da: www.rebelion.org
- 28-05-2005
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I
torturatori nordamericani dell’Iraq sono alunni dei francesi in Algeria
Intervista a Henri Alleg,
giornalista politico torturato in Algeria ed autore del celebre libro “La
question”
Néstor Kohan e Rémy Herrera
Nel 1950, Henri Alleg [Francia, 1921] lavorava come direttore del mitico
periodico “Algeri Repubblicana”, uno dei principali organi di stampa che in
Algeria appoggiavano la lotta popolare per l’indipendenza dalla Francia. Questo
giornale arrivò ad essere quello di maggior tiratura in tutto il nord Africa;
fino al 1965 vendeva tra le 80.000 e le 100.000 copie, mentre il giornale del
Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) “Ech Chaab” [Il Paese] arrivava solo a
15.000.
Nel settembre del 1955 “Algeri Repubblicana” è chiuso dalle autorità coloniali.
Nel novembre del 1956 Henri Alleg, militante del Partito Comunista Algerino,
passa alla clandestinità. Era stato spiccato un mandato di cattura contro di
lui. Il 12 giugno del 1957 è catturato dai paracadutisti francesi del generale
Massu, temibile corpo militare dei colonialisti. Selvaggiamente torturato a Il
Biar (campo di tortura nella periferia d’Algeri), Henri resiste ai metodi più selvaggi,
perfino alla “tortura scientifica” del pentotal. Quindi è trasportato al campo
di concentramento di Lodi. Da questo campo, Henri Alleg fa arrivare in Francia
il libro con la denuncia sulle torture che ha subito, lo fa uscire dalla
prigione clandestinamente, una pagina alla volta, fino a che viene pubblicato a
Parigi nel marzo del 1958.
Il suo memoriale, dal titolo “La question”, è appoggiato da Jean-Paul Sartre e
Gabriel Marcel (questi sono alcuni degli importanti intellettuali che firmarono
un manifesto di ripercussione mondiale) e commuove la società francese.
Jean-Paul Sartre gli scrive il prologo, in esso il filosofo traccia un
parallelo fra la tortura francese in Algeria e le torture naziste della
GESTAPO.
“La question” era il nome che davano alla tortura i paracadutisti francesi,
magistralmente ritratti nel film “La battaglia di Algeri” di Pontecorvo. Tra i
metodi usati c’erano anche il lanciare prigionieri vivi -coi piedi nel cemento-
dagli elicotteri, e la metodica sparizione di persone. La stessa cosa che
capiterà anni dopo in Vietnam, e nella maggior parte dell’America Latina.
Il libro “La question” [edito in Argentina col titolo “La tortura”. Buenos
Aires, Casa editrice L’Incudine, agosto 1974], è stato tradotto in numerose
lingue. Ha ispirato anche film e documentari Ricordiamo quello diretto da
Jean-Pierre Lledo: “Rêve algérien” [Il sogno algerino, 2003, Francia, Belgio ed
Algeria] che documenta il ritorno di Henri Alleg in Algeria, l’incontro con i
suoi vecchi compagni di militanza, di giornalismo e di prigione, e la visita al
posto dove fu torturato.
Breve, ma di grande impatto ”La question” costituisce senza dubbio uno dei
libri più importanti della letteratura politica mondiale. Può confrontarsi col
Reportage “Scritti sotto la forca” di Julius Fucik, un altro eroe
rivoluzionario [ cecoslovacco N.d.T.] torturato che ha combattuto contro il
nazismo.
In entrambi i casi, come in moltissime memorie di sopravvissuti alla tortura
militare in Argentina, Cile, Brasile, Perù, Guatemala, Vietnam, Palestina o
Iraq, il racconto è esente da tirate melodrammatiche. Semplicemente si racconta
l’innominabile: la bestialità inaudita cui può arrivare l’essere umano quando
fa parte dell’ingranaggio repressore del capitalismo, il colonialismo e l’imperialismo.
Non solo sotto il nazismo, come mostrano i film di Hollywood... ma anche nel
cosiddetto “Mondo libero” o “Occidente cristiano”. Tra i torturatori nazisti
della GESTAPO, i torturatori francesi in Algeria, i torturatori nordamericani
in Vietnam ed Iraq, e i torturatori argentini dell’ESMA [Scuola Superiore di
Meccanica dell’Armata] non c'è differenza alcuna.
La stessa degradazione umana - prodotto del capitalismo e della sua dominazione
sociale -, condivisa da “maestri” europei e “alunni” americani, li avvolge
tutti nella stessa lordura.
Negli ultimi tempi, in coincidenza con le torture nordamericane nelle prigioni
dell’Iraq, la Francia subisce una nuova ondata emotiva. Il generale Paul
Aussaresses, il colonello Bernard ed altri genocidi francesi della guerra
coloniale, si sono esposti per rivendicare i metodi della tortura in Algeria.
La giustizia borghese ha avviato delle procedure giudiziarie, ma non per quello
che fecero, bensì per l’apologia verbale della violenza! Il loro crimine non è,
agli occhi della borghesia francese, avere torturato ed assassinato centinaia
di migliaia d’algerini... ma averlo dichiarato in pubblico.
E’ stato Henri Alleg a rispondere loro. La sua voce esprime il punto di vista
delle vittime, di tutti quei torturati e torturate che nonostante la barbarie
sofferta hanno mantenuto in alto i migliori valori della specie umana.
Specialmente la dignità, quella che non hanno mai avuta i loro torturatori.
Quando in “La question” si leggono le tremende torture alle quali fu sottoposto
Henri Alleg e come riuscì a resistere e sopravvivere, i lettori s’immaginano
che l’autore debba essere un uomo alto e con un corpo da atleta olimpico. Ma
conoscendolo, succede qualcosa di analogo a quello che capitò a Gramsci. I suoi
compagni di prigione raccontano che quando Gramsci arrivò nella prigione
fascista, nessuno gli credeva. Gli domandarono il suo nome. Egli rispose: “Sono
Antonio Gramsci.” Gli risposero: “..lei non può essere Gramsci. È troppo
piccolo. Antonio Gramsci deve essere un gigante..” Le stesse parole valgono
anche nel caso di Henri Alleg.
Conversando con lui affiora in primo piano la nobiltà, la coerenza e
l’umanesimo di quello che Che Guevara sintetizzò con parole inequivocabili: “I
sogni onesti dei comunisti del mondo.”
