www.resistenze.org - materiali resistenti in linea - formazione - 26-10-15 - n. 562

Vademecum del propagandista comunista

A cura di Dario Ortolano

ottobre 2015

D. Quale è il significato del termine comunista?
R. La sua radice sta nell'aggettivo "comune" che significa di tutti, sociale e si riferisce principalmente alla proprietà dei mezzi di produzione.

D. Quindi, non è vietato ad un privato accedere alla proprietà di uno o più beni ?!
R. No, non lo è. Semplicemente, nella storia dell'umanità, le diverse società che si sono succedute sono sempre state caratterizzate dall'esistenza di due classi sociali principali, reciprocamente contrapposte perché, l'una proprietaria dei mezzi di produzione dell'epoca, l'altra proprietaria solo del   proprio lavoro di cui si appropriano i padroni dei mezzi di produzione. Così è stato per i padroni di schiavi e gli schiavi, per i feudatari ed i servi della gleba ed, oggi per i borghesi ed i proletari.

D. Dunque, se è sempre stato così, che senso ha dichiararsi comunisti?
R. Ha il senso di indagare le leggi di sviluppo della storia umana per scoprire se siano maturate le condizioni per la creazione di una società non più fondata sulla divisione in classi col conseguente sfruttamento dell'uomo sull'uomo.

D. Tali condizioni vi sono? E da quando sono maturate?
R. Tali condizioni vi sono e sono maturate da circa due secoli perché con la rivoluzione industriale e lo sviluppo tecnologico, è nata la società capitalistica attuale che vede, da un lato, la ricchezza prodotta dal lavoro umano concentrata, principalmente, nelle mani di una minoranza sociale, molto ristretta, chiamata borghesia monopolistica e finanziaria che possiede la proprietà delle grandi imprese industriali e bancarie e, dall'altro, l'esistenza di miliardi di proletari, oggi, in tutto il mondo, che si chiamano così perché l'unico bene che posseggono è la prole, i loro figli, mentre, per il resto, sono costretti a vendere la loro capacità di lavoro ai borghesi detentori della ricchezza accumulata grazie alla proprietà dei  mezzi di produzione da essi posseduta.

D. Qual è l'effetto di tale organizzazione sociale rispetto alla possibilità di un cambiamento?
R. L'effetto è che la borghesia, concentrando nelle proprie mani gran parte della ricchezza prodotta, induce un processo di impoverimento della gran parte della popolazione lavoratrice, provocandone, progressivamente, un grave disagio sociale ed una tendenziale propensione alla ribellione contro tale situazione.

D. Come mai, oggi, non assistiamo a tale ribellione, se non in modo episodico e discontinuo?
R. Perché non basta che ci sia la povertà ed il conseguente disagio sociale perché vi sia una opposizione forte e prolungata nel tempo degli sfruttati contro gli sfruttatori. Vi possono essere ribellioni episodiche, anche ricorrenti, o singole vertenze aziendali, anche forti lotte sociali, tuttavia non ricondotte ad un progetto di cambiamento della società, ed allora, dopo ogni atto od episodio del genere, rimangono sostanzialmente invariati i rapporti fondamentali fra le classi, fra sfruttati e sfruttatori.

D. Allora, cosa ci vuole, perché si attui un cambiamento reale?
R. Prima di tutto, è necessaria una coscienza più o meno ampia in ogni persona e poi sufficientemente estesa nella grande maggioranza della popolazione, delle cause della propria sofferenza individuale e sociale, cioè del fatto che è colpa degli sfruttatori (borghesi) se gli sfruttati (proletari) stanno male, Ciò non è automatico.

D. Perché?
R. Perché in questa società, che chiamiamo capitalistica, il controllo più o meno diretto dei mezzi di informazione da parte della classe sfruttatrice, fa in modo che la "informazione" che, quotidianamente viene data all'opinione pubblica, nasconda le cause reali dei fenomeni che, pure, vengono descritti, indicandone le cause in fattori marginali od inesistenti. In questo modo, si impedisce la creazione di una reale conoscenza del funzionamento della società e dei suoi mali sociali e, quindi, della coscienza della necessità di cambiarla, sostituendola con un'altra.

