www.resistenze.org - materiali resistenti in linea - saggistica contemporanea - 29-06-05

Michelino - Trollio: Operai carne da macello

10. La strage continua

 

Nel mese di agosto 1998, mentre aumenta il numero dei malati, un altro lavoratore della Breda muore per un tumore al polmone a causa dell’amianto, facendo salire a 34 il numero delle vittime di cui siamo a conoscenza.  Altri lavoratori della Marelli, dell’Ansaldo, della Falck scoprono di essere ammalati.

A distanza di due anni, nonostante le numerose denunce presentate dai familiari, i magistrati di Monza e di Milano continuano ad archiviare le denunce, non istruiscono alcun processo.

I responsabili della strage dormono sonni tranquilli.

A dispetto della legge n° 257 del 27 marzo 1992 sull’ eliminazione dell’amianto, che  prevede anche misure a sostegno dei lavoratori che vi sono stati esposti, gli enti preposti - INAIL e INPS - frappongono enormi difficoltà ai lavoratori che chiedono il riconoscimento dell’esposizione.  Per i lavoratori, al danno si aggiunge la beffa: in molte occasioni questa legge verrà usata come “ammortizzatore sociale”. I padroni delle fabbriche in crisi la utilizzeranno per disfarsi degli “esuberi”: così impiegati, e persino dirigenti, che non hanno mai visto l’amianto  andranno in pensione anticipatamente, mentre gli operai che vi sono stati esposti, anche se malati, dovranno continuare a lavorare.

Contro questo “genocidio  in tempo di pace“ il 12 dicembre - in un’assemblea alla Sala del Consorzio Cooperative Sestesi - il Comitato decide di organizzare alcune azioni a Palazzo di Giustizia per protestare pubblicamente con cartelli e striscioni contro la magistratura che continua a insabbiare le denunce.

Intanto qualcuno rompe il “silenzio stampa” sulla strage degli operai della Breda: è il noto giornalista Vittorio Feltri (che verrà subito ripreso da un giornale di Sesto), che insinua che i morti ce li siamo inventati noi. È troppo: prendiamo carta e penna e rispondiamo al giornale,  inviando questa lettera:

 

“Egregio sig. Stefano Gallizzi,

abbiamo letto sulla prima pagina del Suo giornale che “il noto giornalista Vittorio Feltri, ex direttore de IL GIORNALE e attuale responsabile del BORGHESE, scrivendo al quotidiano politico IL FOGLIO ha espresso un commento - per noi inaccettabile – sulla targa che ricorda i morti di tumore da amianto e altre sostanze nocive posta in via Carducci dai lavoratori della ex Breda a ricordo dei loro compagni.

Feltri non sa che quella lapide e il monumento sovrastante hanno due storie nettamente distinte, e li unisce in due giudizi categorici: il monumento (che a noi proprio non interessa, perché è stato costruito – non certo da noi – assieme ai nuovi palazzi di quell’area) è “abbastanza brutto per non essere notato, mentre riguardo ai caduti per lo sfruttamento capitalista… i loro nomi non compaiono… perché qualcuno li sta ancora cercando”: così Lei riassume i giudizi di Feltri, concordando in pieno con lui; e accodandosi alla di lui totale ignoranza della storia di quella targa, che noi del “Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio” abbiamo voluto deporre al bordo dell’area ex Breda alla vigilia del 25 aprile di due anni fa.

Per correggere la vostra (di Feltri e Sua, signor Direttore) disinformazione, vogliamo farvi sapere che a tutt’oggi i morti accertati di tumore, solo alla Breda di Sesto, sono 34; è vero, “ancora li stiamo cercando” (l’unica cosa giusta che dice Feltri!), perché probabilmente ce ne sono stati molti altri, ma l’omertà da parte di padroni, politici, sindacalisti e anche giornalisti non aiuta certo la nostra ricerca.

Per esempio, noi abbiamo atteso invano di leggere sui giornali – compresi i vostri, ovviamente – la notizia che da oltre due anni 17 cause sono state depositate alla Magistratura di Milano e di Monza per accertare la responsabilità di queste morti.

Sappiamo bene che ciò che vi indispone – Lei e il sig. Feltri – non è la bellezza o la bruttezza del monumento di via Carducci, ma  - come Lei sembra candidamente affermare sul Giornale di Sesto del 26 febbraio 1999 – proprio il fatto che lì sotto ci sia quella targa; e infatti Lei dichiara “incredibile che nel 1997, a soli tre anni dal duemila, qualcuno abbia avuto il coraggio di far esporre una lapide con certi contenuti”.