Del comunismo inteso, non solo come un progetto politico di rivoluzione
mondiale, ma anche come una nuova etica ed una nuova maniera di vivere secondo
principi. Esattamente il contrario della doppia morale, della falsità e del
cinismo di quei signori, gerarchici, elitari e lontani del popolo che
macchiarono la bandiera rossa della rivoluzione col grigiore della burocrazia,
la geopolitica e la mediocrità, mentre oggi si adattano al capitalismo senza
pena né gloria.
Henri Alleg è oggi uno delle grandi figure, già leggendarie, della lotta
rivoluzionaria mondiale.
La sua opera giornalistica e saggistica è prolifica. Oltre a “La question”,
scrisse: Prigionieri di Guerra (1961); Cuba vittoriosa (1963), Étoile Rouge et
Croissant Vert; L’Orient Soviétique (1983); S.O.S América (1985); L’URSS e gli
ebrei (1989); Requiem per lo Zio Sam (1991); Il secolo del Drago (1994); Le
Grand Bond en Arrière, 1997, e Retour sur "La Question" (2001).
Inoltre, è coautore di “La grande avventura di Algeri Repubblicana” (1987) e
direttore dell’opera in tre volumi “La guerra d’Algeria” (1981).
Con 83 anni e più di mezzo secolo di militanza sulla schiena, Henri Alleg
continua a spargere ottimismo e a rassicurare. Nonostante quello che ha
sofferto ed i sette anni della sua vita che ha passato in prigione, tra Algeria
e Francia, ride con voglia, racconta aneddoti e perfino barzellette, mentre
narra le cose più orrende che fecero i militari colonialisti in Algeria. Benché
costituisca una personalità storica, questo sperimentato scrittore e giornalista
politico non abbandona mai la semplicità. Continua ad essere, dopo tanti anni e
tante peripezie, un umile militante della nostra causa, la rivoluzione
socialista mondiale.
Si ringrazia il compagno Luciano Álzaga che ha partecipato all’intervista.
P: Le fotografie delle torture realizzate dai nordamericani ad AbuGhraib sui
prigionieri dell’Iraq hanno fatto il giro del mondo. Non è la prima volta. Un
altro scandalo simile è capitato nella base statunitense di Guantanamo. I
torturatori francesi dell’Algeria sono stati i maestri dei torturatori
nordamericani?
Henri Alleg: I colonialisti francesi sono stati davvero maestri di tortura
tanto in America Latina come in Africa del sud. Lì furono reclutati in accordo
con le autorità francesi per servire da “maestri” nella repressione,
particolarmente negli interrogatori con tortura. Effettivamente, quella che
capita in Iraq è una versione di quello che era successo in Algeria ed in altri
paesi, non solo in quelli dove c’era una guerra, ma anche in tutti quelli che
stavano sotto la dominazione coloniale. Evidentemente, durante le guerre
coloniali, tanto in Vietnam come in Algeria, i torturatori francesi sono stati
i professori di interrogatori e tortura degli ufficiali nordamericani.
Quest’insegnamento la fecero negli stessi Stati Uniti, a Fort Bragg, così come
in America Latina. Recentemente, nel giornale francese Le Monde, si è parlato
della partecipazione di ufficiali francesi nel Piano Condor attuato dalle
dittature militari del cono meridionale latinoamericano. Questi vecchi
ufficiali francesi avevano agito nella guerra d’Algeria. Condivisero il Piano
Condor con la benedizione, e naturalmente, l’autorizzazione del governo
francese.
P: Tanto nelle torture degli ufficiali francesi come in quelle dei nordamericani
si ripete il caso della violenza sessuale, delle umiliazioni sessuali...
Henri Alleg: Esatto. Un caso particolare e peculiare della tortura riguarda
proprio le umiliazioni di carattere sessuale. Durante la guerra d’Algeria non
se n’è mai parlato. A tal punto che né io né i miei compagni avevamo parlato
delle violenze sessuali. Gli ufficiali francesi, i militari colonialisti, non
ne avevano mai parlato. Dal lato algerino c’era anche un silenzio totale per
via della cultura di tradizione islamica. Per quel motivo gli algerini
mantennero il silenzio. Nella tradizione algerina, ed araba più in generale, si
pensa che una donna violentata è vilipesa e sporcata per sempre. Non soltanto
lei come persona individuale, ma si pensa che tutta la famiglia sia vilipesa.
Una di queste donne algerine, mia amica, fu violentata. Ora ha 72 anni. Mi ha
detto che quando finì in prigione - aveva allora 17 anni - e raccontò a sua
madre (anche lei in prigione) il fatto della violenza, fu proprio sua madre a
dirle di non raccontarlo a nessuno.
Né al padre, né ai fratelli, a nessuno. Nessuno, famigliare o no. Che cosa
poteva succedere? Che la bambina finisse con l’essere rifiutata dalla sua
stessa famiglia, perdendo tutto. Quello fu il caso di tutte o quasi tutte le
prigioniere algerine in potere dei colonialisti francesi.
Molto recentemente, ci sono state donne di più di 70 anni con un coraggio
magnifico che hanno rivelato che furono violentate. Un ufficiale colonialista
dell’esercito francese ha rivelato nel giornale Le Monde che tutte le donne
catturate e fatte prigioniere dai militari francesi, il 90%, furono violentate
sistematicamente.
P: Nella retorica imperialista di George W.Bush e nei grandi monopoli della
comunicazione che lo difendono, normalmente si ripete fino alla stanchezza la
parola “terrorista” per designare qualunque dissidente radicale. Neanche nella
campagna presidenziale USA per la rielezione si è smesso di pronunciarsi quel
termine. Nella sua opinione chi sono oggi i terroristi?
Henri Alleg: Su questo tema io penso che bisogna fare una differenziazione
chiara circa l’insieme di persone che utilizzano l’azione violenta. Quelli che
combattono per la liberazione di un paese con mezzi poveri e le poche armi che
possiedono, non sono la stessa cosa di quelli che hanno tutto il potere
militare del mondo. Già all’epoca dei tedeschi, durante la seconda guerra
mondiale, i nazisti definivano sempre i loro oppositori come “terroristi.” Ma
tutti quelli che combattono i nazisti non sono “terroristi”, sono combattenti per
la libertà.
Un esempio interessante circa questo problema è il seguente. In Algeria c’era
un dirigente nazionalista algerino che è un eroe della guerra anticolonialista.