D. Quindi, è impossibile cambiare la società capitalistica, senza coscienza del suo funzionamento e senza un chiaro programma di trasformazione!?
R. Esatto, Tanto più nelle società capitalistiche complesse e moderne in cui viviamo oggi, è più difficile portare avanti un progetto di trasformazione sociale, perché maggiori sono le possibilità e le capacità accumulate dalla classe sfruttatrice (borghesia) di nascondere alla classe degli sfruttati (proletari) i reali rapporti sociali esistenti e le cause della disuguaglianza e dello sfruttamento sociale.

D. Come è possibile ciò? Come avviene?
R. Innanzitutto, chiamando le cose ed i fenomeni con nomi diversi da quelli che dovrebbero contraddistinguerli. Facciamo alcuni esempi partendo dal nome attribuito alle varie classi ed alla loro funzione sociale. Ad esempio, la borghesia, gli sfruttatori, i detentori della proprietà di industrie e banche che sono i veri padroni della società, non vengono chiamati così. Vengono chiamati "imprenditori", cioè con un termine che significa "…persone capaci di intraprendere, con i capitali accumulati, grazie alla loro abilità e spirito di iniziativa, una impresa produttiva che genera beneficio economico a tutta la società, sia all'imprenditore che ottiene il "profitto ", sia al lavoratore che, grazie al lavoro svolto ottiene un "salario o stipendio". Quindi, non sfruttatori, gli imprenditori, cui imputare i mali della società, bensì, benefattori a cui rendere grazie e di cui non poter fare a meno. Altro esempio: i proletari, gli sfruttati non vengono chiamati così, bensì, lavoratori o detentori del fattore "lavoro" da mettere a disposizione dell'imprenditore per permettergli di esercitare la sua preziosa funzione sociale. Oggi, nel mondo, con lo sviluppo della dottrina economica che spiega in questo modo il funzionamento della società capitalistica, miliardi di persone credono a questo significato delle parole e, conseguentemente si comportano.

D. Allora, come si può contestare e contrastare questa interpretazione del mondo?    
R. Bisogna riprendere nelle nostre mani l'analisi critica della società capitalistica, chiamando le cose col loro nome e diffondendone la conoscenza. Senza conoscenza delle leggi della società capitalistica non vi è maturazione della coscienza della necessità e possibilità di rovesciarla e sostituirla con un'altra.

D. Chi può fare ciò?
R. Questo è il compito del Partito Comunista che deve essere, nello stesso tempo, il promotore, col lavoro nei sindacati e nella società, della lotta per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari stessi, ma, simultaneamente, deve saper spiegare le cause reali dei rapporti di sfruttamento ed avanzare la proposta di una nuova società socialista non più fondata sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, della borghesia sul proletariato, bensì sull'uguaglianza sociale di una società non più fondata sulla divisione in classi.

D. La proposta di una società socialista di questo tipo, deve, tuttavia, essere sostenuta da un programma di trasformazioni graduali e progressive. O si pensa di poter cambiare tutto e subito?
R, Certo. Un programma di trasformazioni graduali e progressive, perché il socialismo ed il comunismo non si costruiscono dall'oggi al domani, ma quello che conta è da dove si comincia, nel cambiamento, per andare dove !! Molti, nella storia della umanità, e più recentemente nella storia del capitalismo, hanno pensato che si potesse andare al governo e compiere una azione riformatrice senza intaccare i cardini del potere sociale e politico che presiedono alla gestione del potere reale di una società e di uno Stato, cioè i rapporti di classe, e sono stati sconfitti, sempre, Quindi, il primo punto di un programma di trasformazione economica e sociale che avvii la transizione ad una società socialista e comunista è costituito dall'atto che toglie la proprietà ai grandi gruppi economici e finanziari privati dei principali gruppi industriali e bancari del nostro Paese, attraverso la loro nazionalizzazione e socializzazione con il controllo dei lavoratori organizzati a partire dalla loro attività lavorativa e conseguente esperienza che ne deriva. Questo, naturalmente, non è ancora il socialismo, ma ne pone le premesse necessarie, senza le quali si cammina sul sentiero delle illusioni di poter governare una società capitalistica,

D. Qual è, sul piano economico, sociale e politico, la conseguenza principale della nazionalizzazione e socializzazione dei grandi gruppi industriali e bancari?
R. La conseguenza principale dell'applicazione di tale primo, indispensabile punto programmatico è la mutazione del segno di classe dei processi di decisione economica, sociale e politica del Paese. A decidere di cosa, quanto e come ed a favore di chi produrre beni e servizi, non è più la classe sfruttatrice, cioè la borghesia oligopolistico-finanziaria, bensì i lavoratori organizzati attraverso la loro rappresentanza nei luoghi di lavoro, secondo gli obiettivi indicati dalla pianificazione economica centralizzata.

