà di critica nel nostro Partito. Libertà di critica e di autocritica esiste nel nostro Partito e viene esercitata in regolari riunioni del Partito ed in conferenze dell'aktiv. Quindi qualcuno deve aver inventato questa falsità e la deve aver trasmessa come informazione al CC del PCUS.
 
L'accusa che la politica della lotta di classe non viene attuata nel PCY e che elementi capitalisti sian stati rafforzati nei villaggi e nelle città, è completamente inesatta. Da dove è venuta questa informazione, quando il mondo intero sa che dai tempi della Rivoluzione d'ottobre, in nessun altro luogo al mondo vi son stati altrettanti fissi, consistenti cambiamenti sociali, quanto in Jugoslavia? Questi sono fatti che nessuno può contestarci. Non è quindi comprensibile come si possa parlare di Bernstein, Volimar, Bukharin e marcio opportunismo riferendosi al nostro Partito. Non possiamo far altro che difenderci da queste inesattezze ed insulti al nostro Partito. La lettera più avanti ricorda il rapporto di Tito al Secondo Congresso del Fronte Popolare in Jugoslavia. È stato fatto un piccolo estratto di questo rapporto, traendone un confronto col tentativo menscevico di spezzare il Partito Social Democratico quarant'anni avanti.
 
In primo luogo questo avvenne quarant'anni fa sotto lo Zarismo ed oggi in Jugoslavia il potere è in nostre mani. Cioè, il PCY ha la parte dominante nel governo. Osservando lo sviluppo sociale in corso, è inevitabile che le forme organizzative debbano in qualche modo venir mutate, cambiati i metodi di lavoro, quanto le forme di governo delle masse, allo scopo di raggiungere più facilmente fini specifici.
 
In secondo luogo, il Fronte Popolare in Jugoslavia, per merito della sua qualità, è, non solo eguale ad alcuni Partiti Comunisti, che accettano chiunque nei loro ranghi, ma è financo migliore per organizzazione ed attività. Non tutti possono essere membri del Fronte Popolare in Jugoslavia, benché esso conti 7.000.000 di membri.
 
In terzo luogo, il PCY tiene saldamente le redini nel Fronte Popolare, in quanto il PCY costituisce il nucleo del Fronte Popolare. Non vi è quindi pericolo del suo dissolversi nel Fronte Popolare, come vien detto nella lettera. Attraverso il Fronte Popolare il PCY realizza gradualmente il suo programma, che il Fronte Popolare volontariamente adotta, considerandolo il programma proprio. Questa è la base dell'asserzione di Tito che il PCY non ha un altro programma...
 
Non possiamo credere che il CC del PCUS possa mettere in dubbio i benefici ed i risultati conseguiti dal nostro Partito fino ad oggi, perché ricordiamo che simile riconoscimento venne a noi dato replicate volte, da molti capi sovietici e dallo stesso compagno Stalin. Siamo altresì dell'opinione che vi sono molti aspetti specifici della trasformazione sociale in Jugoslavia che possono essere di beneficio allo sviluppo rivoluzionario in altri paesi e che vengono già usati. Questo non significa che noi si collochi in secondo piano la parte del PCUS ed il sistema sociale dell'URSS. Al contrario, studiamo e prendiamo ad esempio il sistema sovietico, ma nel nostro paese diamo sviluppo al Socialismo in forme in certo qual modo diverse. Nel presente periodo e nelle specifiche condizioni esistenti nel nostro paese, considerando le condizioni internazionali create dopo la guerra di liberazione, tentiamo di applicare le migliori forme di lavoro per la realizzazione del Socialismo. Non facciamo questo allo scopo di provare che la nostra strada è migliore di quella presa dall'Unione Sovietica, e che inventiamo qualcosa di nuovo, ma perché questo ci viene imposto dalla nostra vita quotidiana...
 
Se doveste chiederci se vi è qualcosa da parte vostra di cui siamo soddisfatti diremmo allora apertamente che vi sono molte ragioni per cui siamo scontenti. Quali sono queste ragioni? È impossibile menzionarle tutte in questa lettera, ma ne nomineremo qualcuna. Primo, consideriamo scorretto che gli agenti dell'investigazione Sovietica ingaggino nel nostro paese che sta andando verso il socialismo, i nostri propri cittadini per il loro servizio di investigazione. Non possiamo considerare ciò se non deleterio agli interessi del nostro paese. Questo vien fatto a dispetto del fatto che i nostri capi e l'UDBa hanno protestato contro ciò e reso noto che non può venir tollerato. Le persone così reclutate comprendono ufficiali, vari capi, e quanti sono negativamente disposti verso la nuova Jugoslavia.
 
Abbiamo le prove che certi agenti del Servizio di spionaggio sovietico reclutando i membri del nostro Partito riversarono dubbi sui nostri capi, cercarono di rovinare la loro reputazione, li fecero vedere come inefficienti e poco fidati. Per esempio il Colonnello Stepanov, nel 1945, non esitò reclutando uno dei nostri buoni compagni, che lavorava nella Divisione centrale dei codici e nella interpretazione degli stessi all'UDBa, di denigrare e sparger dubbi su tutti i nostri capi, asserendo «per il momento presente il Maresciallo Tito fa quello che può». Casi simili accadono tuttora. Questo significa anche, che questo reclutamento non viene fatto allo scopo di combattere contro qualche paese capitalista, e da qui dobbiamo inevitabilmente venire alla conclusione che questo reclutamento va distruggendo la nostra unione interna, che sopprime la confidenza nei capi, demoralizza gli individui, porta a compromettere la classe dirigente e diventa un canale atto a convogliare informazioni false giorno per giorno. Questo lavoro degli agenti sovietici non può venir considerato amichevole e leale verso il nostro paese che sta andando verso il Socialismo e che è il più fedele alleato dell'URSS.
 
Non possiamo permettere che il Servizio di informazioni Sovietico stenda la sua rete sul nostro paese. Abbiamo la nostra polizia statale ed il nostro servizio di informazioni per la lotta contro vari elementi capitalisti stranieri ed i nemici di classe nel nostro paese e se gli agenti Sovietici hanno bisogno di assistenza e di informazione in questa direzione la possono ottenere quando lo desiderano; da parte nostra questo è stato fatto finora.
 
Queste e simili questioni su cui non siamo soddisfatti sono numerose. Comunque, può questa esser la ragione dell'irrigidirsi delle nostre relazioni reciproche? No. Queste son questioni che possono venir eliminate e messe in chiaro.
 
È evidente che è negli interessi vitali dell'URSS e della Jugoslavia di essere strettamente legate. Comunque completa confidenza reciproca è necessaria a questo scopo, senza di essa non possono esistere durature e ferme relazioni tra i nostri due paesi. Il popolo sovietico e, sopra tutto, i suoi capi dovrebbero credere al fatto che la nuova Jugoslavia, sotto i suoi presenti governanti, va senza deviazioni verso il Socialismo.
 
Oltre a ciò devono credere che l'URSS ha nell'attuale Jugoslavia sotto i suoi presenti governanti, un'amica delle più fedeli ed una alleata pronta a dividere il bene ed il male con i popoli dell'URSS in caso di gravi prove.
 
In ultimo, pur sapendo che l'URSS ha difficoltà terribili nella ricostruzione dei paesi devastati, aspettiamo con diritto l'assistenza dell'URSS nello sviluppo del nostro paese e la realizzazione del Piano Quinquennale, senza sacrifici per il popolo dell'URSS perché capiamo che è l'interesse dell'URSS che la nuova Jugoslavia sia più forte, poiché questa si trova faccia a faccia col mondo capitalista che mette in pericolo, non solo il suo sviluppo pacifico, ma lo sviluppo di altri paesi di democrazia popolare e lo stesso sviluppo dell'URSS.
 
Sulla base di tutto quel che è stato esposto, la sessione plenaria del CC del PCY, non può considerare giustificate le critiche della vostra lettera sul lavoro del nostro Partito e dei suoi dirigenti. Siamo profondamente convinti che questo è il risultato di un malinteso che non avrebbe dovuto accadere e che deve venir rapidamente liquidato nell'interesse delle questioni che riguardano i nostri partiti.
 
Nostro unico desiderio è di eliminare ogni dubbio e la poca fede nella purezza del sentimento fraterno e cameratesco di fedeltà del CC del PCY verso il PCUS, verso il quale avremo sempre riconoscenza per la dottrina leninista marxista che ci ha guidati fino ad ora e ci guiderà in futuro e fedeltà all'Unione Sovietica che ci ha dato e continuerà a darci un grande esempio, e la cui assistenza al nostro popolo così saldamente apprezziamo.
 
Siamo convinti che questa divergenza può venir liquidata soltanto con una completa spiegazione reciproca tra i due Comitati Centrali sul luogo, cioè qui.
Proponiamo quindi che il CC del PCUS mandi uno, o più suoi membri, che qui avranno ogni opportunità di studiare a fondo qualsiasi questione.
Nella speranza che vorrete accettare questa proposta mandiamo camerateschi saluti.
 
Belgrado, 13 aprile 1948
 
Per ordine del CC del PCY
Tito
Kardelj
 
*”Il documento iugoslavo originale è piuttosto lungo. Ne sono stati estratti i passaggi più significativi. Questa risposta alla lettera del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica dei marzo 1948 si mantiene in uno stile difensivo; ripete la convinzione jugoslava che le accuse sovietiche sono infondate. Interessante osservare che in questo stadio iniziale della controversia sovietico-jugoslava il Partito Comunista iugoslavo non sfidò come tale il dogma sovietico. Si difese dalle accuse di Troskismo e Menscevichismo e fece vedere che l’eresia era altrettanto odiosa a Belgrado che a Mosca. Questa posizione di ortodossia scrupolosa venne mantenuta dagli jugoslavi per un lungo periodo anche dopo la scissione del 28 giugno 1948.
Forse il carattere più notevole di questa nota è la rudimentale asserzione di quel che doveva più tardi venir conosciuta come «la strada jugoslava verso il socialismo». Sotto la definizione di «strade proprie» o «comunismo nazionale» (un termine che suona tuttora anatema, non solo a Mosca, ma altrettanto a Varsavia ed a Belgrado) il concetto avrebbe creato varie pericolose tensioni attraverso l’Europa orientale qualche anno dopo.
Senza per il momento dare alcun contenuto programmatico al concetto, gli jugoslavi lo definirono con questa dichiarazione:
«Nel nostro paese promuoviamo il socialismo in forme alcunché differenti. Nel momento attuale e nelle specifiche condizioni esistenti nel nostro paese... cerchiamo di applicare la miglior forma di lavoro per realizzare il socialismo. Non facciamo questo per dimostrare che la nostra strada è migliore di quella presa dall’Unione Sovietica, e che inventiamo qualcosa di nuovo, ma perché vi siamo costretti dalla nostra vita quotidiana».
L’asserzione che condizioni esistenti possano obbligare la direzione di un partito ad adottare tattiche diverse non è nè irragionevole, nè nuova. L’osservazione era stata fatta anni prima da Lenin ed era presumibilmente dottrina sana. Ma negli ultimi anni di Stalin non conveniva comunque alla politica sovietica, immutabilmente avverso come egli era a manifestazioni di indipendenza tanto di pensiero che di azione di qualsiasi partito comunista. In queste circostanze si trovò opportuno ignorare il detto di Lenin e insistere sul primato del Partito Sovietico.
Il secondo tratto degno di nota della lettera jugoslava è che per la prima volta dopo l’inizio dello scambio gli jugoslavi sono spinti a enumerare le loro ragioni contro l’Unione Sovietica. I loro motivi di affronto vertono in particolare sulle molteplici azioni della rete spionistica sovietica nei confini del loro paese e l’implicito affronto alla sovranità jugoslava. La nota rivela anche in certo senso le attitudini sovietiche verso i membri dei partiti satelliti. Risulta evidente che veniva considerata cosa naturale — a Mosca per lo meno — che la lealtà di un comunista era dovuta in primo luogo all’Unione Sovietica ed il Partito Sovietico, e soltanto in secondo luogo al proprio partito e governo. Questo èun modo di vedere gli obblighi che non poteva naturalmente venir accettata da uno stato sovrano — comunista o meno — e gli jugoslavi furono pronti a prendere posizione. Nondimeno la lettera è sempre in tono conciliante. ”. (Nota riprodotta da "Mosca-Belgrado, I documenti della controversia 1948-1958", Schwarz editore, Milano, 1962.)
 

n.4.
Lettera del Comitato Centrale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica al Comitato Centrale del Partito Comunista di Jugoslavia, 4 maggio 1948. (Estratti)*
 
La vostra risposta e l'annuncio della decisione dell'Assemblea Plenaria del CC del PCY del 13 aprile 1948, firmata Tito e Kardelj, non segna un progresso rispetto agli altri documenti jugoslavi, al contrario complica ulteriormente le questioni e rende più acuto il dissidio.
 
La nostra attenzione è attirata dal tono dei documenti, che può venir definito soltanto come esageratamente ambizioso. Nei documenti non si può scorgere alcun desiderio di stabilire la verità, di ammettere onestamente gli errori, nè di riconoscere la necessità di eliminare questi errori. I compagni jugoslavi non accettano le critiche in una maniera marxista, ma in una maniera borghese: sta a dire, che le considerano un'offesa al prestigio del CC del PCY e deteriore [?] alle ambizioni dei capi jugoslavi.
 