Signor Direttore, quella lapide l’abbiamo voluta, l’abbiamo fatta scrivere, l’abbiamo pagata, l’abbiamo installata noi: no, non è questione di “coraggio”, Signor Direttore; noi siamo semplicemente degli onesti lavoratori ex Breda, compagni di lavoro di quei morti; noi e loro abbiamo lavorato assieme per anni in Fonderia, in Forgia, alle Aste ed in altri reparti mattatoio in mezzo a fumi, polveri e sostanze nocive di ogni tipo; e siccome aspiratori e altri sistemi di sicurezza costavano troppo al “capitale” (e ce la lasci dire questa parola!) a loro è toccato di morire, ad alcuni di noi di ammalarsi gravemente, e ad altri di noi in futuro… chi lo sa?

Purtroppo, a questo punto non possiamo dire che anche i signori Gallizzi e Feltri siano degli onesti lavoratori: se no, il loro mestiere di giornalisti l’avrebbero fatto meglio: in questo caso, almeno, informandosi bene…

Voi che siete giornalisti “alle soglie del Duemila”, dovreste sapere anche che Sesto San Giovanni era una delle città più inquinate d’Europa, fino a quando i 42 mila posti di lavoro delle sue grandi fabbriche non sono stati eliminati; con quali conseguenze per i lavoratori interessati non è il caso qui neppure di accennarlo…

Come dovreste sapere anche che già nel 1978 lo S.M.A.L. (Servizio di Medicina Preventiva per gli Ambienti di Lavoro) di Sesto denunciava in un rapporto inviato all’Assessorato alla Sanità, all’Ufficiale Sanitario, all’ispettorato del Lavoro – ve ne mandiamo copia – la pericolosità delle lavorazioni effettuate nei reparti della Breda; lavorazioni che, altre agli operai, avvelenavano tutta la popolazione. Ma questa notizia voi giornalisti avete contribuito a tenerla nascosta!

Per vostra informazione, aggiungiamo due notizie più recenti:

·        Anche se a voi sembrerà “francamente incredibile” siamo stati invitati ed abbiamo partecipato alla Conferenza Nazionale sull’amianto per parlare del “caso Breda”; conferenza che si è tenuta a Roma proprio in questi ultimi giorni, organizzata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Concludiamo, comunicando anche a voi che noi siamo determinati ad ottenere giustizia e verità; pur essendo coscienti di andare contro ad interessi economici giganteschi, perché la nostra battaglia è contro una società che mette il profitto prima degli esseri umani, noi non ci arrendiamo.

Per noi è più che mai valido il contenuto della “nostra” targa, che qui riprendiamo, aggiungendovi l’elenco dei 34 cognomi dei “nostri” morti:

 

“A PERENNE RICORDO DI TUTTI I LAVORATORI MORTI A CAUSA DELLO SFRUTTAMENTO CAPITALISTA ORA E SEMPRE RESISTENZA”

 

BARICHELLO, CAMPOREALE, CAPOBIANCO, CATTAN, CENCI, CERNI, CRIPPA, CRIPPA, DAMIANI, DARAIO, FABBRIS, FARINA, FRANCESCHINI, FRETTA, FROISIO, GAMBIRASIO, LAZZARI, MAGGIONI, MANGIONE, MARTINI, MEGNA, MORANO, PETTENON, RATTI, RELLA, RIVOLTA, SOLDO, SPAGNA, TORTORIELLO, TRENTIN, TRICARICO, VENTRELLA, VIGNOLA, ZANETTI.

 

Alcuni dei 200 soci del

COMITATO PER LA DIFESA DELLA SALUTE NEI LUOGHI DI LAVORO  E NEL TERRITORIO

c/o Centro di Iniziativa Proletaria, via Magenta 88- Sesto San Giovanni tel. 02 26224099

 

Michele Michelino, ex operaio Breda Fucine, presidente del Comitato

Silvestro Capelli, ex operaio Breda Fucine, malato di tumore

Giuseppe Gobbo, ex operaio Breda Fucine, malato di tumore

Gianbattista Tagarelli, ex operaio Breda Fucine, operaio Breda Energia, malato di tumore

Giuseppe Mastrandrea, ex operaio Breda Fucine, malato di tumore

Ornella Mangione, figlia di Giancarlo, ex operaio Breda, morto per mesotelioma

Luigia Zanovello, vedova di Lino Cattan, ex operaio Breda, morto per mesotelioma

Marco Megna, ex operaio Breda, figlio di Biagio Megna, ex operaio morto per tumore

Luigi Consonni, ex operaio Breda Fucine

Massimo Leoni, ex operaio Breda Fucine

 

Questa lettera fu inviata a tutti i maggiori quotidiani e fu – da tutti – ignorata.