D. Quindi, la nazionalizzazione e socializzazione dei grandi gruppi industriali e finanziari non è l'unico obiettivo programmatico da attuare immediatamente?!
R. Esattamente, è il primo ma non l'unico obiettivo cui dare immediata applicazione. Va, altresì avviata, simultaneamente, una seria pianificazione economica centralizzata delle priorità dello sviluppo del Paese, secondo gli interessi nazionali e popolari. Ciò vuol dire, con quali priorità generali e settoriali dello sviluppo economico e sociale e con l'impiego di quali e quante risorse economiche.
Un altro punto a cui dare immediata applicazione è la nazionalizzazione del commercio estero per permettere al nuovo Governo Popolare di avviare la trattativa per la stipulazione di trattati ed accordi economici bilaterali con altri Paesi, sulla base del reciproco interesse e vantaggio, spezzando i vincoli iugulatori ed opprimenti dei trattati internazionali di appartenenza alla Unione europea e del Fondo Monetario Internazionale che vanno immediatamente denunciati e stracciati, come condizione per acquisire una reale sovranità nazionale e popolare. Allo stesso scopo, è necessario fare uscire il nostro Paese dalla organizzazione della Nato come strumento di aggressione e di dominio mondiale dell'imperialismo Usa.

D. Quali altre misure al fine di migliorare le condizioni dei lavoratori e del popolo?
R. La istituzione di un salario minimo per tutti i lavoratori in grado di soddisfare dignitosamente le loro esigenze di vita, l'abolizione di tutte le leggi che legittimano il lavoro precario, la equiparazione, nei contratti di lavoro, dei diritti dei lavoratori italiani e di quelli immigrati, la garanzia di una abitazione per ogni individuo o nucleo famigliare da ottenere con la messa a disposizione degli alloggi sfitti e con un piano di investimenti per l'edilizia popolare, solo per fare alcuni esempi.

D. Come bisogna organizzarsi per diffondere capillarmente la conoscenza di un tale programma?
R. Come abbiamo detto precedentemente, la borghesia utilizza la sua cultura e l'informazione per legittimarsi come classe dirigente della società, attraverso la scuola, l'impresa e le chiese. Perciò, il Partito Comunista deve attrezzarsi per contrastare quotidianamente, capillarmente e radicalmente la borghesia ed il capitalismo sul piano della lotta delle idee, occupandosi, oltreché della lotta per obiettivi economici, anche dell'educazione politica della classe operaia e di tutti i proletari, svolgendo opera di agitazione ed i propaganda per sviluppare la coscienza di classe, partendo dalla denuncia contro ogni manifestazione concreta di oppressione politica e sociale.

D. A chi dobbiamo rivolgerci?
R Partendo dall'unità della classe operaia, i comunisti devono promuovere un'alleanza sociale col ceto medio produttivo (artigiani, commercianti, piccoli imprenditori) proletarizzato dalla crisi, sulla base delle nostre proposte programmatiche che toccano i bisogni di tutti i ceti popolari. Ciò richiede la formazione di militanti con una solida preparazione culturale, politica ed ideologica che, utilizzando tutti i moderni strumenti di comunicazione di massa, siano capaci di compiere la necessaria, capillare azione di propaganda ed agitazione tra le masse, a partire dai luoghi di lavoro ed internamente a tutte le forme di aggregazione sociale, per diventarne gli effettivi dirigenti politici,

D. Questo vuole dire sapere acquisire una capacità di spiegare con semplicità e chiarezza i punti essenziali del nostro programma che delineano i contorni della nuova società che vogliamo costruire,
R. Certamente. Oltre ai temi già indicati, facciamo ancora altri esempi: il tema del fisco. Non vi è persona, oggi, nel nostro Paese, che non si lamenti della pressione fiscale sui propri redditi che ha raggiunto la soglia del 55% (rapporto fra entrate fiscali e PIL). Colpiti ne sono soprattutto i lavoratori dipendenti ed i pensionati, che pagano il 93% della Irpef, ma anche i lavoratori autonomi e le piccole imprese.