Così, a scopo di districarsi dalla difficile situazione, per la quale sono essi stessi da biasimare, i capi jugoslavi usano un «nuovo» metodo, metodo di negazione integrale dei loro errori, incuranti della loro ovvia esistenza. I fatti ed i documenti ricordati nella lettera del CC del PCUS del 27 marzo 1948 vengono negati. I compagni Tito e Kardelj sembra non capiscano che questo puerile metodo di smentita, senza prove di fatti e documenti, non sarà mai convincente, ma solo risibile.
 
1. Il ritiro dei consiglieri militari sovietici dalla Jugoslavia.
 
Nella sua lettera del 27marzo il CC dei PCUS documentava le ragioni del ritiro dei consiglieri militari sovietici e diceva che l'informazione del CC del PCUS era basata sulle lagnanze di questi consiglieri riguardo l'ostile attitudine di ufficiali responsabili jugoslavi verso l'armata sovietica ed i suoi rappresentanti in Jugoslavia. I compagni Tito e Kardelj denunciano come senza fondamento questi fatti, Perché dovrebbe il CC del PCUS credere alle infondate asserzioni di Tito e Kardelj a preferenza delle numerose lagnanze dei consiglieri militari sovietici? Su quali basi? L'URSS ha i suoi consiglieri militari in quasi tutti i paesi di democrazia popolare. Dobbiamo sottolineare che ora non abbiamo ancora avuta nessuna lagnanza dai nostri consiglieri in questi paesi. Questo spiega perché non ci sono malintesi in questi paesi dovuti al lavoro dei consiglieri militari sovietici. Lamentele e malintesi in questo campo esistono soltanto in Jugoslavia. Non è forse chiaro che questo può spiegarsi soltanto con la particolare atmosfera di ostilità che è stata creata in Jugoslavia intorno a questi consiglieri militari?
 
I compagni Tito e Kardelj alludono alle grandi spese relative ai compensi dei consiglieri militari sovietici, sottolineando che i generali sovietici ricevono tre o quattro volte tanti dinari dei generali jugoslavi e che queste condizioni possono provocare malcontento da parte del personale jugoslavo. Ma i generali jugoslavi, a parte gli emolumenti che percepiscono, sono provvisti di abitazioni, servitù, cibo ecc, ecc. In secondo luogo, la paga dei generali sovietici in Jugoslavia corrisponde a quella dei generali sovietici nell'URSS. È comprensibile che il governo sovietico non può prendere in considerazione di ridurre le paghe dei generali sovietici che si trovano in Jugoslavia in missione ufficiale.
 
Forse la spesa dei generali sovietici era un carico troppo greve per il bilancio jugoslavo. In questo caso il governo jugoslavo avrebbe dovuto accostare il governo sovietico e proporgli di prendersi a carico una parte delle spese. Non vi è dubbio che il governo sovietico lo avrebbe fatto. Comunque gli jugoslavi presero un'altra linea di condotta: invece di risolvere la questione in una maniera amichevole, cominciarono ad insultare i nostri consiglieri militari, a chiamarli fannulloni ed a gettare discredito sull'armata sovietica. Solo dopo che un'atmosfera ostile si fu creata intorno ai consiglieri militari sovietici il governo jugoslavo avvicinò il governo sovietico. È comprensibile che il governo sovietico non potesse accettare la situazione.
 
2. Riguardo gli esperti civili sovietici in Jugoslavia.
 
Nella sua lettera del 27 marzo il CC del PCUS dichiarava le ragioni del ritiro degli esperti civili sovietici dalla Jugoslavia. Nel caso citato il CC del PCUS prestò fede alle lagnanze degli esperti civili e alle relazioni dell'ambasciatore sovietico in Jugoslavia. Da queste relazioni si può notare che gli esperti civili sovietici, non meno del rappresentante del PCUS nel Cominform, compagno Yudin, vennero posti sotto il controllo dell'UDBa.
 
I compagni Tito e Kardelj nella loro lettera negano la veridicità di queste lagnanze e relazioni, affermando che la UDBa non sorveglia cittadini sovietici in Jugoslavia. Ma perché il CC del PCUS dovrebbe credere alle asserzioni infondate dei compagni Tito e Kardelj e non alle lagnanze di cittadini sovietici, tra cui il compagno Yudin?
 
Il governo sovietico ha molti esperti civili in tutti i paesi di democrazia popolare, ma non riceve da loro alcuna lamentela e non vi sono divergenze con i governi di quei paesi. Perché queste controversie e conflitti sono sorti solo in Jugoslavia? Non è perché forse il governo jugoslavo ha creato una particolare atmosfera di inimicizia interna agli ufficiali sovietici in Jugoslavia, tra cui lo stesso compagno Yudin?
 
È comprensibile che il governo sovietico non potesse tollerare una simile situazione e si trovasse costretto a ritirare i suoi esperti civili dalla Jugoslavia...
 
3. Riguardo l'ambasciatore sovietico in Jugoslavia e lo stato sovietico.
 
Nella loro lettera del 13 aprile 1948 Tito e Kardelj scrivevano: «Noi consideriamo che lui (l'ambasciatore sovietico), come ambasciatore, non abbia diritto di chiedere a chiunque informazioni sull'attività del nostro partito. Non è questo il suo compito».
 
Abbiamo la sensazione che questa dichiarazione di Tito e Kardelj sia essenzialmente inesatta ed antisovietica. Essi identificano l'ambasciatore sovietico, comunista responsabile che rappresenta il governo comunista dell'URSS, con un comune ambasciatore borghese, semplice ufficiale di uno stato borghese chiamato a scalzare le fondamenta dello stato jugoslavo. È difficile comprendere come Tito e Kardelj abbiano potuto cadere così in basso. Capiscono questi compagni che una simile attitudine di fronte all'ambasciatore sovietico significa la negazione di ogni relazione amichevole tra l'URSS e la Jugoslavia? Capiscono questi compagni che l'ambasciatore sovietico, comunista, responsabile, che rappresenta una potenza amica che ha liberato la Jugoslavia dall'occupazione tedesca, non soltanto ha il diritto, ma l'obbligo di discutere, di tempo in tempo, con i comunisti di Jugoslavia tutte le questioni che li interessano? Come possono essere sospettosi di queste semplici questioni elementari, se intendono restare in rapporti amichevoli con l'Unione Sovietica?
 
Ad informazione dei compagni Tito e Kardelj è necessario ricordare che, a differenza degli jugoslavi, noi non consideriamo l'ambasciatore jugoslavo a Mosca come un semplice ambasciatore borghese e che non gli neghiamo il «diritto di cercare informazioni sull'attività del nostro partito da chiunque gli aggradi». Diventando ambasciatore non smise di essere un comunista. Egli ha amici e conoscenze tra i cittadini sovietici. Noi lo consideriamo come un compagno ed un comunista di alto grado. Si «procura» informazioni sull'attività del nostro partito? Con ogni verosimiglianza lo fa. Lasciamo che se le procuri. Non abbiamo ragioni per nascondere ai compagni le manchevolezze nel nostro Partito. Le rendiamo noi stessi pubbliche per poterle eliminare.
 
Consideriamo che questa attitudine dei compagni jugoslavi verso l'ambasciatore sovietico non possa venire considerata accidentale. Ha origine dall'attitudine generale del governo jugoslavo, che è anche la causa dell'incapacità dei capi jugoslavi di vedere la differenza tra la politica estera dell'URSS e la politica estera degli Anglo Americani; essi, quindi, mettono la politica estera dell'URSS alla pari con la politica estera degli Inglesi ed Americani e pensano che potrebbero seguire la stessa politica verso l'Unione Sovietica come verso gli stati imperialisti, Inghilterra e Stati Uniti.
 
In questo rispetto il discorso che il compagno Tito ha tenuto a Lubiana nel maggio 1945 è molto caratteristico. Diceva:
«Si dice che questa guerra sia semplicemente una guerra e noi l'abbiamo considerata tale. Comunque, noi cerchiamo anche un fine giusto; chiediamo che tutti possano essere padroni a casa propria; non vogliamo pagare per gli altri, non vogliamo venir usati come un pegno in un mercanteggiamento internazionale, non vogliamo venir coinvolti in nessuna politica di sfere di interesse».
 
Questo veniva detto in rapporto alla questione di Trieste. Come è ben risaputo, dopo una serie di concessioni territoriali a beneficio della Jugoslavia, che l'Unione Sovietica estorse agli Anglo Americani, questi ultimi in unione ai Francesi, respinsero la proposta sovietica di concedere Trieste alla Jugoslavia ed occupare con le loro forze, che allora si trovavano in Italia, Trieste. Poiché tutti gli altri mezzi erano esauriti, l'Unione Sovietica non aveva che un altro mezzo per conquistare Trieste alla Jugoslavia — cominciare una guerra con gli Anglo Americani per Trieste, conquistandola con la forza. I compagni jugoslavi non potevano far a meno di realizzare che dopo una guerra cosi dura l'URSS non poteva cominciarne un'altra. Comunque, questo fatto provocò malcontento tra i capi jugoslavi la cui attitudine venne descritta dal compagno Tito. L'asserzione di Tito a Lubiana che «la Jugoslavia non vuole pagare per gli altri», «che non vuole venir usata come un pegno», «non vuole rimanere coinvolta in nessuna politica di sfere d'interesse», era diretta non soltanto contro gli stati imperialisti, ma anche contro l'URSS, e nelle circostanze date, le relazioni di Tito verso l'URSS non sono diverse dalle sue relazioni verso gli stati imperialisti, poiché non riconosce alcuna differenza tra l'URSS e gli Stati Imperialisti.
 
In questo atteggiamento antisovietico del compagno Tito, che non incontrò alcuna resistenza nel CC del PCY, noi vediamo la base per la propaganda calunniosa dei capi del PCY, perseguita nei circoli prossimi ai quadri del Partito jugoslavo, riguardo «la degenerazione» dell'URSS in uno stato imperialista, il suo desiderio di «dominare economicamente la Jugoslavia» ed anche la base per la propaganda calunniosa dei capi del PCY riguardo «la degenerazione» del PCUS ed il suo desiderio «per mezzo del Cominform, di controllare gli altri partiti» ed «il socialismo che nell'URSS ha cessato di essere rivoluzionario».
 
Il governo sovietico fu costretto di attirare l'attenzione del governo jugoslavo sul fatto che questa asserzione non poteva venir tollerata e poiché le spiegazioni fornite da Tito e Kardelj erano infondate, l'ambasciatore sovietico a Belgrado, compagno Sadchikov venne istruito dal governo sovietico di fare la seguente dichiarazione al governo jugoslavo, dichiarazione fatta il 5 giugno 1945:
 
«Noi consideriamo il discorso del compagno Tito come un attacco poco amichevole all'Unione Sovietica e come insoddisfacente la spiegazione del compagno Kardelj. I nostri capi hanno interpretato in questo senso il discorso del compagno Tito e non si può comprenderlo in alcun altro modo. Dite al compagno Tito che se un'altra volta si permette un simile attacco all'Unione Sovietica saremo costretti a rispondere con critiche aperte sulla stampa ed a sconfessarlo».
 
Da questo atteggiamento antisovietico del compagno Tito verso l'URSS deriva l'atteggiamento dei capi jugoslavi verso l'Ambasciatore Sovietico, che mette l'ambasciatore sovietico a Belgrado allo stesso livello degli ambasciatori borghesi.
 
Sembra che i capi jugoslavi intendano restare in futuro in questo atteggiamento antisovietico. I capi jugoslavi dovrebbero ricordarsi che mantenere questo atteggiamento significa rinunciare ad ogni relazione amichevole con l'Unione Sovietica e tradire il fronte socialista unito dell'Unione Sovietica e le repubbliche popolari democratiche. Dovrebbero anche tenere a mente che mantenere questo atteggiamento significa privare se stessi del diritto di richiedere materiale e qualsiasi altra assistenza all'Unione Sovietica, perché l'Unione Sovietica può solo prestare il suo aiuto agli amici.
 
Ad informazione dei compagni Tito e Kardelj sottolineiamo che questa attitudine antisovietica verso l'ambasciatore sovietico e lo stato sovietico si ritrova soltanto in Jugoslavia, negli altri paesi di democrazia popolare le relazioni erano e rimangono amichevoli e perfettamente corrette...
 
4. Riguardo la dichiarazione antisovietica del Compagno Djilas sui servizi d'informazione e i negoziati commerciali.
 
Nella nostra lettera del 27 marzo abbiamo ricordato la dichiarazione antisovietica del compagno Djilas fatta ad una sessione del CC del PCY, nella quale diceva che gli ufficiali sovietici, dal punto di vista della morale erano inferiori agli ufficiali dell'esercito britannico. Questa asserzione di Djilas venne fatta in relazione al fatto che alcuni ufficiali dell'armata sovietica in Jugoslavia indulsero ad atti di natura immorale. Definimmo antisovietica questa asserzione di Djilas in quanto riferendosi al contegno degli ufficiali sovietici, questo misero Marxista, il compagno Djilas, non si ricordò delle principali differenze tra l'armata dei Soviet Socialisti che liberò i popoli d'Europa e l'esercito borghese britannico, la cui funzione è di opprimere e non di liberare i popoli del mondo.
 