Fu assassinato dai militari in prigione, nella sua cella. Come tante altre
volte, il suo assassinio fu fatto passare per “suicidio.”
Si tratta di Ben M'’hidi. L’ufficiale francese che diresse la sua esecuzione
aveva detto a quest’eroe della resistenza: “..lei è un terrorista. Lei mette
bombe nei cesti che portano le donne algerine” Lui rispose all’ufficiale
francese: "Mi dia i suoi bombardieri ed il napalm, io le darò i miei
cesti..”
Allora, quello che loro -i potenti - chiamano “terrorismo” è spesso solo
l’ultimo mezzo di un popolo per resistere. Gli autentici terroristi sono i
militari colonialisti!
Quanto alle azioni indiscriminate, come far scoppiar bombe fra civili, gente
comune, l’azione è chiaramente negativa. I dirigenti politici di un’azione di
resistenza non possono promuovere né ammettere questo tipo di azioni, e quella
fu proprio la posizione dei comunisti algerini.
P: Il generale Acdel Vilas, uno dei genocidi argentini che nella provincia di
Tucumán ebbe il comando della “Operazione Indipendenza” voluta per annientare
il fronte rurale del Partito Rivoluzionario del Lavoratore- Esercito
Rivoluzionario del Popolo (PRT-ERP), scrisse un memoriale della campagna che
non fu pubblicato al momento. Vilas, in quel testo afferma che i suoi maestri
di controinsurrezione furono militari francesi. Cita espressamente il libro
“Sovversione e rivoluzione” del colonnello Roger Trinquier. [Acdel Edgardo
Vilas: Diario di campagna. Tucumán: Dal gennaio al dicembre 1975.]. La stessa
informazione che offre Vilas è formulata da un altro noto genocida argentino,
il generale Osiris Villegas [Temi per leggere e meditare. Bs.As,
Theoría, 1993]. Più
recentemente, c’è stata un’altra conferma, ora per bocca del generale Alcides
López Aufranc, in un documentario della giornalista francese Marie-Monique
Robin intitolato “Squadroni della morte. La scuola francese” [Essi escadrons
della mort: L'école francaise, 2003], inaugurato recentemente in Argentina.
Dato che lei pensa che la decisione di esportare questa dottrina, i suoi metodi
di tortura ed i suoi specialisti in interrogatori, fu una decisione di Stato,
chi furono concretamente i responsabili in Francia?
Henri Alleg: Si dovrebbe chiarire un aspetto del problema. Io credo che la
tortura non comincia con la guerra. Ma sempre PRIMA della guerra, nel nostro
giornale “Alger Républicain” [Algeri repubblicana] molta gente fu arrestata
dalla polizia, nazionalisti o comunisti, furono tutti torturati. In Vietnam
capitò la stessa cosa. Quando in Algeria parlammo della tortura, il nostro
giornale fu chiuso. Il compagno che ne scrisse, Khalfa Woualem, fu arrestato e
condannato a due anni di prigione. Allora, la tortura è un arma del
colonialismo prima ancora che cominci l’insurrezione. Prima della guerra la
tortura ha una dimensione artigianale. Durante la guerra coloniale o
controinsurrezionale, la tortura acquisisce una dimensione industriale.
Questa situazione di non rispetto dei diritti umani, prima e durante la guerra
è stato il tratto comune di tutti i governi della Francia. Tanto del governo
socialista di Guy Mollet, come dei governi di destra che succedettero ai
socialisti, così come il governo del generale De Gaulle. Perfino un governo che
si è chiamato “di sinistra” ha coperto e ha mantenuto il silenzio, ha dato la
sua approvazione a tutte queste azioni di tortura e la sua esportazione in
America Latina. Non si può fare una differenza molto chiara tra chi ha diretto
la guerra d’Algeria, siano di “sinistra” o di destra. Senza nessun dubbio,
furono tutti responsabili!
P: Nel racconto di “La question” lei descrive il metodo repressivo della
sparizione dei prigionieri algerini con l’intervento dei militari francesi. Più
tardi, quel metodo è stato esportata ed applicato massicciamente in Argentina.
Anche in Cile, Guatemala, Perù ed altri paesi dell’America Latina. Quando è
stata la prima volta in cui è stata applicata la tecnica repressiva della
sparizione?
In Algeria? O in Indocina?
Henri Alleg: Io non credo che in Indocina il fenomeno dei desaparecidos sia
stato un fenomeno di massa, né che ci siano stati molti casi di sparizioni. Ma
in Algeria sono decine di migliaia le persone che sono sparite.
Si noti un aspetto interessante del problema; ad Algeri si trovava il
segretario generale della Polizia che si chiamava Paul Teitgen. Questo
funzionario, prima di andare in Algeria, era stato un militante della resistenza
all’epoca della guerra contro la Germania. Era stato arrestato e torturato dai
nazisti. Era stato deportato nel campo di concentrazione di Buchenwald. Anni
più tardi, fu inviato in Algeria. Quando arrivò, non sapeva niente di quel
paese. Io lo conosco personalmente. Lui era un uomo, come dire, “apolitico.” Il
suo compito non era fare politica. Era un patriota francese, un antifascista.
Quando arrivò in Algeria il suo ruolo consisteva nell’applicare il regolamento
per quel che riguarda gli arresti. Cioè che quando una persona veniva arrestata
dalla polizia o dai paracadutisti c’era il dovere di segnalare, di informare i
nomi, le condizioni dell’arresto, ecc. Prima che trascorresse un mese, c’era
l’obbligo di informare quello che era successo al prigioniero. O la persona era
stata liberata - certo un caso molto raro -, o era stato deportata in un campo
o era rimasta nella prigione. Dopo tre mesi, o due mesi e mezzo, per la sola
città d’Algeri, Teitgen si accorse che nel gruppo di persone fatte prigioniere...
mancavano 3.026 nomi! Chiese spiegazioni, ma non ci fu spiegazione... Teitgen
comprese che erano stati eliminati. Molti furono abbattuti, giustiziati e
fucilati, con il pretesto di “un tentativo di fuga.” Ne esistevano di questi
casi, ma furono registrati tutti così. I 3.026 scomparsi corrispondono, non a
tutta la guerra d’Algeria, né all’intero paese, ma solamente al periodo di due
mesi e mezzo e nella città di Algeri. Teitgen diede le dimissioni, e disse,
molto coraggiosamente: “Io non posso ammettere la tortura, non posso ammettere
la stessa cosa che ci fecero i torturatori della GESTAPO nazisti” E si dimise.
