da la Rinascita della Sinistra del 17/03/2006
Le basi Usa in
Italia
di Manlio Dinucci
La richiesta – avanzata dal presidente della giunta regionale sarda, Renato
Soru – di rendere pubblico il patto segreto che ha permesso la costituzione
della base Usa della Maddalena e di chiudere la base stessa, riporta in primo
piano la questione della basi statunitensi in Italia.
La dimensione della presenza militare Usa in Italia viene illustrata dal
rapporto ufficiale del Pentagono Base Structure Report 2003: le forze armate
statunitensi posseggono nel nostro paese oltre 2.000 edifici, con una
superficie di oltre un milione di metri quadri, e hanno in affitto 1.100
edifici, con una superficie di 780mila m2. Il personale addetto a tali basi
ammonta a 15.500 militari e 4.500 civili, per un totale di circa 20mila.
L’esercito Usa ha proprie basi in Veneto e Toscana. Alla Caserma Ederle di
Vicenza è stanziata la 173a brigata avio-trasportata, che opera nel quadro
della Setaf, la task force del sud Europa agli ordini del Comando europeo delle
forze armate Usa, la cui «area di responsabilità» include 91 paesi e territori
da Capo Nord al Capo di Buona Speranza. Fu la 173a brigata, nel marzo 2003, ad
essere proiettata per prima nel Kurdistan iracheno. A Camp Darby (Livorno) vi è
la base logistica che rifornisce le forze terrestri e aeree impegnate nell’area
mediterranea, nordafricana e mediorientale.
L’aeronautica Usa ha proprie basi in Friuli-Venezia Giulia, soprattutto ad
Aviano (Pordenone). Qui sono schierate la 31st Fighter Wing e la 16th Air Force
che, dotata di caccia F-16 e F-15, ha il compito di pianificare e condurre
operazioni di combattimento aereo anche in Medio Oriente.
La marina Usa ha il suo centro principale a Napoli, dove è stato trasferito il
quartier generale delle Forze navali Usa in Europa che prima era a Londra: la
sua «area di responsabilità» comprende 89 paesi in tre continenti (Europa,
Africa e Asia, Medio Oriente compreso), da Capo Nord al Capo di Buona Speranza
e, ad est, fino al Mar Nero. La marina Usa dispone inoltre della base
aeronavale di Sigonella e di quella della Maddalena, alla cui funzione di base
di appoggio per i sottomarini nucleari si è aggiunta quella di base di appoggio
delle operazioni belliche in Medio Oriente e nei Balcani: all’inizio della
seconda guerra contro l’Iraq, i sottomarini Usa di stanza alla base della
Maddalena hanno attaccato dal Mediterraneo, con missili da crociera, Baghdad e
altri obiettivi.
Le strutture Nato a disposizione degli Usa sono molteplici. Al primo posto è il
Joint Force Command di Napoli: lo comanda un ammiraglio statunitense, il quale
è allo stesso tempo comandante delle Forze navali Usa in Europa e comandante
della «Forza di risposta della Nato» che, composta attualmente di 17mila
uomini, potrà essere «dispiegata in qualsiasi parte del mondo entro 5 giorni».
A Taranto, vi è il quartier generale della High Readiness Force (Maritime), una
forza marittima di rapido spiegamento che, al momento dell’impiego, sarebbe
come le altre inserita nella catena di comando del Pentagono.
L’importanza del porto di Taranto per la marina Usa trova conferma nel fatto
che una società statunitense, la Westland Security, intende acquistare un’area
di 600mila metri quadri nell’area portuale da destinare, oltre che a non precisate
attività commerciali, a servizi per la Sesta flotta. La base di Taranto è
divenuta anche un nodo importante dei sistemi di comando, controllo,
comunicazioni, computers e intelligence (C4I) del Centro della marina Usa: in
altre parole, un centro di comando e spionaggio del Pentagono, l’unico
nell’area mediterranea.
Tutte queste forze e basi statunitensi, pur essendo in territorio italiano,
sono inserite nella catena di comando del Pentagono e quindi sottratte a
qualsiasi meccanismo decisionale italiano. In tal modo Washington sta
trasformando sempre più l’Italia in trampolino di lancio della «proiezione di
potenza» statunitense verso sud e verso est, nel quadro della ridislocazione
delle forze Usa dall’Europa settentrionale e centrale a quella meridionale e
orientale. E’ una strategia non solo militare, ma politica: per superare le
resistenze che vengono da quella che Rumsfeld definisce la «vecchia Europa»
(impersonificata da Germania e Francia), Washington fa leva sugli amici più
fedeli (e soprattutto ossequienti), tra cui si distingue l’Italia, e,
contemporaneamente, sulla «nuova Europa» impersonificata dai paesi dell’Est
appena entrati nella Nato.