Nella loro lettera del 13 aprile del 1948, Tito e Kardelj asseriscono che «Djilas non fece mai una simile dichiarazione in questa forma», e che «Tito spiegò questo oralmente e per iscritto nel 1945» e che «il compagno Stalin ed altri membri del Politburo del CC del PCUS» accettarono questa spiegazione.
 
Crediamo che sia necessario porre in luce che questa dichiarazione di Tito e Kardelj non corrisponde ai fatti. Fu cosi che Stalin reagì alla dichiarazione di Djilas in un telegramma a Tito:
 
«Comprendo la difficoltà della vostra situazione dopo la liberazione di Belgrado. Comunque dovete sapere che il governo sovietico, nonostante colossali sacrifici e perdite, fa tutto quanto è in suo potere per aiutarvi. Sono stupito del fatto che alcuni incidenti e reati commessi da singoli ufficiali e soldati dell'Armata Rossa in Jugoslavia vengano generalizzati ed estesi all'intera Armata Rossa. Non dovreste offendere cosi un esercito che vi aiuta a liberarvi dai tedeschi e che versa il suo sangue in battaglia contro l'invasore tedesco. Non è difficile comprendere che in ogni famiglia vi sono pecore nere, ma sarebbe strano condannare un'intera famiglia per una singola pecora nera».
 
Se i soldati dell'Armata Rossa si accorgono che il compagno Djilas e quelli che non lo sfidarono, considerano da un punto di vista morale superiori gli ufficiali inglesi a quelli sovietici, piangerebbero di dolore di fronte ad offese così immeritate. In questa attitudine antisovietica di Djilas, che passò impunita tra gli alti membri del Politburo del CC del PCY, vediamo le basi della campagna di calunnie condotta dai capi del PCY contro i rappresentanti dell'Armata Rossa in Jugoslavia, che fu la ragione del ritiro dei nostri consiglieri militari.
 
Come finì la faccenda con Djilas? Finì con l'arrivo a Mosca di Djilas assieme alla delegazione jugoslava e qui chiese scusa a Stalin e pregò che questo sbaglio spiacevole, da lui commesso alla sessione del CC del PCY, venisse dimenticato. Come si può vedere, la faccenda appare interamente diversa dalla lettera di Tito e Kardelj. Sfortunatamente l'errore di Djilas non fu un caso.
 
* * *
I compagni Tito e Kardelj accusano i rappresentanti sovietici di reclutare jugoslavi per il loro servizio di informazioni. Scrivono:
 
«Consideriamo sconveniente per gli agenti del Servizio d'informazioni sovietico di reclutare nel nostro paese, che si sta avviando al Socialismo, nostri cittadini per il servizio d'informazioni. Non possiamo considerare questo che come una cosa deleteria agli interessi del nostro paese. Questo viene compiuto nonostante il fatto che i nostri capi e l'UDBa hanno protestato contro questo e reso noto che non può venir tollerato. Tra coloro che sono stati reclutati figurano ufficiali, vari dirigenti, e coloro che sono negativamente disposti verso la nuova Jugoslavia».
 
Dichiariamo che questa relazione di Tito e Kardelj che abbonda di attacchi ostili contro gli ufficiali sovietici in Jugoslavia, non corrisponde punto ai fatti.
 
Sarebbe mostruoso chiedere che i cittadini sovietici che lavorano in Jugoslavia riempiano d'acqua la loro bocca, senza rivolgere la parola a nessuno. I lavoratori sovietici sono individui politicamente maturi e non semplicemente lavoratori salariati che non hanno il diritto di interessarsi a quel che avviene in Jugoslavia. È soltanto naturale che essi discorrano con cittadini jugoslavi, facciano loro domande e cerchino di ottenere informazioni ecc, ecc. Si dovrebbe essere incorreggibilmente antisovietici per considerare questi colloqui come tentativi di reclutare gente che sia «negativamente disposta verso la nuova Jugoslavia». Solo individui antisovietici possono pensare che i capi dell'Unione Sovietica si preoccupino meno del benessere della nuova Jugoslavia, di quanto lo facciano i membri del Politburo del CC del PCY.
 
Occorre mettere in rilievo che compagni jugoslavi visitando Mosca visitano frequentemente altre città dell'URSS, incontrano il nostro popolo e parlano liberamente con esso. Durante la sua ultima visita a Mosca, Djilas si recò a Leningrado per alcuni giorni per discorrervi con alcuni compagni sovietici.
 
Secondo il piano jugoslavo le informazioni sul Partito e l'attività dello stato si possono ottenere soltanto dagli organi dirigenti del CC del PCY e dal governo. Il camerata Djilas nell'URSS non ottenne informazioni da questi organi, ma dagli organi locali delle organizzazioni di Leningrado. Non considerammo necessario di indagare su quel che fece lì e sulle notizie che vi raccolse. Pensiamo che non raccogliesse materiale per servizi di spionaggio Anglo-Americani e francesi, ma per gli organi dirigenti in Jugoslavia. Poiché si trattava di una cosa corretta non vi vedemmo alcun pericolo giacché questa informazione poteva contenere materiale istruttivo per i compagni jugoslavi. Il compagno Djilas non può dire di aver incontrato la minima restrizione.
 
Si può ora chiedere: Perché i comunisti Sovietici in Jugoslavia godono di meno diritti che non gli Jugoslavi nell'URSS?...
Se Tito e Kardelj fossero interessati a scoprire la verità e se la verità non fosse penosa per loro, penserebbero seriamente a quel che segue:
 
a) Perché le informazioni del PCUS sugli affari di Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria ed Albania risultano corrette e non provocano malintesi con i Partiti Comunisti di questi paesi, mentre le informazioni sulla Jugoslavia appaiono, secondo i compagni jugoslavi «tendenziose e anti-partito» e provocano da parte loro, attacchi antisovietici e un atteggiamento ostile verso il PCUS ?
 
b) Perché le relazioni amichevoli tra l'URSS e i paesi di democrazia popolare si sviluppano e si rafforzano, mentre le relazioni sovietiche-jugoslave peggiorano?
 
c) Perché il PCP [?] delle democrazie popolari sostengono la lettera del 27 marzo e condannano gli errori del PCY mentre il Politburo del PCY che non volle riconoscere i suoi errori rimase isolato?...
 
Fu accidentale tutto questo?...
Noi riteniamo che dietro ai tentativi dei capi jugoslavi di sgravare se stessi dalla responsabilità di rendere più tese le relazioni sovietico jugoslave vi sia una mancanza di desiderio da parte di questi compagni di ammettere i loro errori e la loro intenzione di proseguire una politica ostile all'URSS.
 
Lenin dice:
«L'atteggiamento di un partito politico di fronte ai suoi errori è uno dei criteri più importanti e significativi della serietà del partito e dell'adempimento dei suoi obblighi verso la propria classe e verso le masse lavoratrici. Ammettere francamente gli errori, scoprirne le cause, analizzare la situazione che è stata creata da questi errori, discutere le misure con cui correggerli — questi sono i segni di un partito serio, significano l'adempimento dei suoi obblighi, l'educazione della classe e delle masse».
 
Sfortunatamente dobbiamo constatare che i capi del PCY che si rifiutano di ammettere e correggere i loro errori, stanno crudelmente distruggendo questa direttiva principale di Lenin.
 
Dobbiamo anche mettere in rilievo che, in contrasto con i capi jugoslavi, i capi dei partiti comunisti francese ed italiano onorevolmente ammisero i loro errori alla conferenza dei nove partiti, e che coscienziosamente li corressero, rendendo così possibile ai loro partiti di rafforzare i loro ranghi ed educare i loro quadri.
 
Sentiamo che, sotto alla riluttanza del Politburo del CC del PCY di ammettere onorevolmente i propri errori e di correggerli, sta la sfrenata arroganza dei capi jugoslavi. I successi raggiunti hanno loro montato la testa. Divennero arroganti ed ora si sentono cresciuti smisuratamente di statura. Non solo divennero arroganti, ma predicano persino l'arroganza, senza comprendere che questa può esser la loro rovina.
 
Lenin dice: «Tutti partiti rivoluzionari che sono esistiti nel passato, perirono per la loro arroganza e perché non videro in che cosa stava il loro potere e avevano paura di parlare delle loro debolezze. Noi non periremo perché non temiamo di parlare delle nostre debolezze ed impareremo a vincerle».
 
Disgraziatamente dobbiamo constatare che i capi jugoslavi, che non soffrono di indebita modestia e che sono tuttora intossicati dai loro successi, che non sono poi tanto grandi, hanno dimenticato l'insegnamento di Lenin.
 
Tito e Kardelj, nella loro lettera, parlano dei meriti e dei successi del PCY, dicendo che il CC del PCUS ha in passato lodato i loro servigi e successi, ma tace volutamente quali. Questo, naturalmente, non risponde a verità. Nessuno può negare i servizi ed i successi del PCY. Su questo non vi è dubbio. Comunque siamo anche costretti a dire che i servizi dei Partiti Comunisti di Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria ed Albania non sono minori di quelli del PCY. Comunque i capi di questi partiti hanno un contegno modesto e non se ne vantano come fanno i capi jugoslavi, che hanno assordato tutte le orecchie con il loro sconfinato auto-incensamento. È anche necessario sottolineare che i servizi resi alla rivoluzione dai PP.CC. francese ed italiano, non furono meno importanti, ma maggiori di quelli della Jugoslavia. Benché i PC francesi ed italiani abbiano finora raggiunto minor successo del PCY, questo non è dovuto a particolari qualità del PCY, ma principalmente perché, dopo la distruzione dei quartier generali dei partigiani jugoslavi da parte dei paracadutisti germanici, in un momento in cui il movimento di liberazione popolare in Jugoslavia stava passando attraverso una seria crisi, l'armata sovietica venne in aiuto al popolo jugoslavo, schiacciò l'invasore tedesco, liberò Belgrado ed a questo modo creò le condizioni necessarie perché il PCY assumesse il potere. Disgraziatamente l'armata sovietica non ebbe la possibilità di prestare un simile aiuto ai PC francese ed italiano. Se i compagni Tito e Kardelj tenessero a mente questo fatto, si vanterebbero meno dei loro meriti e successi e si condurrebbero con maggior modestia e convenienza.
 
La presunzione dei capi jugoslavi va tanto oltre che si attribuiscono persino meriti in maniera ingiustificabile. Per esempio, prendete la questione della scienza militare. I capi jugoslavi pretendono di aver perfezionato la scienza bellica marxista con una nuova teoria, secondo la quale la guerra viene considerata un'azione combinata delle truppe regolari, le unità partigiane e le insurrezioni popolari. Pertanto questa cosiddetta teoria è vecchia quanto il mondo e non è nuova per il Marxismo. Come è risaputo, i bolscevichi applicarono azioni concordate di truppe regolari, unità partigiane e insurrezioni popolari a tutto il periodo della guerra civile in Russia (1918-21) e l'applicarono su una scala molto maggiore di quanto non venisse fatto in Jugoslavia. Comunque, i bolscevichi non dissero, applicando questo metodo di azione militare, di produrre qualcosa di nuovo nella scienza della guerra, perché lo stesso modo venne con successo applicato molto tempo prima dei bolscevichi dal Feldmaresciallo Kutuzov nella guerra contro le truppe di Napoleone in Russia nel 1812.
 
Comunque anche il Feldmaresciallo Kutuzov non pretese di essere un innovatore applicando questo metodo, perché nel 1808 gli spagnoli lo usarono nella guerra contro le truppe napoleoniche. Risulta quindi che questa scienza di guerra è in realtà vecchia di 140 anni e quel che vantano essere un loro apporto è in realtà un apporto degli spagnoli.
 
Oltre a questo, dovremmo tenere a mente che i servigi resi da qualsiasi capo in passato non escludono possibilità di commettere in seguito degli errori. Non dobbiamo chiudere gli occhi agli errori presenti per i meriti passati. A suo tempo anche Trosky rese servizi alla rivoluzione, ma questo non significa che il PCUS potesse chiudere gli occhi ai suoi gravi errori opportunisti che vennero in seguito, rendendolo nemico dell'Unione Sovietica.
 
* * *
Tito e Kardelj nella loro lettera hanno proposto che il PCUS mandasse rappresentanti in Jugoslavia per studiare le differenze sovietico-jugoslave. Troviamo che questo procedimento sarebbe errato, giacché non si tratta di verificare fatti individuali, ma diversità di principi.
 
Come è risaputo, la questione delle differenze sovietico-jugoslave è già divenuta proprietà del CC dei nove partiti comunisti che hanno un loro Cominform. Sarebbe estremamente irregolare escluderle dalla questione. Proponiamo quindi che questa questione venga discussa alla prossima sessione del Cominform.
 