D. Da dove nasce, negli Stati ad economia capitalistica, l'esigenza di un prelievo fiscale così intenso?
R. Dal fatto che lo Stato è impegnato ad erogare una forte spesa pubblica, per riprodurre il funzionamento dei propri apparati burocratici e militari, per garantire uno standard minimo di servizi sociali, ma soprattutto, per sostenere in varie forme (contributi a fondo perduto, incentivi e agevolazioni fiscali ecc.) la produzione e l'attività finanziaria dei grandi gruppi industriali e bancari.
Tanto più lo Stato, non è proprietario di attività produttive di beni e servizi e di banche che garantiscano introiti economici, tanto più il prelievo fiscale sui redditi popolari è l'unica fonte di sostegno alla spesa pubblica. I comunisti, come abbiamo precedentemente visto, propongono come obiettivo programmatico principale ed iniziale del loro progetto politico l'esproprio, la nazionalizzazione ed il controllo operaio e popolare dei principali gruppi produttivi e bancari come base per un livello inizialmente significativo di socializzazione della economia nazionale. Ciò ha come conseguenza, sul piano fiscale, che lo Stato, nel nuovo ordinamento socialista, è in grado, in quanto detentore e pianificatore dell'utilizzo della ricchezza prodotta dai lavoratori nelle imprese socializzate, di allentare fin da subito e consistentemente la pressione fiscale, fino alla sua riduzione ai minimi termini ed alla sua eliminazione nelle fasi più avanzate della transizione socialista e comunista, come testimoniato dalla storia dell'Urss e degli altri Stati socialisti. Per questo diciamo che il socialismo, con la socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio, è il sistema che è in grado di liberare i lavoratori dal giogo della oppressione fiscale, lasciando il reddito da essi guadagnato a loro disposizione.

D. E mentre lottiamo per raggiungere tale traguardo?
R. I comunisti debbono battersi, ogni giorno, insieme ai lavoratori, contro gli aspetti più odiosi e scandalosi della oppressione fiscale, quali le imposte indirette (IVA) e la evasione fiscale dei ceti proprietari e parassitari, sapendo coniugare gli obiettivi della lotta quotidiana con la prospettiva strategica della società socialista e comunista per cui ci battiamo.

D. Un lavoro immenso, dunque, da fare !!
R. Certo, lottare contro il capitalismo e per il socialismo-comunismo richiede un lavoro duro, costante ed organizzato dei militanti del Partito Comunista. Sulla falsariga dell'esempio ora fatto, ci si può e ci si deve rivolgere ad ogni sfruttato ed oppresso che soffre in questa società, partendo dai problemi vissuti quotidianamente, con semplicità e chiarezza, dimostrando che i comunisti si battono, fin da oggi, per difendere i suoi diritti ed interessi economici contro i privilegi e l'arroganza degli sfruttatori, collegando le lotte immediate alla possibilità di conquistare la prospettiva di realizzazione di una società giusta in cui disuguaglianze e privilegi vengano effettivamente eliminati.

D. Purtuttavia, tale prospettiva è già stata perseguita nel secolo scorso, a partire dalla Rivoluzione d'Ottobre e dalle altre rivoluzioni socialiste che hanno caratterizzato e segnato profondamente tutto il XX secolo. Quali sono le cause che hanno determinato l'arresto del processo di costruzione del socialismo in Unione Sovietica fino alla sua fine ed alla piena restaurazione del capitalismo in alcuni altri Paesi socialisti?
R. La storia del Novecento, è stata effettivamente contrassegnata da grandi rivoluzioni socialiste che hanno garantito grandi conquiste sociali ai proletari di tutto il mondo quali la piena occupazione lavorativa, l'istruzione e l'assistenza sanitaria gratuita per tutti e l'avvio, complessivamente, della costruzione di una società socialista fondata sui principi di uguaglianza e solidarietà sociale. Ma non possiamo dimenticare che, proprio Lenin, pochi mesi dopo la vittoriosa Rivoluzione d'Ottobre, nell'opuscolo "La Rivoluzione d'Ottobre ed il rinnegato Kautsky" compie una analisi delle possibilità della restaurazione capitalistica dopo la vittoria della rivoluzione proletaria che, alla luce degli avvenimenti del XX secolo, assume tonalità profetiche. Egli ricorda, infatti, come gli sfruttatori, cioè la borghesia, anche dopo essere stati sconfitti dalla rivoluzione proletaria, mantengono ancora molti privilegi e condizioni di vantaggio rispetto ai proletari, cosicché essi non si piegheranno mai alla decisione della maggioranza degli sfruttati e, poiché il passaggio dal capitalismo al comunismo abbraccia una intera epoca storica, negli sfruttatori permane la speranza della restaurazione del loro potere che si tramuta in tentativi di realizzarla, cercando e trovando interlocutori e sostenitori anche all'interno del movimento comunista, come avvenuto nei pasi dell'Est europeo e nella stessa Unione Sovietica,