P: Nella guerra dell'Algeria furono assassinati quasi un milione di algerini.
Esistevano campi di concentramento come in Argentina o i prigionieri li
ammazzavano direttamente?
Henri Alleg: C’erano campi di concentramento, i prigioniere in totale furono
circa 30.000 persone. C’erano vari tipi di campi. Alcuni erano campi molto
duri, destinati a chi erano stato catturato con armi alla mano. Erano i campi
PAM (prigionieri con armi nella mano). Lì finivi morto, torturato, scomparso.
Ma c’erano anche altri tipi di campi, dove venne praticata la tortura. Ce n’era
anche un terzo tipo. Quelli che funzionavano come “vetrine”, preparati per
ricevere le commissioni, per mostrare che i prigionieri mangiavano e dormivano
“bene”, che “non si lamentavano”, ecc. Io finii a Il Biar, uno dei posti più
“duri” per repressione e tortura, e rimasi un mese nel campo Lodi, un campo
“vetrina”, perché nel mio caso ci fu una pressione internazionale tremenda. Ma
perfino nei campi “vetrina” i paracadutisti furono autorizzati ad entrare e a
prendere qualunque tipo di prigioniero e torturarlo, se il suo nome era apparso
in qualche posto. Non c’erano molti campi “vetrina.”
P: Ci furono paesi e villaggi che abbiano funzionato come campi?
Henri Alleg: Ci furono paesi interi chiusi, esattamente come in Vietnam, perché
si ritenne che il paese intero condivideva la lotta. Non era esattamente un
campo perché c’era lo spostamento della popolazione. Gli abitanti di questi
paesi che erano fatti prigionieri nella loro totalità, li spostavano verso
altre zone. In quei paesi esisteva la proibizione per tutti di uscire dal posto
dove stavano. In alcuni casi ci furono regioni intere considerate come “zone
proibite.” Nel nord dell’Algeria un terzo del territorio fu considerata “zona
proibita.” I militari francesi hanno avuto il diritto di entrare nel paese e
sparare contro qualunque persona che si muova senza dare nessuna spiegazione.
Ci fu un generale che dichiarò che queste “zone proibite” furono eccellenti,
perché dentro “tutto quello che si muoveva era sicuramente cattivo.”
P: Qual era l’obiettivo della tortura? Che cosa perseguivano i militari
colonialisti, i paracadutisti francesi, col metodo della tortura e della
sparizione?
Henri Alleg: In quegli anni, in Algeria si sviluppava una guerra popolare.
Questo vuole dire che non ci sono molte unità combattenti con l’uniforme. Il
nemico, per i paracadutisti francesi, erano i patrioti. Il nemico, di
conseguenza, sono tutti. Per quel motivo, i militari francesi, avevano avuto
molto poca informazione - nel senso poliziesco del termine “informazione” - sul
nemico, cioè, sui patrioti. Che cosa fanno allora i militari? Vanno di notte in
un quartiere dove ci sono patrioti, nel caso dell’Algeria quel quartiere è
arabo, e allora prendono prigionieri. Catturano 100 o 150 persone, uomini e
donne. Lo fanno di notte. La gente è seminuda. E portano a tutti in una casa di
tortura che ha vari piani. Lì incominciano a picchiare ogni persona. Danno
botte, botte e ancora botte. Immediatamente dopo la tortura ad un prigioniero,
ne portano un altro. Uno dopo l’altro. In questo caso, i militari torturano
senza sapere niente. Non è come torturare un militante. I militari giunsero ad
una conclusione: l’immensa maggioranza della popolazione era stata conquistata
dalle idee dell’insurrezione, per il progetto rivoluzionario dei patrioti. Come
fare se loro, i militari, non sanno niente e tutti appoggiano l’insurrezione?
Allora incominciano dicendo al prigioniero o alla prigioniera: “Tu non fai
niente. Ma di sicuro finanzi.” E giù botte. E continuano: “A chi dai i soldi?
Dicci chi ti comanda.” L’obiettivo della tortura è ricostruire l’organigramma
dei rivoluzionari. Dopo la tortura, prendono il prigioniero o la prigioniera e
incappucciati li portano nel quartiere.
Lì gli dicono: “Denuncia la persona a cui consegni il denaro.” Una volta che
riescono a catturare la persona che raccoglie il denaro, lo portano e lo
torturano. Gli dicono: “Parla! Tu non conti niente.” E cominciano a picchiarlo.
Quindi gli domandano: “A chi consegni il denaro?.” Così continuano a
ricostruire fino ad arrivare all’esattore più importante dal quartiere. Allora
lo torturano fino a trovare direttamente il Fronte di Liberazione Nazionale, il
FLN, cioè, l’organizzazione della lotta armata. Fu così il processo. Allora, il
primo obiettivo della tortura era ottenere informazione per ricostruire
l’organigramma, fino a raggiungere i comandi guerriglieri. Il secondo obiettivo
era impiantare il terrore. Ripeto: gli autentici terroristi sono loro, i
militari! Nelle epoche di guerra popolare tutto il mondo sa che se cadi
prigioniero ti torturano di sicuro. E se ti torturano tu puoi morire. Questo lo
sapevano tutti. Il terrore aveva davvero lo scopo di essere dissuasivo.
P: Quella tortura generalizzata non ha prodotto nel caso dell’Algeria,
l’effetto contrario?
Henri Alleg: Esattamente, riuscì ad ottenere il contrario. L’indeciso, quello
che non era convinto di entrare nella lotta armata, quando i militari
colonialisti assassinavano suo fratello o suo padre, allora prendeva la
decisione ed entrava nell’organizzazione e prendeva parte alla lotta armata.
Furono gli stessi metodi militari di repressione e tortura che finirono col
rafforzare le forze di liberazione.
P: Che ruolo giocarono i marxisti nella lotta anticoloniale dell’Algeria? Fu la continuità della resistenza
antinazista?
Henri Alleg: In primo luogo bisogna chiarire che la resistenza antinazista in
Algeria non ebbe la forza che aveva avuto in Francia. Perché non c’erano forze
d’occupazione tedesche o italiane nel territorio algerino. C’erano solamente
commissioni tedesche o italiane al servizio del governo fantoccio di Vichy. In
Algeria ci furono comunisti di origine europea e furono cacciati. Quando io ero
giovane, militavo già nella gioventù comunista. In quegli anni avevo tentato di
fare propaganda. Ma non ci fu mai il grado di resistenza che ci fu in Francia.