Mosca, 4 maggio 1948
 
CC del PCUS
 
* "Il 4 maggio del 1948 il Comitato Centrale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica mandò una lunga lettera al Partito Jugoslavo controbattendo la comunicazione jugoslava del 13aprile. Sono stati ristampati qui solo estrattidi questo documento; la lettera è essenzialmente un'elaborazione di punti già in precedenza sollevati. Il solo punto nuovo della comunicazione è il netto rifiuto che in Jugoslavia esistano attività spionistiche sovietiche. Su tutti gli altri punti i Sovietici asseriscono che il loro contegno è giustificato e oppongono «l'arroganza» dei capi jugoslavi al contegno «amichevole» degli altri Partiti Comunisti. La lettera cataloga prove della presunzione jugoslava e tratta il Partito Jugoslavo alla stregua di un ragazzo disobbediente. È sottolineato che i risultati da loro raggiunti sono minimi, confrontati a quelli di altre nazioni. Persino la lotta partigiana contro la Germania vienesminuita. Il tono della comunicazione è minaccioso e la ripetizione di vecchie accuse, particolarmente il confronto tra i governanti jugoslavi e Trosky riafferma il punto di vista sovietico che gli jugoslavi sono criminali degni di venir regolarmente giudicati da un tribunale di Partiti Comunisti, cioè dal Cominform. ". (Nota riprodotta da "Mosca-Belgrado, I documenti della controversia 1948-1958", Schwarz editore, Milano, 1962.)
 

n.5
Lettera del Lettera del Comitato Centrale del Partito Comunista di Jugoslavia al Comitato Centrale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, 17 maggio 1948. (Testo integrale)*
 
Abbiamo ricevuto la vostra lettera del 4 maggio 1948. Sarebbe superfluo scrivere dell'impressione scoraggiante che questa lettera ha provocato in noi. Ci ha convinto del fatto che tutte le nostre spiegazioni, benché appoggiate da fatti, dimostranti che tutte le accuse contro di noi erano il risultato di informazioni errate, sono inutili.
 
Noi non rifuggiamo dalle critiche su questioni di principio, ma in questa questione ci sentiamo talmente in svantaggio che per noi è impossibile acconsentire che questa questione venga ora decisa dal Cominform. Anche prima che noi si venisse informati, i nove Partiti ricevettero la vostra prima lettera e presero le loro posizioni. Il contenuto della vostra lettera non rimase una questione interna per Partiti individuali, ma venne fatta uscire dal circolo lecito, ed il risultato ne è, che oggi, in alcuni paesi come la Cecoslovacchia e l'Ungheria, non soltanto il nostro partito, ma il nostro paese, come complesso, vengono insultati, come avvenne con la nostra delegazione parlamentare a Praga.
 
I risultati di tutto ciò sono stati molto seri per il nostro paese.
 
Noi desideriamo che la questione venga liquidata in maniera tale che noi si possa provare con i fatti che le accuse contro di noi sono ingiuste. Cioè che risolutamente costruiremo il Socialismo e che rimarremo fedeli all'Unione Sovietica, fedeli alla dottrina di Marx, Engels, Lenin e Stalin. Il futuro dimostrerà, come fece il passato, che realizzeremo tutto quel che vi promettiamo.
 
Belgrado, 17 maggio 1948
 
Per ordine del CC del PCY
J. B. Tito
E. Kardelj
 
*" A metà maggio del 1948 divenne evidente che la speranza jugoslava di riconciliazione era in gran parte illusoria. La posizione sovietica era irrigidita; Stalin aveva agito in maniera da allargare il dissenso, rendendo pubblica la controversia tra i capi di partito dei satelliti dell'Europa Orientale. Questa breve replica alla nota sovietica del maggio è quindi in un tono senza speranza. Tito ed i suoi colleghi mantengono le loro posizioni sulla questione di principio, ma tanto per documentazione, quanto per un sincero desiderio di raccostamento, chiudono con una dichiarazione di fedeltà all'URSS.Il documento è riportato nella sua integrità. ". (Nota riprodotta da "Mosca-Belgrado, I documenti della controversia 1948-1958", Schwarz editore, Milano, 1962.)
 

n.6
Lettera del Comitato Centrale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica al Comitato Centrale del Partito Comunista di Jugoslavia, 22 maggio 1948. (Testo integrale)*
 
Le vostre lettere del 17 maggio 1948 e del 20 maggio 1948, firmate dai compagni Tito e Kardelj, sono state ricevute. Il PCUS considera che in queste lettere i capi del PCY sono ancora andati oltre nell'aggravare i loro grossolani errori nelle questioni di principio, la cui dannosità e pericolo sono stati indicati dal PCUS nella lettera del 4 maggio.
 
1- I compagni Tito e Kardelj scrivono che si considerano «in tale posizione svantaggiosa che è per noi impossibile acconsentire che questa questione venga ora decisa dall'Informburo». Più oltre si sono permessi l'allusione che i capi jugoslavi siano stati a bella posta messi in questa situazione dal PCUS. Il CC del PCUS considera che non vi è la minima verità in questa asserzione. Non esiste ineguaglianza per il Partito comunista jugoslavo, né vi può essere nell'Informburo di nove partiti comunisti. Tutti sanno che, ai tempi dell'organizzazione dell'Informburo [composta] di nove partiti comunisti, tutti i partiti comunisti partirono dalla ineccepibile posizione che ogni partito poteva sottomettere un rapporto all'Informburo, allo stesso modo che ogni partito ha il diritto di criticare gli altri partiti. La conferenza di nove partiti partì da questo punto, quando alla sua riunione del settembre 1947ascoltò i rapporti dei Comitati Centrali di ogni Partito senza eccezione. La conferenza di nove Partiti Comunisti iniziò il principio che ogni singolo Partito ha il diritto di criticare qualsiasi altro partito. I compagni francesi ed italiani non disputarono il diritto degli altri partiti di criticare i loro errori ed accettarono in maniera bolscevica la severità di critica.
 
È fatto risaputo che i compagni francesi ed italiani non si opposero al diritto di altri partiti di criticare i loro errori. Al contrario hanno sopportato il peso della critica bolscevica e traendone vantaggio dalle conclusioni. Oltre a ciò, i compagni jugoslavi approfittarono dell'opportunità di criticare gli errori dei compagni italiani e francesi e non considerarono che così facendo si ledeva l'eguaglianza di quei partiti.
 
Perché i compagni jugoslavi fanno questo radicale cambiamento e chiedono la liquidazione dei precedenti già stabiliti in seno all'Informburo? Perché credono che il Partito jugoslavo e i suoi capi dovrebbero esser posti in una posizione di privilegio e che lo statuto dell'Informburo non si riferisca a loro; e che, avendo il privilegio di criticare gli altri partiti, non dovrebbero esser sottoposti, loro stessi, alla critica di questo. Comunque, se così possiamo dire, credere a questo non ha niente a vedere con l'eguaglianza. Infatti non si tratta che di una richiesta da parte dei capi jugoslavi perché il PCY sia posto nel Cominform in una posizione privilegiata, posizione che non esiste per nessun altro partito. Noi abbiamo preso e continuiamo a tenere questa posizione perché senza di essa non si potrebbe continuare il lavoro dell'Informburo. Ogni Partito comunista è obbligato a sottomettere rapporti all'Informburo, ogni partito comunista ha il diritto di criticare qualsiasi altro partito comunista, il rifiuto degli Jugoslavi di sottomettere rapporti delle loro azioni al Corninform e di accettare critiche dagli altri partiti comunisti significa una violazione dell'eguaglianza tra i partiti comunisti.
 
2- Nella loro lettera del 17 maggio i compagni Tito e Kardelj ripetono la richiesta fatta nella loro precedente lettera, accusando la critica della direzione del Partito comunista jugoslavo di esser fondata su informazioni inesatte.
 
Ma i compagni jugoslavi non esibiscono nessun dato per provare questa asserzione. L'asserzione resta senza alcuna prova e le critiche del PCUS restano senza risposta, sebbene i compagni Tito e Kardelj affermino nella loro lettera che essi non cercano di evitare le critiche su questioni di principio. Forse i capi jugoslavi non hanno semplicemente nulla da dire per giustificarsi?
 
La questione si riduce a due cose: o il Politburo del PCY nel profondo della sua anima è consapevole della serietà degli errori commessi, ma desiderando di celare questo al PCY e di ingannarlo, dichiara che gli errori sono inesistenti, scaricando la colpa su uomini innocenti che sono sospettati di aver dato informazioni errate al PCUS; o veramente non capisce che con i suoi errori sta deviando dal Marxismo Leninismo. Comunque, in questo caso si deve ammettere che l'ignoranza del Politburo sui principi del Marxismo è straordinariamente grande.
 
3- Benché si rifiutino di rispondere alle domande dirette del PCUS ed aggravino i loro errori con la loro testarda riluttanza ad ammetterli e correggerli, i compagni Tito e Kardelj ci assicurano a parole che con i fatti dimostreranno la loro volontà a restar fedeli all'Unione Sovietica ed agli insegnamenti di Marx, Engels, Lenin e Stalin. Dopo quel che è avvenuto non abbiamo nessuna ragione di credere a queste assicurazioni verbali. I compagni Tito e Kardelj hanno in molte occasioni fatto promesse al PCUS, promesse che non sono state mantenute. Dalle loro lettere, e specialmente dalla loro ultima lettera, ne siamo ancora più sicuri. Il Politburo del PCY,e specialmente il compagno Tito, dovrebbero comprendere che la politica antisovietica e antirussa che hanno in questi ultimi tempi perseguito nel loro lavoro quotidiano, ha fatto quanto occorreva per scalzare la fiducia in loro da parte del PCUS ed il governo dall'URSS.
 
4- I compagni Tito e Kardelj si lamentano di essersi messi in una situazione difficile e che le conseguenze di questo sono molto serie per la Jugoslavia. Ciò, naturalmente è vero, ma il biasimo di questo sta esclusivamente dalla parte dei compagni Tito e Kardelj e altri membri del Politburo del PCY, che hanno messo il loro proprio prestigio ed ambizione al di sopra degli interessi del popolo jugoslavo ed, invece di ammettere e correggere i loro errori negli interessi del popolo, hanno ostinatamente negato i loro errori che sono fatali per il popolo jugoslavo.
 
5- I compagni Tito e Kardelj pretendono che il CC del PCY si rifiuti di prender parte alla riunione dell'Informburo, per discutere la questione del Partito Comunista jugoslavo. Se questa è la loro decisione definitiva significa che essi non hanno nulla da dire all'Informburo a loro difesa e che tacitamente ammettono la loro colpa e temono di apparire dinnanzi agli affratellati Partiti Comunisti, Di più, il rifiuto di informare l'Informburo significa che il PCY ha preso la strada di tagliarsi fuori dal fronte popolare unito del Socialismo delle democrazie popolari e dall'URSS. Dato che l'Informburo è la organizzazione base del partito del fronte unito, questa politica porta al tradimento del lavoro compiuto per la solidarietà internazionale dei lavoratori e all'adozione di un'attitudine di nazionalismo che è ostile alla causa della classe lavoratrice.
 
Indifferentemente se i rappresentanti del CC del PCY assistano, o meno, alla riunione dell'Informburo, il PCUS insiste per la discussione della situazione nel PCY alla prossima riunione dell'Informburo.
 
In previsione della richiesta dei compagni cecoslovacchi ed ungheresi che la riunione dell'Informburo abbia luogo nella seconda metà di giugno, il PCUS esprime la sua approvazione a questa proposta.
 
Mosca, 22 maggio 1948
 
CC del PCUS
 
* " In questo documento vien fatto riferimento ad una lettera degli jugoslavi al Partito comunista sovietico, datata 20 maggio 1948, che non è mai stata pubblicata. Si può dedurre dalla risposta sovietica che Belgrado si è rifiutata di intervenire alla progettata riunione del Cominform, sfidando il diritto di questo di impartire un giudizio sul Partito Comunista Jugoslavo.
Il governo sovietico decisamente dichiara che domande di rendersi indipendenti dal Cominform sono inaccettabili e fa più esplicite le sue accuse contro i Comunisti jugoslavi. Il documento è riprodotto nella sua integrità". (Nota riprodotta da "Mosca-Belgrado, I documenti della controversia 1948-1958", Schwarz editore, Milano, 1962.)
 

Deliberazione dell'Ufficio Informazioni [Cominform] riguardo la situazione nei Partito Comunista di Jugoslavia, 28 giugno 1948. (Estratti)*
 
L'Ufficio d'informazioni composto dai rappresentanti del Partito Bulgaro dei lavoratori (Comunisti), Partito romeno dei lavoratori, Partito ungherese dei lavoratori, Partito polacco dei lavoratori, il Partito Comunista dell'Unione Sovietica (Bolscevichi), il Partito Comunista di Francia, il Partito Comunista di Cecoslovacchia, il Partito Comunista italiano, dopo aver discusso la situazione nel Partito Comunista di Jugoslavia e aver annunciato che i rappresentanti del Partito Comunista Jugoslavo si erano rifiutati di assistere alla riunione dell'Ufficio di informazioni, giunsero all'unanimità alle seguenti conclusioni:
 
1 L'Ufficio d'Informazioni osserva che la direzione del Partito Comunista Jugoslavo ha recentemente seguito una linea scorretta sulle principali questioni di politica interna ed estera, linea che significa un allontanamento dal Marxismo-Leninismo. In relazione a questo, l'Ufficio d'Informazioni approva l'azione del Comitato Centrale del PCUS che prese l'iniziativa di denunciare questa politica errata del Comitato Centrale del Partito Comunista di Jugoslavia ed in particolare l'errata politica dei compagni Tito, Kardelj, Djilas e Rankovic.
 