 

Un mese prima, Giambattista Tagarelli, intervistato da Ezio Partesana per la rivista Collegamenti Wobbly n°. 4/5 del ’98 (l’intervista è riportata integralmente nel libro di Luigi Consonni e Leonardo Pesatori “LA LOTTA PAGA - storia della lotta operaia alla Breda Fucine di Sesto San Giovanni 1988 – 1996”)  raccontava:

“M’era stata tolta l’invalidità, dopo la prima chemioterapia. Ho fatto ricorso e ho vinto, due settimane fa. E’ triste pensare che solo adesso so che cosa fossero venuti a fare i tecnici dello SMAL nei nostri reparti. Noi pensavamo alla polvere, al rumore e agli acidi, invece c’era l’amianto e i tumori. Sapevamo di star male, non di essere sottoposti a un lavoro che avrebbe dovuto ucciderci tutti. Il rapporto dei medici era stato consegnato ai dirigenti, ai sindacati, e al comune. A noi nulla e nessuno ci ha detto alcunché. È andata così: un giorno sto male davvero e mi faccio portare al presidio USSL per una visita. Lì c’è la dottoressa Bodini che mi deve visitare, ma come mi vede mi chiede se per caso non mi ha già visto nel tal reparto, dove erano venuti a fare un sopraluogo. Le rispondo di sì, che sono Tagarelli e che lavoro al reparto Aste. E lei allora ha dovuto spiegarmi che se l’aspettavano, che l’avevano detto, scritto e fatto leggere. Erano passati più di dieci anni intanto. La Breda doveva essere venduta, il che significava prima farla a pezzi più piccoli, poi rinnovare la mano d’opera e finalmente trovare un acquirente. I padroni si occupavano di quello, giustamente, ma i sindacati non capisco perché se ne preoccupassero anche loro. E comunque una cosa non mi va giù: ci dicevano che per la Breda non c’era più posto, che doveva chiudere una volta per tutte. Adesso l’hanno comprata i privati, una parte almeno, e la Breda lavora; non si poteva farlo anche allora senza licenziarci in quasi  mille e duecento quanti eravamo? Io non voglio parlare bene dei padroni, perché i privati ti sfruttano peggio degli altri, però se non era per quello che l’ ha comprata, la Breda Energia, secondo l’Efim io adesso avrei dovuto essere malato, senza lavoro e senza pensione, con settecentomila lire al mese di invalidità per una moglie e due figli, com’è accaduto a Franchino Camporeale, che è morto a quarantasei anni e alla moglie e ai figli non hanno dato un soldo.  A me l’ hanno trovato nel sangue il linfoma, e l’ hanno curato con il cortisone. Però dato che la leucemia di solito prende i bambini hanno fatto altri controlli e mi hanno trovato un cancro alla milza, e l’ hanno tolta. Però qualche mese dopo, al controllo, non è andato bene. Ti mettono sdraiato e ti fanno dei tagli per iniettarti un liquido; tu diventi tutto blu e dove c’è il blu vuol dire che hai un cancro. Mi hanno operato di nuovo, per togliermi un grappolo dalla gola. E adesso ne ho un altro, ma pare che vada bene così per ora.

Qualche dirigente dopo che sono arrivate le prime lettere m’ha pure chiamato a casa. L’ingegner Pattarini, mi ricordo, aveva ricevuto una lettera dalla pretura di Milano e mi ha telefonato. M’ha detto: come si permette? Ma cosa pretende lei? Quando è venuto a Milano le abbiamo dato anche la casa Breda! E io gli ho risposto che era un imbecille, che se aveva ricevuto una lettera dall’avvocato era con l’avvocato che doveva parlare, non con me per mettermi paura, perché comunque a uno nella mia condizione di paura ne rimane pochina.

Loro non vogliono ammettere che lì, in quel reparto, ci fosse l’amianto. Come facciano non so, dovrebbero avere  vergogna almeno. Ma non è così. Morirò? Va bene, però io pure se rimango senza capelli, se divento brutto, un mostro, io questa soddisfazione alla Breda non glie la do. Morirò come sono morti gli altri, ma sul lavoro, e la lotta gliela lascio in eredità ai miei figli, devono andare avanti loro. Mi ricordo quand’è morto Franco Camporeale, che mi sono preso paura davvero, perché lavorava proprio di fianco a me. In Breda c’era un accordo che, dopo vent’anni di lavoro, ti danno un premio di dieci milioni. A Franchino gli mancavano tre mesi per fare vent’anni quand’è morto, e il premio non glielo hanno mica dato. E allora noi abbiamo fatto una colletta e glieli abbiamo dati noi i dieci milioni. Non ci rispettano. Franchino ha lasciato moglie e figli e ha lavorato solo in Breda ed è morto della malattia dell’amianto, quindi è certo che l’hanno ammazzato lì. Ma per due mesi che mancavano l’Efim non gli ha dato niente, né la pensione né il premio”.

 

Torna all'indice