Per esempio, non ci furono mai attacchi contro treni o contro soldati tedeschi.
Quanto ai nazionalisti che entrarono nella lotta per l’indipendenza
dell’Algeria, il movimento nazionale fu molto vacillante. Ci fu gente valida,
volenterosa e onesta contro il colonialismo francese. Ma questa gente non capì,
realmente, che la lotta contro il nazismo e a beneficio della resistenza
francese fu anche la propria lotta. Cioè molti pensarono che i nemici erano i
francesi, e i tedeschi erano i nemici dei francesi, insomma l’idea che i
tedeschi non erano i nostri amici ma neanche i nostri nemici. Ci furono altri
nazionalisti come Ahmed Messali Hadj che rifiutò di allearsi coi tedeschi e col
governo di Vichy. Questo tipo di nazionalista dichiarò: “non voglio che si dica
che sono un fascista.”
In secondo luogo, quanto al ruolo dei comunisti in Algeria, conviene ricordare
che la sua popolazione era molto varia, molto eterogenea, abbastanza plurale.
C’erano musulmani, europei, ebrei, ecc. L’orientamento del Partito Comunista
era che non importava l’origine etnica o la religione delle quali si proviene,
la cosa importante è che tutti e tutte possono contribuire a creare un’Algeria
pluralistica, dove ognuno possa vivere bene e senza problemi, indipendentemente
dalla sua origine. I comunisti affermavamo che solo con un’Algeria libera,
indipendente dal colonialismo, era possibile che quel sogno potesse
concretizzarsi. Tutte le restrizioni coloniali erano terribili in Algeria. Non
solamente la tortura, anche l’analfabetismo, la disoccupazione, furono tutti
liquidati insieme al colonialismo. L’idea era che quel cambiamento doveva
condurre ad un’Algeria libera e non trasformare quel paese in una provincia
francese.
P: I marxisti parteciparono alla lotta armata in Algeria?
Henri Alleg: I marxisti, i comunisti, fecero parte della lotta armata quando
ebbero l’opportunità e la possibilità, perché la situazione fu molto differente
da un posto all’altro. Per esempio, nell’Ovest dell’Algeria, dove il Partito
Comunista ha avuto forza, la lotta di liberazione armata incominciò molto
presto. I comunisti furono in quella lotta fin dal primo giorno. Ma ci furono
molti altri posti dove ci fu un ritardo. In conseguenza la lotta in quei posti
adottò una forma più pacifica. Ma i colonialisti francesi liquidarono
rapidamente queste differenze regionali. Dopo due anni e mezzo tutto il paese
divenne uguale e a partecipò alla lotta armata allo stesso modo.
P: Com’erano i rapporti tra i dirigenti nazionalisti algerini e i comunisti?
Henri Alleg: Una delle cose di cui per molto tempo non si è parlato e di cui si
è appena cominciato a discutere negli ultimi tempi, è l’atteggiamento di alcuni
dirigenti nazionalisti del FLN - non tutti -che erano anticomunisti e molto
settari rispetto ai compagni comunisti. Per esempio, c’erano alcuni compagni
membri del comitato centrale del PC, uno di essi fu un formidabile e magnifico
combattente, molto famoso, che si era formato nelle Brigate Internazionali in
Spagna ed aveva molte azioni di guerra nel suo pasato, e quando lui e un altro
compagno approdarono alla resistenza sulle montagne dell’Algeria, furono
uccisi. I due furono uccisi dai dirigenti nazionalisti del FLN perché non
vollero firmare una lettera dicendo che “i comunisti sono delatori, i comunisti
non sono veri algerini.” I nazionalisti vollero obbligarli dicendo loro: “O
firmate o vi ammazziamo.” I due risposero che non volevano firmare contro il
Partito Comunista ed allora furono sgozzati dai nazionalisti. Gli tagliarono la
gola. Questi dirigenti nazionalisti del FLN, molto settario, avevano
politicamente paura dello sviluppo dell’influenza del Partito Comunista durante
la lotta.
P: lei conobbe personalmente Che Guevara. Come furono quegli incontri e che
dettagli si ricorda?
Henri Alleg: Che Guevara era venuto ad Algeri. Lo conobbi lì’. Se non mi
ricordo male fu nel 1963. Egli rimase abbastanza tempo, varie settimane.
Algeri, in quei giorni, si trasformò in una specie di punto d’incontro di tutti
i popoli e rappresentanti di movimenti africani che combattevano per
l’indipendenza. Era diventata un posto dove si cercavano e trovavano
informazioni. Era logico che Ernesto Guevara rimanesse lì un certo tempo. Al
Che dovette interessare perché stava pensando e cercando in che zona
dell’Africa poteva crearsi una buona resistenza antimperialista, cioè, un buon
posto dove cominciare la lotta armata. In quell’epoca molta gente visitò
l’Algeria. Per esempio, Carlos Bellibello, un famoso economista ed analista
politico d’Angola, quando ci siamo incontrati un paio di giorni fa ci siamo
abbracciati e lui mi ha detto, dopo tanti anni: “Henri, noi c’eravamo visti in
Algeria....” Effettivamente, egli era stato nel nostro giornale. La stessa cosa
capitò con Agostinho Neto ed anche con compagni dell’Africa del sud. Tutti
quelli che resistevano passavano per Algeri. È in questo contesto che incontrai
Che Guevara. Ci vedemmo varie volte. La prima volta lo vidi insieme ad un
giornalista algerino nell’hotel. Un’altra volta lo trovai all’ambasciata di
Cuba ad Algeri. Lo vidi una terza volta, ma non mi ricordo ora dove fu, e la
quarta volta il Che venne alla redazione dal nostro giornale. Io ho varie
fotografie con lui nella redazione del quotidiano Algeri Repubblicana. Ricordo
che quando ci trovavamo col Che, conversavamo con lui con molta simpatia. La
stessa cosa capitò a molti giovani che lavoravano con me nel consiglio di
redazione del giornale. Avevamo una grande simpatia personale per Che Guevara.
P: Come guardava Che Guevara a quello che succedeva allora in Algeria?
Henri Alleg: Quello era un periodo molto complicato per i compagni stranieri
che stavano in Algeria, perché erano realmente sorpresi davanti
all’atteggiamento dei dirigenti del FLN che dicevano che: “Cuba è magnifica!.”