Avendo precisato queste accuse, il Cominform in effetti espelle gli eretici jugoslavi dalle sue file ed apertamente si appella ai ranghi del Partito jugoslavo di esautorare i suoi capi. ". (Nota riprodotta da "Mosca-Belgrado, I documenti della controversia 1948-1958", Schwarz editore, Milano, 1962.)
 
2 L'Ufficio d'Informazioni dichiara che la direzione del Partito Comunista Jugoslavo sta perseguendo una politica ostile verso l'Unione Sovietica ed il PCUS. Una politica senza dignità che diffama gli esperti militari sovietici e getta discredito sull'Unione Sovietica è stata seguita in Jugoslavia. Venne instaurato un particolare regime per gli esperti civili in Jugoslavia per cui erano sotto la sorveglianza degli organi jugoslavi di sicurezza statale e venivano continuamente seguiti. Il rappresentante del PCUS nell'Ufficio d'Informazioni, compagno Yudin ed alcuni rappresentanti ufficiali dell'Unione Sovietica in Jugoslavia vennero seguiti e tenuti sotto osservazione dagli organi di sicurezza statale jugoslavi.
 
Tutti questi fatti, e fatti simili, dimostrano che i capi del Partito comunista jugoslavo hanno preso un atteggiamento indegno dei Comunisti ed hanno cominciato ad identificare la politica estera dell'Unione Sovietica con la politica estera delle potenze imperialiste, comportandosi verso l'Unione Sovietica nella stessa maniera in cui si comportano verso gli stati borghesi. Precisamente a motivo di questo atteggiamento antisovietico, la calunniosa propaganda sulla «degenerazione» del PCUS, sulla «degenerazione» dell'URSS e così via, presa in prestito dall'arsenale del Troskismo antirivoluzionario, è cosa corrente entro il Comitato Centrale del Partito Comunista jugoslavo.
 
L'Ufficio d'Informazioni denuncia questo atteggiamento antisovietico dei capi del Partito Comunista Jugoslavo come incompatibile col Marxismo-Leninismo ed appropriato solo ai nazionalisti.
 
3 Nella politica interna i capi del Partito comunista di Jugoslavia si allontanano dalla posizione della classe lavoratrice e stanno rinnegando la teoria marxista delle classi e della lotta di classe. Negano che nel loro paese ci sia un aumento di elementi capitalisti e in conseguenza un acuirsi della lotta di classe nelle loro campagne. Questa smentita è il risultato diretto del principio opportunista che la lotta di classe non si fa più acuta durante il periodo di transizione dal capitalismo al socialismo, come è insegnato dal Marxismo-Leninismo, ma soccombe come venne affermato da opportunisti del tipo di Bukharin che propagò la teoria dello sviluppo pacifico dal capitalismo al socialismo.
 
I capi jugoslavi stanno perseguendo una politica errata nelle campagne, ignorando la differenziazione delle classi nelle campagne e considerando la coltivazione individuale come una singola entità, opponendosi alla dottrina marxista leninista sulle classi e la lotta di classe, e contrariamente alla ben nota tesi di Lenin per cui la piccola proprietà terriera dà vita continuamente, giornalmente, e ad ogni ora, spontaneamente e su larga scala al capitalismo ed alla borghesia. Di più la situazione politica nelle campagne jugoslave allarma per la grande faciloneria e compiacimenti. Nelle condizioni esistenti in Jugoslavia dove predomina lo sfruttamento individuale delle coltivazioni e dove la terra può venir venduta e comperata, dove molto terreno è concentrato nelle mani di kulaki, dove viene usata mano d'opera a giornata, non vi può esser questione di educare il Partito nello spirito di coprire di orpelli la lotta di classe e riconciliare le contraddizioni di classe, senza, così facendo, disarmare il partito stesso di fronte alle difficoltà connesse alla costruzione del socialismo.
 
Sulla questione della parte direttiva della classe lavoratrice, i capi del Partito Comunista jugoslavo, affermando che là i contadini sono «i più stabili fondamenti dello stato jugoslavo», si allontanano dal sentiero marxista-leninista e prendono il cammino di un partito populista di kulak. Lenin ha insegnato che il proletariato come «la sola classe nella società contemporanea che sia rivoluzionaria fino in fondo.., deve essere a capo nella lotta dell'intero popolo per una trasformazione interamente democratica, nella lotta di tutti i lavoratori e gli sfruttati contro gli oppressori e gli sfruttatori».
 
I capi jugoslavi violano la tesi del marxismo-leninismo.
Per quanto riguarda la classe contadina, può darsi che la maggioranza, cioè i contadini poveri e medi, siano già alleati con la classe lavoratrice.
L'atteggiamento dei capi jugoslavi trascura queste tesi di marxismo-leninismo.
Come si può vedere, questo atteggiamento riflette vedute appropriate ad un meschino nazionalismo borghese, ma non a marxisti-leninisti.
 
4 L'Ufficio d'Informazioni considera che la direzione del Partito Comunista jugoslavo sta rivedendo gli insegnamenti marxisti leninisti sul Partito. Secondo la teoria del Marxismo-leninismo il partito è la principale forza direttiva e di comando nel paese, che ha il suo proprio programma specifico e non si dissolve tra le masse al di fuori del partito. Il partito è la più elevata forma di organizzazione e l'arma più importante della classe lavoratrice
 
[...] Ma in Iugoslavia non è il partito comunista, bensì il Fronte popolare a essere considerato come la forza dirigente del paese. I dirigenti iugoslavi riducono il ruolo del partito comunista, lo diluiscono di fatto all'interno del Fronte popolare senza partito
 
[...] I dirigenti del Partito comunista iugoslavo ripetono gli errori dei menscevichi russi circa la dispersione del partito marxista nell'organizzazione delle masse dei senza partito. Tutto ciò dimostra l'esistenza di tendenze liquidazioniste nei confronti del Partito comunista iugoslavo [...][11]
 
5 Il Bureau d'Informazione pensa che il regime burocratico creato dai dirigenti iugoslavi in seno al partito è nefasto per la vita e lo sviluppo del Partito comunista iugoslavo. Nel partito non esiste democrazia interna né eleggibilità degli organi interni, né critica e autocritica.
 
[...] È assolutamente intollerabile che nel Partito comunista iugoslavo vengano calpestati i diritti più elementari dei membri del partito, dal momento che la più piccola critica del comportamento erroneo nel partito determina severe rappresaglie.
 
[...] Il Bureau d'Informazione considera che non può essere tollerato in un partito comunista un regime tanto vergognoso, assolutamente sporco e terroristico [...].[12]
 
6 L'Ufficio d'Informazioni considera che le critiche fatte dal Comitato Centrale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica (b) e dai Comitati Centrali degli altri Partiti Comunisti, che a questa maniera prestarono fraterna assistenza al Partito Comunista Jugoslavo, degli errori del Comitato Centrale del Partito Comunista in Jugoslavia fornisce al Partito Comunista jugoslavo tutte le condizioni necessarie per correggere velocemente gli errori commessi.
 
Comunque, invece di onestamente accettare le critiche e di seguire la maniera bolscevica nel correggere questi errori, i capi del Partito Comunista di Jugoslavia, sconfinatamente ambiziosi, arroganti e presuntuosi, fan fronte a queste critiche con spirito bellicoso ed ostile. Assunsero la via contro lo spirito del partito, negando indiscriminatamente tutti gli errori, violarono la dottrina del marxismo-leninismo riguardante l'attitudine di un partito politico verso i propri errori e cosi aggravando gli errori contro il Partito.
 
I dirigenti iugoslavi che non hanno avuto argomenti di fronte alla critica del Comitato centrale del Partito comunista (bolscevico) dell'URSS e dei Comitati centrali degli altri partiti fratelli, hanno intrapreso il cammino della menzogna flagrante nei confronti del loro partito e del loro popolo, nascondendo al Partito comunista iugoslavo la critica della politica erronea del Comitato centrale del Partito comunista iugoslavo, e nascondendo inoltre al partito e al popolo le cause reali della repressione inflitta ai compagni Khuyovic e Hebrang.
 
Negli ultimi tempi, dopo la critica, compiuta dal Comitato centrale del Partito comunista (bolscevico) dell'URSS e dai partiti fratelli, degli errori commessi dai dirigenti iugoslavi, questi ultimi hanno cercato di promuovere una serie di nuove disposizioni estremiste. [Ci si riferisce alle disposizioni per liquidare il piccolo commercio e la piccola industria, i kulaks, ecc. - Nota di Ferndando Claudin]
 
[...] Il Bureau d'Informazione considera che i decreti e le dichiarazioni estremiste dei dirigenti iugoslavi, per il fatto di essere demagogiche e al momento attuale irrealizzabili, possono soltanto compromettere la causa della costruzione socialista in Iugoslavia. Pertanto il Bureau d'Informazione giudica tale tattica avventurista come una manovra indegna e come un gioco politico intollerabile [...][13]
 
7 Prendendo in considerazione la situazione nel Partito Comunista jugoslavo e cercando di far vedere ai capi del Partito la via d'uscita da questa situazione il Comitato Centrale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica (b) ed i Comitati Centrali degli altri partiti affratellati suggerirono che la questione del Partito Comunista jugoslavo venisse discussa ad una riunione dell'Ufficio d'Informazioni sullo stesso piede normale di partito in cui vennero discusse le attività degli altri partiti comunisti alla prima riunione dell'Ufficio d'informazioni.
 
Comunque i capi jugoslavi respinsero i ripetuti consigli dei partiti comunisti affratellati di discutere la situazione nel Partito Jugoslavo ad una riunione dell'Ufficio d'Informazioni.
 
Tentando di evitare le giuste critiche dei partiti affratellati nell'Ufficio d'Informazioni, i capi jugoslavi inventarono la favola della loro ingiusta « posizione d'inferiorità». In questa teoria non vi è un filo di verità. È cosa generalmente nota che quando venne istituito l'Ufficio d'Informazioni, i partiti comunisti fondarono il loro lavoro sull'indiscutibile principio che qualsiasi partito poteva informare l'Ufficio d'Informazioni, allo stesso modo che ogni partito aveva il diritto di criticare gli altri partiti.
 
Alla prima riunione dei nove partiti comunisti il Partito comunista jugoslavo si valse pienamente di questo diritto.
 
Il rifiuto del Partito jugoslavo di riferire all'Ufficio d'Informazioni la sue azioni e di ascoltare le critiche degli altri Partiti comunisti significa, in pratica, una violazione dell'eguaglianza dei partiti comunisti ed è, infatti, l'equivalente di una richiesta di una posizione di privilegio per il Partito comunista jugoslavo nell'Ufficio d'Informazioni.
 
8 In vista di questo, l'Ufficio d'Informazioni esprime la sua completa adesione all'apprezzamento della situazione in seno al Partito comunista jugoslavo con la critica degli errori col Comitato Centrale del Partito e con l'analisi politica di questi errori contenuti nelle lettere del Comitato Centrale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica (b) al Comitato Centrale del Partito Comunista jugoslavo tra il marzo e maggio del 1948.
 
L'Ufficio d'Informazioni conclude all'unanimità che, attraverso le loro vedute antipartito ed antisovietiche, incompatibili con il Marxismo-leninismo, con tutto il loro atteggiamento ed il rifiuto di prender parte alla riunione dell'Ufficio d'Informazioni, i capi del Partito Comunista di Jugoslavia si son posti in opposizione ai Partiti Comunisti affiliati all'Ufficio d'Informazioni, hanno preso la strada di scindersi dal Fronte unito socialista contro l'imperialismo, hanno preso la strada di tradire la causa della solidarietà internazionale del popolo lavoratore assumendo una posizione nazionalista.
 
L'Ufficio d'Informazioni condanna questa politica avversa al partito e l'atteggiamento del Comitato Centrale del Partito Comunista in Jugoslavia.
 
L'Ufficio d'Informazioni considera che, visto tutto questo, il Comitato Centrale del Partito Comunista di Jugoslavia si è posto, ed ha posto, il Partito Jugoslavo al di fuori della famiglia dei Partiti Comunisti affratellati, al di fuori del Fronte Unito Comunista ed in conseguenza, al di fuori dei ranghi dell'Ufficio d'Informazioni.
 
*   *   *
 
L'Ufficio d'Informazioni considera che la base di questi errori, commessi dalla direzione del Partito Comunista jugoslavo, sta nell'indubitato fatto che elementi nazionalisti, che in precedenza esistevano in forma clandestina, riuscirono nel volgere degli ultimi cinque o sei mesi a raggiungere una posizione dominante nella direzione del Partito Comunista jugoslavo e che in conseguenza la direzione del Partito Comunista jugoslavo abbia rotto le tradizioni internazionaliste del Partito comunista jugoslavo, imboccando le vie verso il nazionalismo.
 
Sopravalutando considerevolmente le forze nazionaliste interne in Jugoslavia e la loro influenza, i capi jugoslavi pensano di poter mantenere l'indipendenza jugoslava e di poter edificare il socialismo senza l'aiuto delle democrazie popolari, e senza l'aiuto dell'Unione Sovietica. Pensano che la nuova Jugoslavia possa fare a meno dell'aiuto di queste forze rivoluzionarie.
 