D. Ma, come può avviarsi e prendere piede la restaurazione del capitalismo in un Paese socialista?
R. Innanzitutto con l'insinuarsi dell'ideologia borghese nelle fila dello stesso Partito Comunista che si trova alla guida di uno Stato socialista, che può trovare una base di sostegno in situazioni e ceti sociali contraddistinti dalla dotazione di una serie di privilegi che spingono alla reintroduzione dei meccanismi di mercato al fine di un loro consolidamento ed estensione. Abbiamo visto precedentemente che i punti programmatici fondamentali per avviare la costruzione di una società socialista sono la socializzazione dei mezzi di produzione, il controllo operaio e popolare e la pianificazione economica centralizzata. Su questi capisaldi, si è avviata la costruzione del socialismo in Unione Sovietica che, dal 1937, diventerà la seconda potenza industriale del mondo. Terminata la 2^ Guerra Mondiale, tuttavia, dopo la morte di Stalin nel 1953 e soprattutto con il XX Congresso del Pcus, nel 1956, tali principi vennero sottoposti a critica in un percorso di revisione politica ed ideologica molto profonda. Ciò, ha portato alla liquidazione del socialismo in Unione Sovietica e nei Paesi dell'Est europeo attraverso un itinerario per tappe contrassegnato da: 1) La sostituzione della pianificazione economica centralizzata con il tentativo di combinazione di economia pianificata e regolazione della produzione attraverso il mercato, accompagnata dal progressivo smantellamento del controllo operaio e l'esaltazione del direttore come responsabile unico dei piani di produzione aziendale. 2) Il rapido incremento del divario produttivo rispetto ai paesi capitalistici sviluppati, a causa dell'attenuarsi della rivoluzione tecnico-scientifica. 3) La demolizione delle fondamenta dell'economia socialista con la introduzione della cosiddetta "economia socialista di mercato" che portò alla rovina i Kolkhoz ed al ritorno alla coltivazione della terra attraverso aziende famigliari private. 4) La definitiva liquidazione della economia fondata sulla proprietà collettiva ed il ritorno al capitalismo.

D. Come possiamo garantirci dal fatto che tutto ciò non succeda nuovamente con l'avvio di nuove esperienze di società socialiste?
R. Innanzitutto, sulla base della esperienza del XX secolo, coinvolgendo nelle lotta contro la revisione politica ed ideologica in seno al movimento operaio e comunista, su basi di chiarezza e pubblicità del dibattito, non solo i militanti del Partito ma le più vaste masse popolari che, solo se informate e coscienti del proprio ruolo storico, possono essere permanentemente protagoniste della costruzione della nuova società, nell'ambito di un percorso di lotta di classe che continua anche durante la costruzione del socialismo-comunismo.

D. Quindi, ancora una volta, un problema di cultura e di coscienza?!
R. Si, ma non solo. Sarà richiesta, sempre, una particolare attenzione al riprodursi di situazioni di privilegio sociale che sono il brodo di coltura per la riproduzione di una nuova stratificazione sociale di classe che, a sua volta è la base di avvio dei processi che portano alla restaurazione capitalistica. In definitiva, va detto che quello fallito nel Novecento non è stato il socialismo ma la sua revisione, proiettata ad inseguire la chimera del modello capitalistico nella competizione internazionale, subendone la profonda influenza fino a diventarne subalterna ed infine sconfitta. Questo triste epilogo della storia del socialismo realizzato nel corso del XX secolo, ben lungi dal far venir meno le ragioni dell'emancipazione proletaria, è per tutti i comunisti, fonte di grandi insegnamenti da cui ripartire verso nuove tappe della lotta di classe.


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