Il Che, ovviamente, lo guardava simpatia. Non è casuale che abbia fatto il suo
famoso discorso di Algeri in quel posto. Ma Che Guevara non smetteva di avere
le sue opinioni. Alcuni punti di vista ideologici dei dirigenti del FLN erano
in contraddizione col pensiero marxista del Che. Alcuni di essi, per esempio
Ahmed Ben Bella - che era nazionalista -, dicevano a proposito dei contadini
che “L’unica classe rivoluzionaria in Algeria è costituita dai contadini.”
Invece, non pensava la stessa cosa degli operai e lavoratori in genere. Ben
Bella diceva che bisognava fare attenzione a non cadere nel “pericolo”
dell’operaismo. Queste erano idee di Frantz Fanon che aveva suggerito che la
classe operaia del nord era "enfant chérie du colonialisme", il
bambino favorito del colonialismo, cioè, che erano funzionali al colonialismo.
Evidentemente questo non concordava con quello che pensava Che Guevara, che
condivideva ed aveva formulato una vecchia concezione leninista secondo la
quale il contadino non vede più lontano che l’atto di possesso di un pezzetto
di terra.
P: Quale fu il ruolo della donna nella lotta anticolonialista in Algeria?
Henri Alleg: La situazione delle donne in Algeria faceva sì che l’idea che le
donne prendessero le armi ed entrassero nella lotta armata fosse impossibile.
Nessuno poteva immaginarselo. Ma nella tradizione della lotta anticolonialista
dell’Algeria, durante il secolo XIX, ci furono donne che impugnarono i fucili
contro i colonialisti francesi. Più tardi, nel secolo XX, durante la guerra di
liberazione anticoloniale, questi tabù ancestrali che pesavano contro le donne
caddero. Per esempio, c’era bisogno di infermiere. Inoltre, ce ne furono poche,
ma ci furono donne che andarono a scuola ed entrarono in azione nei
combattimenti. Esse giocarono un ruolo attivo nella lotta contro i
colonialisti. Donne che svolsero un importante ruolo nelle azioni armate nella
città. Io le ho conosciute. Ci fu necessità di azioni dentro le città, azioni
d’intelligence. Inoltre, fu necessario caricare le bombe nei cesti delle donne.
Per comprendere l’azione delle donne quest’aspetto è magari è più spettacolare,
ma non è il fondamentale. Ce ne sono altri più importanti. Gli uomini,
arrestati e rinchiusi in campi di concentramento ed in prigione, erano sotto un
controllo molto più duro delle donne. Allora, in vari casi, le donne dovettero prendere
il posto degli uomini: nel lavoro, coi bambini, per uscire di casa, ecc. Molti
uomini non volevano che le donne uscissero, avrebbero preferito che le donne
rimanessero a casa... Ma se l’uomo non c’è, è la donna quella che deve uscire!
Per esempio, mi ricordo di un aneddoto. Una volta io stavo nella stessa cella
con un compagno comunista, un leader sindacale molto conosciuto, molto amato,
ma che aveva abitudini musulmane. Un giorno ci fu una visita per lui nella
prigione. Dopo essere andato alla visita questo compagno ci ritorna in cella e
allora gli dico: “Hai visto un fantasma. Che cosa ti succede?” Era bianco.
Allora mi dice: “E’ stata mia moglie.” Per lui era qualcosa di incredibile che
sua moglie fosse andata da sola... all’amministrazione coloniale!..., al
commissario di polizia!..., per chiedere... ai francesi!... il permesso per
trovare suo marito. Per lui fu una sorpresa. Non solo lei si era fatta carico
della casa, ma si era occupata di tutta la procedura necessaria
nell’amministrazione coloniale francese per trovarlo e vederlo, per trovare suo
marito prigioniero. Quello fu il caso di molti altri. Questo si è ripetuto
senza dubbio, durante la lotta anticoloniale.
P: Che cosa è successo dopo l’indipendenza dell’Algeria circa la situazione delle
donne?
Henri Alleg: Una volta ottenuta l’indipendenza dal dominio coloniale si
credette che tutto quello che si era conquistato durante la guerra di
liberazione rispetto all’emancipazione della donna si sarebbe potuto
conservare. Ma immediatamente dopo ripresero il controllo le forze reazionarie.
Un aneddoto al riguardo. L’edificio del nostro giornale, “Algeri Repubblicana”,
aveva un balconcino. Giusto di fronte al nostro c’era un altro balconcino che
apparteneva al ministero dell’agricoltura. L’8 marzo del 1963 ad Algeri ci fu
una manifestazione immensa di donne che reclamavano per i propri diritti, per
l’indipendenza, la lotta di liberazione del paese algerino, ecc.
Era una manifestazione di donne con velo e di donne senza velo. Tutte
mischiate. Anche con le tradizionali grida arabe. Io stavo al balcone del
giornale insieme con altri compagni comunisti, giovani, a guardare questa
manifestazione di donne. I compagni vedevano mobilitarsi le loro donne, le
madri, le sorelle, ecc. Questi compagni giovani, comunisti, stavano al balcone
con molto entusiasmo. Avevano un’allegria tremenda. Ma di fronte al nostro,
nell’altro balconcino dove stavano i funzionari del ministero dell’agricoltura,
quelli avevano un viso affranto. Guardavano tutto quello come qualcosa di
brutto. Loro si erano spinte più avanti di tre chilometri dei loro mariti! Tre
giorni dopo mi trovai con un’amica, non era comunista, ma aveva condiviso
questa manifestazione. Bene, era stata convocata al commissariato di polizia
dove le avevano contestato:
.. ti abbiamo visto, sì, mentre gridavi “i mariti in cucina!”.. Quei poliziotti
si erano comportati in modo stupido, ma è un fatto che dice qualcosa...
P: Che cosa dice?
Henri Alleg: Io credo che gli uomini reazionari, dopo l’indipendenza, abbiano
fermato il movimento. Soprattutto esiste un codice della famiglia che ha
mantenuto le cose come prima, perfino le cose più stupide. Per esempio, le
donne che vogliono un passaporto non possono ottenerlo senza l’accordo del
marito, del padre o del fratello maschio. Se lei si vuole separare e divorziare
dal marito, succede la stessa cosa. Per l’eredità economica succede qualcosa di
analogo: se esiste un figlio maschio ha lui il diritto, se c’è una figlia non
ha diritto. Questo è stato molto criticato. In Algeria ci sono molte donne
progressiste, ovviamente, ci sono donne deputate, ci sono donne ministri, ma il
fondo reazionario non è cambiato, non
fu liquidato dall’indipendenza. Continua l’autorità maschile, perfino peggiore
che nelle società di Tunisi o del Marocco. Le donne si sono viste molto
frustrate, perché dopo essersi proiettate in questo movimento, hanno assistito
ad una retrocessione, una reazione.