Dimostrando la loro deficiente comprensione della situazione internazionale ed il fatto di esser stati intimiditi dalle minacce ricattatorie degli imperialisti, i capi jugoslavi pensano che facendo concessioni e lusinghe possano allettare gli stati imperialisti a concedere favori. Pensano di esser capaci a mercanteggiare con questi l'indipendenza jugoslava e orientare gradualmente il popolo jugoslavo verso questo stato, che sarebbe a dire verso il capitalismo. In questo procedono tacitamente dalla ben nota tesi del capitalismo borghese che «gli stati capitalisti siano un minor pericolo per l'indipendenza della Jugoslavia, che non l'Unione Sovietica».
 
I capi jugoslavi evidentemente non comprendono o, probabilmente, fanno mostra di non comprendere, che una simile linea di condotta nazionalista può portare soltanto alla degenerazione della Jugoslavia in una comune repubblica borghese, alla perdita dell'indipendenza ed alla sua trasformazione in una colonia dei paesi imperialisti.
 
L'Ufficio d'Informazioni non dubita che in seno al Partito Comunista Iugoslavo vi siano abbastanza elementi sani, fedeli al marxismo-leninismo ed alle tradizioni internazionali del Partito Comunista Jugoslavo ed al fronte unito del Socialismo.
 
Il loro compito di costringere gli attuali capi a riconoscere apertamente ed onestamente i loro errori e pensare a correggerli, rompere con il nazionalismo ritornando all'internazionalismo e con ogni mezzo consolidare il fronte unito contro l'imperialismo.
 
Se i capi presenti del Partito Comunista Jugoslavo si dimostrassero incapaci di far questo, il loro compito è di sostituirli e di formare una nuova direzione internazionalista del Partito.
 
L'Ufficio d'Informazione non dubita che li Partito Comunista di Jugoslavia sarà capace di adempiere questo degno compito.
 
I rappresentanti de:
- Partito Bulgaro dei Lavoratori (Comunisti);
- Partito Romeno dei Lavoratori;
- Partito Ungherese dei Lavoratori;
- Partito Polacco dei Lavoratori;
- Partito Comunista dell'Unione Sovietica (Bolscevichi);
- Partito Comunista di Francia;
- Partito Comunista di Cecoslovacchia;
- Partito Comunista Italiano
 
* "La decisione del Cominform, che è qui data in estratto, è in effetti il definitivo atto sovietico di scomunica. Segue ad una lettera jugoslava al Cominform, in data del 20 giugno 1948 che ripete la posizione di Belgrado. In breve, gli Jugoslavi dichiaravano di essere ingiustamente accusati, che nessun tentativo era stato fatto per comprendere le loro spiegazioni. Benché la loro nota finisse con proteste di solidarietà e fedeltà, Tito ed i suoi colleghi contestavano di nuovo in effetti, la competenza del Cominform ad agire in questa questione. La lettera era cosi un rifiuto finale di sottomettersi all'autorità.
Il comunicato del Cominform, che era il primo documento che portava l'attenzione del mondo non comunista sulla controversia, conferma le critiche del Partito Comunista Sovietico agli jugoslavi e somma le messe a punto del PCUS durante il precedente carteggio. Il Partito Jugoslava viene accusato di:
1. una politica interna ed estera deviazionista;
2. una voluta ostilità verso l'Unione Sovietica;
3. una scadente politica agraria;
4. una concezione non marxista-leninista della parte inerente al Partito;
5. rifiuto di accettare critiche;
6. un contegno arrogante verso partiti affratellati e pretese di privilegio.
 

Il progetto di risoluzione sullo scioglimento dell'I.C. e la sua approvazione
 
Stralci da un articolo apparso sulla rivista Teoria & Prassi, n.19 - ottobre 2008
 
E' in questo complesso di circostanze e sulla base di questa analisi che il Presidium del Comitato Esecutivo dell'Internazionale Comunista (CEIC) decise di dare un seguito alla discussione sullo scioglimento del komintern. Le esigenze imposte dalla guerra fecero sì che essa procedette velocemente.
 
L'8 maggio del 1943 Dimitrov annotò nel suo diario:
 
"Di notte da Molotov insieme a Manuil'(skij). Abbiamo parlato del futuro del Comintern. Siamo arrivati alla conclusione che il Comintern, come centro dirigente dei partiti comunisti, nelle condizioni che si sono venute a creare, è un ostacolo allo sviluppo autonomo dei partiti comunisti e all'adempimento dei loro compiti specifici.
 
Elaborare un documento sullo scioglimento di questo centro" (G. Dimitrov, Diario. Gli anni di Mosca (1934-1945), Einaudi, TO).
 
L'11 maggio Dimitrov scrisse con Manuilskij il progetto di risoluzione del Presidum del CEIC e lo inviò a Stalin e Molotov, che lo approvarono. Discussero quindi del modo in cui doveva essere assunta la risoluzione e concordarono: a) di esaminare il progetto nella riunione del Presidium e di approvarlo come proposta alle sezioni dell'Internazionale; b) di comunicarlo alle sezioni e chiedere il loro consenso; c) di pubblicarlo solo dopo aver ricevuto il consenso.
 
Il giorno successivo, il 12 maggio, i dirigenti dell'Internazionale furono messi a conoscenza del progetto di risoluzione. Dimitrov annotò: "Tutti considerano in linea di principio e politicamente giusta la proposta alle sezioni dell'IC sullo scioglimento del Comintern, come centro dirigente del movimento operaio Internazionale" (G. Dimitrov, Ibid.).
 
Il 13 maggio del 1943 ebbe luogo la riunione a porte chiuse del Presidium del CEIC. Parteciparono: Dimitrov, Manuilskij, Marty, Thorez, Ibarruri, Pieck, Ulbricht, Koplenig, Rakosi, Sverma, Wolf , Kolarov,
 
Pauker, Lehtinen, Vlasov e due interpreti.
 
Ci fu una relazione di Dimitrov in cui la bozza di dichiarazione di scioglimento del Comintern venne spiegata e chiarita, alla luce della storia del movimento comunista e della situazione politica mondiale.
 
Dimitrov, che presiedette la riunione, sottolineò che intorno a tale progetto doveva svolgersi un libero scambio di opinioni. Si trattava non di uno scioglimento formale, ma di uno scioglimento di fatto dell'I.C. quale centro di direzione unica del movimento comunista internazionale.
 
Tutti i partecipanti intervennero a turno per discutere la proposta di scioglimento dell'I.C., esprimendo la loro approvazione del progetto proposto come testo base. Furono lasciati alcuni giorni di tempo per ulteriori, più approfondite, riflessioni e per l'apporto di eventuali correzioni, modifiche o integrazioni.
 
Il 17 maggio del 1943 il Presidium del CEIC si riunì di nuovo in forma riservata. Venne esaminato punto per punto il progetto di risoluzione ed approvate alcune correzioni non sostanziali. Non essendoci la possibilità di convocare nelle circostanze della seconda guerra mondiale un congresso, furono discusse due varianti per l'approvazione della risoluzione: 1) pubblicarla con le firme dei membri del Presidium che si trovavano in URSS come una proposta alle sezioni dell'I.C. per la loro approvazione, avvertendole che successivamente la proposta sarebbe stata pubblicata; 2) spedire la proposta alle sezioni per discuterla e, dopo aver ricevuto il loro gradimento, pubblicarla come documento di tutti i partiti membri dell'I.C. Fu accettata la prima variante, più saggia.
 
Il 18 maggio fu redatta la versione della risoluzione con le correzioni approvate dal Presidium. Essa fu confermata all'unanimità e in questa versione venne firmata dai seguenti componenti del Presidium del CEIC: Dimitrov, Gottwald, Kolarov, Koplenig, Kuusinen, Manuilskij, Marty, Pieck, Thorez, Zdanov e Togliatti (come rivela il diario di Dimitrov quest'ultimo firma per telegramma da Ufa, in quanto dal '41 veniva utilizzato solo nel settore radio e propaganda e non più reso partecipe delle questioni delicate, dato che non c'era più nei suoi confronti piena fiducia politica). La proposta venne firmata anche dai seguenti rappresentanti di partiti comunisti che si trovavano a Mosca in quel periodo: Bianco, Ibarruri, Lekhtinin, Pauker e Rakosi. Copia dei verbali e del progetto di risoluzione fu spedita a Stalin e a Molotov.
 
Il giorno successivo furono esaminate una serie di questioni organizzative connesse allo scioglimento del Comintern, in particolare il mantenimento dei contatti, i centri esteri dei partiti, e le altre funzioni che dovevano essere mantenute. Stalin, da parte sua propose alcune precisazioni. Si concordarono i tempi per la pubblicazione sulla stampa.
 
Il 20 maggio la risoluzione finalmente trovò la sua forma definitiva, con le ultime modifiche proposte da Stalin, ed il testo venne di nuovo approvato all'unanimità, tradotto e inviato all'estero.
 
Il 21 maggio si riunì il Politburò del VKP(B) in cui Molotov lesse la risoluzione del Presidum del CEIC e Stalin spiegò i motivi della decisione. La risoluzione venne approvata all'unanimità Nelle settimane seguenti la risoluzione di scioglimento, pubblicata sulla Pravda il 22 maggio, fu approvata da tutte le 31 sezioni dell'I.C. che si manifestarono pienamente d'accordo con la proposta del Presidium del CEIC. Nessun partito comunista si oppose o comunicò obiezioni di alcun genere nei confronti della proposta. Nelle dichiarazioni delle stragrande maggioranza dei partiti comunisti venne sottolineato che lo scioglimento dell'I.C. non significava un indebolimento del legame ideologico fra i diversi reparti del movimento comunista mondiale e della solidarietà proletaria. Per quanto riguarda il VKP(B), il compagno Stalin riassunse il 28 maggio 1943 le motivazioni dello scioglimento del Comintern in una intervista scritta rilasciata al corrispondente dell'agenzia inglese Reuter a Mosca.
 
Nella sua ultima riunione dell'8 giugno 1943 il Presidium del CEIC, constatato che tutte le sezioni avevano approvato all'unanimità la proposta di scioglimento del Comintern, dichiarò lo scioglimento del CEIC, del Presidium, della Segretaria del CEIC e della Commissione di controllo internazionale. Venne nominata unacommissione per la liquidazione dell'attività, degli organi dell'apparato e delle proprietà dell'I.C. Il giorno successivo Dimitrov preparò un comunicato che conteneva la decisione presa nell'ultima seduta del Presidium e lo inviò alla Pravda, per la pubblicazione nell'edizione del 10 giugno.
 

L'intervista di Stalin alla Reuter
 
Il compagno Stalin riassunse il 28.5.1943 le motivazioni dello scioglimento del Comintern in una risposta scritta alla domanda rivoltagli dal corrispondente dell'agenzia inglese Reuter a Mosca. Di seguito il testo tratto da: J. Degras, Storia dell'Internazionale comunista, vol. III, Feltrinelli, MI, 1975, pp. 517-8).
 
"Lo scioglimento dell'Internazionale comunista è opportuno e tempestivo perché facilita l'organizzazione dell'offensiva comune di tutte le nazioni che amano la libertà contro il comune nemico: l'hitlerismo.
 
Lo scioglimento dell'Internazionale comunista è opportuno perché:
 
a) Smaschera la menzogna degli hitleriani secondo cui "Mosca", a loro dire, intende intervenire nella vita delle altre nazioni e "bolscevizzarle". Ora si mette fine a questa menzogna.
 
b) Smaschera la calunnia degli avversari del comunismo in seno al movimento operaio secondo cui i partiti comunisti nei vari paesi non agirebbero nell'interesse del loro popolo ma per ordini dall'esterno. Anche a questa calunnia si mette fine.
 
c) Facilita il lavoro dei patrioti di tutti i paesi per far confluire le forze progressiste dei rispettivi paesi, indipendentemente dal partito o dalla fede religiosa, in un solo campo di liberazione nazionale, per sviluppare la lotta contro il fascismo.
 
d) Facilita il lavoro dei patrioti di tutti i paesi per far confluire tutti i popoli che amano la libertà in un solo campo internazionale per la lotta contro la minaccia del dominio mondiale da parte dell'hitlerismo, aprendo così la via alla futura organizzazione di una convivenza delle nazioni basata sull'uguaglianza.
 
Penso che la somma di tutte queste circostanze sarà tale da produrre un ulteriore rafforzamento del fronte unico degli Alleati e delle altre nazioni unite nella loro lotta per vincere la tirannia hitleriana. Ritengo che lo scioglimento dell'Internazionale comunista sia assolutamente tempestivo: perché proprio adesso, mentre la belva fascista mette in opera le sue ultime energie, è necessario organizzare l'offensiva comune dei paesi amanti della libertà per dare il colpo mortale a questa belva e liberare gli uomini dall'oppressione fascista".
 

Stralci dall'articolo
 
Kominform - Il tradimento di Tito e il revisionismo del PCI
 
da scintillarossa.forumcommunity.net
 
Nel Settembre del 1947 venne convocato a Szklarska Poreba, in Polonia, un incontro internazionale di Partiti Comunisti con il dichiarato proposito di costituire "l'Ufficio di Informazione dei Partiti Comunisti", il KOMINFORM: erano trascorsi poco più di quattro anni dallo scioglimento dell'Internazionale Comunista, avvenuto nelle particolari condizioni di un conflitto bellico che ne aveva paralizzato l'attività, riducendola ad una forma organizzativa che "sopravviveva a se stessa" [14].
 