P: Che cosa capitò con il rapporto degli algerini religiosi coi non religiosi,
e coi marxisti?
Henri Alleg: Penso che non era un rapporto contraddittorio. Da una parte
esisteva la volontà dei dirigenti del FLN, quelli più settari che hanno portato
il movimento verso la reazione, e d’altra parte, contemporaneamente, si
trovavano le idee delle masse popolari che hanno avuto varie idee preconcette,
tra cui il maschilismo. Ma in generale, se si prende come riferimento
l’orientamento generale del movimento intorno al FLN, lì non si sono mai
coltivate idee islamiche chiuse ed intolleranti, che ai appellassero ad
ammazzare i non musulmani. Non si arrivò mai a quello. Al contrario. I più
semplici ed umili della popolazione hanno avuto una grande tolleranza
religiosa.
In generale, si può dire che la tolleranza aveva sempre predominato nella
tradizione algerina, e lo dico senza idealizzazione. In Algeria non ci sono mai
stati progroms contro gli ebrei. Per esempio, il grande leader Abd el-Kader, il
grande leader contro la colonizzazione francese, ha avuto un ministro degli
esteri ebreo. Fu nel 1830! In Europa, nella stessa epoca, non succedeva...
P: dato che lei è marxista, come ha vissuto il tema della religione?
Henri Alleg: Nonostante quello che è capitato dopo, coi massacri islamici,
intolleranti e completamente reazionari, alcuni aneddoti esemplificano bene.
Per esempio, ricordo una cosa che capitò in un’altra prigione - diversa da
quelle prima menzionate -. In questa prigione c'erano 100 o 120 contadini,
tutti rinchiusi nello stesso padiglione carcerario. Tra loro c’erano circa 10
europei. Quei dieci erano comunisti. I prigionieri arabi algerini erano molto
sorpresi dal vedere europei nel gruppo di prigionieri. Si sorpresero perché
erano contadini. Nelle città era un pochino diverso, c’era un miscuglio di
arabi ed europei, ma in campagna no. Nelle città, benché gli algerini avessero
idee un poco razziste, sapevano perfettamente che gli europei potevano lottare
insieme a loro. Ma i contadini non lo sapevano. Allora nella prigione i
contadini algerini domandarono: “Ma chi sono quelli? Chi sono questi europei?."
Erano completamente sbigottiti al vedere degli europei che soffrivano come loro
in prigione. Non potevano crederci!. Allora un giorno, uno dei vecchi contadini
algerini che stava in prigione, chiese un traduttore tra i carcerati per
tradurre in perfetto arabo ed in perfetto francese quello che voleva esprimere.
E che cosa comunicò questo contadino algerino? Disse ai comunisti, che
nonostante fossero europei erano prigionieri come lui: “voi, crediate o non
crediate in Dio, lo vogliate o no, andrete in Paradiso e davanti a noi! Sì, voi
ci andrete prima di noi!." [grandi risate di Henri Alleg]. Questa fu una
chiara dimostrazione di tolleranza e di simpatia con la lotta dei suoi
compagni, i comunisti.
P: Come è stato che quella tolleranza ha ceduto il passo al fanatismo
religioso?
Henri Alleg: Sì, c’è realmente una differenza drammatica tra quell’epoca e
quello che è capitato molti anni dopo, quando in Algeria è aumentata
l’intolleranza, e ci sono stati massacri, perfino massacri di religiosi. Prima
nessuno li aveva toccati, ma nella guerra recente sono finiti con la gola
tagliata. Questo è stato un colpo tremendo per gli stessi algerini. Loro
stessi, gli algerini, hanno detto: “Questi assassini stanno sporcando la nostra
cultura e le nostre tradizioni.”
P: Tanto nell’attuale guerra in Iraq, come in quella d’Algeria, le potenze
colonialiste usano come pretesto il fantasma dell’Islam come sinonimo di
fondamentalismo. Quando nasce il fondamentalismo in Algeria?
Henri Alleg: Il fondamentalismo musulmano è comparso in Algeria nel 1992, da
poco più di una decade. Non ha niente a che vedere con lo sviluppo del
trentennale processo seguito all’indipendenza dell’Algeria, come invece alcuni
hanno voluto fare credere. Come spiegare questa ondata attuale del fondamentalismo
e soprattutto questa integrazione di giovani che hanno dato la loro vita per il
fondamentalismo? La prima, la più importante ragione, è la situazione economica
e politica del paese che ha creato le condizioni per lo sviluppo del
fondamentalismo islamico. La lotta per l’indipendenza provocò un entusiasmo
generale, una speranza tremenda. In Algeria la questione delle classi sociali
fu una questione semplice. Esistevano i molto ma molto ricchi, che erano tutti
europei con alcuni feudali alleati degli europei, e dell’altro lato, l’immensa
maggioranza degli algerini con differenze di classe che erano minime tra loro.
L’aspirazione alla liberazione nazionale significò anche l’aspirazione
all’emancipazione sociale. Si voleva cambiare le cose, creare una Algeria
nuova: una Algeria socialista!. La parola “socialista” apparve in modo
spontaneo nella bocca di tutti in quegli anni. Il progetto era di una Algeria
socialista!. Tutti parlavano di una Algeria socialista. Ma il movimento fu
diretto da una piccola borghesia che a poco a poco si andò arricchendo fino ad
arrivare ad essere milionari. Tutto quello provocò una delusione immensa dei
più poveri, soprattutto dei giovani. Quelli che più soffrirono di più furono i
giovani. Attualmente, e dagli anni '90, la disoccupazione raggiunge una cifra
che oscilla tra il 30 ed il 40 percento dei giovani. All’interno dell’Algeria,
in campagna, la disoccupazione raggiunge il 60 percento. Esiste una volontà di
fuggire ed uscire da questa situazione. Inoltre, in Algeria esiste un grave
problema. Se ad un giovane piace una ragazza, non possono vivere insieme. Non è
possibile in questa società, perché deve dare dei soldi al padre, cercare
un’abitazione e tutto il resto. Ma siccome queste condizioni non esistono, i
giovani subiscono un forte un stress. Ci sono addirittura giovani che non
possono avere donne. Questo è un fatto che genera un grande malessere.
Nell’ottobre del 1988 ci fu una manifestazione ad Algeri, fu una data di
cambiamento. Era il tempo del dirigente Chadli Bendjedid che diede l’ordine di
sparare sulla manifestazione. Ci furono - questo è stato confermato - almeno
500 morti ad Algeri. La maggioranza furono giovani. La manifestazione non aveva
grandi obiettivi politici, né rivendicazioni molto delimitate. Volevano pane,
volevano lavoro e ci fu un massacro. Quel fatto ebbe una ripercussione tremenda
ad Algeri ed in tutto il paese. Precisamente a partire da questo fatto gli
islamisti hanno incominciato a prosperare e svilupparsi con una logica di
argomentazione molto semplice: “Il socialismo è fallito, è una porcheria. Dopo,
se l’opzione non è più il socialismo, deve essere il liberalismo. Che cosa ci
ha dato il liberalismo? Niente. Ora, l’hai di fronte a te. Hanno ammazzato i
giovani, li hanno fucilati. Allora il problema viene della gente che dirige
l’Algeria che imita l’Occidente e l’adotta come modello. Ci fanno dimenticare
che siamo musulmani. L’unica soluzione è abbandonare tutte questi idee e
concentrarsi sul ritorno all’Islam....” Quella è la logica che permette di
comprendere quello che sta succedendo in Algeria.
P: I fondamentalisti islamici si sono sviluppati in modo isolato o contano su
un appoggio esterno?
Henri Alleg: Esiste questo terreno di frustrazione, di riprovazione, di
dispiacere rispetto al potere politico, e tutta questa situazione ha facilitato
il lavoro degli islamisti e lo sviluppo dell’islamismo. Ma contemporaneamente
gli islamisti hanno contato su appoggi, specialmente fuori dell’Algeria.
Interessante è il fatto che in Algeria ci sono stati molti stranieri,
rappresentanti di imprese o cooperanti, e ci sono stati francesi, italiani e
jugoslavi assassinati. Gente di molte nazionalità. La cosa sorprendente è che
ci non fu mai un solo nordamericano assassinato... In Inghilterra gli inglesi hanno
dato, gradualmente, l’autorizzazione agli islamici, per esempio di aprire
uffici che prima erano proibiti in quel paese, così come erano stati proibiti
in Algeria. Uno di questi gruppi è stato il Fronte Islamico di Salvezza (FIS).
Perfino negli stessi Stati Uniti ci fu un ufficio legalizzato degli islamici.
Il Dipartimento di Stato nordamericano ha avuto una posizione abbastanza
ambigua nei loro confronti. Non fu un appoggio sistematico in tutti i posti, ma
li hanno appoggiati in funzione dei loro interessi. Per esempio, il re del
Marocco ha combattuto gli islamici mentre gli Stati Uniti li appoggiavano. Al
principio, in Turchia, il governo turco combattè gli islamici e gli USA li
hanno appoggiati. Nel caso dell’Algeria c’è stato un appoggio dei nordamericani
agli islamici perché il governo USA non aveva fiducia nella stabilità e
l’affidabilità del potere politico algerino. Ci sono molti indizi che il
Dipartimento di Stato ha appoggiato gli islamici! Fra i primi attentati del
FIS, (Fronte Islamico di Salvezza) per esempio, orribili massacri di donne
incinta ed altre cose orrende dello stesso stile. Tra loro si trovano individui
che provengono dall’Afganistan, dove prima avevano lavorato al servizio di chi
li aveva reclutati: i nordamericani. La CIA li aveva reclutati nella lotta
contro i sovietici. Dopo la lotta coi sovietici, furono esportati
dall’Afganistan all’Algeria. In Algeria la gente li chiamava semplicemente “gli
afgani.”
P: a partire dall'esperienza politica che lei ha appreso durante tanti anni di
lotta per la rivoluzione, che cosa gli piacerebbe dire ai giovani che oggi
cominciano ad avvicinarsi alla resistenza contro il capitalismo e
l’imperialismo?
Henri Alleg: Penso e credo che di tutta questa esperienza si possano ricavare
almeno due “lezioni”, per chiamarle in qualche modo. Per i giovani, ma anche
per i non tanto giovani. In primo luogo, non credere che tutto quello che è
stato ottenuto lo si è ottenuto per sempre. Quella è una grande lezione, di
portata generale. Dall’inizio della mia militanza, dal momento in cui
incominciai a lottare contro il fascismo, per me era stato ovvio che il
fascismo sarebbe stato sconfitto. Era evidente che i paesi che erano stati
occupati dai tedeschi, dal nazismo, si sarebbero liberati. Per me era ovvio che
l’Unione Sovietica sarebbe uscita vittoriosa e che nuove forze si sarebbero
aggiunte al suo fianco, che il comunismo avrebbe guadagnato terreno. E tutto
questo è successo. In Francia, al momento della liberazione, una terzo del
Parlamento era comunista. C’erano ministri comunisti nel governo. Lo “spirito”
di quell’epoca indicava che non sarebbero passati molti anni che la Francia
sarebbe potuto diventare un paese socialista. A proposito di questo, ricordo un
aneddoto. Una discussione con E. F., segretario del PCF, membro della direzione
del periodico L’Humanité. Lui aveva 10 anni più di me. Era un uomo molto
simpatico. Alla fine di una sessione della Scuola del Partito, gli domandai:
“Quanto tempo dovremo aspettare perché la Francia diventi un paese socialista?”
Mi rispose: “Ascolta, sei giovane, sei impaziente, non credo che possa
succedere molto rapidamente. Non credo che la Francia sarà socialista prima di
10 anni....”
Questo è successo 40 anni fa!
La seconda lezione è che non bisogna mai scoraggiare né scoraggiarsi. La vita è
breve, ma tutto spinge gli esseri umani a combattere per la sua liberazione, a
lottare per un futuro migliore. Io credo nella nostra vittoria. La maggioranza
dei popoli del mondo si convincerà che non c’è un'altra via per ottenere liberazione
e futuro migliore che quello del socialismo. Questo è ciò che vorrei dire ai
giovani, ma anche ai non tanto giovani.
Traduzione dallo spagnolo di FR