Lo scioglimento dell'IC, posto in essere anche in considerazione "della crescita e della maturità politica dei Partiti Comunisti e dei loro quadri dirigenti nei singoli paesi"[15], aveva oggettivamente prestato il fianco al risorgere di posizioni che rappresentavano la negazione del patrimonio teorico e delle esperienze di lotta dell'Internazionale Comunista: il browderismo negli Stati Uniti, era la forma più eclatante di revisionismo nel movimento comunista internazionale degli anni '40 ed aveva prodotto i suoi riflessi in alcuni partiti dell'Europa occidentale ed in particolar modo in quello italiano e francese.
 
Le posizioni di queste due organizzazioni avevano sollevato perplessità e provocato sconcerto tra i più autorevoli dirigenti del movimento comunista ed avevano reso evidente la necessità della costituzione di nuove forme di collegamento tra Partiti Comunisti con l'obiettivo di sviluppare una strategia comune, rivoluzionaria ed antimperialista.
 
"Non mi sembra casuale" (ha scritto Procacci, NDA) "il fatto che nella lista ufficiale dei partiti che parteciparono alla prima e seconda conferenza ciascuno di essi avesse assunto l'originaria denominazione usata durante gli anni del COMINTERN, che sottolineava la natura del partito come sezione di una organizzazione sovranazionale. Pertanto non si fa riferimento al "Partito Comunista Italiano" o al "Partito Comunista Francese" ma piuttosto al "Partito Comunista d'Italia" o al "Partito Comunista di Francia" "[16].
 
Le riserve verso la linea politica dei partiti francese ed italiano erano emerse prima ancora della conferenze polacca: già nel Luglio del 1947 Spano in una riunione del Comitato Centrale, aveva riferito degli "apprezzamenti di alcuni compagni di altri paesi secondo i quali noi "avremmo potuto prendere il potere, avremmo potuto cacciare via gli americani" [17].
 
Togliatti, consapevole dell'impostazione duramente critica della conferenza verso l'operato del PCI, si guardò bene dal recarsi in Polonia e delegò Longo e Reale. L'asse centrale attorno a cui ruotavano le critiche ai comunisti italiani (e francesi) era sintetizzato nella severa requisitoria di Zdanov nei confronti di Longo:"Voi siete più parlamentari degli stessi parlamentari.(…) Se la reazione avanza il CC del partito si ritira.(…) Ha il partito un piano d'offensiva? Passerà dalla difensiva all'offensiva? Fino a che punto il partito pensa di difendersi e da qual momento passerà all'offensiva? O con il pretesto di evitare "avventure" permetterete che il partito venga messo fuorilegge? Fino a quando il partito ha intenzione di retrocedere? Tutte queste questioni non possono non inquietare la classe operaia di tutto il mondo. (…)
 
Quando si parla degli errori tattici del Partito Comunista Francese e di quello italiano non si tratta di piccole deficienze, della necessità di piccole correzioni, ma intendiamo accennare alla necessità di un deciso cambiamento della strategia e della tattica, di un radicale cambiamento di rotta rispetto al passato"[18].
 
Zdanov metteva in evidenza le contraddizioni che avevano paralizzato il PCI e lo avevano ridotto al rango di un modesto comprimario delle scelte di classe della borghesia italiana.
 
Quando Longo, fidando sulla possibilità di una conoscenza non esaustiva da parte di Zdanov degli eventi italiani, arrivò ad affermare che le forze reazionarie "ci temono", Zdanov replicò seccamente: "se vi temono, perché avvengono arresti di partigiani, perquisizioni nelle sedi del Partito Comunista e la proibizione dei comizi?".
 
I confusi balbettii di Longo, che cercava di giustificare l'insensata linea politica adottata dal PCI dalla svolta di Salerno, "non valsero, però, a distogliere l'uditorio dal fatto principale che i comunisti in Italia non avevano conquistato il potere"[19].
 
Altri dirigenti comunisti continuarono l'opera di demolizione della linea togliattiana; Farkas, rappresentante dei comunisti ungheresi, mosse senza mezzi termini l'accusa di cretinismo parlamentare nei confronti dei dirigenti del PCI: "il compagno Longo ha parlato di una coalizione con De Gasperi e l'ha giustificata dicendo che senza i democristiani non può essere raggiunta maggioranza in parlamento. Io spero che il compagno Longo non si offenda se dico che questo è cretinismo parlamentare. La maggioranza parlamentare è presentata come qualcosa di sacro, d'inviolabile. Ma è realmente impossibile opporre le masse popolari alla maggioranza parlamentare? Ma è realmente impossibile, con l'aiuto delle masse, formare un governo di minoranza che sciolga il parlamento?"[20].
 
Veniva denunciata esplicitamente, da parte dei maggiori dirigenti del KOMINFORM, la linea di Togliatti, direttamente chiamato in causa negli interventi più critici:
 
"Si può dire (affermava Kardelj, NDA) che dopo la guerra, i comunisti di ogni paese capirono il loro ruolo?(…) No, crediamo di no.
 
Di più, non è eccessivo affermare che nel movimento comunista internazionale, durante e dopo la guerra, c'era una tendenza che portava ad una certa deviazione dalla teoria rivoluzionaria del marxismo-leninismo e rappresentava, in un certo senso, una tendenza alla revisione del leninismo. Noi tutti conosciamo il fenomeno del browderismo nel Partito Comunista degli USA.
 
Ma il browderismo non è un fenomeno eccezionale o casuale nel movimento operaio, cioè nel movimento comunista internazionale.
 
Il sistema imperialistico, che si era indebolito in conseguenza della guerra antifascista, ha ripreso la sua maschera democratica e con questa maschera e con frasi socialdemocratiche ha evocato ogni sorta di illusione circa le future forme di sviluppo dell'imperialismo e causato l'emergere di varie tendenze opportunistiche all'interno del movimento comunista internazionale, insieme a tutta una serie di errori e di deviazioni. (…) Togliatti ha detto nell'Assemblea Costituente il 27 Luglio 1946: "I partiti sono la democrazia che si organizza. Questi grandi partiti sono la democrazia che si afferma, che conquista posizioni decisive, le quali non saranno perdute mai più. (…) Questi grandi partiti non sono soltanto una necessità della vita nazionale e della democrazia, la loro esistenza è una fortuna per il nostro paese. Queste grandi trasformazioni unitarie (…) sono una garanzia per l'unità del nostro paese".
Queste posizioni finiscono col creare illusioni (…) tra le masse.(…) E' chiaro per noi che ogni coalizione di partito è un'arma a doppio taglio, una battaglia degli uni contro gli altri.
 
Se i comunisti non riescono a creare, accanto alla coalizione (…) altri mezzi di lotta per il potere, nel momento decisivo essi si trovano sostanzialmente isolati.
 
Quando, dopo la guerra, la borghesia era debole, essa entrò nella coalizione, un fronte popolare o qualcosa di simile con i comunisti. Così in quel periodo un blocco con i comunisti su base parlamentare rappresentò per essa una via d'uscita da una situazione difficile.
 
Per quanto, in alcuni paesi, i comunisti non fossero in grado o non sapessero come trarre profitto da questa situazione di difficoltà in cui si trovava la borghesia per conquistare alcune posizioni decisive di commando, una coalizione come quella con i comunisti era vantaggiosa non per i comunisti ma per la borghesia, anche se i comunisti avevano posti nel governo (…)"[21].
 
La transizione pacifica al socialismo, secondo i dirigenti dei Partiti Comunisti dell'Est Europeo, era ipotizzabile in quei paesi dove si erano realizzati sistemi di democrazia popolare, ma certamente non era applicabile laddove permaneva il dominio di classe dei capitalisti.
 
 "Secondo la nostra visione" (affermava Kardelj, NDA) "i leader di alcuni Partiti Comunisti commisero degli errori lungo il loro percorso che li hanno portati a scivolare verso le posizioni della socialdemocrazia e del nazionalismo borghese o della idolatria della solidità e della forza dell'imperialismo.
Non c'è dubbio che questi errori erano contenuti in modo più evidente nella politica dei Partiti Comunisti Francese e Italiano, ma anche di altri partiti.(…) Fra i comunisti italiani apparvero, per esempio, delle tendenze che concepivano la debolezza dell'imperialismo come il risultato della guerra e non come un segnale per i Partiti Comunisti per seguire un percorso chiaro finalizzato alla sua distruzione, alla presa del potere da parte delle forze democratiche popolari dirette dal Partito Comunista, ma come una tappa del percorso che avrebbe portato i comunisti al potere per vie legali cioè tramite la transizione pacifica dal capitalismo al socialismo.
 
Togliatti il 1° Luglio di quest'anno disse:"Noi abbiamo previsto fondamentalmente la possibilità di una trasformazione democratica del nostro paese fondamentalmente in modo legale"
 
Naturalmente sono lontano dal negare la possibilità, in alcune condizioni, di uno sviluppo pacifico verso il socialismo.(…) I leader di alcuni paesi di nuova democrazia vedono lo sviluppo dei loro paesi come un cammino di sviluppo pacifico verso il socialismo.
 
Ma una cosa è quando a parlare di sviluppo pacifico verso il socialismo sono i leader di alcuni partiti dell'Est Europa, per esempio Polonia, Bulgaria, ecc. in cui il ruolo guida della classe lavoratrice e dei Partiti Comunisti è già assicurato da solide posizioni di comando conquistate durante la guerra in condizioni a noi ben note e che in ogni caso non hanno niente a che vedere con manovre parlamentari.
Quando parla di via polacca al socialismo, il compagno Gomulka sottolinea in particolare questo.
 
Un'altra cosa è quando ne parlano i comunisti di paesi dove la borghesia conserva posizioni chiave di potere e dove parlare di via pacifica può solo creare e rafforzare ogni sorta di illusione parlamentare"[22].
 
L'aver confinato la resistenza entro il recinto della democrazia borghese aveva comportato, come naturale conseguenza, l'accettazione passiva degli "aiuti" statunitensi da parte del PCI: Ana Pauker, dirigente del Partito Comunista Rumeno, nel criticare la rassegnata subalternità del PCI nei confronti delle ingerenze statunitensi, ricordava la lotta che conducevano i comunisti greci contro l'imperialismo USA:
 
"Nella sua propaganda il PCF parte dall'idea che la Francia ha bisogno del credito americano.
 
Noi sentiamo dire ciò anche al compagno Longo, sebbene egli parli più fermamente della necessità di difendere la sovranità nazionale. E' corretto per i comunisti ammettere la necessità dell'aiuto americano?
 
Il popolo americano dirà: anche i prodi comunisti ammettono di aver bisogno dell'aiuto americano.
 
E dal momento che noi non possiamo farcela senza il credito dell'America, noi dovremo fare a meno della sovranità. (…) Né il PCF né il PCI sollevarono la questione se fosse possibile farcela senza il credito americano, se fosse possibile ricostruire il paese contando, in primo luogo, sulle proprie forze.
 
Perché questi partiti hanno dimenticato l'esempio eroico dell'URSS, che ricostruì la sua economia in condizioni di assedio, con un accerchiamento ostile, senza il sostegno di nessuno?
 
Ancora oggi il popolo sostiene l'URSS. Perché non hanno seguito l'esempio della Grecia?
 
La Grecia riceve " l'aiuto" americano, ma il PC della Grecia lotta contro questo "aiuto", mobilitando il popolo contro l'imperialismo americano.Vi sono altri paesi che non hanno avuto l'aiuto americano.
Essi si sono sforzati al massimo di ricostruire le loro economie senza " l'aiuto" degli imperialisti"[23].
 
Gli interventi dei delegati esprimevano una critica intransigente delle posizioni di Togliatti sulla "questione greca":
"I dirigenti comunisti italiani (affermava ancora Kardelj, NDA) molto spesso ripetono di non volere che quello che essi chiamano " la situazione greca" sia creata nel loro paese.
Dicono: gli americani e la reazione interna vogliono farci ripercorrere la situazione greca, vogliono trascinarci in un'avventura, farci prendere le armi, ci vogliono far scivolare verso una "situazione greca".
Ma, dicono questi compagni, essi sbagliano, perché noi non vogliamo una "situazione greca".
 
In questo, in realtà sta l'essenza dei loro errori.
 
Essi non capiscono la "situazione greca" perché nel loro paese, essi stanno lottando principalmente sulla base del parlamentarismo, mentre in Grecia il PC sta lottando, armi in pugno, alla testa delle masse.
In realtà, gli americani e i reazionari greci non vogliono la "situazione greca", essa li ha già enormemente danneggiati e ha minacciato il loro potere e tutte le posizioni tenute dall'imperialismo in Grecia.
Conseguentemente la "situazione greca" è al momento incomparabilmente migliore di quella italiana o francese.
 
Mentre le forze democratiche greche stanno resistendo all'espansione degli imperialisti americani e stanno portando avanti persino un'offensiva contro gli attacchi della reazione, in Francia e in Italia queste forze battono in ritirata e non solo si stanno facendo buttare fuori ("senza tante cerimonie" come dice la borghesia) dal governo ma stanno lasciando trasformare i loro paesi, senza una vera resistenza da parte loro, in vassalli e basi da guerra contro il socialismo e la democrazia.
 
Questo è il motivo per cui non siamo d'accordo affatto con i compagni italiani sul fatto che gli americani e i reazionari in Francia vogliono che sia creata nei loro paesi una "situazione greca".
 
Al contrario siamo sicuri non solo essi non la vogliono ma che una "situazione greca" in Italia e in Francia, accanto a quella già in atto in Grecia, significherebbe un colpo molto forte all'imperialismo, la sconfitta dell'attuale offensiva imperialista contro le forze progressiste. (…) Ma non è solo la questione del giudizio che" (i Partiti Comunisti Italiano e Francese, NDA) "danno alle vicende greche.
 
Il fatto è che da ciò ne consegue che i partiti che vedono la "situazione greca" in questo modo stanno dando un sostegno insufficiente alla lotta per la libertà in Grecia.
 
Il fatto che alcuni Partiti Comunisti sottovalutano la lotta intrapresa dall'esercito democratico greco, considerano questa lotta come un "errore", come una lotta che sarà rapidamente sconfitta, mentre, dall'altro lato, sopravalutano l'importanza delle manovre parlamentari nel loro paese, ha come risultato che questi Partiti Comunisti danno un sostegno assai modesto alla causa del popolo greco.
 
Yugoslavia, Bulgaria, Albania e anche l'Unione Sovietica in tutto questo periodo sono stati fatti oggetto di violenti attacchi da parte degli interventisti imperialisti e delle forze reazionarie greche.
 
Certamente questi paesi hanno piena consapevolezza del loro dovere internazionalista verso il popolo greco.
 
Ma possiamo affermare che (…) i Partiti Comunisti di tutti i paesi hanno mobilitato vaste masse per difendere la democrazia in Grecia e l'indipendenza del popolo greco?
 
Abbiamo creato un ostacolo morale-politico sufficientemente solido di fronte all'intervento americano?
 
No, non l'abbiamo fatto, perché, secondo noi, non tutti i Partiti Comunisti hanno compreso quanto è enormemente importante la lotta del popolo greco, perché questi partiti reputano che la vittoria per il popolo greco non sia possibile, perché sopravvalutano la forza del nemico.
 
Il massimo sostegno politico alla Grecia e lo sviluppo delle più vaste azioni di massa in tutto il mondo, contro l'intervento americano e britannico sono fondamentali per gli interessi del movimento comunista e democratico internazionale e per gli interessi di tutte quelle entità nazionali che hanno subito l'aggressione imperialistica degli americani.
 
Questo è il motivo per cui riteniamo che uno dei risultati più importanti di questo incontro debba essere la completa intensificazione dell'aiuto internazionalista alla Grecia allo scopo di prevenire un aperto intervento militare USA in Grecia.
 
Impedire l'intervento americano significa assicurare la vittoria della lotta per la libertà del popolo greco e infliggere un duro colpo all'offensiva reazionaria degli imperialisti americani. La lotta del popolo greco ha già dimostrato che è possibile resistere con successo all'offensiva reazionaria degli imperialisti, che la battaglia può essere vinta. Dalle relazioni dei delegati del PCF e del PCI, e anche da altre informazioni da noi possedute, risulta chiaro che questi partiti hanno avuto finora l'atteggiamento di partiti di governo, come dicono i compagni francesi, o di "opposizione costruttiva", come dicono i compagni italiani.
 
Questa presunta opposizione nei fatti aiuta le forze governative. Consideriamo, ad esempio, la partecipazione del Partito Comunista Italiano all'incremento della produzione, nelle industrie e nelle campagne, al superamento delle difficoltà economiche.
 
Con questi presupposti è davvero difficile capire come un Partito Comunista posso condurre l'opposizione ad un governo reazionario e capitalista, un governo che, anche con l'aiuto dell'imperialismo americano sta asservendo il popolo francese e quello italiano e sta trasformando questi paesi in vassalli per gli Stati Uniti.
 
Una tale posizione non può essere definita se non come mancanza di una chiara linea politica nel partito, una mancanza di prospettiva.
 
L'intera politica di questi due partiti è stata ridotta a puro parlamentarismo.
 
Ci sembra, se siamo tutti d'accordo con l'analisi della situazione internazionale fatta dal compagno Zdanov, che il PCF e il PCI necessitano di cambiare l'essenza della loro linea politica e non solo di correggere alcuni errori"[24].
 
L'autocritica di Longo fu completa: "in discussioni avute con il compagno Reale sulla base dei rapporti e degli interventi uditi qui alla conferenza ci siamo persuasi che non si tratta di piccole correzioni da apportare alla nostra attività ma che la nostra linea politica stessa in alcuni aspetti essenziali deve essere riveduta e corretta. Crediamo che tale sarà anche l'opinione del partito quando avrà udito il rapporto sui lavori della conferenza"[25].
 
Longo precisava: "molto ci può essere criticato e rimproverato. Senza dubbio noi ci siamo lasciati paralizzare più del necessario dalla presenza delle truppe americane in Italia (…). Le debolezze saranno eliminate, gli errori corretti in tutti i campi, il partito ne siamo sicuri si sforzerà di realizzare i compiti (…) che sono stati indicati con tanta precisione e maestria dal compagno Zdanov"[26].
 
Se l'aggressività dell'imperialismo poneva all'ordine del giorno della tattica dei Partiti Comunisti di Italia e Francia la parola d'ordine della lotta per l'indipendenza nazionale contro la presenza dell'imperialismo americano, l'indirizzo strategico del KOMINFORM poneva risolutamente l'obiettivo di lottare per l'instaurazione di sistemi di "democrazia popolare"[27].
 
In un saggio pubblicato sulla rivista del KOMINFORM veniva ulteriormente precisata la radicale differenza tra la progettualità rivoluzionaria indicata da Zdanov e le aspirazioni gradualistiche di Togliatti:
"E' stata espressa l'opinione che ogni governo a cui partecipano i comunisti sia per conseguenza un governo della nuova democrazia popolare. Una simile opinione è falsa e pericolosissima. La nuova democrazia popolare comincia dove la classe operaia alleata con le altre masse lavoratrici detiene le posizioni chiave nel potere dello Stato"[28].
 
Bibliografia citata
 
- A. Zdanov, Politica e ideologia, Edizioni Rinascita, Roma, 1950
- E.Reale "Nascita del Cominform" A.Mondadori Milano 1958
- "Mosca-Belgrado, I documenti della controversia 1948-1958", Schwarz editore, Milano, 1962
- M.Gilas "Conversazioni con Stalin" Feltrinelli, 1962
- J. Degras (a cura di), "Storia dell'Internazionale Comunista attraverso i documenti ufficiali". Feltrinelli, Milano, 1975
- Enver Hoxha, "L"autogestione" jugoslava, teoria e pratica capitaliste", Tirana 1978
- Enver Hoxha "I Kruscioviani. Memorie". Tirana 1980
- Enver Hoxha, "I Titisti", Tirana 1983
- S. Galante,"L'autonomia possibile. Il PCI del dopoguerra tra politica estera e politica interna" Ponte alle Grazie, Firenze, 1991
- A. Natoli - S. Pons (a cura di), L'età dello stalinismo, Editori Riuniti, Roma, 1991
- Alfredo Monelli "Fra Stalin e Tito, Cominformisti a Fiume, 1948 -1956" . Note a cura di Franco Cecotti (Trieste, Irsml, "I quaderni di Qualestoria", 1994)
- "The Cominform: minutes of the Three conferences 1947-1948-1949" Feltrinelli 1995 - Annali della Fondazione G. Feltrinelli
- "Storia Universale". Teti Editore
- Kurt Gossweiler "La (ir)resistibile ascesa al potere di Hitler" Zambon Editore
- Fernando Claudin "La crisi del movimento comunista".
- Giacomo Scotti "Goli Otok, italiani nel gulag di Tito". Ed. Lint Trieste
- Rivista Teoria & Prassi, n.19 - ottobre 2008
- "Tito dice no a Stalin" di F. Gattuso, da: www.storiain.net/arret/num139/artic5.asp
- Kominform - Il tradimento di Tito e il revisionismo del PCI da: scintillarossa.forumcommunity.net/
- Archivio del Partito Comunista Italiano. Roma - Istituto Gramsci
- KKE - 18° Congresso: Risoluzione sul Socialismo www.resistenze.org/sito/te/pe/tr/petrca21-010349.htm


[1] Boris Kidric, membro del Politburo; poi Presidente del Consiglio Centrale Economico. Morto nel 1953
[2]Membro della Commissione commerciale sovietica in Jugoslavia.
[3]Aleksei D. Krutikov, Ministro del Commercio Estero.
[4]Il Colonnello Generale Koca Popovic, allora Capo del Quartier Generale dell’Esercito iugoslavo; in seguito Segretario di Stato agli Esteri e membro del Consiglio Esecutivo federale.
[5]Il Colonnello Generale Svetozar Vukmanovie Tempo, Presidente del Consiglio economico fino all’aprile del 1958, data in cui venne eletto Presidente della Lega Jugoslava delle Unioni operaie. A quel tempo Ministro assistente alla Difesa.
[6] Il Colonnello Generale Alexander Rankovic, Vice Presidente del Consiglio Esecutivo Federale e Segretario del Comitato Esecutivo del Comitato Centrale (un tempo Politburo). A quel periodo, Ministro dell’interno e Capo della Polizia Militare e segreta.
 
[7]Eduard Bernstein e Georg Volimar. Autorevoli socialdemocratici tedeschi, «revisionisti» delle teorie ortodosse marxiste. Nikolai Bukharin, membro del Politburo del Partito comunista sovietico, capo dell’opposizione a Stalin. Giustiziato nel 1938 durante le epurazioni moscovite
[8]Vladimir Velebit. Ministro eletto agli Esteri fino al 1948. Dopo l’accusa del Cominform divenne Presidente del Consiglio Federale del Turismo. Inviato in Gran Bretagna nel 1953 come Ambasciatore di Jugoslavia.
[9] Vladimir Bakaric membro del Comitato Esecutivo della Lega dei Comunisti jugoslavi, a quel tempo Primo Ministro di Croazia.
[10]UDBa. Iniziali del Dipartimento di Sicurezza Statale, la Polizia Segreta Jugoslava.
[11] Il pezzo in corsivo è tratto dal testo della versione spagnola della Risoluzione del Cominform, pubblicata in “Nuestra Bandera”, n. 28, 1948, tradotta in italiano da Fernando Claudin nel testo “La crisi del movimento comunista”.
[12] Idem
[13] Idem
[14]Cfr. la risoluzione del Presidium del Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista del 15 Maggio 1943, in J. Degras (a cura di), Storia dell’Internazionale Comunista attraverso i documenti ufficiali, tomo terzo 1929/1943, Feltrinelli, Milano, 1975, p. 519.
[15]Ibidem.
[16]G. Procacci, Foreword, in G. Procacci (a cura di), The COMINFORM. Minutes of three conference 1947/1948/1949, in “Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli “, XXX (1994), Feltrinelli, Milano, 1994, pp. XIV-XV.
[17] Verbali del Comitato Centrale, 1-4 Luglio 1947, in Istituto Gramsci di Roma, Archivio del Partito Comunista Italiano, p. 61.
[18]Questa citazione di Zdanov e quelle immediatamente successive sono tratte dall’intervento pubblicato in G. Procacci (a cura di), Op. cit., pp. 253-350.
[19]Cfr. E. Reale, Nascita del KOMINFORM, Mondadori, Milano, 1958, p. 33. Reale rappresentava il PCI, insieme con Longo, alla conferenza di Szklarska Poreba.
[20]Cfr. G. Procacci (a cura di), Op. cit., p. 309.
[21]Cfr. l’intervento di Kardelj, in ibidem, p. 293 e sgg.
[22] Ibidem.
[23]L’intervento di Ana Pauker è contenuto ibidem, pp. 265-267.
[24]Cfr. l’intervento di Kardelj, in ibidem, pp. 301-305. Posizioni analoghe furono espresse negli interventi del delegato bulgaro Potmotov e del delelgato polacco Gomulka (in ibidem, pp. 327 e 335).
[25]S. Galante, L’autonomia possibile. Il PCI del dopoguerra tra politica estera e politica interna, Ponte Alle Grazie, Firenze, 1991, p. 125.
[26]Di fronte alla profonda autocritica operata da Longo è sconcertante leggere il giudizio di Aldo Agosti, che presenta la posizione di Longo stravolgendola e convertendola nel suo opposto: “L’autodifesa di Longo”(azzarda Agosti, NDA) “è ferma e puntigliosa per il passato: non solo, ma si estende anche alle prospettive future dell’azione del partito, anche a costo di polemizzare con alcuni giudizi di Zdanov” (cfr. A. Agosti, PCI e stalinismo: il KOMINFORM e il “caso Terracini” (1947), in A. Natoli – S. Pons (a cura di), L’età dello stalinismo, Editori Riuniti, Roma, 1991, p. 462).
[27]Si veda al riguardo A. Zdanov, Politica e ideologia, Edizioni Rinascita, Roma, 1950, p. 54.
[28]Cfr. “Pour une paix durable, pour une dèmocratie populaire!”, n. 1, 10 Novembre 1947.

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